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  1. Mi sono preso due giorni di fuga a quasi 3000m di altitudine per evitare le temperature africane. Fra le altre cose ho scattato anche le foto per questo blog, che vuole essere un po' una riflessione su un commento di Valerio Brustia sul significato delle immagini e un po' una proposta operativa in linea con il blog di Massimo Vignoli sulla crescita. C'è chi sostiene che se una foto abbisogna di spiegazioni allora non è una foto riuscita, c'è chi al contrario sostiene che senza una contestualizzazione una foto può perdere molto del suo significato. Chi ha ragione? Ma tutti e due! Dipende dalla foto e... da chi guarda la foto. Restringo il discorso alla fotografia naturalistica, in particolare la wildlife photography per brevità e perchè sono un seguace dell'antico detto offeleè fa' el to' mesteè (parla di quello che sai). Ecco qua. Uuh, bel ritratto, ma cos'è? E' un Gracchio alpino. Un piccolo corvide. Ah, ok. E' sufficiente? Anche no. Mi spiego, un appassionato di ornitologia oppure un fotografo naturalista lo saprebbe già, mentre e chi non conosce il Gracchio alpino è al punto di prima, solo ha un nome in più nella testa di cui non sa bene cosa farsene. Certo, Il nome alpino farà pensare che sia un uccello di montagna ma niente più, potrebbe essere rarissimo oppure no, vivere chissà dove o dappertutto... Dobbiamo copiare una voce di Wiki/enci/clopedia sul Gracchio alpino per farci capire? Noo siamo in un sito di fotografia. Proviamo con le fotografie. Come si fa? Contestualizziamo il nostro soggetto con altre fotografie! Eccolo nel suo ambiente: Qui si capisce che tollera i suoi simili. Volatore veloce ed acrobatico Anche in gran numero, specialmente dove abbondano rifiuti ed avanzi di cibo lasciati dagli umani sporcaccioni ambientali: Questo mi è venuto letteralmente fra i piedi per vedere se avevo lasciato avanzi... Perchè ho scritto questo blog insomma? Per invitare a non fermarsi al ritratto standard dal sicuro valore estetico -che per carità ci vuole!- ma se si può, fare anche qualche foto diversa, che sia lo stesso gradevole e permetta a tutti di farsi un'idea di com'è è e come vive un Gracchio alpino (in questo caso particolare, ma vale per qualunque creatura selvatica). La discussione è aperta, se ne avete voglia
  2. Non ho fatto mistero della mia passione per certa fotografia giapponese dai forti contrasti, dal bianco e nero drammatico, spesso fuori dai canoni. Ho già scritto ad esempio di Daido Moriyama Mi piace molto e la trovo fortemente ispiratrice. Un altro fotografo molto particolare è Masao Yamamoto, classe 1957, fotografo freeleance, che ha iniziato al sua carriera artistica come pittore, per poi passare alla fotografia con cui cerca di creare immagini evocative in cui il confine fra fotografia e immagine pittorica si confonde. Masao Yamamoto Infatti il lavoro di postproduzione è notevole e fatto a mano. Yamamoto tinge, stinge, dipinge le sue foto, crea viraggi con il tè e logora i bordi delle imamgini come fossero vecchie foto recuperate da chissà dove. I suoi soggetti sono nudi, paesaggi, nature morte, animali. La sua fotografia è concettualmente divisa in diverse serie. Una (A box of Ku) è fatta da dettagli di paesaggi, spazi, piccole figure. Un'altra, Nakazora, ha un respiro più ampio, spazi più grandi. Poi c'è Kawa, che significa flusso, fluire, fiume ed è ispirata allo scorrere del tempo. Questa foto si intitola "Mi piace essere me stesso". Infine Yamamoto ama proporre i suoi scatti stampati in piccolo formato e riuniti in grosse installazioni incollati su pareti bianche, per suggerire che ciascuno scatto, ciascuna "cosa" è parte di una realtà più grande e la stampa è un oggetto in se stesso oltre che mostrare qualcosa. Tutte le foto prese dal web al solo scopo di illustrare l'opera di Masao Yamamoto, Copyright degli aventi diritto. https://www.youtube.com/watch?v=Yq9wf2wfnnw&ab_channel=fwdthinkingmuseum
  3. Silvio Renesto

    Zen e fotografia?

