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  1. Chiesetta del 1100 sulle terrazze sopra Tirano (SO). l'idea era mostrare il contrasto tra l'igienizzatore e l'atmosfera dell'interno. Nikon Z6 e 24-70 f4S
  2. Vezio è un piccolo borgo appena sopra Perledo, vicino alla più famosa Varenna, in provincia di Lecco. E' un paesino caratteristico dominato da un castello millenario, antico avamposto militare, con un alto mastio merlato e cinta di mura. E' visitabile e da lì si possono ammirare interessanti scorci del Lago: Ma non mi interessa farvi vedere cartoline. Una delle particolarità del castello di Vezio è che ci sono i fantasmi. Mute presenze che accolgono i visitatori. Sono presenze benigne, nonostante nella loro immobilità mi ricordino un po' gli inquietanti Weeping Angels della serie televisiva inglese Doctor Who. Ho provato a riprenderne alcuni ambientandoli sfruttando il bianco e nero per creare un'atmosfera. Da dove vengono i fantasmi? Una leggenda parla della Regina Teodolinda che visse qui verso la fine della sua esistenza. La realtà è un po' più prosaica: Durante la manifestazione “Fantasmi al castello” nel mese di Marzo, dei volontari vengono posti in una posizione "creativa" e dopo esser stati rivestiti da una pellicola trasparente protettiva vengono ricoperti da una miscela di garza e gesso. A questo punto si deve aspettare pazientemente una mezz'oretta che l"ingessatura" solidifichi. Questa viene poi delicatamente sfilata di dosso al modello ed esposta in posizioni consone. Il composto di garza e gesso viene “sfilato” di dosso alla persona (con molta delicatezza) ed il risultate sudario è esposto negli ambienti del castello creando suggestioni d'atmosfera: così come nascono i fantasmi del castello di Vezio. Vorrei, se ne avete voglia, un vostro giudizio sulle inquadrature e, se qualcuno avesse anche voglia di dirmi come avrebbe fatto a rendere meglio l'atmosfera e le presenze (premetto: il castello non è visitabile di notte), sarei molto interessato.
  3. Ho incontrato per caso Olivier Larrey sulla rivista Black and White Photography. Mi ha subito affascinato. Olvier Larrey, francese, di sè racconta (traduzione mia dal suo sito) fin da piccolo mi appassionava l'estremo Nord. Sulle ginocchia di mia nonna ho scoperto la fauna dell'Artide mentre mi leggeva i libri illustrati di Paul-Emile Victor. Trichechi, orsi, foche e le aurore boreali hanno alimentato i miei sogni e ispirato i miei progetti. Tornerò nell'estremo Nord ancora e ancora, certamente per conoscere meglio le terre gelide, ma sicuramente per conoscere meglio me stesso. Al momento sono un fotografo naturalista professionista per in Regard du Vivant e lavoro anche come guida dell'organizzazione Decouverte du Vivant. Olivier Larrey non fotografa solo l'Artide e non fotografa solo in bianco e nero, molti dei suoi lavori comprendono splendide immagini a colori, ma quello che mi ha colpito maggiormente e su cui voglio portare l'attenzione è la magia del suo incantato bianco e nero (più bianco che nero). Prima però di lasciare spazio alle fotografie ecco dei link su Olivier Larrey (andateci a fare un giro, ne vale la pena) e su Regard du Vivant: https://olivierlarrey.org/ http://www.faunesauvage.fr/fsphotographe/larrey-olivier http://regard-du-vivant.fr/fr/equipe.html Qui alcune sue immagini a colori: https://www.photo-montier.org/fiche-exposant/taiga-regards-croises-nature-finlandaise/ Ed ecco le sue foto, non occorre che le commenti, parlano da sole. Dai suoi lavori sulla fauna nordica Da altri suoi portfolio Disclaimer: Tutte le foto qui pubblicate sono copyright (c) di Olivier Larrey e sono qui riportate al solo scopo di divulgare la sua opera.
