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  1. Vitantonio dell'Orto, per chi non lo conoscesse, è un fotografo naturalista professionista, le sue foto sono apparse su diverse riviste ed ha pubblicato dei libri, è stato presente anche su Nikon school. Il suo approccio alla natura è particolare, più che il bel soggetto, cerca di cogliere e di trasmetterci l'emozione del vivere la natura come un tutto. Ci conosciamo, sia pure "a distanza", da molto tempo così gli ho proposto di raccontarci la sua storia di fotografo e il suo punto di vista sulla fotografia di natura. Ne è uscita un'intervista ricca e sotto molti aspetti originale, buona lettura (e grazie Vitantonio!). Raccontaci qualcosa di te Sono un fotografo naturalista con un passato da informatico in un’azienda metalmeccanica: due cose del tutto antitetiche, a parte l’uso del computer; e se qualcuno immagina che sia arrivato alla prima scappando dalla seconda, non si sbaglia. Fotografavo già da molti anni: quando si è trattato di cambiare mestiere era semplicemente l’unica altra cosa che sapessi fare abbastanza bene da giustificare un’entrata economica. Non c’era alcuna particolare ambizione personale o vanità dietro la scelta, solo pura sopravvivenza. E passione, perché non è certo una carriera che si scelga per arricchirsi. Dalla fotografia di natura ho avuto molte soddisfazioni: pubblicazioni, riconoscimenti e il mio quarto d’ora di notorietà nel settore, ma le gratificazioni maggiori sono sempre arrivate dal semplice fatto di fotografare, di stare in natura. Mi sono sempre sentito un fotografo, anche se facevo altro, e non lo sono diventato di più solo perché ne ho poi fatto una professione. Una solitaria pianta di trifoglio fibrino tra quinte di equiseto acquatico, Norbotten (Svezia). Quando e come ti è nata la passione per la fotografia? Come ogni ragazzino ho sperimentato diversi hobby per poi abbandonarli quasi subito; questo fino al momento in cui ho preso in mano la mia prima reflex, la Olympus OM-1 di famiglia che nessuno usava. Sono passati quarant’anni da quel momento (ne avevo 17), e non avrei più smesso di tenere una fotocamera in mano, anche se allora non potevo immaginarlo. Ricordo di aver comprato un paio di libri di tecnica generale e uno di composizione e di averli consumati a furia di sfogliarli fino a mandarli a memoria. Prima la passione per la natura e poi quella per la fotografia o viceversa? Fin da piccolo sono stato un avido consumatore di libri, e quelli sugli animali erano i miei preferiti; conservo ancora l’esemplare di “Guarda e scopri gli animali” (magnifica serie di fine ‘60 basata su illustrazioni) sulla fauna artica. Un segno del destino, forse, visto che da tempo vivo in Scandinavia; o, più semplicemente, probabilmente attraversiamo la vita restando in gran parte gli stessi, in fondo, a dispetto di quel che ci piace pensare. Ciò detto, solo diversi anni dopo i due mondi sono andati a coincidere e mi sono dedicato esclusivamente alla fotografia naturalistica; per arrivarci ho dovuto prima maturare sia come fotografo che, direi soprattutto, come individuo consapevole. Crescita di lichene centrifugo su un ammasso di rocce moreniche, Norbotten (Svezia). In un'intervista ti sei definito un fotografo naturalista "a tutto tondo", cosa volevi dire, qual'è il tuo concetto di Wildlife photography? In natura sono ancora come un bambino nel proverbiale negozio di giocattoli: voglio vedere tutto, provare tutto, “possedere” tutto. Amo ogni suo aspetto e non sono mai riuscito a limitarmi a un sottogenere, nel fotografarla. Non è solo bulimia visiva, se mi si passa il termine: la natura è complessità, infinità di relazioni e interdipendenze, e ho sempre sentito la necessità di far corrispondere il mio sguardo a questa realtà nel modo più ampio possibile. So che può essere stato un fattore limitante rispetto alla qualità della mia produzione: ci sono ambiti ai quali non puoi fare a meno di dedicarti corpo e anima, meglio se in modo ossessivo, se vuoi raggiungere risultati di primissimo