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  1. Quando riesce, la fotografia trasmette un pensiero, una sensazione, un’idea, da una persona, il fotografo, ad un’altra persona, l’osservatore. In questo, è simile ad altre forme di comunicazione artistica non verbale, non solo visuali, come la musica, la scultura e la pittura ed altrettanto comunicativa. Io non sono colto, fatico a fare esempi significativi, ma guardando le immagini di natura di Vincent Munier o di Stefano Unterthiner, i ritratti di Peter Lindbergh, le immagini di Sebastiao Salgado…. Beh, mi sento coinvolto ed emozionato come davanti ad un Monet, ed io adoro gli impressionisti! o quando ascolto certe canzoni…. la lista degli esempi sarebbe enormemente lunga, ma credo il concetto sia chiaro. Il fotografo può trasmettere un messaggio, la fotografia da sola dice tutto, non è necessario nient’altro. Una fotografia riuscita consente di far vedere allo spettatore qualcosa che non ha mai visto, magari anche avendolo avuto davanti agli occhi, o solleva domande, rende il mistero di una situazione, evidenzia i tratti della personalità del soggetto ritratto. Oppure produce uno shock, immaginiamo il reportage di una delle troppe tragedie che attraversano il mondo, o diverte o meraviglia. In ambito naturalistico può anche avere il merito di rendere consapevole il pubblico della bellezza ed unicità di certi ecosistemi da preservare, è così che sono nati i primi parchi naturali. E tutto questo non necessariamente facendo leva sul “realismo” intrinseco della fotografia. Per creare questa significativa affermazione, cioè il messaggio che vuole tramettere con la propria fotografia, infatti, il fotografo deve maturare la propria personale visione del soggetto, affinarne la conoscenza, comprendere le emozioni che lui per primo prova. E poi trasmetterle attraverso il fotogramma. Ma come fare? La risposta è associata a quella di altri due quesiti: Quali sono i tuoi interessi, come li coltivi? Come rispondi ai tuoi interessi? Semplicemente perché, per impegnarti a realizzare una fotografia che abbia un significato, occorre innanzi tutto che quel significato per te esista, che sia per te importante, che tu sia motivato a “parlarne”. Non basta avere davanti a sé qualcosa di bello se per te non è interessante “parlarne”, esattamente come durante una qualsiasi discussione. Chi, su un argomento, non ha niente da dire, o non ha voglia di parlare, difficilmente potrà dire qualcosa di interessante. Per produrre il successo in qualsiasi cosa ci sono tre ingredienti: Entusiasmo, talento e duro lavoro. Ma ne bastano due, purché uno sia l’entusiasmo. È l’entusiasmo il motore! E se c’è l’entusiasmo, fotografare sarà avvincente. Sarà una cosa che cercherai di fare più possibile. E, al minimo, quell’entusiasmo farà si che tu spenda in fotografia le famose 10.000 ore, che si è valutato essere quanto serve per diventare bravi in quasi tutto. Ma non ha la minima importanza che tutte le foto che fai riescano… All’opposto, la mancanza di entusiasmo, per me è il motivo per cui molte foto sono fiacche e non trasmettono. Perché sono fatte perché “vanno fatte”, magari copiando per la milionesima volta lo scatto visto su Instagram della località scelta per le vacanze. Ed è il motivo, secondo me, per cui molti fotografano pochissimo o non mostrano le immagini fatte! Perché avevano un’idea più o meno affascinante della fotografia, si sono interessati ed hanno sviluppato una passione per gli oggetti che si usano per fotografare, ricevendo una immediata gratificazione nel possederli. Ma poi basta. E attenzione, l’entusiasmo, quello vero, non ha nulla a che fare con il desiderio di avere fatto quelle fotografie ma attiene alla spinta ad essere li in quel momento a farle, a raccontare con la propria fotografia il proprio punto di vista. È per questo che, normalmente, chi fotografa con successo lo sport è un appassionato di sport, chi fotografa gli animali ama la natura, chi fa un certo tipo di ritratto cerca la connessione con le persone, chi fa nudo vuole illustrare la bellezza e via dicendo. Ci ricordiamo le muse di Peter Lindbergh? Pensiamo che quelle foto siano frutto del suo “mestiere” o della connessione tra lui e loro? Allora, chi ha questa passione non solo vorrà fotografare il più possibile i suoi soggetti preferiti ma vorrà anche sperimentare ed imparare come farlo al meglio. Che prevalentemente, visto il livello medio delle attrezzature, non significa avere gli strumenti ideali ma essere capace. E poi portarsi nella condizione di farlo, cioè organizzare l’uscita fotografica adatta allo scopo, nella stagione giusta, cercare la luce adatta o imparare a crearla in studio, e via dicendo. Tornando alle due domande, la seconda delle due considerazioni personali è più complicata. In che modo