  4. Premetto che sono un esordiente totale per quanto riguarda le tecniche di foto ritocco e le regolazioni di Photoshop... Ho scoperto questa cosa delle maschere di luminosità nell'ambito delle regolazioni per il bianco e nero, sembra sia una tecnica abbastanza diffusa ed efficace. C'è qualche Nikonlander che la usa e può consigliarne o sconsigliarne l'apprendimento ed uso ? E' fattibile applicarla in Lightroom secondo voi ? Grazie
  5. Da oltre cinquant'anni Clyde Butcher ha creato emozionanti immagini in bianco e nero dei paesaggi naturali del Nord America. Le sue fotografie trasportano chi guarda nella bellezza primordiale dei vasti orizzonti, dei panorami infiniti e nello splendore,raramente visibile, della wilderness. Le sue immagini sono coinvolgenti e ci rammentano il legame che abbiamo con il mondo della natura. Clyde Butcher nacque in Kansas nel 1942. Da bambino disegnava navi o ne costruiva dei modelli con scarti di ferro nell'officina di suo padre lattoniere. Prese una Laurea in Architettura alla California Polytechnic State University. Fu allora che scoprì di non essere bravo a disegnare e così decise di imparare da solo a fotografare per poter riprodurre i progetti di architettura senza disegnarli. Non avendo i soldi per acquistare una fotocamenra se ne costruì una a foro stenopeico. Negli anni sessanta vide una mostra fotografica di Ansel Adams allo Yosemite National Park, ne rimase così impressionato che cominciò a fotografare in bianco e nero. Nel 1970 lasciò l'architettura e si iniziò a far vedere le sue fotografie in mostre locali. Nel 1971 iniziò una nuova attività "Eye encounter Inc." che consisteva nello stampare e vendere le sue fotografie di panorami selvaggi degli Sati Uniticome decorazioni murali per grandi magazzini. Per aumentare le vendite iniziò ad usare pellicole a colori e fotocamere a formato 13x18cm . Il giro d' affari crebbe vertiginosamente e Eye Encounter divenne una ditta con moltissimi dipendenti. Clyde vendette l'attività nel 1977 a causa dello stress eccessivo e si mise a girare la Florida in barca a vela. Si stabilì con la famiglia a Ft. Myers nel 1980, iniziando a vendere i suoi paesaggi western a colori e fotografie di temi diversi. Nel 1984 fu portato a visitare una palude di cipressi dentro al Big Cypress National Preserve. Questo, disse, gli rivelò un nuovo mondo. L'immersione nella bellezza della palude lo convinse a ritornare al bianco e nero. Dopo la tragica morte del figlio diciassettenne nel 1986, Clyde trovò conforto solo nella vicinanza della natura selvaggia. Decise di tagliare ogni legame con la fotografia a colori e dedicarsi unicamente al bianco e nero. Acquistò una fotocamera formato 20x25 ed un ingranditore ed ebbe inizio la sua nuova vita di fotografo. Oltre alle Everglades per le quali è maggirmente famoso, Butcher si è impegnato a immortalare paesaggi naturali di tutto il mondo. La qualità ed importanza del suo lavoro gli hanno guadagnato ammirazione internazionale. Butcher ha inoltre realizzato documentari sull'ambiente della Florida e ha pubblicato numerosi libri. Al di là della bellezza intrinseca delle sue immagini, ciò che distingue le opere di Clyde Butcher sono le dimensioni gigantesche delle sue stampe, unite ad una nitidezza che ha dell'incredibile. Scegliendo accuratamente il formato del negativo a seconda dellel dimensionid el soggetto, Butcher riesce a produrre stampe nitidissime di dimensioni oltre i 160x300 cm, che permettono all'osservatore di immergersi nei suoi panorami . “Cerco di usare la pellicola più grande possibile epr il soggetto che voglio fotografare. Se ho un ampio panorama uso un formato 30x65 (circa). se devo fotografare cose come l'Orchidea Fantasma lavoro con una 20x25" racconta Butcher. “Voglio che la gente guardi i miei lavori da vicino” dice Butcher a proposito del suo stampare in grandi dimensioni. “Molti non conoscono quello come si vede:si vede chiaramente solo una piccola parte del tutto e in natura l'occhio scorre continuamente da un particolare all'altro e questo ci da' la percezione dell'insieme. La chiave per riprodurre questa sensazione è la nitidezza. Una stampa di tre metri e mezzo da un negativo 35mm sembrerà nitida se si rimane a distanza 10 metri, ma se ci si avvicina ad un metro sembrerà molto scarsa. Quindi per calarsi in un' immagine grande e vederla bene occorre che abbia un dettaglio molto elevato. Stampa con una Epson Stylus 4800 or una stampante 11880 con inchiostri Ultra-chrome K3 e carta Harman Hahnemuhle. Nota: Qualche mese fa Clyde Butcher è stato colpito da ictus che gli ha paralizzato il lato destro del corpo, ma ha già ripreso a muoversi con deambulatore ed è confidente che tornerà a fotografare quanto prima. Glielo auguro di cuore Tutto questo e molto altro nel sito di Clyde Butcher https://clydebutcher.com Le foto sono (C) di Clyde Butcher mostrate qui al solo scopo di illustrare la sua opera. Photos are (C) by Clyde Butcher shown here only to illustrate his art.