livello, ma il punto non è mai stato quello: ho sempre fotografato per soddisfare un impulso interiore, non tanto per ottenere un certo risultato, per scalare una qualche gerarchia di bravura. Inoltre, saper raccontare storie attraverso una varietà di punti di vista si è rivelato utile quando si è trattato di descrivere in modo completo ambienti e luoghi per articoli e reportage. Relitto e renne in corsa nella riserva naturale Sandfjorden, Penisola di Varanger (Norvegia). Cosa rappresenta per te la natura? C’è certamente il piacere infantile, fisico, di entrare in contatto con animali e piante, essere all’aperto, sentire il vento, gli odori; ma c’è molto di più. Considero la natura il valore assoluto: c’è il piacere intellettuale e spirituale di relazionarsi col tutto, di sentirsi parte integrante di un disegno magnifico seppur casuale. Anzi, magnifico proprio perché casuale: non ho mai capito perché occorra presupporre una volontà superiore, per di più antropomorfa, per poter apprezzare il mondo naturale; o l’intero universo, se è per quello. Le cose sono, e per me è sufficiente; il caso ha intessuto sull’ordito di poche leggi fondamentali – che esistono intrinsecamente – una trama che induce in me sconfinate reverenza e meraviglia. E le proporzioni immani riempiono di umiltà e restituiscono un senso alla nostra minuscola individualità: fai parte di qualcosa di più grande. Paiono concetti banali, letti mille volte: bisogna uscire e viverli con tutti i sensi per capire che non lo sono affatto. E ancora: il senso di innocenza che deriva da un sistema naturale in cui non ci sono colpe o responsabilità, non malvagità o malizia, in cui ogni essere partecipa allo schema complessivo con eguale dignità e importanza. Ci sono lezioni infinite da trarre da questa considerazione soltanto, e considerazioni infinite da fare oltre a questa. Ci sono tutte le risposte, nella natura: sapere quali domande porre è la parte difficile. Felci su un tappeto di piante di mirtillo nero, parco nazionale Fulufjället, Dalarna (Svezia). Quali aspetti della natura ti attraggono di più come soggetti fotografici? Gli animali sono stati per parecchi anni tra i soggetti prediletti; è stato un modo per conoscerli intimamente, per stabilire una relazione empatica che andasse al di là della conoscenza didascalica. Una delle gioie maggiori è un animale indifferente alla mia presenza: la sensazione di essere in qualche modo accettato, di non sentirmi un intruso, un ladro di immagini, è straordinaria. Anche per questo mi sono spostato verso altri generi: non sento più l’esigenza di carpire una foto per provare l’emozione dell’incontro; ho superato l’idea del possesso, e la presenza, il momento in sé sono sufficienti, un binocolo mi è suffficiente. Continuo a ritrarre animali, se è il caso, solo come elemento estetico e come punto di interesse all’interno di composizioni più complesse. Altri soggetti che ho sempre amato sono i fiori: sono stregato dalla grazia di forme e profumi (a proposito di banalità) così come dal dovermi abbassare a terra per fotografarli, quasi in un inchino. Ho trascorso alcune delle ore più serene della mia vita sdraiato nei prati aridi delle colline del primo Appennino, tra il profumo delle ginestre e i colori di mille orchidee selvatiche. Cinque pernici bianche nella tundra montana della riserva naturale Städjan-Nipfjället, Dalarna (Svezia). Cigno selvatico al nido in una palude presso Fagersta, Västmanland (Svezia). Cosa dà a te la fotografia naturalistica e cosa vuoi trasmettere agli altri con le tue fotografie? Armonia, sensazione di innocenza ritrovata, senso di appartenenza e di annullamento. Questo è quello che ci trovo io, e in modo istintivo, di pelle… in modo quasi animale, se mi è consentito il paragone; è una dinamica necessariamente molto personale. La fotografia è un modo per sintonizzarsi con la natura assecondandone il ritmo, respirandola attraverso una decodifica visiva che ti obbliga a essere lì, vivere il momento, approfondire, sentire, vivere. In questo senso