    Articolo ironico con contenuto serio. Questo blog esprime le mie opinioni personali, basate su quel che so, ma essendo opinioni non hanno pretesa di verità, ed è assolutamente possibile non essere d'accordo in parte o del tutto. Non è mia intenzione offendere nessuno. Credo che tutto possa essere più o meno cominciato con questo libro (questa la versione italiana, ma il libro è stato un successo enorme in tutto l'Occidente): In cui l'autore, un professore tedesco di filosofia, racconta che essendo incapace di concepire lo Zen a livello intellettuale (lo credo bene!) gli viene consigliato di provare ad avvicinarsi tramite una delle arti in cui lo Zen è presente, nel caso il tiro con l' arco giapponese, il Kyudo (kyu- arco, do- via, metodo). Il libro è breve, interessante, di piacevole lettura, e porta in appendice anche un discorso di un maestro giapponese sullo Zen e l'arte della scherma (Ken-jutsu). Il meritato successo di questo libro ha portato in tempi successivi, a partire dall'epoca buia della New Age, ad una serie infinita di altri libri dal titolo "Lo Zen e .... (mettere una qualsiasi attività a piacere)", il cui scopo, oltre alla vendita del libro, sarebbe di spiegare come con lo Zen tutte le cose vengano meglio, meravigliosamente meglio, e si sia tutti più felici. Che sarebbe proprio bello. Eh sì, non manca nemmeno "lo Zen e l'arte di scopare" di Jacopo Fo, figlio del più noto Dario. Confesso di non averlo letto. NOTA: Caso a parte è "Lo Zen e l'arte della manutenzione della Motocicletta" interessante libro biografico di M. Pirsig, dove la "manutenzione della motocicletta" è un pretesto per scrivere d'altro, un po' come le balene in Moby Dick, per cui non c'entra con i vari manuali dello "Zen e...". Tutti questi manuali presuppongono forse che chi scrive abbia raggiunto lo Zen così da poterlo insegnare ad altri (?). Implicano forse che lo Zen sia un modo, uno strumento, per fare meglio le cose, e che possa essere trasmesso con un libro? Sarà, ma da modesto cultore di alcune arti e forme di pensiero orientale da almeno quarant'anni, mi permetto di avere qualche dubbio in merito. Temo cioè che si faccia un po' di confusione, ingenuamente o astutamente, non lo so. La sensazione è che si usi il termine Zen banalizzandolo come ricettacolo di "semplici trucchi" , infilandoci con una massiccia dose di superficialità. Quindi in tutta umiltà vorrei provare a chiarire un pochino, tutto qui. Lo Zen. Lo Zen (in cinese C'han) ha origine quando il Buddhismo dall'India arrivò in Cina ed assorbì degli elementi del Taoismo (non vi tedio oltre con la storia, è facile trovare il modo di approfondire, se interessa). Dalla Cina è stato poi portato in Giappone (il nome Zen è la versione giapponese di C'han). Come tutto il Buddhismo ma, in fondo, come tutte le maggiori religioni, lo Zen è una via per la liberazione dalle sofferenze, che per i Buddhisti si ottiene raggiungendo uno stato di "risveglio" o "illuminazione", in giapponese Satori (per inciso la prima scuola di arti marziali che ho frequentato a quindici anni si chiamava pomposamente "Ryu Satori" cioè "Scuola dell'Illuminazione", ma non "illuminava" molto ). Non vado oltre, aggiungo solo che rispetto ad altre pratiche lo Zen ha un carattere più diretto, ma non per questo è più facile anzi, richiede intensa applicazione. Lo Zen, pur essendo sorto in un contesto religioso, può essere esportato anche al di fuori dall'ambito della religione, come molte altre pratiche Buddhiste, ad esempio la "mindfulness" che mi sembra sia ancora molto in voga nella psicoterapia, nel coaching aziendale e in non so cos'altro, ma che in fondo non è che una "occidentalizzazione" di alcune pratiche buddhiste di consapevolezza. Ma non sono cose facili, possono richiedere una intera vita di pratica, non ci sono semplici