  6. Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Silvio Renesto il 15 agosto 2016 su nikonland.eu. La fotografia di Nick Brandt è unica, fortemente coinvolgente ed ha un solo scopo: celebrare, non documentare, la bellezza, di più, la grandezza della natura africana minacciata di distruzione. Nick Brandt fotografa per consegnare questa natura alla memoria, prima che scompaia, ma lo fa nella speranza che qualcuno si muova in tempo per preservare quel che ne rimane. Nick Brandt nasce nel 1964 in Inghilterra, studia pittura e cinematografia alla Saint Martin's School of Art. All'inizio degli anni 90 si trasferisce negli USA dove dirige alcuni video musicali di successo tra cui uno con Michael Jackson. Nel 1995, durante le riprese di uno di questi video (Earth Song) ambientato in Tanzania, si innamora della natura e degli animali d'Africa. Per alcuni anni cerca di trasmettere senza successo le sue sensazioni nei confronti di questa terra. Poi ha un'intuizione, esprimerà questo sentimento tramite la fotografia, ma una fotografia diversa. Brandt infatti sceglie di fotografare in un modo completamente diverso da quasi tutti gli altri fotografi naturalisti. Le sue immagini sono molto lontane dalla vivacità di colori e dal dinamismo che si incontra nella quasi totalità della fotografia naturalistica di oggi. Nick Brandt fotografa in bianco e nero su pellicola medio formato e non usa teleobiettivi potenti perchè, secondo lui, sono di ostacolo nel catturare l'essenza degli animali, secondo Brandt, con gli animali è come con le persone, non puoi rivelarne la personalità con un ritratto ripreso da lontano a loro insaputa.Devi essere vicino, presente (viene da chiedersi cosa faccia o cosa abbia per non venire mangiato dai leoni o calpestato da un elefante, come è successo ad altro fotografo famoso, Peter Beard, che se l'è cavata per un soffio).Afferma di amare le "sorprese" e le "imperfezioni" della pellicola, come la luce interagisce in modo inaspettato con il negativo.Secondo lui le foto troppo perfette tecnicamente non necessariamente sono migliori o più interessanti. Dal 2000 inizia il suo progetto fotografico: non documentare, ma celebrare, la bellezza, direi la grandezza, della natura africana minacciata di distruzione, per consegnarla alla memoria, prima che scompaia, nella speranza che qualcuno si muova per preservare almeno quel che ne rimane. Il suo lavoro si concretizza in una trilogia di libri i cui titoli formano in sequenza un'unica frase: "On This Earth", "A Shadow Falls", "Across The Ravaged Land" (ossia "Su questa Terra" "Si proietta un'Ombra", "Su di una terra devastata"), oltre a numerosissime mostre. Nel 2010 esasperato dal contrabbando di avorio, causa della strage degli elefanti, diviene co-fondatore della Fondazione Big Life, per la conservazione della fauna (e della natura) dell'Africa Orientale, a questo proposito scrive:"There’s little use being angry and passive. Much better to be angry and active." Ossia "serve a poco essere arrabbiati e passivi,. Molto meglio essere arrabbiati e fare qualcosa".Come non essere d'accordo. La "cosa" bianca è un cranio di elefante. Nel 2016 pubblica una mostra/installazione ed un libro intitolati "Inherit the dust" (eredita la polvere) nella quale tramite una serie di imponenti foto panoramiche documenta l'impatto umano nell'Africa Orientale luoghi dove un tempo gli animali vagavano liberi, ora non più. In ogni location, pannelli a grandezza naturale degli animali sono sovrapposti ad un ambiente di affollamento urbanistico, fabbriche, discariche e cave. Non entro nel merito dell'aspetto conservazionistico, perchè lo ritengo un argomento lungo e complesso. Mi limito alla fotografia. E' mia opinione che le sue foto siano il contrario (o comunque molto differenti come approccio) di quello che normalmente si intende come fotografia naturalistica, dove l'animale in genere viene rappresentato in modo da minimizzare o se possibile annullare (o almeno si finge di annullare) la presenza del fotografo.Inoltre le sue foto, a mio parere, hanno un certo/elevato grado di elaborazione, non so se digitale o "tradizionale", visto che parte da una pellicola. Ma questo non è