non può che essere un processo interiore, difficilmente condivisibile, un processo che, paradossalmente, trascende il risultato che se ne ottiene, l’immagine. Questa diventa quasi un sottoprodotto; la scusa per stare là fuori. Un mezzo, non un fine. Ho sempre trovato maggiore gratificazione in tutto ciò che precede lo scatto che non nelle foto in se’. Poi queste “mettono gambe”, vivono di vita propria, e se hai lavorato bene qualcosa passa: sono le persone a raccontarmelo, ognuno vedendoci qualcosa di diverso, attingendo a qualche elemento personale che risuona con una determinata immagine. Cielo riflesso in un torrente di foresta, Dalarna (Svezia). Col tempo è cambiato qualcosa nel tuo modo di fotografare la natura, ad esempio adesso preferisci ritrarre altri aspetti della natura o comunque ritrarli in modo diverso rispetto ad una volta? Ho seguito, nel tempo, alcune inclinazioni rispetto ad altre, perché è naturale che la spinta interpretativa evolva e diventi più esigente: quel che prima ci soddisfaceva dopo non è più sufficiente, si cerca qualcosa di diverso, si sperimenta. Si capiscono delle cose e si passa a capire quelle che ancora ci sfuggono. Una delle svolte è l’aver abbandonato da anni la “caccia fotografica” propriamente detta; come già accennato ora preferisco fotografare animali in modo estremamente ambientato, un ingrediente dello scenario come altri. Oltre a ciò, mi dedico soprattutto al paesaggio cosiddetto “intimo”, visioni di proporzioni ridotte in cui lettura delle forme e composizione rigorosa hanno priorità rispetto alla spettacolarità fine a se stessa e alla grandiosità degli scenari. Certamente vivere nelle foreste svedesi ha avuto un ruolo in questo, poiché mancano prospettive imponenti e, viceversa, abbondano scorci ricchi di grazia e dettaglio ma di certo visivamente più circoscritti e dalla scarsa tridimensionalità; i boschi in genere sono ambienti magnifici (quantomeno quelli che ancora mantengono carattere di naturalità, sempre meno diffusi persino al Nord) ma fotograficamente ostici e questo è ancor più vero nel caso delle foreste di conifere: una sfida stimolante quanto frustrante. Per fortuna ci sono le betulle, il mio albero preferito, a salvare spesso la giornata. Una betulla in autunno, Dalarna (Svezia). Betulle e sottobosco di corniolo nano nei colori autunnali, Abisko, Norbotten (Svezia). Ad un certo punto della tua vita hai deciso di lasciare l'Italia e vivere in una piccola località della Svezia, nella regione che hai chiamato "Piccola Lapponia"… Mi sono trasferito nella Svezia centrale – ai piedi delle montagne della Dalarna, per la precisione – nel 2007. “Piccola Lapponia” perché ambienti e specie presenti sono in sostanza i medesimi dei grandi spazi lapponi un migliaio di chilometri più a Nord. Conoscevo già il paese e cercavo un’alternativa all’Italia; ho sempre percepito un sentimento di appartenenza in Scandinavia, per il tipo di natura e il clima, la rarefazione degli spazi e delle complicazioni della vita quotidiana. La scelta è stata facile. Ovviamente non si prende una decisione simile solo per amore della natura: il Bel Paese mi stava stretto per una serie di fattori che con natura e fotografia avevano poco a che fare, e molto invece con la civiltà e i costumi. Non è stato un passo facile, e non è ancora detto che resti definitivo, ma è stato tutto ciò che speravo che fosse, e qualcosa di più. Con mia sorpresa, espatriando ho finito anche per apprezzare alcuni aspetti dell’Italia, quelli che non notiamo per mancanza di confronti; il che, per certi versi, fa ancora più rabbia, al pensiero di come potrebbe essere. Una su tutte, per restare in argomento: la biodiversità, l’enorme varietà degli ambienti naturali presenti nello Stivale; la stessa diversità che peraltro esiste anche in ambito culturale e sociale, che in Italia è spesso vissuta come un ostacolo o un motivo di frizione laddove andrebbe considerata una ricchezza. Hälleskogsbrännan, in Västmanland (Svezia), è una riserva naturale che tutela 6.420 ettari