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  1. E' bello anche solo stare a vederla, fotografarla è quel che ti permette di portartela "a casa" per rivederla quando vuoi. A chi interessa, ho usato la Z6.
  2. Cherry picking (scegliere le ciliegie) è un modo di dire inglese che significa scegliere accuratamente i pezzi migliori, come si cercano le ciliegie senza bachi. In attesa di tornare a fotografare quel che mi interessa, ho pensato di riproporre qualcuna delle foto a cui sono più affezionato, anche se non tutte al top della qualità possibile, accompagnate da un piccolo commento e dove esista il link al mio precedente blog sullo stesso soggetto. LIBELLULE ESCLUSE, gli ho già dedicato il diario e niente ragni così anche gli aracnofobi possono dare un'occhiata. Gufo di palude ambientato, Nikon D800, 330mm f4 AFS + TC 14. Qui il blog: http://www.nikonland.eu/forum/index.php?/gallery/image/5842-gufo-nella-palude/ Le raganelle sono piccole e timide (ho delle foto a formato pieno eh, però.. questa è più interpretata). Nikon D700, 500mm (300mm + tc 17?). Mantide, sempre affascinante. Nikon D700 ed il glorioso micro-nikkor 200mm f4 AfD ED. Un Gruccione non può mancare. Nikon D500, 300mm f4 Pf e Tc 14. Il più rosso Scoiattolo Rosso che abbia mai visto. Una delle mie prime foto a scoiattoli, per quello ci sono particolarmente affezionato. Nikon D300, 80-400mm Af VR (a 180mm, siamo in Engadina). Poiane che litigano. Foto da capanno. Nikon D500, Sigma 100-400 a 135mm. Alba dorata. Nikon D700, 300mm f2.8 Af. Codibugnolo, folletto fantastico. Nikon D300, 300mm f4 AFS + TC17. Airone Bianco Maggiore. Nikon D500, 300mm f4 Pf. Cucù, Gheppio, fotografato dal tavolino del bar, mentre sorseggiavo un calice di Prosecco . Nikon D500, 300mm f4 Pf.
  3. Ho acquistato la Nikon Z6 a novembre dell'anno scorso (2019). Appena comprata ho fatto soprattutto delle foto "casual" per strada e degli esperimenti in casa, giocherellando con il focus stacking, ma tutto sommato ero rimasto freddino, convinto che andasse bene più che altro per al macro statica e lo street, che per me è un genere occasionale. Anche Vincent non era molto convinto. Passato il lockdown, ho inziato ad usarla un po' di più per il genere fotografia che preferisco, ed è allora che ho cominciato a "scaldarmi" nei confronti di questa piccola grande fotocamera e capire meglio tutto quello che mi può dare (e quello che non posso pretendere). Non mi metterò a scrivere un articolo sulle caratteristiche, pregi e difetti della Z6, ripeterei solo quanto hanno fatto a più riprese Mauro Maratta e Max Aquila in modo più che esauriente, preferisco fare qualcosa di simile alle experience di foto notturna e di street di Massimo Vignoli, portando delle foto di esempio e commentandole. Sono un naturalista fotoamatore, anche se mi piace provare altri generi è nella fotografia in natura, soprattutto agli animali che mi diverto davvero. Di questo scriverò. Primo impatto? Avendo usato praticamente solo reflex, al mirino elettronico ho dovuto farci l'abitudine, perchè anche se è ottimo e la resa dell'immagine è molto vicina alla realtà, rimane a volte un lieve scostamento dal punto di vista dell'esposizione verso la sovraesposizione, cosa che ho imparato a tenere presente ed ora non ho problemi. Per il resto, sul campo la Z6 è confortevole, specialmente con la basetta smallrig e usata con ottiche compatte come il 300mm f4 Pf anche accoppiato a dei converter, non si hanno problemi a mano libera. Inoltre, come tutte le nikon di un certo livello, non ti "sta tra i piedi", comandi accessibili e ergonomia sperimentata. La Nikon Z6 e il suo 24-70mm f4 S sono un'accoppiata formidabile. Questa foto sembra una macro fatta con un buon obiettivo macro, no? Invece no! E' un minuscolo crop al 100% di una foto ambientata!!!. questa: Nikon Z6 24-70mm f4 a 28mm, f11, 1/1600s 2000 ISO. La vedete la libellula sulla destra, quant'è piccola? Questo per me dice tutto quello che c'è da dire sulla qualità nei dettagli di questa accoppiata ed è uno dei motivi della mia riscoperta della Z6. Non è solo il fatto che si può mettere a fuoco più o meno su tutto il campo inquadrato, lo fanno tutte le mirrorless, qui c'è di più. Lo ripeto risultati di questo genere di solito si hanno con dei tele macro. Amazing, dicono gli inglesi. Naturalmente come tutti gli altri 24-70mm si presta a fare dei paesaggi "normali" con ottimi risultati, Nella fotografia ravvicinata e in quella di natura non ho dubbi quale sarà d'ora in poi la mia fotocamera d'elezione, anche sul campo, salvo soggetti erratici. In attesa di focali native un po' più lunghe, il 300mm da solo con Tc e/o lenti addizionali funziona e molto bene: In questo "animalscape" ho usato il 300mm, ho composto l'inquadratura e scattato dal display col dito. Se il soggetto è relativamente tranquillo, non ci sono problemi anche per le soggettive: Anche se il soggetto si muove a velocità ragionevole secondo una traiettoria prevedibile non ci sono troppi problemi, t scatto silenzioso, a mano libera e soggetto indifferente: Nella fotografia close-up la qualità è eccellente: 70-300mmP a 210mm con lente addizionale 300mm f4 Pf + TC14 Eiii. Ancora: Posso scattare in condizioni di luce molto sfavorevoli, con ottime possibilità di recupero nelle ombre. Questi scoiattoli erano nel bosco fitto dove ad occhio nudo era ... buio pesto. Anche qui a Torrile giornata di pioggia... luce pessima, eppure.. Per non bruciare il cigno, che non era fermo, quindi non permetteva esposizioni multiple, ho dovuto sottoesporre, Ma è bastato pochissimo per recuperare le ombre. Infine, basta back-front focus, i miei nikon ora sono tutti "tarati", o meglio non devo tarare più nulla. L'accoppiata 300mm più TC 14 sulla m D500 tendeva a funzionare in modo alterno. A volte andava benissimo, altre non azzeccava il fuoco e come da consigli ricevuti, dovevo spegnere smontare e rimontare il tutto. Questi sono cropo 100% di due foto scattate con la D500, il 300mm f4 Pf e il TC 14: due giorni diversi due rese diverse. Smonta e rimonta poi il tutto è tornato a funzionare, però non è entusiasmante, se sei in attesa che succeda qualcosa non è il massimo, perchè di solito succede mentra stai armeggiando con l'atttrezzatura. Se poi osavo accoppiare il 300mm al TC 17... addio, il fuori fuoco era garantito: Con la Z6, come cantava Lucio Battisti, tutto questo non c'è più: Nikon 300mm f4 Pf Tc 17, crop 100% Alti ISO? ecco qui tempo grigio e 7000 ISO! Crop 100%: Tutte rose e fiori? Naturalmente no, per quel che faccio io, vedo soprattutto due punti di miglioramento e riguardano l'autofocus: come per la maggior parte delle mirrorless le manca un po' di reattività. Questi cigni in volo li ha presi, ma soggetti più veloci o più erratici sono spesso un problema, al contrario di auto e moto, con gli animali non è possibile prevedere la traiettoria e predisporsi allo scatto in un punto prefissato. L'altro punto è la tendenza a perdersi nello sfondo più delle mie DSLR, anche se devo dire che credevo peggio. In qualche situazione occorre "aiutare" l'autofocus. Sfondo terribilmente confuso ed elementi di disturbo in primo piano, ma con un po' di malizia, soggetto centrato! Non so se il fatto che si usino teleobiettivi F tramite adattatore possa in qualche modo accentuare il problema, si vedrà quando ci saranno teleobiettivi S nativi. Dopo novemila scatti posso dire di essere contento della Z6, sono convinto che se si sa come usarla e quando, i risultati sono ottimi. Adesso anche Vincent ne è convinto, tanto da autorizzarmi a mettere un crop al 100% di un suo ritratto Scattato con... (musica da suspense)... UN VECCHIO CIMELIO!! Con la Z6 ci si può divertire, il relativamente contenuto numero di pixel aiuta a perdonare qualche segno di vecchiaia presente in queste lenti d'epoca. In conclusione, la Z6 mi piace, ho iniziato ad apprezzarne le qualità e conto di usarla sempre di più. Ultima nota: Questa l'avete già vista, la ripropongo perchè è la migliore foto che ho fatto quest'anno, con la Z6 a mano libera in presenza di vento. Silvio Renesto per Nikonland.
  4. Un esperimento di foto ambientata, quindi non macro. Nikon Z6 con FTZ, 300mm f4 PF e Tc14 EIII.
  5. Vitantonio dell'Orto, per chi non lo conoscesse, è un fotografo naturalista professionista, le sue foto sono apparse su diverse riviste ed ha pubblicato dei libri, è stato presente anche su Nikon school. Il suo approccio alla natura è particolare, più che il bel soggetto, cerca di cogliere e di trasmetterci l'emozione del vivere la natura come un tutto. Ci conosciamo, sia pure "a distanza", da molto tempo così gli ho proposto di raccontarci la sua storia di fotografo e il suo punto di vista sulla fotografia di natura. Ne è uscita un'intervista ricca e sotto molti aspetti originale, buona lettura (e grazie Vitantonio!). Raccontaci qualcosa di te Sono un fotografo naturalista con un passato da informatico in un’azienda metalmeccanica: due cose del tutto antitetiche, a parte l’uso del computer; e se qualcuno immagina che sia arrivato alla prima scappando dalla seconda, non si sbaglia. Fotografavo già da molti anni: quando si è trattato di cambiare mestiere era semplicemente l’unica altra cosa che sapessi fare abbastanza bene da giustificare un’entrata economica. Non c’era alcuna particolare ambizione personale o vanità dietro la scelta, solo pura sopravvivenza. E passione, perché non è certo una carriera che si scelga per arricchirsi. Dalla fotografia di natura ho avuto molte soddisfazioni: pubblicazioni, riconoscimenti e il mio quarto d’ora di notorietà nel settore, ma le gratificazioni maggiori sono sempre arrivate dal semplice fatto di fotografare, di stare in natura. Mi sono sempre sentito un fotografo, anche se facevo altro, e non lo sono diventato di più solo perché ne ho poi fatto una professione. Una solitaria pianta di trifoglio fibrino tra quinte di equiseto acquatico, Norbotten (Svezia). Quando e come ti è nata la passione per la fotografia? Come ogni ragazzino ho sperimentato diversi hobby per poi abbandonarli quasi subito; questo fino al momento in cui ho preso in mano la mia prima reflex, la Olympus OM-1 di famiglia che nessuno usava. Sono passati quarant’anni da quel momento (ne avevo 17), e non avrei più smesso di tenere una fotocamera in mano, anche se allora non potevo immaginarlo. Ricordo di aver comprato un paio di libri di tecnica generale e uno di composizione e di averli consumati a furia di sfogliarli fino a mandarli a memoria. Prima la passione per la natura e poi quella per la fotografia o viceversa? Fin da piccolo sono stato un avido consumatore di libri, e quelli sugli animali erano i miei preferiti; conservo ancora l’esemplare di “Guarda e scopri gli animali” (magnifica serie di fine ‘60 basata su illustrazioni) sulla fauna artica. Un segno del destino, forse, visto che da tempo vivo in Scandinavia; o, più semplicemente, probabilmente attraversiamo la vita restando in gran parte gli stessi, in fondo, a dispetto di quel che ci piace pensare. Ciò detto, solo diversi anni dopo i due mondi sono andati a coincidere e mi sono dedicato esclusivamente alla fotografia naturalistica; per arrivarci ho dovuto prima maturare sia come fotografo che, direi soprattutto, come individuo consapevole. Crescita di lichene centrifugo su un ammasso di rocce moreniche, Norbotten (Svezia). In un'intervista ti sei definito un fotografo naturalista "a tutto tondo", cosa volevi dire, qual'è il tuo concetto di Wildlife photography? In natura sono ancora come un bambino nel proverbiale negozio di giocattoli: voglio vedere tutto, provare tutto, “possedere” tutto. Amo ogni suo aspetto e non sono mai riuscito a limitarmi a un sottogenere, nel fotografarla. Non è solo bulimia visiva, se mi si passa il termine: la natura è complessità, infinità di relazioni e interdipendenze, e ho sempre sentito la necessità di far corrispondere il mio sguardo a questa realtà nel modo più ampio possibile. So che può essere stato un fattore limitante rispetto alla qualità della mia produzione: ci sono ambiti ai quali non puoi fare a meno di dedicarti corpo e anima, meglio se in modo ossessivo, se vuoi raggiungere risultati di primissimo livello, ma il punto non è mai stato quello: ho sempre fotografato per soddisfare un impulso interiore, non tanto per ottenere un certo risultato, per scalare una qualche gerarchia di bravura. Inoltre, saper raccontare storie attraverso una varietà di punti di vista si è rivelato utile quando si è trattato di descrivere in modo completo ambienti e luoghi per articoli e reportage. Relitto e renne in corsa nella riserva naturale Sandfjorden, Penisola di Varanger (Norvegia). Cosa rappresenta per te la natura? C’è certamente il piacere infantile, fisico, di entrare in contatto con animali e piante, essere all’aperto, sentire il vento, gli odori; ma c’è molto di più. Considero la natura il valore assoluto: c’è il piacere intellettuale e spirituale di relazionarsi col tutto, di sentirsi parte integrante di un disegno magnifico seppur casuale. Anzi, magnifico proprio perché casuale: non ho mai capito perché occorra presupporre una volontà superiore, per di più antropomorfa, per poter apprezzare il mondo naturale; o l’intero universo, se è per quello. Le cose sono, e per me è sufficiente; il caso ha intessuto sull’ordito di poche leggi fondamentali – che esistono intrinsecamente – una trama che induce in me sconfinate reverenza e meraviglia. E le proporzioni immani riempiono di umiltà e restituiscono un senso alla nostra minuscola individualità: fai parte di qualcosa di più grande. Paiono concetti banali, letti mille volte: bisogna uscire e viverli con tutti i sensi per capire che non lo sono affatto. E ancora: il senso di innocenza che deriva da un sistema naturale in cui non ci sono colpe o responsabilità, non malvagità o malizia, in cui ogni essere partecipa allo schema complessivo con eguale dignità e importanza. Ci sono lezioni infinite da trarre da questa considerazione soltanto, e considerazioni infinite da fare oltre a questa. Ci sono tutte le risposte, nella natura: sapere quali domande porre è la parte difficile. Felci su un tappeto di piante di mirtillo nero, parco nazionale Fulufjället, Dalarna (Svezia). Quali aspetti della natura ti attraggono di più come soggetti fotografici? Gli animali sono stati per parecchi anni tra i soggetti prediletti; è stato un modo per conoscerli intimamente, per stabilire una relazione empatica che andasse al di là della conoscenza didascalica. Una delle gioie maggiori è un animale indifferente alla mia presenza: la sensazione di essere in qualche modo accettato, di non sentirmi un intruso, un ladro di immagini, è straordinaria. Anche per questo mi sono spostato verso altri generi: non sento più l’esigenza di carpire una foto per provare l’emozione dell’incontro; ho superato l’idea del possesso, e la presenza, il momento in sé sono sufficienti, un binocolo mi è suffficiente. Continuo a ritrarre animali, se è il caso, solo come elemento estetico e come punto di interesse all’interno di composizioni più complesse. Altri soggetti che ho sempre amato sono i fiori: sono stregato dalla grazia di forme e profumi (a proposito di banalità) così come dal dovermi abbassare a terra per fotografarli, quasi in un inchino. Ho trascorso alcune delle ore più serene della mia vita sdraiato nei prati aridi delle colline del primo Appennino, tra il profumo delle ginestre e i colori di mille orchidee selvatiche. Cinque pernici bianche nella tundra montana della riserva naturale Städjan-Nipfjället, Dalarna (Svezia). Cigno selvatico al nido in una palude presso Fagersta, Västmanland (Svezia). Cosa dà a te la fotografia naturalistica e cosa vuoi trasmettere agli altri con le tue fotografie? Armonia, sensazione di innocenza ritrovata, senso di appartenenza e di annullamento. Questo è quello che ci trovo io, e in modo istintivo, di pelle… in modo quasi animale, se mi è consentito il paragone; è una dinamica necessariamente molto personale. La fotografia è un modo per sintonizzarsi con la natura assecondandone il ritmo, respirandola attraverso una decodifica visiva che ti obbliga a essere lì, vivere il momento, approfondire, sentire, vivere. In questo senso non può che essere un processo interiore, difficilmente condivisibile, un processo che, paradossalmente, trascende il risultato che se ne ottiene, l’immagine. Questa diventa quasi un sottoprodotto; la scusa per stare là fuori. Un mezzo, non un fine. Ho sempre trovato maggiore gratificazione in tutto ciò che precede lo scatto che non nelle foto in se’. Poi queste “mettono gambe”, vivono di vita propria, e se hai lavorato bene qualcosa passa: sono le persone a