un giudizio negativo, al contrario.Le fotografie di Brandt non vogliono essere neutre oppure accattivanti rappresentazioni della vita animale, vogliono invece essere personali, appassionate testimonianze di un patrimonio di bellezza senza eguali, che è già in gran parte perduto e presto scomparirà se nessuno farà nulla (come ahimé ritengo probabile). Le foto di Nick Brandt non sono descrizioni, sono... grida. I suoi animali sono fieri, maestosi o teneri, spesso tragici in un senso shakesperiano, una grandezza sconfitta dalla avidità e dalla meschinità (o forse dalla cinica, puramente darwiniana competizione di una specie molto, molto più aggressiva di quanto farebbero pensare i sui denti poco aguzzi). Le foto sono per me bellissime e se non sono "spontanee" nel senso del purismo naturalistico poco importa. Toccano il cuore (a chi ne ha uno). E questo è quel che conta.Sono immagini forti, mi ricordano un po' alcune della "Genesi" di Salgado però, pur condividendo a volte la possanza, quelle di Brandt sono intrise, di tristezza. Avete mai visto l'espressione di un gorilla allo zoo? Fiera e triste, così. Silvio Renesto per Nikonland PS, Tutte le foto sono prese da Internet e © Nick Brandt PPS Non guardate negli occhi uno scimpanzè invece, avendo il 96% del nostro DNA, un po' della "cattiveria" umana traspare...
  7. Riporto qui questo articolo scritto e pubblicato da Silvio Renesto sul suo blog su Nikonland. Da oltre cinquant'anni Clyde Butcher ha creato emozionanti immagini in bianco e nero dei paesaggi naturali del Nord America. Le sue fotografie trasportano chi guarda nella bellezza primordiale dei vasti orizzonti, dei panorami infiniti e nello splendore,raramente visibile, della wilderness. Le sue immagini sono coinvolgenti e ci rammentano il legame che abbiamo con il mondo della natura. Clyde Butcher nacque in Kansas nel 1942. Da bambino disegnava navi o ne costruiva dei modelli con scarti di ferro nell'officina di suo padre lattoniere. Prese una Laurea in Architettura alla California Polytechnic State University. Fu allora che scoprì di non essere bravo a disegnare e così decise di imparare da solo a fotografare per poter riprodurre i progetti di architettura senza disegnarli. Non avendo i soldi per acquistare una fotocamenra se ne costruì una a foro stenopeico. Negli anni sessanta vide una mostra fotografica di Ansel Adams allo Yosemite National Park, ne rimase così impressionato che cominciò a fotografare in bianco e nero. Nel 1970 lasciò l'architettura e si iniziò a far vedere le sue fotografie in mostre locali. Nel 1971 iniziò una nuova attività "Eye encounter Inc." che consisteva nello stampare e vendere le sue fotografie di panorami selvaggi degli Sati Uniticome decorazioni murali per grandi magazzini. Per aumentare le vendite iniziò ad usare pellicole a colori e fotocamere a formato 13x18cm . Il giro d' affari crebbe vertiginosamente e Eye Encounter divenne una ditta con moltissimi dipendenti. Clyde vendette l'attività nel 1977 a causa dello stress eccessivo e si mise a girare la Florida in barca a vela. Si stabilì con la famiglia a Ft. Myers nel 1980, iniziando a vendere i suoi paesaggi western a colori e fotografie di temi diversi. Nel 1984 fu portato a visitare una palude di cipressi dentro al Big Cypress National Preserve. Questo, disse, gli rivelò un nuovo mondo. L'immersione nella bellezza della palude lo convinse a ritornare al bianco e nero. Dopo la tragica morte del figlio diciassettenne nel 1986, Clyde trovò conforto solo nella vicinanza della natura selvaggia. Decise di tagliare ogni legame con la fotografia a colori e dedicarsi unicamente al bianco e nero. Acquistò una fotocamera formato 20x25 ed un ingranditore ed ebbe inizio la sua nuova vita di fotografo. Oltre alle Everglades per le quali è maggirmente famoso, Butcher si è impegnato a immortalare paesaggi naturali di tutto il mondo. La qualità ed importanza del suo lavoro gli hanno guadagnato ammirazione internazionale. Butcher ha inoltre realizzato documentari sull'ambiente della Florida e ha pubblicato numerosi libri. Al di là della bellezza intrinseca delle sue immagini, ciò che distingue le opere di Clyde Butcher sono le dimensioni