interamente bruciati nel 2014, il più grande incendio svedese in tempi storici. Multi esposizione in ripresa. Tu hai usato soprattutto fotocamere ed obiettivi Nikon, come ti sei trovato? Ho sempre amato le fotocamere meccaniche e manuali, immagino sia un fatto generazionale. Quando si è trattato di cambiare il corredo Olympus ormai datato, erano gli anni 90, la casa giallo-nera offriva ancora corpi tradizionali; inoltre ho sempre trovato l’ergonomia Nikon superiore a quella della concorrenza. Le FM2n, F90x e F100 mi hanno accompagnato fino all’ineluttabile rivoluzione digitale ma, se i corpi si sono allineati alla modernità, con le ottiche ho percorso una strada inversa: non avendo più necessità di supertele o di performances estreme, oggi utilizzo obiettivi manuali che risalgono a più di trent’anni fa. Con Nikon posso sfruttare ottiche storiche che in alcuni casi si comportano meglio dei loro successori (“nuovo” non è sempre “meglio”, soprattutto se l’autofocus è superfluo). Ho poi aggiunto un corredo mirrorless APSC leggero per le uscite fisicamente più impegnative (e comincio ad avere un’età in cui lo sono tutte). Felci e carici in un bosco allagato nel parco nazionale Stenshuvud, Scania (Svezia). Qual è la foto, il portfolio, il progetto fotografico da te realizzato a cui sei più affezionato? C’è uno scatto così, in effetti: l’immagine di una rapida vicino casa su cui il sole novembrino proietta il riflesso della foresta circostante. Questo assume tinte dorate e tinge la corrente scolpita in forme plastiche, incorniciate dalla spuma resa fluida dall’esposizione prolungata. Avrebbe dovuto essere altro, in realtà: un merlo acquaiolo si era involato dal ghiaccio emergente, e ne ho atteso a lungo il ritorno, invano. Lo scatto ha coinciso con la mia nuova vita scandinava e incarna la mia concezione dell’immagine di natura (oltre a essere uno dei miei più venduti): partire dal reale per interpretarlo, trasfigurarlo, tradurlo in emozioni – se possibile – ma senza tradirlo o “migliorarlo” in modo artificioso e posticcio; non c’è quasi ritocco in quella foto, ma molti tra coloro che la vedono dicono “sembra un quadro” (altri credono che lo sia), provando in tre parole quel che cerco di mostrare: la magia che nasce da una raffigurazione onesta della natura, ma non per questo “oggettiva”, mera rappresentazione documentale, bensì uno sguardo personale che resti fedele al materiale di partenza. Assolutamente non la mia miglior foto, ma una che sicuramente mi rappresenta. Salti d’acqua illuminati dai riflessi del sole novembrino sulla foresta; foto citata nel testo sopra , Dalarna (Svezia). Fra i miei studenti all'Università ce n'è qualcuno che vuole diventare fotografo di natura, ma c'è un futuro per la professione di fotografo naturalista? Qualche anno fa gli avrei detto: “È difficilissimo, ma non rinunciare a priori ai tuoi sogni; non c’è nulla di meglio che far coincidere passione e lavoro” (quest’ultima affermazione non è sempre vera, ad essere del tutto onesto). Nel frattempo il mondo è cambiato, e non in meglio. Quello della comunicazione e della divulgazione in particolare è uscito stravolto dagli ultimi dieci anni ancor più di quanto non lo fosse già stato dai dieci precedenti. È scomparso un intero ecosistema, molti operatori hanno sentito la terra franare sotto i piedi (a partire dal sottoscritto). A quella domanda oggi risponderei: “Aggrappati con le unghie al primo lavoro dignitoso che trovi; con quello mantieniti e pagaci anche la passione fotografica e i costi (a volte notevoli) che implica. Ma in quella buttati a corpo morto: le vere soddisfazioni arrivano dal praticarla, a prescindere”. Se sarà il caso si potrà sempre aspirare a qualcosa di più in seguito: con marcate capacità organizzative, didattiche, di autopromozione e soprattutto di empatia nelle relazioni interpersonali, si può immaginare di guadagnare qualcosa con la docenza fotografica; allo stesso modo, padroneggiando le tecniche più sofisticate e con una vasta conoscenza naturalistica, è ancora