raccontarmelo, ognuno vedendoci qualcosa di diverso, attingendo a qualche elemento personale che risuona con una determinata immagine. Cielo riflesso in un torrente di foresta, Dalarna (Svezia). Col tempo è cambiato qualcosa nel tuo modo di fotografare la natura, ad esempio adesso preferisci ritrarre altri aspetti della natura o comunque ritrarli in modo diverso rispetto ad una volta? Ho seguito, nel tempo, alcune inclinazioni rispetto ad altre, perché è naturale che la spinta interpretativa evolva e diventi più esigente: quel che prima ci soddisfaceva dopo non è più sufficiente, si cerca qualcosa di diverso, si sperimenta. Si capiscono delle cose e si passa a capire quelle che ancora ci sfuggono. Una delle svolte è l’aver abbandonato da anni la “caccia fotografica” propriamente detta; come già accennato ora preferisco fotografare animali in modo estremamente ambientato, un ingrediente dello scenario come altri. Oltre a ciò, mi dedico soprattutto al paesaggio cosiddetto “intimo”, visioni di proporzioni ridotte in cui lettura delle forme e composizione rigorosa hanno priorità rispetto alla spettacolarità fine a se stessa e alla grandiosità degli scenari. Certamente vivere nelle foreste svedesi ha avuto un ruolo in questo, poiché mancano prospettive imponenti e, viceversa, abbondano scorci ricchi di grazia e dettaglio ma di certo visivamente più circoscritti e dalla scarsa tridimensionalità; i boschi in genere sono ambienti magnifici (quantomeno quelli che ancora mantengono carattere di naturalità, sempre meno diffusi persino al Nord) ma fotograficamente ostici e questo è ancor più vero nel caso delle foreste di conifere: una sfida stimolante quanto frustrante. Per fortuna ci sono le betulle, il mio albero preferito, a salvare spesso la giornata. Una betulla in autunno, Dalarna (Svezia). Betulle e sottobosco di corniolo nano nei colori autunnali, Abisko, Norbotten (Svezia). Ad un certo punto della tua vita hai deciso di lasciare l'Italia e vivere in una piccola località della Svezia, nella regione che hai chiamato "Piccola Lapponia"… Mi sono trasferito nella Svezia centrale – ai piedi delle montagne della Dalarna, per la precisione – nel 2007. “Piccola Lapponia” perché ambienti e specie presenti sono in sostanza i medesimi dei grandi spazi lapponi un migliaio di chilometri più a Nord. Conoscevo già il paese e cercavo un’alternativa all’Italia; ho sempre percepito un sentimento di appartenenza in Scandinavia, per il tipo di natura e il clima, la rarefazione degli spazi e delle complicazioni della vita quotidiana. La scelta è stata facile. Ovviamente non si prende una decisione simile solo per amore della natura: il Bel Paese mi stava stretto per una serie di fattori che con natura e fotografia avevano poco a che fare, e molto invece con la civiltà e i costumi. Non è stato un passo facile, e non è ancora detto che resti definitivo, ma è stato tutto ciò che speravo che fosse, e qualcosa di più. Con mia sorpresa, espatriando ho finito anche per apprezzare alcuni aspetti dell’Italia, quelli che non notiamo per mancanza di confronti; il che, per certi versi, fa ancora più rabbia, al pensiero di come potrebbe essere. Una su tutte, per restare in argomento: la biodiversità, l’enorme varietà degli ambienti naturali presenti nello Stivale; la stessa diversità che peraltro esiste anche in ambito culturale e sociale, che in Italia è spesso vissuta come un ostacolo o un motivo di frizione laddove andrebbe considerata una ricchezza. Hälleskogsbrännan, in Västmanland (Svezia), è una riserva naturale che tutela 6.420 ettari interamente bruciati nel 2014, il più grande incendio svedese in tempi storici. Multi esposizione in ripresa. Tu hai usato soprattutto fotocamere ed obiettivi Nikon, come ti sei trovato? Ho sempre amato le fotocamere meccaniche e manuali, immagino sia un fatto generazionale. Quando si è trattato di cambiare il corredo Olympus ormai datato, erano gli anni 90, la casa giallo-nera offriva ancora corpi tradizionali; inoltre ho sempre trovato l’ergonomia Nikon superiore a quella della concorrenza. Le FM2n, F90x e F100 mi hanno accompagnato fino all’ineluttabile rivoluzione digitale ma, se i corpi si sono allineati alla modernità, con le ottiche ho percorso una strada inversa: non avendo più necessità di supertele o di performances estreme, oggi utilizzo obiettivi manuali che risalgono a più di trent’anni fa. Con Nikon posso sfruttare ottiche storiche che in alcuni casi si comportano meglio dei loro successori (“nuovo” non è sempre “meglio”, soprattutto se l’autofocus è superfluo). Ho poi aggiunto un corredo mirrorless APSC leggero per le uscite fisicamente più impegnative (e comincio ad avere un’età in cui lo sono tutte). Felci e carici in un bosco allagato nel parco nazionale Stenshuvud, Scania (Svezia). Qual è la foto, il portfolio, il progetto fotografico da te realizzato a cui sei più affezionato? C’è uno scatto così, in effetti: l’immagine di una rapida vicino casa su cui il sole novembrino proietta il riflesso della foresta circostante. Questo assume tinte dorate e tinge la corrente scolpita in forme plastiche, incorniciate dalla spuma resa fluida dall’esposizione prolungata. Avrebbe dovuto essere altro, in realtà: un merlo acquaiolo si era involato dal ghiaccio emergente, e ne ho atteso a lungo il ritorno, invano. Lo scatto ha coinciso con la mia nuova vita scandinava e incarna la mia concezione dell’immagine di natura (oltre a essere uno dei miei più venduti): partire dal reale per interpretarlo, trasfigurarlo, tradurlo in emozioni – se possibile – ma senza tradirlo o “migliorarlo” in modo artificioso e posticcio; non c’è quasi ritocco in quella foto, ma molti tra coloro che la vedono dicono “sembra un quadro” (altri credono che lo sia), provando in tre parole quel che cerco di mostrare: la magia che nasce da una raffigurazione onesta della natura, ma non per questo “oggettiva”, mera rappresentazione documentale, bensì uno sguardo personale che resti fedele al materiale di partenza. Assolutamente non la mia miglior foto, ma una che sicuramente mi rappresenta. Salti d’acqua illuminati dai riflessi del sole novembrino sulla foresta; foto citata nel testo sopra , Dalarna (Svezia). Fra i miei studenti all'Università ce n'è qualcuno che vuole diventare fotografo di natura, ma c'è un futuro per la professione di fotografo naturalista? Qualche anno fa gli avrei detto: “È difficilissimo, ma non rinunciare a priori ai tuoi sogni; non c’è nulla di meglio che far coincidere passione e lavoro” (quest’ultima affermazione non è sempre vera, ad essere del tutto onesto). Nel frattempo il mondo è cambiato, e non in meglio. Quello della comunicazione e della divulgazione in particolare è uscito stravolto dagli ultimi dieci anni ancor più di quanto non lo fosse già stato dai dieci precedenti. È scomparso un intero ecosistema, molti operatori hanno sentito la terra franare sotto i piedi (a partire dal sottoscritto). A quella domanda oggi risponderei: “Aggrappati con le unghie al primo lavoro dignitoso che trovi; con quello mantieniti e pagaci anche la passione fotografica e i costi (a volte notevoli) che implica. Ma in quella buttati a corpo morto: le vere soddisfazioni arrivano dal praticarla, a prescindere”. Se sarà il caso si potrà sempre aspirare a qualcosa di più in seguito: con marcate capacità organizzative, didattiche, di autopromozione e soprattutto di empatia nelle relazioni interpersonali, si può immaginare di guadagnare qualcosa con la docenza fotografica; allo stesso modo, padroneggiando le tecniche più sofisticate e con una vasta conoscenza naturalistica, è ancora possibile pubblicare a (scarso) pagamento, soprattutto scegliendo ambiti specializzati e poco frequentati. Tutto questo, tuttavia, richiede intuibilmente anni di esperienza, e non solo in campo fotonaturalistico. Rinnovamento nella foresta matura, parco nazionale Fulufjället, Dalarna (Svezia). Pino silvestre ricoperto di galaverna, Dalarna (Svezia). Come vedi l'evoluzione dell'editoria nel settore della fotografia di natura? La crisi dell’editoria aveva già ridotto gli interlocutori disponibili nel mercato asfittico della foto di natura (soprattutto in Italia), poi è arrivata la fotografia digitale, con la disponibilità di masse di immagini a basso (o nessun) costo, la facilità di veicolazione delle foto da parte dei singoli e il crollo della qualità richiesta per fruirne (un conto è pubblicare su una rivista, un altro sul web). Oltretutto il pubblico si è abituato alla gratuità e la maggioranza preferisce guardare gratis foto qualsiasi in bassa risoluzione che spendere per apprezzare quelle buone nel modo che meritano; e, lasciatemelo dire, col tempo sta perdendo la capacità di distinguere le prime dalle seconde. Oggigiorno i servizi all’individuo sono rimasti quasi l’unico modo per monetizzare la propria arte. Non è un caso che ci sia stata una proliferazione di corsi e viaggi fotografici. Non si vendono più le immagini, si vende se stessi pubblicizzandosi attraverso le proprie immagini. Da un lato è stata una rivoluzione drammatica; da un altro lato, come avvenuto in altri comparti economici, la semplificazione del modello di business, l’eliminazione di filtri e intermediari, rendono possibile a chiunque di contattare direttamente chiunque altro via social network ecc. Ne consegue, però, che l’offerta è enorme, poco discernibile per meriti (proprio per la scomparsa di intermediari professionali in grado di filtrare e promuovere la qualità: il ruolo della vecchia editoria) e la qualità richiesta è in media di basso livello (con un aumento esponenziale dell’offerta). Si vive, in sostanza, il paradosso comune in questa età della connessione permanente continua: chiunque può comunicare qualsiasi cosa al resto del mondo; gli strumenti per farlo sono a portata di tutti, ma pochi hanno qualcosa da dire o che valga la pena di essere ascoltato, meno ancora quelli in grado di farlo propriamente, e ancora meno quelli che ne ottengono un qualche profitto. Non mancate di visitare il sito web di Vitantonio QUI, ricco di immagini e QUI potete trovare un'anteprima del suo libro "La mia Svezia". Silvio Renesto per Nikonland Tutte le foto (c) Vitantonio dell'Orto.
  6. Non sono un naturalista da grandi avventure, mi accontenterei dei mie miei giri in garzaia, nelle risaie e nei fossi, dove in primavera si ha la rinascita di tante piccole e grandi creature. Gli Ardeidi intenti a costruire il nido: Gli Svassi amorevoli genitori O formidabili pescatori E tutti i piccolini, a cominciare dalle raganelle che fanno meditazione La Mantide, Femme fatale... Le mie preferite, le Libellule che proprio in questo periodo cominciano a emergere dalla forma larvale. Per poi riempire l'aria dei loro voli acrobatici e letali, E tanti altri ... Ma non li hai già fotografati un milione di volte, non ne hai abbastanza? Certo che no, almeno per due ragioni: sono come degli amici, andarli a trovare è sempre un piacere, fotografarli mentre fanno le loro cose è sempre bello. E poi si spera di fare foto sempre migliori, più belle, più interessanti. E non dimentichiamo che ogni tanto ci sono le sorprese. Erano più di dieci anni che andavo all'Oasi dell'Alberone, e fino all'anno scorso, non l'avevo mai vista, e poi eccola lì, regalo inaspettato: L'avevo fotografata, male, sul Ticino tredici anni fa e poi mai più vista. Ritrovarla è stata un'emozione. Si ama quel che si conosce, si fotografa quel che si ama, solo così rimane la passione.
  7. Nello spirito delle "pulizie primaverili" e per allinearsi al nuovo corso Nikonland 3.0, mi sembra utile spiegare cosa mi aspetterei di vedere in questo club e, soprattutto cosa sarebbe meglio evitare, per avere idee più chiare e sperare in una partecipazione produttiva. Il club si chiama "Fotografia Naturalistica" che in inglese si traduce con Wildlife Photography, ovvero "Fotografia dedicata alla vita selvatica", animali, piante, funghi (possibilmente nel loro ambiente naturale) con una connotazione estetica ma anche di conoscenza. Per cui: Wildlife Photography non è Pet photography: il vostro cane, il vostro (e mio) gatto, criceto, canarino, mucca, pitone, tarantola o pesce rosso, qualunque animale da compagnia che ci giri per casa in giardino o o nell'acquario non è Fotografia naturalistica. Altrimenti il Club si dovrebbe chiamare " Fotografie di Animali e Piante" ed allora ci sta dentro tutto e non si capisce niente. Le foto dei nostri amici mettiamole da qualche altra parte, ok? Questo club è un club principalmente fotografico. Nel forum sono bene accette segnalazioni, richieste di identificazioni e simili, ma nelle gallerie e nei post fotografici (che dovrebbero essere la maggioranza) ci si aspetta di vedere soprattutto foto di qualità fatte al meglio delle proprie possibilità, come composizione, luci e quant'altro. In pratica questo club non è come Naturamediterraneo, eccellente forum di informazione e divulgazione naturalistica, in cui c'è anche un piccola sezione di fotografia naturalistica, ma per il restante 90% le foto sono solo a scopo informativo e/o documentativo e visto lo scopo, giustamente, poco importa che siano ben a fuoco, illuminate, composte, fatte con la compattina , il cellulare o chissà cosa. Qui è il contrario, un club dove presentare belle foto che ha anche uno spazio per identificazioni e segnalazioni. La fotografia naturalistica non è nemmeno fotografia "fantasy", mi riferisco a quelle poetiche (a volte inquietanti) invenzioni, che danno un'immagine distorta, diseducativa, della natura, che è l'esatto contrario della fotografia naturalistica. Ambientazioni false, fotografie di interazioni impossibili fra soggetti incompatibili, intesi come modelli a scopo creativo, si possono definire in qualsiasi modo che so, concept art?Non ne ho idea, ma il loro posto non è qui. Come ho già scritto , una Bambina col mantellina rossa che abbraccia un Pastore Cecoslovacco (intendo il cane di quella razza che più di tutti somiglia al Lupo) non è naturalistica. Ma allora che foto mettiamo qui? Non possiamo limitare i contributi alla fotografia naturalistica "dura e pura" alla Valerio e Massimo (Vignoli), altrimenti di foto se ne vedrebbero ben poche. Quindi siamo elastici, ma con onestà, magari dichiarando le condizioni di ripresa. Vanno bene: Foto naturalistiche vaganti o da appostamento nel territorio (quelle "dure e pure") Ballerina gialla che ha pescato un pesce, Calolziocorte (LC) senza capanno. Ballerina Gialla, tutto come sopra Ibis in Risaia , dall'auto. Foto in oasi naturalistica senza mangiatoie e altri richiami (ad esempio Torrile o Marcaria) Spatola a Torrile, foto da capanno. Foto da capanno attrezzato (con attrezzato si intende con presenza di cibo che attira i soggetti, che siano i passeriformi nel Monferrato o gli Orsi in Finlandia). Frosone , da capanno con mangiatoia ed abbeverata. Foto di animali che hanno colonizzato le città, Gazze, Cornacchie, Passeri, Falchi, Ratti, ma anche Aironi, Gabbiani e tanti altri animali si possono trovare in contesto urbano o periferico e si possono fare foto molto interessanti e significative. Airone Cenerino sul tetto a Pescarenico (LC)ù Airone Cenerino al Parco Nord Bresso/Cinisello/Milano. Nel contesto di natura urbana ci stanno anche gli invasori come queste tartarughe americane. Macrofotografie di animali e piante "sul campo", che non abbiano comportato manipolazioni a danno dei soggetti sempre, ma soprattutto se volte allo scopo di creare surreali scenette fantasy di cui ho già scritto sopra. A rigor di logica, come la pet photography non è fotografia naturalistica, così non lo è la garden photography; ossia la foto alla Begonia, Petunia, o altra specie non "spontanea". E gli Zoo-Parchi ? Ehm... hum... mah ... Le foto in uno zoo possono essere indubbiamente interessanti se contestualizzano lo zoo, magari come messaggio. Procione reso "obeso" dalla prigionia. Bayerische Wald. Altrimenti il soggetto a volte rischia di diventare fine a se stesso, o che le foto vengano "strane": Ad esempio un leone che passeggia su un prato rasato all'ombra di un abete, beh, fa strano. In senso stretto, un animale fuori dal suo ambiente non è proprio una foto naturalistica, ma qui non si vuole essere troppo restrittivi, per cui se a qualcuno piace il genere e gli riesce di fare belle foto di un animale allo zoo, va bene. Lince al Bayerische Wald, che in fondo è un grosso parco zoologico. La foto non è molto bella. A volte nei parchi si ottengono buoni ritratti come per questi lupi del Bayerische Wald. Spero di avere chiarito quali sarebbero gli intenti di questo club, aspetto le vostre foto con entusiasmo e perchè no, osservazioni e commenti qui di seguito.