gigantesche delle sue stampe, unite ad una nitidezza che ha dell'incredibile. Scegliendo accuratamente il formato del negativo a seconda dellel dimensionid el soggetto, Butcher riesce a produrre stampe nitidissime di dimensioni oltre i 160x300 cm, che permettono all'osservatore di immergersi nei suoi panorami . “Cerco di usare la pellicola più grande possibile epr il soggetto che voglio fotografare. Se ho un ampio panorama uso un formato 30x65 (circa). se devo fotografare cose come l'Orchidea Fantasma lavoro con una 20x25" racconta Butcher. “Voglio che la gente guardi i miei lavori da vicino” dice Butcher a proposito del suo stampare in grandi dimensioni. “Molti non conoscono quello come si vede:si vede chiaramente solo una piccola parte del tutto e in natura l'occhio scorre continuamente da un particolare all'altro e questo ci da' la percezione dell'insieme. La chiave per riprodurre questa sensazione è la nitidezza. Una stampa di tre metri e mezzo da un negativo 35mm sembrerà nitida se si rimane a distanza 10 metri, ma se ci si avvicina ad un metro sembrerà molto scarsa. Quindi per calarsi in un' immagine grande e vederla bene occorre che abbia un dettaglio molto elevato. Stampa con una Epson Stylus 4800 or una stampante 11880 con inchiostri Ultra-chrome K3 e carta Harman Hahnemuhle. Nota: Qualche mese fa Clyde Butcher è stato colpito da ictus che gli ha paralizzato il lato destro del corpo, ma ha già ripreso a muoversi con deambulatore ed è confidente che tornerà a fotografare quanto prima. Glielo auguro di cuore Tutto questo e molto altro nel sito di Clyde Butcher https://clydebutcher.com Le foto sono (C) di Clyde Butcher mostrate qui al solo scopo di illustrare la sua opera. Photos are (C) by Clyde Butcher shown here only to illustrate his art.
  8. Articolo scritto e pubblicato da Silvio Renesto nel suo blog. Ho scoperto Beth Moon per caso, le sue foto mi hanno subito affascinato. Una visione intensa della natura, a volte drammatica, a volte cupa o sognante, mai leziosa o banale. Ne ho scritto già su Nikonland, ma ne scrivo qui in modo un po' più esteso e aggiungendo delle foto. Forse le sue immagini più famose sono i ritratti ad alberi giganteschi o secolari. Un patrimonio di meravigliosa antica bellezza, spesso minacciato, che Beth Moon ci fa conoscere attraverso la sua sensibilità, creando immagini di forte impatto emotivo. Lei stessa nel suo sito http://www.bethmoon....ouchWood00.html scrive: "Molti degli alberi che ho fotografato sono sopravvissuti perchè fuori dal raggio della civiltà...certi esistono solo in angoli remoti del mondo...i criteri che uso per sceglier eun particolare albero sono principalmente tre : l'età, le dimensioni immense o la storia importante... essendo i più grandi e più vecchi monumenti viventi della Terra, credo che questi alberi simbolici abbiano un significato più vasto in un tempo in cui la nostra attenzione è concentrata nel trovare un modo migliore di convivere con l'ambiente". Majesty back. Le grandi querce. Sempre nel suo sito Beth Moon riporta quanto sul suo lavoro scrisse Jane Goodall : "Queste anziane sentinelle delle foreste sono tra i più antichi esseri viventi del pianeta ed è disperatamente importante fare tutto quello che è in nostro potere per farle sopravvivere...voglio che i mie nipoti ... conoscano la meraviglia di questi alberi vivi e non solo tramite fotografia... I ritratti di Beth sicuramente ispireranno molti ... ad aiutare chi lavora per salvare questi magnifici alberi". Ma Beth Moon non si limita agli alberi. Odin's Cove (la Baia di Odino) è un portfolio fortemente gotico/romantico ispirato ai corvi di Odino. Nella mitologia norrena, Huginn e Muninn sono due corvi che volano per il mondo cercando informazioni e portando notizie al loro padrone, il dio nordico Odino. Escono all'alba e ritornano la sera, si posano sulle spalle del dio e gli sussurrano le notizie nelle orecchie. I loro nomi hanno un significato: nella lingua norrena Huginn vuol dire pensiero e Muninn memoria. I Corvi Imperiali sono grandi e stupendi uccelli; nelle immagini di Beth Moon sono al tempo stesso malinconici e potenti, sembrano davvero venire dalle brume di un altro