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  1. Ho sempre desiderato un 85mm per fotografare e da quando posseggo una Nikon ne ho sempre avuto uno a disposizione. Non per forza il più luminoso o il più costoso, ma sicuramente un obiettivo da 85mm. Mi piace tantissimo il suo modo di ritrarre una persona, selezionandole intorno lo spazio che serve, sia che ci si trovi nella sua zona olfattiva, a un metro o poco più da lei, sia che la si inquadri da lontano, con dello spazio intorno. Tanto che si sia accorta di me, quanto che invece sia del tutto ignara, quella persona, del fatto che la stia fotografando. Scattando qualche volta anche in rapida successione, per ritrovare una spontaneità tra gesto ed espressione che tenendola in consapevole posa, sotto il fuoco di fila di mille scatti, non per certo riuscirei a cogliere. Tante volte ho anche pensato che potrei limitarmi a possedere un 85mm ed una fotocamera per scattare ovunque e chiunque: fuori da come prescrivono le regole auree, che vogliono un obiettivo specifico per ogni volto o per ogni tipo di ripresa. La distanza che serve per utilizzare i miei 85mm la conosco a memoria, tra cervello e piedi: mi ci ritrovo automaticamente in quel punto ideale, già solo reggendo dall’85mm la fotocamera. Il primo obiettivo fisso per la mia prima Nikon di trentacinque anni fa è stato proprio un 85/1,8: usato ma non troppo, comprato da un famoso negozio bolognese, classificato come autofocus, in realtà munito di un assurdo girabacchino che si accoppiava con l’apposito girarrosto della mia seconda Nikon…già, perché quell’ 85/1,8 AFD l’avevo comprato per una Nikon manuale: quello AiS tutto metallo e vetro non lo facevano più e da usato costava più del mio moderno finto-af. L’ho usato fotografando persone a tutto spiano e in mezza Europa per più di vent’anni, prima di sostituirlo con la sua versione più evoluta e luminosa: un 85/1,4 che sembrava un pozzo di luce con la sua lente frontale da 77mm di diametro… Anche quello è andato via e nel frattempo coltivando la mia naturale inclinazione ho comprato 85mm anche di altre baionette, anche per altri marchi fotografici che nel tempo ho utilizzato, affiancandoli alle mie Nikon. Ma tra i più belli dei miei amati ottantacinque è di sicuro un Nikkor che promana da una storia incredibile, quella che ha portato gli occidentali a conoscere Nikon, che allora si chiamava Nippon Kogaku ed aveva smesso di costruire vetro ottico per macchine da guerra, riconvertendosi, sotto il giogo dell’occupazione americana, a costruirlo per delle nuove macchine fotografiche. DDD le iniziali del fotografo americano che in Corea, durante un’altra guerra, provò questo 8,5cm (allora le focali erano espresse in cm) del suo collega coreano e gli piacque tanto da comprarlo con una fotocamera e portarselo appresso nella redazione della rivista più famosa di quei tempi: LIFE Magazine, convincendo i suoi colleghi yankee ad abbandonare le macchine tedesche che andavano per la maggiore: Leica, Contax, Exakta, penalizzate peraltro dalla sconfitta bellica subita, che ne aveva di certo ridimensionato nei primi anni Cinquanta la capacità produttiva richiesta dalla massa dei nuovi reporter. Un mediotele, questo Nikkor P.C., dallo schema ottico di cinque lenti in tre gruppi e fornito, in questa versione del 1953, di un coating migliorato dello strato antiriflesso che dopo settant’anni, nel mio esemplare…deve essere passato a miglior vita, a giudicare dalla resa in controluce… Fuoco Fluido in che senso? Nel senso che la nitidezza che oggi ci si aspetta da un obiettivo da ritratto è l’esatto opposto della concezione degli obiettivi di 70 anni fa ! Quindi…una nitidezza di altri tempi, come potrete valutare dalle mie foto che ho potuto scattare con la miracolosa mediazione di un anello adattatore che mi consente di rendere autofocus un obiettivo concepito per tutt’altro: lo vedete…è il Gabale Megadap MTZ11 del quale abbiamo lungamente parlato su Nikonland.it classificandolo come un accessorio molto interessante per chi come me continui a considerare la possibilità di utilizzare obiettivi speciali, di concezione differente da quelli moderni, dedicati alle mie Nikon Z. Ecco allora una Nikon Z9 che non si imbarazza minimamente a montare in baionetta uno dei suoi più celebri antenati che hanno contribuito a rendere celebre il marchio e che pertanto sono alla base della sua esistenza attuale. Un anello adattatore Nikon RF-LM per montare sul Megadap il mio 8,5/2,0 usato, segnato, consunto, quasi bloccato nelle sue ghiere, forse ovalizzate, ma vissuto …neppure io so quanto, essendo una versione immediatamente successiva a quella che veniva costruita sotto occupazione americane (MIOJ), quindi la prima versione per il Giappone indipendente e libero di riprendere a utilizzare il know-how dei suoi eccellenti ingegneri ottici e meccanici, per realizzare i capolavori che in questo ultimo secolo hanno scandito la nostra esistenza, inquadrandola così come veniva vissuta, così come un obiettivo Nikkor conceda ad ogni fotografo di rappresentarla come desideri. Fluido anche il piano di messa a fuoco, specie a tutta apertura, dove ritroviamo nel concetto espresso da quel diaframma f/2 che personalmente adoro (come i suoi doppi multipli, f/4 ed f/8) il soggetto su cui operiamo la messa a fuoco, isolato dallo sfondo si, ma non sottolineato da un livello di contrasto esasperato, tipico invece del mio nuovissimo Nikkor Z 85/1,8 o ancor di più dal fenomenale nuovo entrato nella famiglia Z-mount, quel 85/1,2 che seziona ogni piano di messa a fuoco come una lama di Toledo possa fare su di un jamon Patanegra. D’altro canto, fino agli anni Settanta del secolo scorso, non si leggeva su riviste e libri di fotografia, di trucchi per ammorbidire l’acutezza di un obiettivo da ritratto, come la filtratura con una calza da donna, o al limite anche soltanto con… un’alitata sulla lente frontale? Potremmo mai concepire qualcosa del genere ai giorni nostri? Viene da sorridere solo al pensiero. Godetevi allora il senso d’antan del ritratto secondo il mio Nikkor P.C. del 1953, pur se anteposto ad un sensore reattivo come quello della mia Nikon Z9, rigido ed ineluttabile al contrario delle movenze romantiche di una ondulata pellicola in bianco e nero, appena appena stirata da un ridicolo pressapellicola e gestita per la messa a fuoco da un telemetro a coincidenza di immagine: il tutto mutuato da un mirino la cui pupilla di uscita necessitava di un occhio che superasse i 10/10 di visus, per potersi considerata efficiente. Eppure basta una minima operazione, come quella di utilizzare una lente addizionale Nikon 4T, per ottenere il massimo dell’acutanza del centro immagine di questo obiettivo. Ed è il contrasto del soggetto al centro, rispetto la minore definizione dei bordi, la ricetta per la migliore riuscita del suo destino di pittore… Fluido il suo fuoco che arde ancora oggi. Max Aquila photo (C) per Nikonland Magazine 3/2023
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