  8. Oggi era in programma solo un breve giro. Così sono passato da Pescarenico, dopo tanto tempo. Naturalmente non ero interessato al paesello manzoniano quanto come sempre... agli animali. Lì un breve tratto di fiume incassato fra le colline collega il Lago di Lecco al Lago di Garlate, la corrente è forte e il vento di più così si ha sempre una percezione di frescura (anzi, all'arrivo c'erano poco più di tre gradi!). Il lungofiume è piuttosto affollato di ogni genere di umanità (famigliole, persone con cani, joggers, bikers , sfaccendati, fotografi ...). ma se si arriva presto e ci si infila tra le barche tirate in secca, usandole un po' come riparo, si possono fare incontri interessanti. Un banalissimo gabbiano, ma mi sembrava elegante. Qualcosa di meglio? Fistione Turco Bello lui e bei riflessi . Le anatre hanno pattugliato la zona poi si sono spostate sulla riva opposta fuori tiro anche con i moltiplicatori. Così mi sono dedicato ad altri soggetti. Un diverbio tra un airone Cenerino ed un Cigno Delle composizioni di aironi e muro sull'Isola Viscontea, striato dalle variazioni di livello del lago. La vera star del giorno però sarebbe stato il maschio di Smergo Maggiore ma. accidenti, l'ho preso male (avevo cambiato corpo, ossia ho preso la D500 per avvicinare, ma nella fretta ho colpevolmente dimenticato di regolare qualcosa...). Peccato. Pazienza, Magari ci torno un'altra volta.
  9. Nel bosco era buio pesto, tempi rapidi, a ISO dodicimilaottocento ed ecco qui: E' rimasto sorpreso anche lui: Nikon Z6, FTZ, 300mm f4 PF +TC14 EIII. Mica male!
  10. Oggi ho voluto provare a fare "quasi" wildlife photography con la Nikon Z6, scegliendo un soggetto non terribilmente difficile ma comunque impegnativo: cince e altri uccelletti. Avevo già provato (con la Z6 di Mauro e un'altra volta con quella di un amico) a fotografare "uccellacci", dalle poiane agli aironi, con buoni risultati, ma gli "uccellini" sono più sfidanti, per le dimensioni (molto piccole) e l'irrequietezza. Ulteriore elemento di difficoltà la giornata, iniziata con la nebbia e rimasta scura fino a tarda mattinata quando l'entusiasmo per la natura ormai era stato sostituito da quello per un caffè caldo. Niente capanno, solo appesa una noce bucata ad un ramo e aspettato. Sulla Z6 ho montato il 300mm f4 PF con il TC14EIII tramite ovviamente l'FTZ. La poca luce ha comportato ISO alti alti (12.800 a volte) perchè gli uccellini necessitano di tempi ultrarapidi. Come mi sono trovato? Meglio di come pensassi, una volta superato il leggero ostacolo del passaggio da Dx (D500) a Fx, dove tutto è più lontano (ma sarebbe valso anche se avessi avuto la D5 ). A volte "piccolo è bello", ritratto ambientato che da' l'idea del grigiore invernale: E' andata bene in quanto ad incontri: Un bel picchio rosso! E poi i soliti piccoli amici: La tenuta agli alti ISO mi ha soddisfatto appieno. Il rumore è contenuto e la nitidezza rimane soddisfacente. A ISO più bassi passa a eccellente. Crop 100% della foto precedente, 7200 ISO. Ho usato AfC e area dinamica. Ho prefocheggiato sul ramo e poi aggiustato il tiro sui soggetti se questi si posavano su rami vicini. Confermo la tendenza a cercare lo sfondo quando questo è intricato, ignorando il soggetto; a volte capita anche con le DSLR, ma meno spesso. Alla fine però i fuori fuoco non sono stati poi troppi, in sostanza non ho trovato la cosa ingestibile. Non ho avuto particolari problemi di lag (a parte il blackout al risveglio dallo standby che già sappiamo), oppure può essere che io sia più lento della fotocamera . Ho scattato a raffica veloce, ho fatto del chimping (riguardato foto a monitor per cancellare), ho fatto circa 400 scatti ed ho consumato due tacche di batteria, mi sembra un buon risultato. Cosa molto positiva, non ho sentito il bisogno di tirare fuori la D500 che mi ero portato come backup (per la serie non-si-sa-mai-che-non-ne-azzecchi-una ), devo solo riabituarmi ad avvicinarmi un po' di più! Unica cosa noiosa, il 300 PF con gli sfondi intricati può essere davvero irritante (non è colpa della Z6 però!). Sfondo "sdoppiato" il 300 PF vuole sfondi puliti, se no si innervosisce! In conclusione, mi sembra che la Z6 abbia dato una buona prova di sè.
  11. Ho incontrato per caso Olivier Larrey sulla rivista Black and White Photography. Mi ha subito affascinato. Olvier Larrey, francese, di sè racconta (traduzione mia dal suo sito) fin da piccolo mi appassionava l'estremo Nord. Sulle ginocchia di mia nonna ho scoperto la fauna dell'Artide mentre mi leggeva i libri illustrati di Paul-Emile Victor. Trichechi, orsi, foche e le aurore boreali hanno alimentato i miei sogni e ispirato i miei progetti. Tornerò nell'estremo Nord ancora e ancora, certamente per conoscere meglio le terre gelide, ma sicuramente per conoscere meglio me stesso. Al momento sono un fotografo naturalista professionista per in Regard du Vivant e lavoro anche come guida dell'organizzazione Decouverte du Vivant. Olivier Larrey non fotografa solo l'Artide e non fotografa solo in bianco e nero, molti dei suoi lavori comprendono splendide immagini a colori, ma quello che mi ha colpito maggiormente e su cui voglio portare l'attenzione è la magia del suo incantato bianco e nero (più bianco che nero). Prima però di lasciare spazio alle fotografie ecco dei link su Olivier Larrey (andateci a fare un giro, ne vale la pena) e su Regard du Vivant: https://olivierlarrey.org/ http://www.faunesauvage.fr/fsphotographe/larrey-olivier http://regard-du-vivant.fr/fr/equipe.html Qui alcune sue immagini a colori: https://www.photo-montier.org/fiche-exposant/taiga-regards-croises-nature-finlandaise/ Ed ecco le sue foto, non occorre che le commenti, parlano da sole. Dai suoi lavori sulla fauna nordica Da altri suoi portfolio Disclaimer: Tutte le foto qui pubblicate sono copyright (c) di Olivier Larrey e sono qui riportate al solo scopo di divulgare la sua opera.
  12. Da qualche anno ho la possibilità di passare una settimana di agosto sul lungomare di Sabaudia, nel territorio del parco naturale del Circeo. Precisamente sul litorale a ridosso del lago costiero di Caprolace e alla riserva naturale Pantani dell'Inferno, che, a dispetto del nome, rappresenta un'importante zona umida riconosciuta dalla convenzione di Ramsar. Nei mesi di luglio ed agosto, sulle dune colonizzate dal Ginepro coccolone (Juniperus oxycedrus macrocarpa) e da altre specie altamente adattate alla dura vita sulla sabbia, fioriscono i meravigliosi Gigli di mare (Pancratium maritimum) , anche chiamati Narcisi di mare. Si tratta di piante che nulla hanno a che fare con il giglio, se non per il dolce e persistente profumo che si diffonde per tutta la spiaggia al mattino presto e di notte, quando il vento è una leggera brezza gradevole. I fiori sono candidi e molto grandi, possono arrivare a circa quindici centimetri di lunghezza e circa otto di diametro massimo, più circa cinquanta centimetri di gambo. Esibiscono una corolla doppia, quella esterna costituita da sei petali, quella interna che forma una specie di tromba dalla quale prendono forma stami e pistillo, quest'ultimo più lungo degli stami per evitare l'autoimpollinazione, impollinazione che avviene di notte a cura delle falene. Il loro candore ha dato origine alla leggenda secondo la quale uno schizzo di latte di Era (la Giunone dei romani), succhiato con troppa foga da Ercole infante, volando in cielo abbia formato la via Lattea e ricadendo sul suolo abbia dato origine ai gigli di mare. I Gigli di mare fanno parte delle piante che si affidano al mare per trasportare i propri semi che, quindi, sono in grado di galleggiare per lunghi periodi e distanze (disseminazione idrocora, la noce di cocco ad esempio usa la stessa strategia). Sono diffusi in tutto il Mediterraneo, Portogallo, parte delle coste del Mar Nero, Sud Africa (dal quale sembra che abbiano origine) e California. Non sono attaccati da parassiti, fatta eccezione per i voraci bruchi di Brithys crini (falena notturna le cui larve si cibano del giglio), nel 2016 hanno rappresentato una vera piaga per i gigli. Negli anni ho provato molte volte a fotografarli. Per chi conosce il mio modo di fotografare i fiori, non faccio scatti allo scopo di assemblare un manuale o una guida per il riconoscimento. Mi piace pensare di riuscire a catturare l'effimera essenza dei fiori, quasi a trasporre la loro delicatezza ed etereità sul supporto fotografico. Non sempre questo accade; è complicato fotografare uno dei soggetti più inflazionati senza cadere nel deja-vu o nella foto enciclopedico-documentale. Cerco di rendere il fiore facendolo filtrare attraverso la mia sensibilità, visualizzandolo prima ancora di fotografarlo. Rendendolo, se possibile, ancora più etereo e delicato che nella realtà. È una sorta di idealizzazione, un'istantanea di un'idea che trova compimento nella bellezza delle forme e dei colori. Possono essere dettagli estrapolati dal contesto, macchie di colore o il fiore intero: è poco importante il "cosa", molto di più lo è il "come". "Come" da intendere dal punto di vista visuale, non tecnico. "Come" lo vedo nel momento in cui scatto e "come" vorrei che gli altri lo vedessero, anche se il termine giusto dovrebbe essere, "percepissero". Quest'anno, complice una fioritura estremamente ed insolitamente abbondante, con centinaia e centinaia di gigli lungo i diversi chilometri del litorale, mi sono impegnato con maggiore attenzione e caparbietà. Inizio con degli scatti mattutini, prima e durante il sorgere del sole ma, a parte l'uso vagamente creativo del cielo e delle nuvole rosate gli scatti non mi soddisfano. Seguendo il consiglio di un grande fotografo nonché caro amico, Marco Antonini, che per me sta alla fotografia di fiori come Silvio Renesto sta alla fotografia di libellule e cioè un mentore assoluto, vado a fotografare al tramonto. Purtroppo, dalla sera precedente, un vento di Maestrale teso e costante sta martellando in maniera incessante ed impietosa il litorale. Risultato: appena arrivo in spiaggia mi coglie una sensazione di sconforto, dei profumati e immacolati gruppi di gigli rimangono i gambi ed i boccioli ancora non sbocciati oltre a brandelli di petali. Con poco meno di un'ora di luce a disposizione comincio ad aggirarmi per le dune alla ricerca di sopravvissuti. I resistenti cespugli di ginepro hanno protetto molti gigli che, anche se strapazzati dal vento, resistono stoicamente. E' una vera sfida, sia creativa che tecnica, a causa del tempo limitato, della difficile posizione dei fiori sopravvissuti e del Maestrale che continua imperterrito a spazzare il litorale, senza tregua. Il vento è talmente forte e costante che un flusso fastidioso di sabbia sferza me e la macchina fotografica tanto da faticare a tenere gli occhi aperti in diverse occasioni. I fiori sono in posizioni talmente improbabili e scomode che per un paio di scatti non ho altra soluzione che scavare una piccola buca dove alloggiare il fianco della macchina fotografica per abbassare il punto di vista ed avere il taglio verticale che sto cercando. Sono armato di Tamron 90 macro e Sigma 150-600, entrambi sono in grado di produrre uno sfocato veramente gradevole; sono partito con l'intenzione di scambiarli più volte in base alle occasioni, ma la sabbia che tenta di infilarsi ovunque mi costringe a soli tre cambi, effettuati in maniera che va ben oltre la normale cautela. Il cavalletto che ho appresso risulta essere solamente un fardello che lascio a prendere il Maestrale su una duna. Gli spazi sono talmente stretti e scomodi che anche la flessibilità e modularità del mio 055x ProB sarebbe un impedimento. Decido di non usarlo. Le migliori foto alla fine sono scattate con il Tamron, forse ciò non dipende solo dalle particolari condizioni atmosferiche ma, probabilmente o principalmente, dal fatto che il Tamron è una lente che possiedo da dieci anni, che conosco come le mie tasche e dalla quale so precisamente cosa aspettarmi, cosa poterle chiederle e cosa no. La raffica della D300s risulta necessaria così come l'AF che riesce a stare dietro ai fiori che vengono sbatacchiati senza sosta. Mi meraviglio di come possano non disintegrarsi davanti ai miei occhi... Alla fine riesco a tirare fuori diversi scatti che avevo in mente e nel cuore, uno in particolare eccede le mie aspettative nel momento esatto in cui compare sul display della mia fida D300s. C'è tutto quello che avrei voluto ci fosse, uno sfondo che fa risaltare le curve sinuose dei petali e della corolla, il controluce che delinea in maniera netta ma allo stesso tempo delicata la silouette, le strutture riproduttive che sembrano dare origine al Sole perfettamente posato sulla corolla. Per questa foto la raffica è stata decisiva, potete vedere una velocissima preview di parte della raffica, io sono letteralmente piantato nella sabbia, praticamente immobile, i movimenti sono dovuti unicamente al vento. La D300s è capace di 7 fotogrammi al secondo, gli scatti sono tutti intorno a 1/3200s, facile capire quale fosse la potenza del vento. Ne è valsa la pena? Ovviamente si, lo rifarei (e lo rifarò) altre mille volte. Non è forse questa soddisfazione che ci spinge a fotografare? P.S.: State pensando che forse potrei aver esagerato con la storia del Maestrale? Giudicate voi stessi...