mondo. Beth Moon per la stampa utilizza anche quello che lei, citando John Stevenson, chiama "Nobile processo nell'era digitale": ossia una stampa al platino, che dice di essere nota per la luminosità e ampia scala tonale, in cui l'assenza di uno strato legante (binder layer) permette ai cristalli di platino di venire incorporati nella carta dando una tridimensionalità unica.Oltre non mi addentro... perchè non so di cosa sto parlando se Michele, bontà sua, vorrà spiegarci meglio di cosa si tratta gliene sarò grato. Insomma, non perdetevi il sito di Beth Moon e godetevi le sue immagini. http://www.bethmoon.com DISCLAIMER: Va da sè che tutte le foto di questo reportage sono opera e proprietà esclusiva di Beth Moon, qui riportate solo a scopo di illustrare la sua arte.All the photos here shown are by Beth Moon and she has the exclusive copyright, and are published here only to spread knowledge about her great art.
  9. Ho scoperto Beth Moon per caso, le sue foto mi hanno subito affascinato. Una visione intensa della natura, a volte drammatica, a volte cupa o sognante, mai leziosa o banale. Ne ho scritto già su Nikonland, ma ne scrivo qui in modo un po' più esteso e aggiungendo delle foto. Forse le sue immagini più famose sono i ritratti ad alberi giganteschi o secolari. Un patrimonio di meravigliosa antica bellezza, spesso minacciato, che Beth Moon ci fa conoscere attraverso la sua sensibilità, creando immagini di forte impatto emotivo. Lei stessa nel suo sito http://www.bethmoon....ouchWood00.html scrive: "Molti degli alberi che ho fotografato sono sopravvissuti perchè fuori dal raggio della civiltà...certi esistono solo in angoli remoti del mondo...i criteri che uso per sceglier eun particolare albero sono principalmente tre : l'età, le dimensioni immense o la storia importante... essendo i più grandi e più vecchi monumenti viventi della Terra, credo che questi alberi simbolici abbiano un significato più vasto in un tempo in cui la nostra attenzione è concentrata nel trovare un modo migliore di convivere con l'ambiente". Majesty back. Le grandi querce. Sempre nel suo sito Beth Moon riporta quanto sul suo lavoro scrisse Jane Goodall : "Queste anziane sentinelle delle foreste sono tra i più antichi esseri viventi del pianeta ed è disperatamente importante fare tutto quello che è in nostro potere per farle sopravvivere...voglio che i mie nipoti ... conoscano la meraviglia di questi alberi vivi e non solo tramite fotografia... I ritratti di Beth sicuramente ispireranno molti ... ad aiutare chi lavora per salvare questi magnifici alberi". Ma Beth Moon non si limita agli alberi. Odin's Cove (la Baia di Odino) è un portfolio fortemente gotico/romantico ispirato ai corvi di Odino. Nella mitologia norrena, Huginn e Muninn sono due corvi che volano per il mondo cercando informazioni e portando notizie al loro padrone, il dio nordico Odino. Escono all'alba e ritornano la sera, si posano sulle spalle del dio e gli sussurrano le notizie nelle orecchie. I loro nomi hanno un significato: nella lingua norrena Huginn vuol dire pensiero e Muninn memoria. I Corvi Imperiali sono grandi e stupendi uccelli; nelle immagini di Beth Moon sono al tempo stesso malinconici e potenti, sembrano davvero venire dalle brume di un altro mondo. Beth Moon per la stampa utilizza anche quello che lei, citando John Stevenson, chiama "Nobile processo nell'era digitale": ossia una stampa al platino, che dice di essere nota per la luminosità e ampia scala tonale, in cui l'assenza di uno strato legante (binder layer) permette ai cristalli di platino di venire incorporati nella carta dando una tridimensionalità unica.Oltre non mi addentro... perchè non so di cosa sto parlando se Michele, bontà sua, vorrà spiegarci meglio di cosa si tratta gliene sarò grato. Insomma, non perdetevi il sito di Beth Moon e godetevi le sue immagini. http://www.bethmoon.com DISCLAIMER: Va da sè che tutte le foto di questo reportage sono opera e proprietà esclusiva di Beth Moon, qui riportate solo a scopo di illustrare la sua arte.All the photos here shown are by Beth Moon and she has the exclusive copyright, and are published here only to spread knowledge about her great art.