possibile pubblicare a (scarso) pagamento, soprattutto scegliendo ambiti specializzati e poco frequentati. Tutto questo, tuttavia, richiede intuibilmente anni di esperienza, e non solo in campo fotonaturalistico. Rinnovamento nella foresta matura, parco nazionale Fulufjället, Dalarna (Svezia). Pino silvestre ricoperto di galaverna, Dalarna (Svezia). Come vedi l'evoluzione dell'editoria nel settore della fotografia di natura? La crisi dell’editoria aveva già ridotto gli interlocutori disponibili nel mercato asfittico della foto di natura (soprattutto in Italia), poi è arrivata la fotografia digitale, con la disponibilità di masse di immagini a basso (o nessun) costo, la facilità di veicolazione delle foto da parte dei singoli e il crollo della qualità richiesta per fruirne (un conto è pubblicare su una rivista, un altro sul web). Oltretutto il pubblico si è abituato alla gratuità e la maggioranza preferisce guardare gratis foto qualsiasi in bassa risoluzione che spendere per apprezzare quelle buone nel modo che meritano; e, lasciatemelo dire, col tempo sta perdendo la capacità di distinguere le prime dalle seconde. Oggigiorno i servizi all’individuo sono rimasti quasi l’unico modo per monetizzare la propria arte. Non è un caso che ci sia stata una proliferazione di corsi e viaggi fotografici. Non si vendono più le immagini, si vende se stessi pubblicizzandosi attraverso le proprie immagini. Da un lato è stata una rivoluzione drammatica; da un altro lato, come avvenuto in altri comparti economici, la semplificazione del modello di business, l’eliminazione di filtri e intermediari, rendono possibile a chiunque di contattare direttamente chiunque altro via social network ecc. Ne consegue, però, che l’offerta è enorme, poco discernibile per meriti (proprio per la scomparsa di intermediari professionali in grado di filtrare e promuovere la qualità: il ruolo della vecchia editoria) e la qualità richiesta è in media di basso livello (con un aumento esponenziale dell’offerta). Si vive, in sostanza, il paradosso comune in questa età della connessione permanente continua: chiunque può comunicare qualsiasi cosa al resto del mondo; gli strumenti per farlo sono a portata di tutti, ma pochi hanno qualcosa da dire o che valga la pena di essere ascoltato, meno ancora quelli in grado di farlo propriamente, e ancora meno quelli che ne ottengono un qualche profitto. Non mancate di visitare il sito web di Vitantonio QUI, ricco di immagini e QUI potete trovare un'anteprima del suo libro "La mia Svezia". Silvio Renesto per Nikonland Tutte le foto (c) Vitantonio dell'Orto.
  2. Maxbunny, che ha condiviso con noi molte delle sue foto naturalistiche e di viaggio, si racconta: Dicci qualcosa di te Mi chiamo Massimo, 48 anni di Roma. Anzi, lo ero...dopo il matrimonio ci siamo trasferiti in un paese alle porte di Roma nord ed ho cominciato la vita del pendolare. Quando e come ti è nata la passione per la fotografia? All'età di 6 anni arriva in casa mia una compatta Agfa, credo dimenticata da uno zio che viveva all'estero, fu subito amore! La portavo ovunque, spesso senza rullino però! economicamente non ce la passavamo bene, non c'erano mai "soldi superflui" quindi, il più delle volte, mi dovevo accontentare di inquadrare e scattare a vuoto. Crescevo e sognavo una reflex, all'età di 10 anni un vicino di casa, appassionato di fotografia, mi disse che qualora fossi riuscito a mettere da parte un pò di soldi, mi avrebbe accompagnato a compare una reflex. Risparmiavo su tutto, persino per la merenda di scuola. Cinque anni più tardi, con 600 mila lire in contanti, bussai alla sua porta. Andammo insieme in un negozio della capitale e ne uscii con una Olympus OM10 corredata da 50mm f/1,8. Un anno dopo, con notevole sforzo, riuscii ad acquistare anche il 135mm f/3.5. Un amico di famiglia mi regalò un ingranditore russo con relativi accessori; cominciai a sviluppare e stampare i miei rullini in BN nel bagno, ma non ho mai potuto dedicarci il tempo che avrei voluto, avevamo un bagno solo e non potevo impegnarlo