  13. Il termine Wildlife di solito viene usato per indicare la fotografia agli animali "grandi", mammiferi ed uccelli, ma anche quelli piccolini sono wild, a volte very wild! Seriamente, per piccoli rettili, anfibi ed insetti di solito si parla di macrofotografia , quando i rapporti di riproduzione non sono troppo spinti anche di di fotografia ravvicinata o Close up photography. Io sono stato, e un po' lo sono ancora, un grande appassionato di macrofotografia (senza contare che la pratico spessissimo per lavoro). Perchè mi piace la macrofotografia? Ecco i motivi: 1) Curiosità, voglia di conoscere, di cercare specie rare, ma non esotiche, (cerco piccole perle nascoste nel mio paese), comportamenti interessanti, oppure scoprire particolari che non si possono vedere ad occhio nudo; una cosa da naturalisti insomma.. 2) Sottolineare con l'inquadratura, la luce e la composizione, la bellezza e l'eleganza di alcune di queste creature che vengono per lo più ignorate, sfuggite o perseguitate dall'ignoranza comune. 3) Giocare con i dettagli e la composizione. per ottenere foto d'effetto, curiose, simpatiche, oppure drammatiche, ma in qualche modo espressive, che colpiscano chi le vede perchè sono insolite. 4) cogliere azioni e momenti di vita proprio come per gli animali "grandi". Attenzione, questo articolo non ha lo scopo di insegnare la macrofotografia, non è un tutorial in senso tecnico, la mia intenzione è mostrare cosa ci trovo di bello in quel che faccio. Così può darsi che qualcun altro si incuriosisca o resti affascinato da quello che attrae me. Vediamo un po' di esempi e le differenze di metodo a seconda del motivo che mi spinge alla ripresa: 1) Curiosità naturalistica. In questo caso benchè presti la stessa attenzione a inquadratura e composizione che per le foto più "artistiche", qui che mi interessa è la particolarità del soggetto o dell'atteggiamento. Questa è una Cicindela, detta la tigre degli insetti. Da piccolino ero già naturalista (anche più di adesso) Sapevo tutto sugli animali che mi piacevano, dai dinosauri agli insetti ne leggevo ovunque, compresi gli inserti "scientifici" dei giornalini per ragazzi, in questo caso si trattava dell'Intrepido; e tra gli altri sognavo di vedere una Cicindela. Un cacciatore terribile, che correva veloce sulla sabbia in cerca di prede che afferrava con le sue mascelle a roncola. Inconfondibile la striatura sulle elitre. L'ho fotografata con grande gioia la prima volta a pellicola, molti anni fa, ma non molto bene. Poi mai più, finchè dopo decenni, un giorno che giravo per le rive del Ticino in cerca di libellule in un mattino di sole rovente, me le vedo correre qua e là nel loro inconfondibile modo a scatti. Non ero preparato a simile incontro e non avevo il tempo di predisporre nulla, nè di avvicinarmi, perchè avendo il sole alle spalle avrei proiettato la mia ombra su di loro, facendole sparire in un attimo. Non avevo il tempo di avvicinarmi col 200 micro e piazzare il cavalletto rasoterra. Per fortuna avevo al collo la D800 con montato il Sigma 400mm f5.6 ApoMacro, in caso avessi incontrato qualche libellula. Così mi sono messo a scattare a raffica a mano libera con tempi molto rapidi (il sole era fortissimo, quindi non c'erano problemi, ho scattato a 640 ISO ed 1/1600s con F11 per essere sicuro di "prenderla tutta" nell'area a fuoco); confidando sull'angolo dato dalla distanza consentita dal 400mm per migliorare il punto di ripresa. Dato che la Cicindela è piccola, ed anche alla minima distanza con il 400mm Sigma è difficile avere un ingrandimento soddisfacente ho dovuto ritagliare. Grazie però alla abbondanza di pixel della D800 ho potuto in pratica ritagliare fino a raddoppiare il rapporto di riproduzione pur restando un dignitoso file di 9-10 megapixel. Sono soddisfatto di questa foto, perchè ho "immortalato" (non catturato )) un insetto che cercavo da tempo, contestualizzandolo in modo giusto, ossia si percepisce il sole forte e si vede la sabbia su cui si muove di solito. Aromia moschata. Un bellissimo Cerambicide che mi riuscì di fotografare (malissimo) una volta sola con la mia prima reflex a pellicola la Pentax Mx. Come per la Cicindela, dopo anni, un incontro casuale, mentre cercavo.... Cormorani! Anche qui niente obiettivo macro, ma grazie al formato Dx ho ottenuto buoni risultati lo stesso: Nikon D7100, 300 f4 AFS + TC14, 1600 ISO, f11, 1/250s, flash di schiarita, treppiede. Su corteccia di salice,dove di solito si trova. Immagino che qualcuno potrebbe trovare questa fotografia un po' insipida perchè per la Cicindela (e magari per gli altri insetti) prova un interesse per così dire moderato, diciamo così, pari a quello che io provo per il calcio (inteso come sport). Questo insomma è un tipico caso di "ogni scarraffone (termine quanto mai appropriato qui) è bello a mamma sua", ma ad altri dice poco o nulla. Asilidi in accoppiamento. Anche in questo caso la bellezza è nell'occhio di chi guarda (oggi sono in vena di luoghi comuni); gli Asilidi sono anche loro feroci predatori e volatori velocissimi, hanno ciascuno il suo territorio di caccia e sono intolleranti verso i propri simili che sconfinano. Qui mi capitava l'occasione di documentare una situazione tipica. Durante l'accoppiamento la femmina è quasi sempre intenta a nutrirsi (in questo caso una farfallina, la cosina bianca), così da essere indifferente verso il maschio, che ne approfitta per accoppiarsi. E' vivamente consigliato al maschio di finire quel che sta facendo prima che la femmina finisca la "merenda" o le cose potrebbero farsi complicate. In zoologia si insegna che esistono due tipi di animali predatori, i sit and wait (quelli che aspettano nascosti che qualcosa capiti a tiro) e gli active foragers (quelli che pattugliano il territorio in cerca della preda, Come macrofotografo appartengo alla seconda categoria . Le condizioni rispetto alle Cicindela e all'Aromia erano molto diverse. Gli Asilidi erano impegnatissimi e fissi sullo stelo, incuranti di me, così, salvo fare grossolani errori, quali scuotere il cespuglio su cui stavano, avrei avuto il tempo per fare le cose come si deve. Con somma cautela ho posizionato il cavalletto il più vicino possibile. senza far vibrare i rami. Ho posizionato il 200 micro AfD cercando un orientamento tale da non avere rametti o steli in secondo piano che avrebbero creato del disturbo. Il 200 micro mi permette di stare più distante e di sfuocare di più, per cui è il mio obiettivo di elezione per la macro agli insetti. Grazie alla D700 ho potuto scattare a 1600 ISO senza rumore ad f11 ed 1/320s. Flash di schiarita. Ho usato la piastra Arca come slitta di messa a fuoco per far scivolare leggermente avanti il 200 micro senza muovere il cavalletto in modo da ingrandire ancora un po' i soggetti ed ho fatto diversi scatti verificando ogni volta il risultato sul display, quindi modificando l'inclinazione dell'obiettivo fino ad arrivare al perfetto parallelismo tra il sensore ed entrambi i soggetti. Cosa niente affatto facile. 2) La bellezza del soggetto. Qui il soggetto è importante, ma l'aspetto estetico lo è altrettanto, quindi non tanto una foto didattica, quanto una foto bella, elegante (per quel che riesco, ovviamente). Mantide religiosa. Uno degli insetti più eleganti che ci siano e uno di quelli che rimane bello anche ad ingrandimenti piuttosto spinti. Una raffinata signora dell'alta società, ma anche femme fatale! E' elegante intera, ma volevo rendere omaggio alla malia del suo sguardo. Ho scattato diverse foto di fronte e di profilo, di tre quarti, fino ad ottenere un'immagine soddisfacente. Nikon D700, 200mm micro nikkor AfD ED, f18, 1/60s, 800 ISO, luce ambiente, treppiedi. Crocothemys erytraea. Le libellule sono il mio soggetto macro preferito. Qui ho giocato sui colori e sugli sfuocati, ho usato il Nikon 300mm F4 AFS su D7100 a tutta apertura per avere uno sfuocato piacevole. 800 ISO, treppiede e luce ambiente. Massima attenzione al fuoco selettivo sugli occhi e le estremità delle ali. Bruco di Macaone, come sopra il concetto ispiratore è più "pittorico" che documentativo. Nikon D700 200mm f4 Micro Nikkor AfD ED, f16, 1/320s, 800 ISO treppiede, luce ambiente. Orthetrum fonscolombii femmina. In questo caso l'estetica e il documento si fondono, è tipico di molte libellule assumere la posizione "dell'obelisco", che le rende davvero stupende. Nikon D7100, Sigma 180mm f2.8 APO MACRO, f8, 1/1000s (c'era vento) , 400 ISO, treppiede, luce naturale 3) Giocare con i dettagli. In questo caso il soggetto in sè è meno importante, che conta è quel che ci tiro fuori, l'interpretazione deve suscitare una reazione in chi osserva, me per primo. Sono girato intorno a questa damigella camminando a quattro zampe, finchè ho notato che entrambi gli occhi si vedevano, anzi spiccavano, anche da dietro il fiore a cui si era aggrappata. Ho inquadrato nel mirino ed ho visto che l'immagine era sia graficamente piacevole che anche spiritosa. Ho aperto al massimo il cavalletto, mi sono sdraiato a terra ed ho scattato con il 200 micro AfD ad 1/10s, f 13, 640 ISO. A volte non serve nemmeno inquadrare un dettaglio. La suggestione grafica è lì. Ortethrum, Nikon D7100, Sigma 180 Macro, f8, 1/1250s, 900 ISO, treppiede, luce naturale. Oppure Un'immagine e il suo doppio, l'importante è cercare i soggetti, essere pazienti e sperimentare. A volte non si trova nulla, altre volte il limite è solo la nostra creatività. Nikon D7100, 300mm f4 AFS, f4, 1/400s, 220 ISO, treppiede, luce naturale. 4) Cogliere i soggetti in azione. Può essere più documentativa: Orthetrum coerulescens con preda. 200 micro Afd ED f14, 1/40s (da' l'idea del vibrare della preda tra le mascelle della libellula, ne ho un altra con la preda "fermata" da tempi rapidi, ma mi piace di meno). Bruco di sinfite che si alimenta. I Sinfiti non sono particolarmente affascinanti nè come bruchi nè come adulti però, in questo caso mi ha attratto il testolino a palla, con l'occhietto a spillo e la posizione del bruco in linea con la foglia che stava rosicchiando. L'ho intitolata "Ho fame". Nikon D700, 200mm f4 Micro nikkor Afd ED, f16, 1/160s 1000 ISO, treppiede, luce naturale. Bruco geometra. In questo caso la combinazione delle due foto dà il risultato. Nikon D700, 200mm f4 Micro nikkor Afd ED f14, 1/60s, 800 ISO, flash di schiarita, treppiedi. Azione e bellezza: le libellule in volo: Aeshna mixta. Nikon D300 (!), Sigma 300mm f4 APO MACRO (!!) f7.1, 1/1250s, ISO 1000. Luce naturale Somatochlora metallica. Nikon D7100, 300mm f4 AFS + TC14, f11, 1/1000s, 1000 ISO. Luce naturale. Aeshna cyanea. Nikon D500, 200mm f8 1/1250s, 1600 ISO, mano libera, (fondo buio perchè il soggetto era in ombra piena). Per queste foto occorre una focale lunga ed aspettare un momento di "surplace" del soggetto. Un appoggio di qualsiasi genere è di (grande) aiuto. Questo articolo è una versione aggiornata e modificata di due diversi articoli apparsi su Nikonland.eu (di cui uno suggeritomi a suo tempo da Max Aquila), che ripropongo in veste nuova per mostrare come la fotografia ravvicinata, benchè diversa per temi e suggestioni dalla "wildlife" classica, abbia lo stesso del fascino e possa dare soddisfazioni.