  10. Questo articolo è stato originariamente scritto e pubblicato da Silvio Renesto il 27 giugno 2017 su Nikonland.eu Ho incontrato Minor White mentre cercavo commenti ad un enigma Zen intitolato "il suono di una mano sola", per caso ho scoperto che una sua foto aveva lo stesso titolo . Da lì è nata la mia curiosità, e successivamente il mio sincero interesse per questo singolare personaggio, che ho scoperto essere fra i più significativi della fotografia americana, vorrei dire internazionale. Minor White Nacque a Minneapolis nel 1908, prese un bachelor in Botanica nel 1937, poi iniziò a lavorare come fotografo nel 1937 per la Work Progress Administration, l'agenzia che durante il New Deal contribuì in modo sostanziale alla ripresa economica degli Stati Uniti. Iniziò ad insegnare fotografia fino alla chiamata alle armi nel 1942. Al termine del conflitto, si trasferì a New York dove studiò storia dell'arte ed estetica, incontrò numerose persone di spicco della fotografia artistica dell'epoca. Fra i tanti Alfred Stiegliz, con il suo concetto di "equivalenza" esercitò una profonda influenza sul pensiero di White Nel 1946 inizò ad insegnare nel programma di fotografia alla California School of Fine Arts tenuto da Ansel Adams. Adams e White divennero amici e nel 1952 fondarono la rivista Aperture magazine con Dorothea Lange, ed altri . Dal 1953 al 1957, White lavorò alla George Eastman House in Rochester. Insegnò fotografia al Rochester Institute of Technology e al Massachusetts Institute of Technology, fu co fondatore della Society for Photographic Education. Gli fu conferita una Guggenheim Fellowship nel 1970, le sue opere furono esibite in numerose mostre in musei a San Francisco, Philadelphia e Princeton. Morì nel 1976 ed è oggi considerato uno dei massimi fotografi statunitensi. La sua opera comprende vari generi, paesaggi Ritratti e studi di figure, alcuni molto intensi: Spesso i soggetti erano suoi studenti o uomini con cui aveva una relazione (White era gay, anche se data l'epoca non lo esternava, ed ebbe una vita sofferta a causa di questo). Ma le sue foto più significative sono quelle influenzate dal pensiero di Stieglitz, come ho scritto sopra: Stieglitz sosteneva che una fotografia poteva avere molti significati differenti (o che il significato di una fotografia poteva avere differenti aspetti) per cui chiamava le sue foto di nuvole e altri soggetti comuni "equivalenti", suggerendo che possedessero diversi significati alternativi che si equivalevano. White si ispirò a questo per fotografare oggetti o paesaggi formando immagini astratte che disorientavano, conducendo chi osservava, nelle intenzioni dell'autore, in profondità, oltre la superficiale percezione del soggetto. Un paesaggio (?) Nothom, Utah Nelle fotografie di White's spesso non si riesce ad essere sicuri di che cosa è rappresentato, a dispetto della descrizione fotografica precisa: Pietre,ghiaccio, vecchie ossa, foglie secche, cortecce o che? Molte sue foto riprendono il vetro ghiacciato delle finestre d'inverno: Inizi Testa vuota Faccia stupida fascia luminosa Il suono di una mano sola, la foto che mi ha fatto venire voglia di saperne di più su White. Il titolo è quello di un famoso Koan (enigma) Zen che dice: due mani quando battono insieme producono un suono, ma qual'è il suono di una mano sola ?"(I Koan sono degli enigmi che servono a risvegliare la mente, ma non approfondiamo oltre, è meglio ). La foto di White diventa sempre più solo rapporto di forme e superfici che danno, o cercano di far vedere, significati multipli, universali, in oggetti specifici. White creò delle sequenze per queste fotografie, che implicavano la possibilità di una lettura meditativa, la foto, come mezzo per una conoscenza spirituale di sè, una pratica che ispira ancora oggi molti seguaci ed è molto vicina a certo pensiero orientale. Manifestazione dello spirito (sempre vetro ghiacciato) Spesso, il titolo dela foto spiega le intenzioni, questa si intitola, "Nella gioia come nella tristezza i fiori sono sempre amici". Edera Concludo citando alcune sue frasi: Non importa quanto sia lenta la pellicola, lo Spirito sta sempre immobile abbastanza a lungo per il fotografo che lo sceglie. Lasciate che il soggetto crei la sua foto, diventate una fotocamera. Io sto sempre fotografando tutto con la mente, come esercizio. Lo stato mentale del fotografo che crea è il nulla, per chi pensasse si tratti di un vuoto statico, devo spiegare che è un vuoto molto speciale, attivo, molto recettivo pronto a cogliere l'immagine... Tutte le foto sono autoritratti. Minor White fotografato da Robert Haiko nel 1973. Le foto sono riprese dal web a solo scopo illustrativo per divulgare l'opera di Minor White Silvio Renesto