per troppo tempo. Leggevo quasi esclusivamente libri e riviste di fotografia. Tramonto sul Lago di Anguillara-Sabazia Parco Nazionale d'Abruzzo Qual è il tuo genere preferito oggi? Mi piace fotografare un pò di tutto, prediligo la fotografia di paesaggio, L'ora blu sul Lago di Bracciano Tramonto a Fiumicino In attesa dello Show La fotografia naturalistica Martin pescatore Ballerina Bianca Calopteryx splendens Mignattaio Scoiattolo E il Reportage: Al Mercato di Port Luis Bambini malgasci Himba, Namibia Scuola elementare Mauritius Nikon perchè? Un caso o una scelta? In quegli anni una delle mie tappe fisse era il barbiere vicino casa, dove avevo la possibilità di leggere gratis il National Geographic. Ero affascinato dalle foto di quella rivista, dai suoi fotografi, soprattutto da Steve McCurry, e cresceva sempre di più la voglia di possedere una Nikon. Bella ma costosa la passione per la fotografia, ho potuto sostituire la mia Olympus con una Nikon, marchio che non ho più abbandonato, solo dopo il diploma con i soldi del primo vero lavoro. Non ho abbracciato da subito il digitale, i primi tempi preferivo scansionare e lavorare in proprio le mie diapositive per pubblicarle sul web o ricavarne stampe. Il lavoro di postproduzione in camera chiara con il computer mi ha affascinato da subito, ho cominciato ad utilizzare Photoshop dalla versione 3.0. La mia prima reflex digitale è stata una Nikon D200 acquistata a fine 2006. Purtroppo ogni volta che ho aggiornato il mio corredo fotografico, per monetizzare, ho dovuto sempre vendere il vecchio per acquistare il nuovo. La reflex dalla quale mi è dispiaciuto in assoluto di più separarmi è stata la Nikon FM2 new. Attraversando il Sahara "Mare" di Sule Oltre alla fotografia hai altre passioni o interessi? Mi piace tenermi in forma, pratico corsa, palestra, ma soprattutto allenamento a corpo libero che pratico quasi tutti i giorni. Sono appassionato di tecnologia in genere e condivido con mia moglie un'altra grande passione che si sposa bene con la fotografia: i viaggi, che organizziamo sempre in proprio. Come tutti i fotoamatori appassionati piacerebbe anche a me aggiornare frequentemente il corredo fotografico, sono conscio comunque di avere una buona attrezzatura quindi preferisco ottimizzare al meglio le spese per continuare a viaggiare. Truro Lighthouse Etosha National Park, Namibia Qual'è la foto, o il portfolio, il progetto fotografico da te realizzato a cui sei più affezionato? Non ho foto preferite, però posso raccontarti due curiosità su due foto: "L'addio": è una scansione da rullino BN. La ragazza in foto è la mia attuale moglie. Eravamo fidanzati, facemmo una passeggiata ad Ostia ( il mare di Roma ) ed avevo con me l'affezionata FM2. Lei mi chiese di scattarle un ritratto, in quel momento avevo su l'80-200 e mi allontanai un pò. Aveva il sole contro, le dissi di abbasare lo sguardo e che l'avrei avvisata quando sarei stato pronto a scattare. Mentre regolavo le impostazioni vidi l'uomo alle spalle, mi piacque il momento e scattai! Era la prima foto di quel rullino, ma anche l'ultima. Ero talmente curioso di vedere il risultato che avvolsi la pellicola e ci dirigemmo verso casa, per portare la pellicola a sviluppare. La foto fu praticamente pubblicata su tutte le riviste del settore alla quale la inviai e mi ha fatto vincere qualche concorso fotografico. "La vigna" : tra le milioni di foto presenti sul web, un giorno mi contatta la casa editrice Giunti, hanno visto la mia foto e la vogliono comprare per utilizzarla in quarta di copertina su un Atlante Geologico dei vini d'Italia che sta per andare in stampa. Mi ha fruttato 250 euro, due copie omaggio dell'Atlante e la soddisfazione di veder pubblicata la mia foto da una casa editrice molto nota. E in futuro? Per il futuro spero di rimanere in salute per veder crescere e realizzare mia figlia che oggi ha 9 anni. Spero di continuare a viaggiare e vedere buona parte del mondo prima che avvenga il ...trapasso. :-)
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