  14. Intanto che aspettavo il Tarabuso, non sono mancati altri visitatori graditi e la versatilità del nikon 200-500mm f5.6 accoppiato alla D500 mi ha permesso di fare un po' di tutto: Da una composizione con Airone Cenerino: Al Falco di Palude in volo: Per avvicinarmi quando passa un Tuffetto con un Gambero nel becco: Alla Libellula quadrimaculata quasi alla minima distanza: Per tornare al canneto dove il Tarabusino (che non è un piccolo Tarabuso, ma una specie differente, più comune) fa sfoggio di mimetismo:
  15. Questo è un articolo rivolto a chi non se ne intende troppo, è rimasto incuriosito dal genere fotografico ormai molto diffuso e vorrebbe provare, chi se ne intende non troverà molto di nuovo, però può contribuire ad arricchire l'articolo nei commenti, anzi lo gradirei molto. Non è un articolo che parla di tecniche fotografiche o di scelta di attrezzature, ma di come provare ad ottenere foto interessanti. In questo articolo ci sono leggere tracce di ironia qua e là. L' ironia è una delle poche caratteristiche che differenzia l'uomo dagli altri animali. Chi non avesse il senso dell'ironia sappia che non c'è alcuna intenzione offensiva, eventualmente smetta di leggere. L'articolo è intriso di soggettività, sono le mie personali opinioni, nessuna pretesa di possedere la verità. Infine uso le mie foto per illustrare l'articolo, questo non vuol dire che so fare belle foto, ma che credo di saper distinguere quelle che mi sono venute meglio da quelle che mi sono venute peggio, può essere che il mio meglio faccia ribrezzo, ma il peggio lo farebbe ancora di più, quindi il discorso rimane valido Fotografare bene gli animali, non è semplice, occorrono esperienza, conoscenza dei soggetti, una valida attrezzatura ma non basta, occorre fondere le doti del naturalista con quelle che caratterizzano tutti i fotografi capaci di fare buone foto, ossia senso dell'inquadratura e della composizione. Di questo si occupa l'articolo, uso gli uccelli come esempio, ma vale anche per tutti gli altri animali (e perchè no, vegetali ). E adesso cominciamo. La ricetta dell'anatra spiaccicata. Non è un piatto orientale, ma è un vizio diffusissimo tra chi fotografa gli animali per caso, quando si riprendono i soggetti, magari alti venti centimetri, stando in piedi. Il risultato è che la paperella risulta ripresa da sopra la testa schiacciata sullo sfondo. Come non saliamo su un tavolo per fare i ritratti alle persone (salvo effetti particolari studiati apposta) ma li riprendiamo all'altezza degli occhi, così si dovrebbe fare anche con gli animali. Se serve abbassiamoci, che le ginocchia non sono di vetro. Altrimenti le foto sono proprio brutte. Io cerco di non fare riprese dall'alto, per cui questa è la più brutta che ho, ma in giro si vede di peggio. Un microbo ripreso dall'alto, ecco questa è anche peggio. Il Ritrattone, ovvero la foto ornitologica. Questo, in confronto a quanto sopra è un peccato veniale. Capita, soprattutto se siamo abituati a guardare le foto a monitor anzichè stamparle, di volere il soggetto bello grande, per deliziarci dei particolari. Lo so bene, succede spesso anche a me. Ma a volte si esagera. Specie se il soggetto in realtà è piccolo. Ingigantendolo, si possono vedere le trame, i dettagli, cosa che ci delizia e ci stupisce, ok, ma da una parte si ingabbia il soggetto nell'inquadratura, astraendolo dal contesto naturale, dall'altra se ne da' un'immagine un po' distorta. E' vero che gli Uccelli derivano dai Dinosauri, ma le Cince sono dei batuffoli di leggiadria, questa (mia) foto mi fa venire in mente la barzelletta: sai che verso fa un passero di trenta chili? Questo forse è un po' meglio ma sempre un po' troppo da manuale di ornitologia. Queste foto, che chiamo con affetto Ritrattoni, piacciono molto a chi conosce gli uccelli e i siti di Birding/Wildlife ne sono pieni, ricevono moltissimi like , se fatti bene. Intendiamoci, in molti casi non sono per niente facili da ottenere, spesso richiedono appostamenti e tempi lunghissimi, ma sono un po' da specialisti (se i soggetti sono rari), alla lunga possono stancare. Se invece lasciassimo un po' di spazio? Sarebbe molto meglio. Riecco la cinciallegra di prima, ma adesso può respirare, poverina, E' ancora un ritratto, ma a mio parere è di gran lunga preferibile. Questa garzetta non è brutta (forse). Ma questa è meglio, per me almeno: Siete d'accordo? Animalscapes! Ovvero paesaggio con animale, dove l'animale occupa una porzione piccola dell'inquadratura (ancora di più che nel ritratto ambientato) e ne costituisce un punto forte, di interesse. Se fatti bene sono immagini eccellenti perchè sono pittoriche e nel tempo stesso informative, raccontano dell'ambiente dove vive l'animale, (ripeto: se fatte bene) sono molto suggestive. Non è che si debbano fare solo animalscapes, ma inserirne nel contesto di un portfolio secondo me lo arricchisce enormemente. Questa foto di Tarabusino sta a mezzo tra il ritratto ambientato e l'animalscape. Attenzione! L' animalscape non dev'essere un alibi per spacciare foto insignificanti a microbi come opere d'arte: Questo non è un paesaggio con animale, è una garzetta troppo lontana. Un pizzico di creatività: Cerchiamo di fare i soggetti più nostri, più originali. Giochiamo con l'inquadratura, con la postura con la situazione in modo che la foto dica qualcosa di più. Possiamo sfruttare i riflessi: La postura e le ombre: Fare un ritratto stretto: Oppure sfruttare lo sfondo per suggerire qualcosa, ad esempio l'interazione con l'uomo: Od anche cercare suggestioni visive, con luce e composizione: Od una composizione minimalista... Gli animali devono fare ... gli animali. Insomma devono fare qualcosa. Nemmeno nei musei si espongono più gli animali in pose statiche, ma si ambientano in diorami e li si ricostruisce come fossero in azione. Tanto più deve valere per quelli vivi. Quante cose in più ci racconta una foto di un animale mentre caccia, lotta, litiga, corteggia e così via? Anche la più comune folaga può diventare interessante! Come scritto all'inizio gradisco molto gli interventi costruttivi e i quelli finora arrivati coprono alcuni aspetti essenziali che io, concentrato sul discorso di come inquadrare, avevo tralasciato. Riporto qui le parti essenziali in modo che arricchiscano l'articolo formando un tutt'uno con il mio testo ( le foto inserite, nel bene o nel male, sono sempre mie😞) Alberto Salvetti ... qualche piccolo distinguo. Il soggetto non deve essere incastonato nel fotogramma, ma a parte rare eccezioni, deve occupare almeno metà dell'immagine. Il soggetto deve essere molto staccato dal fondo ed il fondo deve essere il più evanescente possibile. Tendo a scartare le immagini con fondo invadente. Qualche volta inserisco il soggetto nel suo ambiente, se caratterizzante, ma non mi piacciono molto le immagini con il soggetto piccolo e ambientato esclusivamente perché non si è riusciti a fare una foto da distanza più ravvicinata. E' evidente che è meglio una foto dinamica di una foto statica. Io comunque cerco di privilegiare la nitidezza del soggetto, l'estetica e l'armonia dell'insieme. Per finire voglio fare un appello a chi si avvicina a questo tipo di foto. Fotografare gli uccelli, come del resto qualsiasi altro soggetto che sta in natura, deve servire all'approfondimento della conoscenza di ciò che si fotografa. Serve un buon manuale e curiosità, e cercate di contattare qualcuno che conosce questo tipo di fotografia. Ma attenzione!! La vostra attività non deve in nessun modo recare fastidio o peggio ancora danno ai vostri soggetti. Danno anche grave che potete procurare, tanto più siete inesperti. Nessuna foto vale il disturbo, soprattutto nel periodo della riproduzione. La bella foto prima o poi verrà quando meno ve lo aspettate. Mauro Maratta: ... E' vero, in ogni situazione si può impressionare il sensore per foto documentative, anche preziose. Ma nella stragrande maggioranza dei casi - a prescindere dal soggetto che può essere il più comune passerotto o il più esotico dei bipedi migratori - la luce conta. Sempre. E qualche volta il fotografo intelligente dovrebbe decidersi che la giornata potrebbe essere più proficuamente dedicata ad una mangiata con gli amici che ad una impegnativa escursione fotografica che si tradurrebbe, guardato il cielo, in una frustrante sequela di foto inguardabili. Francesco Contu: possono essere decisivi: la conoscenza dei luoghi e delle abitudini degli animali. La capacita' di mimetizzarsi, dato che si tratta quasi sempre di creature assai poco confidenti. Se per qualcuno il miglior grandangolo e' "un passo indietro", spesso il miglior tele e' "l'abbigliamento giusto".voglia di muoversi e viaggiare. Per esperienza, la barca e' un eccellente posto da cui fotografare e ci sono diversi luoghi dove ci si può accordare con pescatori e guide locali che organizzano dei giri. Alla peggio, ci si sara' fatti un bel giro nella natura. Molto più appagante che stare dentro un capanno, almeno per me che mi annoio mortalmente a star fermo. Sono d'accordo, questo Airone Rosso e questa Sgarza ciuffetto li ho ripresi dalla barca, Lago Superiore, Mantova. Grazie sentite a chi ha fornito queste interessanti considerazioni. Spero di aver scritto cose abbastanza interessanti ed aver mostrato foto non troppo indegne (a questo proposito, le foto spaziano nell'arco di anni ed alcune sono state scattate con Nikon digitali del tempo che fu, questo spiega almeno in parte alcune differenze di resa, il resto è incapacità del fotografo ). Poi, non prendetemi troppo sul serio. Anch'io faccio "passerosauri", uccelli impettiti ... ma l'importante è sapere dove si deve arrivare e provare ad arrivarci. Ma soprattutto spero sia stata una lettura divertente!
  16. Volendo fare fotografia naturalistica e disponendo di un budget contenuto (diciamo meno di 2000 euro), quale scegliere fra il Nikon 300mm f4E PF ED VR ed il 200-500mm F5.6E VR? Mi è capitato recentemente di poter usare lo zoom Nikon 200-500mm f5.6E VR, così l'ho provato nelle situazioni in cui di solito porto il 300mm f4 PF. Ecco le mie impressioni sul confronto (soggettivissime, per carità!). Nota bene: questo articolo non vuole essere una disamina dettagliata dei due obiettivi, su Nikonland ce ne sono già molte e ben fatte, se volete approfondire vi rimando agli articoli relativi: Per il 300mm f4E PF qui e qui Per il 200-500mm f5.6E VR qui e qui Il mio è solo un confronto, nell'ottica di un uso per la fotografia naturalistica, di due soluzioni relativamente poco impegnative economicamente restando in casa Nikon. Ci sono anche soluzioni a budget contenuto di Sigma e Tamron, ma non ne parliamo qui. Lo zoom 200-500mm ed il piccolo 300mm a diffrazione a confronto Praticità d'uso: Il 300mm f4E PF è ...piccolo! Lo si porta ovunque, non pesa, non ingombra, il VR è ottimo e nel novanta per cento delle situazioni si può lasciare a casa il treppiede. L'Af è veloce. Bisogna tenere però presente che 300mm sono il "minimo sindacale", e a volte nemmeno quello, per fotografare gli uccelli con corpi Fx (con corpi Dx va già meglio), almeno al di fuori degli appostamenti predisposti con mangiatoie piazzate molto vicine . Il 200-500mm F5.6E VR è anche lui piccolo (come superzoom), ma è comunque ben più grande rispetto al 300mm a diffrazione. Non è troppo pesante ed ha un ottimo VR, per cui si può usare a mano libera in molte occasioni, per qualcuno però il peso, anche se contenuto rispetto ad altri superzoom potrebbe farsi sentire dopo un po'. In certi casi può essere utile avere con sè un treppiede o un monopiede. L'Af è buono, aggancia e segue bene i soggetti. Ibis (soggetto non troppo veloce) inseguito con il 200-500mm Il 200-500 è (scusate l'ovvietà) uno zoom e, dove non è possibile fare "foot zooming", cioè avvicinarsi od allontanarsi dal soggetto, il vantaggio è notevole. In natura, per varie ragioni, spesso bisogna restare appostati in punti fissi. Da postazione fissa con lo zoom è possibile regolare l'inquadratura. Questo cenerino l'ho ripreso a 390mm per dargli più "aria" Gheppio ripreso con il 300mm: come inquadratura va bene, ma potrei voler ingrandire e l'unica risorsa sarebbe avere un moltiplicatore, meglio se 1.4x, ne ho scritto qui. Questo significa un aggeggio in più da montare o smontare secondo necessità. L' operazione potrebbe far perdere qualche scatto interessante, se succede qualcosa intanto che si sta trafficando con l'attrezzatura. Gheppio, stessa location, a 500mm con il 200-500 ho potuto fare solo tre scatti prima che si involasse: Più raramente, ma può succedere, 300 mm sono troppi, e allora si può fare assai poco (solo cambiare obiettivo se se ne ha uno più corto). Questo terzetto era troppo vicino per un 300mm (scattata a 135mm su corpo Dx = 200mm su corpo Fx) Qualità di immagine: Il 300mm f4E PF ha uno stop in più di luminosità, ed è veramente nitido. Con la luce giusta è spettacolare. Non che il 200-500 vada male, anzi, fino a 350-400 mm è davvero molto buono ed anche a 500mm è più che dignitoso. Tra i due obiettivi la differenza non è grandissima, ma comunque c'è. Si vede soprattutto in condizioni ideali, quando non si hanno problemi di umidità atmosferica, movimenti di masse d'aria o che, che possono attenuare anche di molto le differenze. Crop 100%, soggetto a distanza ravvicinata con il 300mm PF. Crop 100%, foto scattata con il 200-500mm, soggetto più distante (e luce peggiore). Nitticora ripresa con il 200-500mm Crop 100%, soggetto lontano. Però, se c'è bisogno del converter, anche se il Tc14 EIII è un ottimo converter e la perdita di qualità è davvero minima, le differenze si attenuano. Ibis ripreso con il 300mm + TC14 EIII Airone guardabuoi ripreso con il 200-500mm a 500mm Confronto al 100% Se poi ci si mette di mezzo l'atmosfera, è assai difficile che si vedano differenze sensibili. Crop 100% Lo sfuocato, a parità di diaframmi, non è troppo differente ma a volte il 300mm f4 E PF ha uno sfuocato che definirei un po' nervoso, soprattutto quando sono presenti linee decise, come ad esempio dei rametti intricati, dove può dare dei doppi contorni. Con sfondi più neutri invece non ci sono problemi. Taccola su ramo ripresa con il 300mm: Come si vede nei crop sotto, nitidezza eccellente (es. le penne) ma sfuocato così così: Nella fotografia ravvicinata (close-up photography) il 300mm PF, come il suo predecessore AFS, è uno strumento eccellente sia da solo che con il TC 14 EIII. E' ottimo, ad esempio per le grosse libellule. Il 300mm da solo Il 300mm con il Tc 14EIII Sotto questo aspetto il 200-500mm f5.6 rimane indietro, ma si badi bene, di poco. Onychogomphus ripreso con il 200-500 Le sue capacità nella fotografia ravvicinata, sebbene non siano pari a quelle del 300mm f4E, sono comunque sorprendenti, come ho già scritto estesamente qui. Accoppiamento ripreso con il 200-500mm Insomma, riassumendo, secondo me: Il 300mm è Più luminoso di uno stop, L' Af è veloce, E' un po' più nitido La qualità di immagine è ottima (a parte alcuni sfondi) E' leggerissimo e poco ingombrante, Per la fotografia ravvicinata è eccellente. Può rivelarsi "corto" in alcune situazioni di ripresa E' consigliabile avere un TC14 da accoppiare quando necessario In alcuni, casi lo sfuocato può non soddisfare. Il 200-500 è Molto versatile, Ha una qualità di immagine più che soddisfacente, Nella fotografia ravvicinata se la cava molto bene ( il 300mm f4E PF ha un rapporto di riproduzione massimo più elevato che lo rende più adatto). Leggermente meno nitido in condizioni ideali. E' più ingombrante e pesante. Spero di avere dato una panoramica per quanto possibile onesta dei due obiettivi, sono entrambi ottimi, chiaramente differenti, il mio intento è aiutare a scegliere uno o l'altro sulla base delle caratteristiche che a ciascuno interessano di più. Come d'uso, non ho inserito il prezzo nelle variabili del confronto, ma se interessa, il 200-500 f5.6, costa un po' meno del 300 F4E PF e un bel po' meno della combinazione 300mm più TC 14E. Nota: Le foto delle libellule sono di archivio, e il 200-500 usato per quelle foto è un altro esemplare rispetto a quello usato per le foto agli uccelli, che sono invece nuove.