rispondi ai tuoi interessi? Cosa ti colpisce dell’essenza dei tuoi soggetti? Cosa desideri trasmettere fotograficamente? In pratica, occorre andare oltre ed interrogarsi sul perché ci piace quello che ci piace, spingersi a capire qual è lo specifico motivo per cui lo abbiamo trovato interessante, capire cosa risuona in noi con più intensità. Ecco, quello, le sensazioni forti che evoca in noi, sono il nostro messaggio. Quello che la fotografia deve trasmettere a chi la guarda, che occorre enfatizzare contemporaneamente minimizzando tutto il resto. Qui entra in gioco la tecnica, l’artigianato per richiamare il mio precedente articolo. Qui e solo qui. Perché se “il mestiere” prende il posto delle emozioni allora probabilmente si potrà ottenere una foto tecnicamente valida, magari anche perfetta per fuoco, esposizione, “canoni compositivi” e quant’altro. Ma priva di voce. Dall’unione della propria passione per quello che si fotografa con la visione personale che ne si ha nascerà l’impronta personale, lo stile. Ad esempio, a me piace la montagna. Ma c’è la montagna dei placidi laghi, dei prati fioriti, delle pareti rocciose della neve e del ghiaccio. A me piace quella più severa, cosa che vale per quasi tutta la natura che fotografo: a me piacciono le situazioni da “grande nord”, non le spiagge assolate. Una nevicata piuttosto di un tramonto infuocato. Non sarà per sempre, tutto cambia. Ma è fondamentale restare connessi con sé stessi, con le proprie percezioni, le reazioni interne, la coscienza di sé. Tutto contribuisce ad orientare la fotografia nella giusta direzione. Capire e seguire la propria direzione, sintonizzarsi con il proprio io, conserva, ed anzi aumenta, l’entusiasmo. E si innesca il circolo virtuoso: fotografare mi piace, mi piacciono le cose che faccio quando fotografo, mi piace dove sono mentre fotografo, mi piacciono le foto che ho fatto: voglio fotografare ancora appena possibile! Ma non eccedere nell’introspezione: alla fine la cosa importante è uscire, fotografare e comunicare il proprio messaggio che è il nocciolo della fotografia creativa. Vedere la scena, interpretarla, accettando la sfida di mettere le proprie emozioni nell’immagine, esprimendo il proprio punto di vista, facendolo vedere all’osservatore della fotografia. E non importa se la scena non è una creazione del fotografo ma della natura, perché la fotografia lo è, sempre. L’ultimo punto che voglio trattare in questo articolo, dopo tanti ragionamenti sull’interpretazione, riguarda la fotografia come verità. Ecco, la fotografia di cui parlo in questo articolo non è evidentemente quella del reporter, non deve riprodurre la scena “oggettivamente”, cercando la “verità universale”. A volte, a seconda dei gusti, le fotografie rendono un mondo più bello di quello che chi stava a fianco alla macchina può aver visto con i propri occhi. È giusto, la fotografia è l’interpretazione che fa il fotografo della realtà. La sua. Non significa fare fotomontaggi o arte grafica. Ma scegliere al meglio la focale, i parametri di ripresa, il punto di ripresa, se possibile la luce – tramite la scelta del giorno e dell’ora in cui fotografare. Poi, proseguire ottimizzando l’immagine seguendo l’intento con il quale si è scattato, con la stessa cura, nella regolazione del file. Ed è per questo che rifuggo dalle scorciatoie degli automatismi nel dialogo tra macchina fotografica e software, dalle false promesse dei preset. Fanno risparmiare tempo, ma per fare cosa? come fanno a portare la fotografia nella direzione voluta dal fotografo? Ma a ben vedere, il nostro è un mondo complesso, nel quale spesso e comunque non esiste una cosa come “la verità”, ma piuttosto molte verità, alcune delle quali sono in conflitto con le altre, le contraddicono. Quindi la verità, anche quella della fotografia “come uscita dalla macchina” è inafferrabile nel migliore dei casi, inesistente nel peggiore. A chi pensa che stia parlando di “barare“ con il fotoritocco - cosa che non faccio, uso solo Lightroom per regolare il file - chiedo: che succede se riprendo a 20cm da terra con un 50mm? o a 180cm da terra con un 24? Che succede se chiudo su un particolare con un 300mm? Se ingrandisco con un’ottica macro 4x? Se uso un tempo di 30”? O di 1/8000? Se scatto a f1.4? O a f16? Se sottoespongo di 2 stop cercando un low-key? O se sovraespongo? Cosa se fotografo a colori? E in Bianco e Nero? Lo scopo, la cosa importante, è che la fotografia affermi la verità soggettiva del fotografo, veicoli il suo messaggio e lo trasmetta all’osservatore. Se la fotografia avrà successo, l’osservatore vedrà non la presunta fotocopia della realtà ma l’idea della realtà che il fotografo ha avuto, il suo punto di vista. È arte? SECONDO ME SI. Massimo per Nikonland © 25/4/2020
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