trucchi. Il Maestro Taisen Deshimaru, scomparso nel 1982, esperto anche di arti marziali, è fra quelli che ha diffuso lo Zen in Europa in tempi recenti. I suoi libri sono sì una valida lettura. Lo Zen e... Tornando ai libri, posso sbagliare, ma sembra che in quei "manuali" lo Zen sia visto come un qualche cosa, un metodo semplice per migliorare quel che si fa, presupponendo quindi uno scopo, un fine pratico, che è il contrario esatto dello Zen . Se pensiamo uno dei requisiti fondamentali per raggiungere lo Zen è l'essere quello che in Giapponese si dice mushotoku (privo di intenzione, di fine, di desiderio, di attaccamento), cercare di raggiungere lo Zen per ... già escluderebbe la possibilità di arrivarci. E in ogni caso è riduttivo. Il fatto può essere che la parola Zen piace, è breve , semplice ed ha appigli nell'immaginario delle persone (di un certo genere), per cui "attira" ma il concetto che c'è dietro a quella parola è profondo. E' altro. Lo Zen e la Fotografia? In Internet e sulla carta stampata non mancano titoli come "Lo Zen e la Fotografia", oppure "Fotografia Zen", anzi, ce ne sono tanti. L'impressione che ho leggendo questi articoli è che si pensi esistano delle ricette per fare una non meglio identificata "Fotografia Zen" o che un approccio Zen alla fotografia ci darà la pace interiore. Può essere benissimo che tramite una pratica intensa e rigorosa di un'arte, fotografia compresa, si arrivi alla piena maestria e questo potrebbe essere un modo di "avvicinarsi" allo Zen. E può essere benissimo anche che chi ha "capito" lo Zen (si è "risvegliato") dato che tra le tante altre cose è diventato spontaneo, sereno, calmo, attento, presente a se stesso, concentrato e non ossessionato dal risultato, di conseguenza sia in grado fotografare molto meglio di prima, anzi tutte le cose che fa gli vengono meglio che se fosse preoccupato, precipitoso, distratto, nervoso ed ansioso per il risultato. Ma da questo a dare "ricette rapide" per fotografare Zen o arrivare allo Zen ce ne passa. Io purtroppo non so dirvi come sia essere Zen, ma penso di saperne abbastanza da suggerire che nelle "semplici ricette" NON c'è lo Zen. Quindi a mio personale ed arbitrario parere, sono comunque letture simpatiche, e alcuni i consigli possono essere utili, quindi leggiamo pure i vari "Zen e la fotografia di questo e di quello" ma stiamo attenti che ... Non è necessariamente vero che se uso una fotocamera manuale a pellicola e solo obiettivi manuali del secolo passato arrivo prima allo Zen, uno può essere (o non essere) consapevole praticando con una Sony A4R o una Nikon Z6II tanto quanto con una vecchia Nikon SP. Non è necessariamente vero che lo scatto singolo è Zen, la raffica no. Non è necessariamente vero che lo street o la foto naturalisitica sono Zen e il Fashion o che altro no. Se la persona è "risvegliata" questo si riflette in qualsiasi cosa faccia. Quando Musashi capì l'arte della scherma, divenne anche un ottimo calligrafo e poeta. Non è necessariamente vero che fotografare in bianco e nero sia più Zen che fotografare a colori. Può esserlo oppure no, come sopra. Non è detto che si debba per forza fotografare pile di sassolini , giardini, ruscelletti, cespugli di bambù, paesaggi nebbiosi o gatti addormentati per fare fotografia Zen. Qualsiasi soggetto (o quasi) può esprimere lo Zen oppure (più spesso) non esprimerlo. Perchè non è tanto il soggetto che conta ma come (con che disposizione interiore) lo si fotografa, cosa che si dovrebbe riflettere nella foto e si spera, arrivare a chi la guarda. C'è qualche differenza tra le foto sopra e quelle sotto? Quali trasmettono qualcosa? Buon Anno a tutti!! Tutte le immagini sono copyright dei rispettivi aventi diritto, riprodotte solo a scopo illustrativo.
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