  17. Nel mio reportage su Fabio Fogliazza ho mostrato numerose foto delle sue ricostruzioni di uomini preistorici, foto che non erano mie ma di Giorgio Bardelli. Giorgio ed io abbiamo diversi punti in comune, abbiamo studiato nella stessa Università, siamo entrambi naturalisti fotografi (nell'ordine) e nikonisti. Con una sua intervista concludo questa trilogia di "amici al Museo". Ma lascio che sia Giorgio a parlare di sè: Qualcosa su di te Sono nato a Milano nel 1965, malamente diplomato in ragioneria, assai brillantemente laureato in Scienze Naturali e lavoro al Museo di Storia Naturale della mia città, nella sezione di zoologia dei vertebrati. Ho cominciato a frequentare il museo da bambino: era vicino a casa, si entrava gratis e quindi ci andavo spesso, perché mi piaceva molto l’atmosfera del luogo, oltre ai contenuti delle esposizioni. Ho deciso che avrei lavorato lì, e così è andata; non è stato facile, ma per me sarebbe stato ancora più difficile fare qualcosa di diverso, perché ho sempre avuto una forte passione per la scienza e per tutti gli aspetti del mondo naturale. Però ho anche altri interessi, come la montagna, la lettura, i giochi di prestigio. Riccio (Erinaceus europaeus), Milano: D200 + Micro 105 mm stabilizzato, f/8, 1/45 sec, 200 ISO, luce naturale + flash manuale di schiarita, mano libera, ritaglio Pizzo Badile Camuno al tramonto: D750 + zoom 70-300 (a 125 mm), f/5,6, 1/1600, 400 ISO, treppiede Quando è cominciato l’interesse per la fotografia? L’interesse vero per la fotografia è cominciato dopo gli studi universitari, ma anche da ragazzino facevo qualche foto, durante le camminate estive in montagna. Ero influenzato in questo da mio padre, che durante le passeggiate scattava diapositive che poi mostrava in casa, con un proiettore Ferrania che bisognava raffreddare mettendoci sotto un ventilatore, il cui rumore di sottofondo conferiva un pathos speciale alle proiezioni. Da bambino ero affascinato dai reportage di Walter Bonatti sulla rivista Epoca, che mia madre ogni tanto portava a casa. I racconti e le fotografie di Bonatti hanno certamente avuto un peso nella mia formazione, però me ne sono reso conto solo tempo dopo. Hai seguito dei corsi? Non ho seguito nessun corso di fotografia, ma ho studiato attentamente alcuni libri di tecnica fotografica, di John Shaw e Joe McDonald. Inoltre, osservo sempre con attenzione le immagini dei migliori fotografi. Sono stato abbonato per parecchi anni al mensile Airone, quando era una bellissima rivista per appassionati di natura e di fotografia, della quale ricordo in particolare i reportage di Daniele Pellegrini, Frans Lanting e diversi altri. Sfogliando la rivista, cercavo di capire in che modo erano state realizzate le immagini. Quando la rivista cambiò proprietà e linea editoriale scrissi alla redazione per lamentarmi e ricevetti un’inaspettata risposta, per metà di confortante solidarietà e per metà deprimente. Fotografi sia per illustrare pubblicazioni scientifiche che per passione? Fotografo per passione personale, per me la fotografia è soprattutto un modo per osservare con più attenzione e per documentare ciò che mi interessa. Capelvenere (Adiantum capillus-veneris), Orto Botanico di Brera: D750 + Micro 105 mm, f/22, 1/60 sec, 1600 ISO, treppiede Di tanto in tanto scatto anche per lavoro. In passato in museo lavorava un fotografo tecnicamente molto esperto, dal quale ho imparato molto. Oggi in istituto questa figura non esiste più, per cui quando è necessario, alternandoci con un collega entomologo, scattiamo foto utili per pubblicazioni ed esposizioni, ma in maniera piuttosto occasionale. Qualche anno fa, con il collega Fabio Fogliazza e la sua ricostruzione dell’uomo di Neanderthal, siamo finiti sulla copertina del National Geographic, nelle edizioni spagnola e portoghese, e naturalmente è stata una soddisfazione. Alcuni esempi di tue illustrazioni Una delle mie foto che preferisco è quella della Macrolepiota procera, il fungo popolarmente chiamato “mazza da tamburo”, perché quell’immagine ha una storia che ricordo con piacere. È fatta con la pellicola, la Nikon F601 e uno zoom Sigma 75-300 (che un giorno si è praticamente distrutto) ed è stata pubblicata in un libro. Ci volle un certo impegno per trovare l’inquadratura in funzione dello sfondo, lasciando fuori alcuni elementi di disturbo, e per illuminare il soggetto con un lampo di schiarita della giusta intensità. La luce sullo sfondo cambiava velocemente, rischiando di andarsene, per cui dovetti agire in fretta, ma sapevo bene che cosa fare dal punto di vista tecnico per ottenere esattamente quel risultato e ci riuscii appena in tempo. Un minuto dopo lo scatto, le felci sfuocate sullo sfondo non erano più retroilluminate dal sole. Quando ritirai le diapositive sviluppate fui molto soddisfatto: stavo imparando. Mazza da tamburo (Macrolepiota procera), Val Camonica: F601 + Sigma 75-300 f/4,5-5,6 (a 300 mm), f/5,6, 1/125 sec, pellicola Fuji Provia 100, flash manuale di schiarita, treppiede Le foto dei crani di animali sono state parte di un lavoro collegato a una mostra temporanea di qualche anno fa al museo. Per l’occasione producemmo una pubblicazione divulgativa con molte immagini, che evidentemente piacque perché andò esaurita in poco tempo. Hai sempre usato Nikon? È stato per caso o una scelta? Quando ho comprato la mia prima reflex ho confrontato Nikon e Canon, le due marche più usate dai professionisti e dotate del maggior numero di obiettivi e di accessori, pensando che un po’ alla volta avrei potuto ampliare l’attrezzatura. Mi è parso che le Nikon avessero una disposizione più comoda e intuitiva dei comandi, così ho acquistato la F601 AF con il famoso zoom 35-70 f/2,8 a pompa: preferii investire i soldi che avevo a disposizione più nell’obiettivo che nel corpo macchina, ma prima della fotografia digitale, con la pellicola, le cose erano diverse da oggi. Ho usato la F601 per molti anni, fino a quando si trovava facilmente quella dannata pila con quella forma particolare. Con cosa hai cominciato e qual è la tua attrezzatura attuale? Quando ero bambino in casa c’erano le due macchine fotografiche di mio padre, che ogni tanto mi faceva usare: una Voigtländer e una Ferrania, ovviamente a pellicola, entrambe con obiettivo fisso da 50 mm o giù di lì. Erano molto semplici, solo manuali, entrambe senza esposimetro, ma le consideravo oggetti sofisticati e di valore. Non avevamo nemmeno un esposimetro separato, per cui valutavamo la luce a occhio, impostando manualmente diaframma e tempo di scatto: dopo qualche rullino di sovra o sottoesposizioni e un po’ di esperienza con situazioni di luce differenti, ho imparato anch’io a ottenere una maggioranza di scatti decenti. Oggi sembra impossibile, ma da noi si faceva così e tutto sommato funzionava. Per le foto in interni avevamo un flash ma lo usavamo raramente, perché era un costo ulteriore: a ogni scatto bisognava sostituire la lampadina monouso, che bruciava con uno sfrigolio un po’ sinistro. A un certo punto è comparsa, regalata dal datore di lavoro di mio padre, una Minolta Hi-Matic 7S usata, con il segno di una botta da un lato, un obiettivo fisso da 45 mm, mirino galileiano, telemetro e fotocellula esposimetrica sopra la lente dell’obiettivo. Fu un progresso importante perché una lancetta nel mirino indicava se stavi sovra o sottoesponendo, ma non ero molto soddisfatto perché non potevo fotografare piccoli soggetti a distanza ravvicinata, una delle cose che avrei voluto fare. Quando ho avuto in mano la Nikon F601 è stato come passare dall’aereo di tela dei fratelli Wright all’Apollo 11. Temporale sulla media Val Camonica: D200 + zoom 24-70 mm (a 52 mm), f/9, 1/250, 100 ISO, mano libera Nel 2006 ho comprato la mia prima fotocamera digitale, la Nikon D200 con lo zoom 12-24 mm f/4-5,6. L’ho usata per dieci anni, poi qualche pixel ha cominciato a funzionare in modo anomalo. Allora nel 2016 sono passato alla D750, che penso di usare ancora per un bel po’. Negli anni ho comprato il 24-70 mm f/2,8, il Micro 105 mm f/2,8 stabilizzato e il 70-300 mm f/4,5-5,6 stabilizzato (tutti Nikon). Un altro paio di vecchi obiettivi, un Nikon 50 mm f/1,8 e un Tokina 17 mm f/3,5, li ho ricevuti in regalo da Luigi Cagnolaro, rimpianto direttore del museo, anche lui appassionato di fotografia. Oltre a due flash SB800 e a un illuminatore LED, ho un buon treppiede in carbonio, leggero da trasportare e di cui non potrei più fare a meno, con una comodissima testa a sfera. Aquilegia gialla (Aquilegia chrysantha cultivar 'Yellow Queen'), Orto Botanico di Brera: D750 + Micro 105 mm, f/5,6, 1/200 sec, 100 ISO, treppiede Per le tue foto “professionali” che tipo di illuminazione usi? Come disponi le luci? Mi arrangio con quel che ho a disposizione al momento… Per le foto dei crani avevo un flash; ho usato la luce naturale proveniente da una finestra e dei lampi di schiarita con una tecnica tipo “open flash”, su uno sfondo di cartoncino scuro che poi ho sostituito con un nero pieno in postproduzione. Cranio di iena maculata (Crocuta crocuta), collezioni Museo di Storia Naturale di Milano: D200 + Micro 105 mm, f/22, 1,3 sec, 100 ISO, luce naturale + flash di schiarita, treppiede Cranio di cinghiale (Sus scrofa), collezioni Museo di Storia Naturale di Milano: D200 + Micro 105 mm, f/22, 3 sec, 100 ISO, luce naturale + flash di schiarita, treppiede In generale faccio la cosa più semplice: uso una luce laterale per dare rilievo e una luce secondaria, o anche soltanto un pannello riflettente, per schiarire le ombre eccessive. Il digitale poi aiuta: nel caso delle foto fatte per lavoro c’è anche un po’ di postproduzione, che però riduco al minimo necessario quando invece fotografo per piacere: mi diverte fare le foto e riguardarle di tanto in tanto, mentre lavorarci sopra al computer mi annoia come poche altre cose. Al di fuori delle illustrazioni scientifiche quali generi fotografici ti interessano? Mi piace fotografare tutti gli aspetti del mondo naturale, dalla macrofotografia al paesaggio, ma mi sforzo di cercare soggetti relativamente poco sfruttati. Per esempio trovo molto interessanti, anche fotograficamente, i funghi e i mixomiceti. Mixomicete (Stemonitopsis typhina), Val Camonica: D750 + Micro 105 mm, flash manuale, stacking di 7 scatti, treppiede, ritaglio. Siricide in ovodeposizione (Xeris spectrum), Val Camonica: D200 + Micro 105, f/14, 1/250 sec, 100 ISO, due flash manuali, treppiede. (NdR: Vedete il sottile stiletto nero che si impianta nella corteccia, è una specie di "trivella" che serve a deporre l'uovo) In questo periodo sto cercando di imparare a fotografare minerali, avendone una collezione personale; sono soggetti piuttosto difficili. Fluorite di Zogno (BG), collezione personale: D750 + Micro 105 mm, f/22, 1/3 sec, 100 ISO, illuminazione continua dall’alto e pannelli diffusori, stacking di 15 scatti, treppiede Per i piccoli soggetti a volte uso la tecnica della sovrapposizione di scatti con messe a fuoco differenti, per ampliare la profondità di campo. Notevoli da questo punto di vista la D850 e le nuove Z, che ho visto all’opera, ma per ora mi accontento di girare a mano la ghiera di messa a fuoco: costa meno. Lo so, esistono anche le slitte micrometriche, ma sono piuttosto abituato a fare a meno del superfluo, soprattutto quando si tratta di portare l’attrezzatura su e giù per una montagna. Mi piace molto anche passeggiare per Milano con la macchina fotografica, come un turista arrivato per la prima volta. In questa città ci sono molte cose belle, interessanti e spesso poco note, insieme a una quantità di piccole curiosità che passano inosservate ai più e a situazioni bizzarre. Un giorno sono andato appositamente in Corso Sempione per fotografare un respingente ferroviario dimenticato in un’aiola: è l’ultima traccia di una stazione ferroviaria che non esiste più. Skyline dalla terrazza del Duomo di Milano: D200 + zoom 24-70 mm (a 38 mm), f/5,6, 1/250 sec, 100 ISO, mano libera Gambe in Via Torino a Milano: D200 + zoom 70-300 mm (a 70 mm), f/4,5, 1/350 sec, 400 ISO, mano libera Gabbiano comune (Chroicocephalus ridibundus), Darsena di Milano: D200 + zoom 70-300 mm (a 300 mm), f/5,6, 1/800 sec, 400 ISO, mano libera Mi pento moltissimo di non avere ritratto, a suo tempo, gli irripetibili personaggi che popolavano il piccolo paese di montagna di cui sono originario e dove ho sempre passato le mie vacanze. Non mi piace fare lunghi viaggi, ma cerco di farne un vantaggio: così posso cercare di tirar fuori, anche fotograficamente, tutto quel che si può dai luoghi che frequento abitualmente, senza essere superficiale. Almeno ci provo. Per quanto riguarda le tecnologie fotografiche, cerco di imparare quel che mi serve per fare le mie foto e per sfruttare bene la mia attrezzatura, ma le disquisizioni tecniche approfondite non mi appassionano. Dall’anno scorso ho pubblicato un po’ di fotografie su un mio sito internet, anche per raccontare qualche osservazione originale, ma in generale ho uno spirito piuttosto “asocial”, per cui pratico la fotografia soprattutto per me. Ultimamente purtroppo ho avuto poco tempo per fotografare, ma spero di rifarmi nel prossimo futuro. Consiglio di visitare il sito di Giorgio, ci sono molte sue altre foto e, se vi piace leggere , diverse discussioni. Infine, permettetemi una libertà: in questi tempi in cui la conoscenza scientifica acquisita con sperimentazione, studio e fatica, sono è tutto delegittimata anche ad alti livelli, per cui chiunque si sente in grado di esprimere giudizi su cose di cui sa meno di nulla, tempi in cui siamo pieni di guru e sciamani della domenica, consiglio questo suo articoletto uscito su Pikaia, Rivista online di divulgazione naturalistica.
  18. Nello scorso articolo ho scritto qualcosa sulla fotografia agli animali in capanni attrezzati nelle oasi, adatta a chi comincia,come palestra, adatta anche a chi non ha voglia o possibilità di affrontare la fotografia naturalistica "in campo". In questo articolo scendo metaforicamente ancora di un gradino: Di cosa sto parlando? Sto parlando di cercare gli animali in città, soprattutto nei parchi cittadini. Non in tutti c'è la stessa abbondanza e varietà naturalmente, ma penso che qualcuno potrebbe sorprendersi di quanti "ospiti a sorpresa" condividano con noi questi spazi verdi, nonostante siano molto frequentati da umani vistosi e rumorosi. Questa Gallinella d'acqua "frettolosa", sulla neve, l'ho fotografata al Parco Sempione in centro a Milano Il Germano reale è onnipresente, si trova ovunque ci sia un po' d'acqua, Navigli compresi. Quindi, se non avete esperienza o un vero interesse per la fotografia naturalistica, ma volete provare, così "per sport" a fotografare animali che sono comunque fuori dalle gabbie, provate nei parchi cittadini. In realtà sarebbe possibile mettendoci del tempo e dedizione, fare dei veri safari di tutto rispetto e ottenere reportage fotografici molto suggestivi anche di faune "cittadine". Ma andiamo avanti. Dei gufi di Novara abbiamo già parlato altrove, questo invece faceva parte del roost che fino a non molto tempo fa era presente in Via Valdisole a (Milano sud, zona Ripamonti). Non so se ci sia ancora. Vi presento quindi alcune foto di aree urbane o dell'immediata periferia delle zone vicino a me, ma sono sicuro che anche da altre parti ci saranno realtà simili. Potreste anche riferirne (con foto!!!) nei commenti a questo articolo. Quali sono i pro? i posti sono comodamente raggiungibili, solitamente non occorrono lunghe focali perchè gli animali sono abbastanza assuefatti alla presenza umana e non c'è bisogno di nascondersi/mimetizzarsi. Scoiattolo rosso Parco della Villa Reale di Monza. Ce n'era una piccola colonia con alcuni individui molto confidenti, ora la concorrenza dello scoiattolo grigio e complice probabilmente una campagna di derattizzazione, li hanno quasi sterminati. Periodicamente nel Laghetto della Villa reale di Monza compaiono le Anatre mandarine (maschio in primo piano, femmina dietro). Gheppio sopra il bar "Torre" dentro al Parco della Villa Reale di Monza. Ero seduto al tavolino, tra una sorsata di Prosecco (era l'ora dell'aperitivo) e un salatino, ogni tanto partiva una raffica Anche l'Airone cenerino frequenta, di passaggio alcuni parchi, questo l'ho fotografato al Parco Nord Milano, ma c'è anche a Legnano, ad esempio. I contro? In città o in un parco cittadino, la fauna non può essere molto varia, ma soprattutto c'è molta gente che è lì per fare tutt'altro, portare i bambini, passeggiare, correre, far sgranchire il cane, tutte attività che possono interferire più o meno con una ripresa fotografica "seria", occorre poi non avere inibizioni, ossia essere capaci di sdraiarsi per terra in mezzo alla gente per riprendere il soggetto all'altezza giusta fregandosene degli sguardi perplessi della folla. Svasso con preda ripreso da sdraiato sul marciapiede del Lungolago di Iseo. Come vi ho mostrato le località sarebbero molte, approfondisco il discorso su una che è abbastanza particolare, si tratta del Parco Castello di Legnano. Si tratta di un ampio parco in cui le aree alberate solo popolate da una nutrita colonia di scoiattoli grigi (ahimè). Talmente abituati ad essere nutriti dalla gente che ti vengono a chiedere da mangiare. Li si può fotografare in tutte le salse fino alla nausea. Il punto di maggiore interesse del parco però è una "zona umida" ricreata artificialmente, ma fatta molto bene che ospita una grande quantità di uccelli acquatici. Tralasciando gli onnipresenti germani, gallinelle d'acqua gabbiani e folaghe, ci sono soggetti molto interessanti: Volpoca Fistione turco (maschio) Il Moriglione Il Mestolone La canapiglia La Moretta Tabaccata Il Codone E altro ancora. Ma fotografarli non è comodissimo per tre motivi: 1) La mattina l'area più accessibile è quasi completamente controluce, occorre mettersi di taglio 2) E' pieno di gente che tira il pane alle anatre il che porta al motivo 3 3) Le anatre si ammucchiano per contendersi il pane e così è difficile isolare i soggetti. In cerca dell'inquadratura ... (foto di Gianni Ragno). Appena fuori dell'inquadratura a sinistra ci sarebbe una schiera di mamme e nonni con bambini più qualche individuo isolato, che tirano pane nell'acqua (anche quello si deve cercare di non inquadrare). Una placida Nutria si rosicchia una pagnotta. Insomma ci vuole un po' di impegno. Il laghetto però nasconde alcune sorprese più ghiotte, c'è il Porciglione (che però non ho ancora fotografato) e... questo l'avete già visto: Che ho scoperto incappando in un improbabile gruppo di fotografi mimetizzati (che spiccavano proprio per il fatto di essere mimetici) Tutti che puntavano nella stessa direzione. Così ho fatto l'indifferente e mi sono accostato anch'io. Per concludere, non consiglio questi luoghi come mete serie al fotonaturalista appassionato ed esperto, però vanno tenuti presente per chi vuole solo provare con una passeggiata disimpegnata, oppure quando non si ha tempo/di meglio da fare, si vuole provare un obiettivo, insomma come attività collaterale . Sono comunque posti molto interessanti per la macro, ma questa è un'altra storia.
  19. La fotografia naturalistica, soprattutto la cosiddetta “wildlife photography”, cioè la fotografia agli animali liberi, impropriamente tradotta come caccia fotografica, esercita un grande fascino e a molti viene voglia di cimentarsi in questo genere, per provare l’emozione di vedere dal vero e riprendere animali in libertà. La ripresa di animali in ambienti non controllati richiede però grande esperienza della biologia dei soggetti del territorio, perizia tecnica, molto spesso anche una buona preparazione fisica ed una notevole dose di pazienza, nonché la disponibilità ad accettare la sconfitta, ossia di tornare a casa a mani vuote perché gli animali, almeno quelli che pensavamo di vedere, non è detto che si mostrino. E’ anche da considerare un impegno economico non indifferente per l’attrezzatura (fotocamere performanti e tele lunghi e luminosi) e, se si va all’estero in cerca di specie esotiche, anche per i trasferimenti e la logistica (sto parlando di fare foto esteticamente valide, non quelle sul pulmino del safari turistico sgomitando per riprendere leoni assonnati). Questo può finire per scoraggiare molti. Esistono però dei modi di fare fotografie agli animali che possono permettere anche a chi non può o non se la sente di impegnarsi nella “caccia fotografica” pura, di ottenere risultati soddisfacenti, con qualche compromesso. Vista da un Capanno dell'Oasi di Torrile. Le oasi: Ci sono molte oasi, gestite ad esempio dalla LIPU (e anche da altre organizzazioni) che sono nate soprattutto a scopo di tutela e conservazione, ma contemporaneamente, o successivamente, sono state attrezzate con capanni soprattutto per l’osservazione col binocolo e in alcuni casi adattate anche per la fotografia. Queste oasi possono essere liberamente visitabili (ad es. l’oasi dell’Alberone a Villa d’Adda (BG), la Palude Brabbia (VA) )oppure gestite ed accessibili solo alcuni giorni della settimana. Chiaramente le seconde sono più controllate ed offrono molte più occasioni fotografiche. Un esempio è Torrile (PR). L’oasi è piuttosto ampia, ci sono numerosi capanni, si accede nei giorni di apertura pagando un modico biglietto di ingresso giornaliero. In questo tipo di oasi gli animali ci sono perché si ritrovano in un ambiente relativamente tranquillo e protetto dai cacciatori, però i soggetti non vengono in alcun modo attirati ai capanni, per cui le possibilità di avvistamento sono estremamente variabili, così come le distanze e i tempi di attesa. Io ho fatto ottime foto a Torrile, spesso con i soggetti vicinissimi, “bruciando” una scheda in pochissimo tempo, mentre altri giorni non ho quasi scattato. Garzette a Torrile, lontane. O vicinissimo! Spatole e Cavaliere d'Italia a media distanza Tuffetto, praticamente sotto al capanno. Proprio per la variabilità dei soggetti (dal piccolo martin pescatore alla spatola, passando per il falco di palude) e delle distanze di ripresa, in queste oasi è consigliabile avere a disposizione un buon range di focali, compresi i supertele, oppure un superzoom (ideale, in casa Nikon, il 200-500mm f 5.6) . Alla reception dell’oasi di Torrile (in altre realtà non esiste reception o se esiste non so come sia) il personale ai tempi in cui ci andavo io era gentile e sapeva anche indicare quale capanno offriva le migliori possibilità in quel momento (relative, perché siamo sempre di fronte all'imprevedibilità dei soggetti). Un altro aspetto da considerare è che se l’oasi ha una buona reputazione, si rischia di trovare i capanni affollati, soprattutto nei weekend, per cui diventa disagevole fotografare senza darsi fastidio a vicenda. Inoltre, oasi diverse offrono possibilità diverse fra loro, da buone a scarsissime, per cui conviene fare indagini preventive. Il sottoscritto a Torrile, un po' di anni fa (al fotografo mancava il VR). Siti attrezzati per i fotografi: Da un decennio o forse più si sono concretizzate altre realtà più commerciali, per così dire, orientate sì alla conservazione ma anche e soprattutto alla fotografia naturalistica come business. Organizzazioni più o meno grandi, oppure singoli, hanno realizzato, in accordo con proprietari di appezzamenti di terreno che ricevono una quota dei guadagni, dei ripristini di zone umide, oppure delle mini oasi attrezzate. In questi casi i capanni sono progettati espressamente per i fotografi, spesso con ampie vetrate semiriflettenti, anziché feritoie da binocolo, e le specie per le quali è possibile farlo, vengono attirate con del cibo. Spesso sono presenti anche dei mini stagni, in modo da poter fotografare i passeriformi che si abbeverano o fanno il bagno. Le possibilità di portare a casa buone foto, specialmente nel caso di uccelli più piccoli e timidi come i picchi, o particolarmente diffidenti come alcuni rapaci sono superiori, mentre nei capanni sugli specchi d’acqua previsti per gli ardeidi e le anatre non ci sono troppe differenze rispetto alle oasi descritte prima. Le foto che seguono sono scattate da capanni di tre associazioni diverse. Nei capanni per passeriformi, poiane ecc., le distanze possono essere anche ridotte, addirittura in un caso (mi è capitato) “regolabili”, in quanto il gestore, saputo con che focali sarei andato, ha sistemato i posatoi a distanze convenienti. ù In queste realtà i posti nel capanno sono fissi (di solito due o tre) e vi si accede solo previa prenotazione, per cui si ha la sicurezza di scattare con tranquillità in un ambiente confortevole. Il prezzo come prevedibile è di molto superiore rispetto alle oasi che ho citato prima. Naturalmente, niente è garantito al 100% (una mia uscita in uno di questi capanni per riprendere espressamente lo sparviere che si diceva passasse quasi quotidianamente per abbeverarsi, ha dato dei verzellini ed un merlo… si vede che sono andato in uno dei giorni “quasi”). In questi casi uno zoom 100-400, un 300mm possono anche bastare (magari un 1.4 da accompagnare il 300 se abbiamo una fotocamera a formato pieno o un 70-300 se abbiamo un formato Dx). L'Oasi di Cervara (TV), ha una serie di capanni gestiti su prenotazione come sopra, uno dei quali dedicato al Martin Pescatore. Infine, ci sono anche possibilità (pochissime, ma ci sono) di fotografare certe specie in aree dove hanno perso la paura dell’uomo. Lì basta avere l’accortezza di predisporre un rametto che faccia da posatoio e disporre di una manciata di semi che il risultato è (quasi) garantito, l’esempio più famoso è il sentiero delle Cince in Val Roseg dove almeno quattro specie di cince, più il picchio muratore ed il fringuello sono facilissime da avvicinare (le cincie bigie ti prendono il cibo dalla mano). Cincia dal ciuffo (sopra) e cincia bigia (sotto)allo scoperto in Val Roseg (fotografate in stagioni diverse). A Biandrate (NO) si possono fare dal marciapiede della provinciale belle foto di ardeidi e Ibis sulle cime degli alberi o che volano avanti e indietro dalla garzaia (in cui NON SI DEVE ENTRARE!) per la costruzione del nido o per procurare cibo ai nuovi nati. Ultima osservazione, se qualcuno ha un giardino in una località compatibile, vicina ad un pezzo di bosco, basterà posizionare accortamente delle mangiatoie strutturate in modo da consentire di riprendere gli uccelli senza inquadrarle (non per imbrogliare, tanto lo sappiamo tutti, ma perché le inquadrature con pezzi di mangiatoie, così come quelle con i soggetti con i semi nel becco, sono veramente brutte) e piazzate con accorgimenti che le rendano non raggiungibili dai ratti e dai gatti 😉 , si potrebbero anche fare riprese interessanti dalla finestra di casa! Dalla finestra della cucina di un vecchio amico... la cui casa confinava col Parco Pineta di Appiano Gentile (CO). Ok per il come e il dove, ma il"Quando"? Come ho scritto all'inizio per fotografare gli animali occorre una conoscenza almeno di base della loro biologia e comportamento. Soprattutto se sono specie migratorie. Altrimenti si corre il rischio di arrivare fuori stagione e vedere poco o nulla. Occorre quindi documentarsi per le diverse specie ma in generale si può dire che ad esempio che le stagioni di passo sono quelle in cui si ha la maggiore possibilità di incontrare grande diversità di soggetti. I passeriformi d'inverno fanno fatica trovare cibo quindi si vedranno molto più facilmente alle mangiatoie dei capanni rispetto alla buona stagione, quando hanno anche altre fonti di alimentazione. Inoltre alcune specie scendono a svernare da noi. Sempre d'inverno è più facile vedere numerose specie di anatre nordiche che scendono da noi a svernare (ultimamente un po' meno per via del riscaldamento globale). Al contrario alcuni rapaci svernano in Africa e da noi si vedono nella bella stagione. Gli Aironi sono particolarmente attivi all'inzio della primavera quando nidificano nelle Garzaie. Adesso ad es. a Biandrate non c'è quasi nulla, a Marzo/Aprile invece si sentono e si vedono da lontano. Sempre in primavera gli svassi si corteggiano con le loro coreografiche parate nuziali. Morette e moriglioni che svernano a Calolziocorte (LC) Un tempo i cormorani erano per lo più invernali, ora tendono ad essere stanziali. NOTA BENE, questo mio articolo è puramente informativo, vuole illustrare a chi non ne fosse già a conoscenza, l’esistenza di alcune modalità “facilitate” per fotografare alcuni animali; ma non ha la pretesa di essere esaustivo. Soprattutto non è il luogo ove discutere in merito al rapporto facilità, modalità di ottenimento e valore documentaristico/naturalistico dell’immagine. Quindi pregherei di evitare nei commenti di avviare discussioni su cosa sia la "vera fotografia naturalistica", perché si finirebbe in un ginepraio e soprattutto sarebbe fuori contesto. Discutiamo invece, e in questo caso molto volentieri, su ciò che è inerente al tema o segnaliamo eventuali realtà simili a quelle da me citate, di cui siamo a conoscenza. Silvio Renesto
  20. La natura selvaggia del continente nero, per quanto l’uomo l’abbia ridimensionata e ristretta, e’ uno degli ultimi limiti: e’ la dove la nostra civilta’ diventa piccola e lontana e la forza del paesaggio incontaminato e primitivo ci soggeziona ancora. Nicolas Lotsos ci presenta questa lontana realta’ con tanta passione e forza espressiva. Lotsos oltre ad essere un manager di giocatori di basket e’ anche un fine art fotografo. Viaggia spesso in Africa, la quale gli ha offerto esperienze di vita uniche e lo ha anche premiato di vari riconoscimenti fotografici internazionali. La fotografia della natura e della vita selvaggia, delle varie tribu’ e delle persone che le popolano, ha come obbietivi la salvaguardia, la mobilitazione dell’ opinione pubblica e soprattutto offrire aiuto. Nel 2010 diventa protagonista di un’ iniziativa nelle scuole di Kimbera raccogliendo aiuti tramite il suo blog. Dal 2010 fino ad oggi ha vinto moltissimi premi. Quello pero’ che lo ha reso famoso e’ stato il riconoscimento come SPIDER AWARDS WINNER 2012 nella Wildlife category, 1o posto. Ho raccolto qua alcune delle sue foto che rappresentano il suo lavoro. 2012 SPIDER AWARDS WINNER, Wildlife category. Per approfondire di piu’ potete visitare il suo sito: www.nicolaslotsos.com NOTA: Tutte le foto sono (c) di Nicolas Lotsos.
  21. Frans Lanting è un'altra delle Nikon Legends, ma è una leggenda non solo per Nikon, uno dei più grandi fotografi naturalisti di tutti i tempi. Non si poteva non dedicargli un articolo qui su Nikonland. Come l'altro mio articolo su Joel Sartore, vedetelo come uno spunto di discussione e se altri appassionati di fotografia naturalistica vogliono intervenire a seguito con altre notizie, aneddoti, sono i benvenuti. Frans Lanting è nato nel 1951 a Rotterdam in Olanda, si è laureato in economia e poi si è trasferito negli USA per studiare pianificazione ambientale. Presto tuttavia ha cominciato a fotografare la natura e non ha più smesso, così la sua vita è cambiata. Per decenni ha documentato la natura in tutti gli angoli del mondo, trasmettendo la conoscenza e la bellezza di ogni forma di vita, con immagini che suscitano meraviglia e hanno definito nuovi standard di qualità per le generazioni successive di fotografi naturalisti. Di lui si è detto che ha una mente da scienziato, un cuore da cacciatore e gli occhi di un poeta (Thomas Kennedy ex direttore del National Geographic Magazine). Per il national Geographic Lanting ha lavorato moltissimo, dai servizi sugli scimpanzè pigmei (bonobo) del Congo, alla vita sulle chiome dellla foresta pluviale amazzonica, ai pinguini dell'Antartide, alla fauna e i popoli del Madagascar. Per realizzare questi servizi non ci si può risparmiare: Lanting ha passato settimane su piattaforme di legno in cima agli alberi, ha seguito i branchi di Leoni, ha dormito in crateri vulcanici con le Tartarughe Giganti. Tra i suoi lavori più famosi ci sono quelli sul delta dell'Okavango, Sul Borneo, Sui Pinguini Imperatori dell'Antartide sugli ultimi Ghepardi Iraniani, lavori pubblicati su riviste e esibiti in mostre in tutto il mondo. Orsi "danzanti". Nei suoi libri Lanting trasforma gli animali in arte come nessun altro fotografo scrive il New Yorker, e guardando le sue foto non si possono non provare emozioni che vanno dalla tenerezza allo stupore alla riverenza per le forme viventi da lui ritratte. Al di là della bellezza delle sue immagini, che sono vera poesia di forme e luci, molti suoi lavori hanno anche un grande valore scientifico, documentando nuove scoperte sulla diversità della vita. Il sole basso illumina una duna dietro i tronchi di acacie morte. Airone a pesca che fa ombra con le ali per individuare i pesci. Oltre a questo, la missione di Lanting è usare il la fotografia come mezzo per sostenere le iniziative promosse dalle diverse organizzazioni per la protezione dell'ambiente ad ogni livello, e lo fa tramite le pubblicazioni, le mostre le apaprizioni sui media e col sostegno attivo a fondazioni. E' Ambasciatore del WWF olandese , ed è nel comitato nazionale del WWF USA, membro o sostenitopre di altre organizzazioni fra cui la International League of Conservation Photographers (ILCP). L'orgoglio dei cacciatori riflesso nell'occhio della zebra uccisa. Si potrebbe andare avanti ancora a lungo, elencare i suoi libri e così via, ma ne abbondano informazioni sulle sue opere online, per cui prefersco soffermarmi su un suo progetto di ampio respiro, simile sotto certi aspetti al progetto Ark di Joel Sartore. Nel 2006 Lanting ha lanciato il progetto LIFE, una storia della vita dalle origini del mondo ad oggi realizzata sia come libro, che come mostra, sito interattivo e spettacolo multimediale accompagnato da un'orchestra sinfonica. Qui due Link utili: http://www.lanting.com/ http://www.photographyoffice.com/blog/2011/02/50-brilliant-examples-of-professional-animal-photography-by-frans-lanting Tutte le foto sono prese da internet al solo scopo di illustrare l'opera di Frans Lanting Un vecchio scimpanzè all'abbeverata.
  22. Silvio Renesto

    Invasioni Aliene

    Chi ha letto la mia intervista a Francesco Tomasinelli, sa già che a Varese presso i Musei Civici di Villa Mirabello, piazza della Motta 4; è allestita la mostra "Alieni. La conquista dell'Italia di piante ed animali introdotti dall'Uomo",che durerà fino a fine maggio 2018. E' una mostra sia fotografica (con fotografie di Tomasinelli e di Marco Colombo, quest'ultimo vincitore del Wildlife Photogapher of the year 2016 per la sezione rettili ed anfibi) che naturalistica con terrari con esemplari vivi. Le conferenze , ad ingresso gratuito e pensate per un pubblico ampio, saranno dedicate al concetto di "alieno" , sia in senso biologico-naturalistico (= specie estranea introdotta artificialmente dall'uomo), sia sotto una più ampia prospettiva, con attenzione anche al mondo della medicina, della storia, della filosofia e dell'arte. Le conferenze si terranno presso la Sala del Risorgimento del Museo ogni venerdì (salvo festività) dalle 17.30 alle 18.30. Locandina_conferenze_gen_feb_mar_lr (002).pdf Segnalo in particolare la prima conferenza del 19 gennaio, tenuta dal mio collega Adriano Martinoli (zoologo, esperto di Mammiferi): "Gli strani fenomeni del mondo animale: tornati, arrivati, introdotti. Come l’uomo influenza la fauna (e la fauna l’uomo…)": Non tutti i fenomeni che accadono in natura e riguardano le specie animali avvengono perché l’uomo “ci ha messo lo zampino”, per fortuna le le comunità di animali mantengono molte delle loro libertà “adattative”... Ma quando accade che l’uomo vuole, direttamente o indirettamente, dirigere le danze, i risultati spesso sono catastrofici. E... naturalmente ... la mia, del 2 marzo (non temete, tornerò a seccarvi in prossimità della data ) : Convergenze evolutive, invasioni aliene e cambiamento climatico: il Grande Interscambio Americano: I Mammiferi del Sud America si erano evoluti in condizioni di isolamento dagli altri continenti, sviluppando forme uniche. 3 milioni di anni fa l'emersione dell' l'istmo di Panama unì le due Americhe e si ebbe una intensa migrazione di animali nei due sensi, il Grande Interscambio. Scambio impari: ben poche specie sudamericane ebberon successo in Centro e Nord America, mentre in Sud America gran parte delle specie native vennero sostituite dagli invasori nordamericani, più competitivi. Ultimo atto, 12.000 anni fa un micidiale cocktail di cambiamento climatico e (guarda caso) e arrivo dell'Uomo nelle Americhe, provocò l'estinzione di quasi tutti i Grandi Mammiferi nelle due Americhe (lo sapevate che in America c'erano i Cammelli e i Mammut, vero?). Se non avete di meglio da fare e siete in zona, potrebbe essere un'occasione per scambiare quattro chiacchiere fra nikonlander. Qui il Link alla mostra.
  23. Da oltre cinquant'anni Clyde Butcher ha creato emozionanti immagini in bianco e nero dei paesaggi naturali del Nord America. Le sue fotografie trasportano chi guarda nella bellezza primordiale dei vasti orizzonti, dei panorami infiniti e nello splendore,raramente visibile, della wilderness. Le sue immagini sono coinvolgenti e ci rammentano il legame che abbiamo con il mondo della natura. Clyde Butcher nacque in Kansas nel 1942. Da bambino disegnava navi o ne costruiva dei modelli con scarti di ferro nell'officina di suo padre lattoniere. Prese una Laurea in Architettura alla California Polytechnic State University. Fu allora che scoprì di non essere bravo a disegnare e così decise di imparare da solo a fotografare per poter riprodurre i progetti di architettura senza disegnarli. Non avendo i soldi per acquistare una fotocamenra se ne costruì una a foro stenopeico. Negli anni sessanta vide una mostra fotografica di Ansel Adams allo Yosemite National Park, ne rimase così impressionato che cominciò a fotografare in bianco e nero. Nel 1970 lasciò l'architettura e si iniziò a far vedere le sue fotografie in mostre locali. Nel 1971 iniziò una nuova attività "Eye encounter Inc." che consisteva nello stampare e vendere le sue fotografie di panorami selvaggi degli Sati Uniticome decorazioni murali per grandi magazzini. Per aumentare le vendite iniziò ad usare pellicole a colori e fotocamere a formato 13x18cm . Il giro d' affari crebbe vertiginosamente e Eye Encounter divenne una ditta con moltissimi dipendenti. Clyde vendette l'attività nel 1977 a causa dello stress eccessivo e si mise a girare la Florida in barca a vela. Si stabilì con la famiglia a Ft. Myers nel 1980, iniziando a vendere i suoi paesaggi western a colori e fotografie di temi diversi. Nel 1984 fu portato a visitare una palude di cipressi dentro al Big Cypress National Preserve. Questo, disse, gli rivelò un nuovo mondo. L'immersione nella bellezza della palude lo convinse a ritornare al bianco e nero. Dopo la tragica morte del figlio diciassettenne nel 1986, Clyde trovò conforto solo nella vicinanza della natura selvaggia. Decise di tagliare ogni legame con la fotografia a colori e dedicarsi unicamente al bianco e nero. Acquistò una fotocamera formato 20x25 ed un ingranditore ed ebbe inizio la sua nuova vita di fotografo. Oltre alle Everglades per le quali è maggirmente famoso, Butcher si è impegnato a immortalare paesaggi naturali di tutto il mondo. La qualità ed importanza del suo lavoro gli hanno guadagnato ammirazione internazionale. Butcher ha inoltre realizzato documentari sull'ambiente della Florida e ha pubblicato numerosi libri. Al di là della bellezza intrinseca delle sue immagini, ciò che distingue le opere di Clyde Butcher sono le dimensioni gigantesche delle sue stampe, unite ad una nitidezza che ha dell'incredibile. Scegliendo accuratamente il formato del negativo a seconda dellel dimensionid el soggetto, Butcher riesce a produrre stampe nitidissime di dimensioni oltre i 160x300 cm, che permettono all'osservatore di immergersi nei suoi panorami . “Cerco di usare la pellicola più grande possibile epr il soggetto che voglio fotografare. Se ho un ampio panorama uso un formato 30x65 (circa). se devo fotografare cose come l'Orchidea Fantasma lavoro con una 20x25" racconta Butcher. “Voglio che la gente guardi i miei lavori da vicino” dice Butcher a proposito del suo stampare in grandi dimensioni. “Molti non conoscono quello come si vede:si vede chiaramente solo una piccola parte del tutto e in natura l'occhio scorre continuamente da un particolare all'altro e questo ci da' la percezione dell'insieme. La chiave per riprodurre questa sensazione è la nitidezza. Una stampa di tre metri e mezzo da un negativo 35mm sembrerà nitida se si rimane a distanza 10 metri, ma se ci si avvicina ad un metro sembrerà molto scarsa. Quindi per calarsi in un' immagine grande e vederla bene occorre che abbia un dettaglio molto elevato. Stampa con una Epson Stylus 4800 or una stampante 11880 con inchiostri Ultra-chrome K3 e carta Harman Hahnemuhle. Nota: Qualche mese fa Clyde Butcher è stato colpito da ictus che gli ha paralizzato il lato destro del corpo, ma ha già ripreso a muoversi con deambulatore ed è confidente che tornerà a fotografare quanto prima. Glielo auguro di cuore Tutto questo e molto altro nel sito di Clyde Butcher https://clydebutcher.com Le foto sono (C) di Clyde Butcher mostrate qui al solo scopo di illustrare la sua opera. Photos are (C) by Clyde Butcher shown here only to illustrate his art.
  24. Riporto qui questo articolo scritto e pubblicato da Silvio Renesto sul suo blog su Nikonland. Da oltre cinquant'anni Clyde Butcher ha creato emozionanti immagini in bianco e nero dei paesaggi naturali del Nord America. Le sue fotografie trasportano chi guarda nella bellezza primordiale dei vasti orizzonti, dei panorami infiniti e nello splendore,raramente visibile, della wilderness. Le sue immagini sono coinvolgenti e ci rammentano il legame che abbiamo con il mondo della natura. Clyde Butcher nacque in Kansas nel 1942. Da bambino disegnava navi o ne costruiva dei modelli con scarti di ferro nell'officina di suo padre lattoniere. Prese una Laurea in Architettura alla California Polytechnic State University. Fu allora che scoprì di non essere bravo a disegnare e così decise di imparare da solo a fotografare per poter riprodurre i progetti di architettura senza disegnarli. Non avendo i soldi per acquistare una fotocamenra se ne costruì una a foro stenopeico. Negli anni sessanta vide una mostra fotografica di Ansel Adams allo Yosemite National Park, ne rimase così impressionato che cominciò a fotografare in bianco e nero. Nel 1970 lasciò l'architettura e si iniziò a far vedere le sue fotografie in mostre locali. Nel 1971 iniziò una nuova attività "Eye encounter Inc." che consisteva nello stampare e vendere le sue fotografie di panorami selvaggi degli Sati Uniticome decorazioni murali per grandi magazzini. Per aumentare le vendite iniziò ad usare pellicole a colori e fotocamere a formato 13x18cm . Il giro d' affari crebbe vertiginosamente e Eye Encounter divenne una ditta con moltissimi dipendenti. Clyde vendette l'attività nel 1977 a causa dello stress eccessivo e si mise a girare la Florida in barca a vela. Si stabilì con la famiglia a Ft. Myers nel 1980, iniziando a vendere i suoi paesaggi western a colori e fotografie di temi diversi. Nel 1984 fu portato a visitare una palude di cipressi dentro al Big Cypress National Preserve. Questo, disse, gli rivelò un nuovo mondo. L'immersione nella bellezza della palude lo convinse a ritornare al bianco e nero. Dopo la tragica morte del figlio diciassettenne nel 1986, Clyde trovò conforto solo nella vicinanza della natura selvaggia. Decise di tagliare ogni legame con la fotografia a colori e dedicarsi unicamente al bianco e nero. Acquistò una fotocamera formato 20x25 ed un ingranditore ed ebbe inizio la sua nuova vita di fotografo. Oltre alle Everglades per le quali è maggirmente famoso, Butcher si è impegnato a immortalare paesaggi naturali di tutto il mondo. La qualità ed importanza del suo lavoro gli hanno guadagnato ammirazione internazionale. Butcher ha inoltre realizzato documentari sull'ambiente della Florida e ha pubblicato numerosi libri. Al di là della bellezza intrinseca delle sue immagini, ciò che distingue le opere di Clyde Butcher sono le dimensioni gigantesche delle sue stampe, unite ad una nitidezza che ha dell'incredibile. Scegliendo accuratamente il formato del negativo a seconda dellel dimensionid el soggetto, Butcher riesce a produrre stampe nitidissime di dimensioni oltre i 160x300 cm, che permettono all'osservatore di immergersi nei suoi panorami . “Cerco di usare la pellicola più grande possibile epr il soggetto che voglio fotografare. Se ho un ampio panorama uso un formato 30x65 (circa). se devo fotografare cose come l'Orchidea Fantasma lavoro con una 20x25" racconta Butcher. “Voglio che la gente guardi i miei lavori da vicino” dice Butcher a proposito del suo stampare in grandi dimensioni. “Molti non conoscono quello come si vede:si vede chiaramente solo una piccola parte del tutto e in natura l'occhio scorre continuamente da un particolare all'altro e questo ci da' la percezione dell'insieme. La chiave per riprodurre questa sensazione è la nitidezza. Una stampa di tre metri e mezzo da un negativo 35mm sembrerà nitida se si rimane a distanza 10 metri, ma se ci si avvicina ad un metro sembrerà molto scarsa. Quindi per calarsi in un' immagine grande e vederla bene occorre che abbia un dettaglio molto elevato. Stampa con una Epson Stylus 4800 or una stampante 11880 con inchiostri Ultra-chrome K3 e carta Harman Hahnemuhle. Nota: Qualche mese fa Clyde Butcher è stato colpito da ictus che gli ha paralizzato il lato destro del corpo, ma ha già ripreso a muoversi con deambulatore ed è confidente che tornerà a fotografare quanto prima. Glielo auguro di cuore Tutto questo e molto altro nel sito di Clyde Butcher https://clydebutcher.com Le foto sono (C) di Clyde Butcher mostrate qui al solo scopo di illustrare la sua opera. Photos are (C) by Clyde Butcher shown here only to illustrate his art.
  25. Il Bayerischer Wald è parte di una vasta regione forestata di collina che si estende fino alla Repubblica Ceca. E' stato il primo Parco Nazionale tedesco. Nella foresta vivono liberi numerosi animali un tempo diffusi in tutta Europa, dai più comuni cervi e cinghiali fino ai lupi e orsi. Il fatto che ci siano è una cosa, vederli è un'altra. Per cui ecco una breve spiegazione per chi non conoscesse questo parco e magari gli andrebbe di farci un giro fotografico prima o poi. La maggior parte dei fotografi non "avventurieri" si reca nei due "tierpark" (parchi zoo) principali, situati uno a Neuschonau e l'altro a Lohberg. Si tratta di due strutture assai diverse. Neuschonau è molto grande, con ampi recinti boscati dove gli animali hanno molto spazio a disposizione. Questo fa sì che siano più liberi di muoversi, più a loro agio, si possono fare ottime foto ambientate, per contro alcuni soggetti sono meno facili da vedere, occorre un po' di pazienza e può anche andare buca. E' aperto praticamente sempre, non si paga l'ingresso, si paga il parcheggio (5 euro per tutta la giornata, al momento in cui scrivo). Lohberg invece è simile ad un parco zoo, con anche galline, coniglietti ed asinelli, con la maggior parte dei recinti molto piccoli (solo i lupi hanno un certo spazio) . Per i soggetti più fotogenici (lupo e lince) ci sono altane e postazioni per fotografare al di sopra o attraverso le grate. A Lohberg sono possibili foto in soggettiva o comunque inquadrature ravvicinate, ma non ambientate. Ho riconosciuto alcune location di foto di lupi molto famose... . Il parco ha orari di apertura e si paga un biglietto d'ingresso (10 euro al momento in cui scrivo). Io ho passato tre giorni a Neuschonau e mezza giornata a Lohberg. Per dare un'idea dello spazio a disposizione della Lince a Neuschonau, queste foto sono state scattate allo stesso soggetto da posizioni diverse con 300mm e TC14 su nikon D7100 : La lince era più o meno nello stesso posto. Ma è lei che si è concessa. Il primo giorno non sono nemmeno riuscito a vederla. Nè io nè altri. Questo, sarà strano ma mi rende la cosa più attraente e mi fa preferire Neuschonau a Lohberg dove puoi sì fare i bei ritrattoni, ma le bestie sono più sacrificate.
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