  11. Diciamo che mi sono ispirato , un (indegno) omaggio alla Genesi...
  12. Questo articolo è stato originariamente scritto e pubblicato da Silvio Renesto il 26 gennaio 2017 su Nikonland.eu Pochi fotografi sono riusciti a rendere le trasformazioni del paesaggio urbano come ha fatto per tutta la sua vita Gabriele Basilico in modo così rigoroso, ma partecipe ed al tempo stesso poetico, più pittorico a volte che documentaristico, una prospettiva intensa ed originale. L'idea di scrivere questo articolo mi è venuta dopo una chiacchierata con il mio amico Gianni, appassionato di fotografia urbana e grande estimatore di Gabriele Basilico. Incuriosito ho fatto delle ricerche e sono rimasto affascinato dallo stile di questo fotografo, così ho voluto approfondire la conoscenza e... condividerla con voi, sperando di trasmettervi la voglia di sapere di più su questo testimone del nostro tempo. Grazie quindi a Gianni. Gabriele Basilico nasce a Milano nel 1944; durante gli studi universitari si appassiona alla fotografia. Verso la fine degli anni sessanta complice un avventuroso viaggio in Iran, inizia la sua carriera di fotografo. Iran 1970 Dopo la laurea in Architettura al Politecnico di Milano (1973), si dedica completamente alla fotografia. Fotografa quasi solamente in bianco e nero (di solito su banco ottico) ed inizia con temi di indagine sociale Ma suoi interessi principali riguardano il paesaggio urbano e industriale. Col tempo diventa uno dei più affermati fotografi documentaristi europei. Realizza documentari fotografici e reportage sulle aree urbane, sul territorio, sull'architettura sia per privati che per enti pubblici. Si afferma alla fine degli anni '70, inizio anni '80 con "Ritratti di fabbriche" edito da Sugarco, un vasto reportage sulle aree industriali milanesi. E' l'unico italiano invitato nel 1984 a far parte di un progetto promosso dal governo francese per documentare i mutamenti del paesaggio contemporaneo (Mission Photographique DATAR). Le Touguet Nel 1990 gli viene conferito il “Prix Mois de la Photo” per la mostra e il libro Porti di Mare. Seguono numerosi altri progetti fra cui spicca quello su Beirut, segnata dalle devastazioni della lunghissima guerra civile. I suoi interessi si rivolgono poi alle grandi metropoli del mondo fra cui Shanghai, Rio de Janeiro,Istanbul.Le sue foto vengono esposte in innumerevoli mostre e raccolte in moltissimi libri. La lista i mostre opere e premi internazionali e no è lunghissima, mi limito a citare solo alcuni esempi. Nel 1996 espone alla Biennale di Venezia con la mostra Italy, Cross sections of a Country (con Stefano Boeri). Nel 1999 pubblica le raccolte Interrupted City e Citiscapes con oltre trecento fotografie da cui trae una serie che viene esposta allo Stedelijk Museum di Amsterdam, al CPF (Centro Portugues de Fotografia) di Porto, al MART (Museo d'Arte Moderna di Trento e Rovereto) di Trento, e al MAMBA (Museo de Arte Moderno) di Buenos Aires.Il suo lavoro sul'area metropolitana di Berlino gli vale il premio per il miglior libro fotografico dell'anno 2002 nell'ambito di Photo España.Nel 2005 pubblica il libro Scattered City, raccolta di centosessanta immagini inedite di città d'Europa. Nel 2006 pubblica il volume Photo Books 1978-2005, che raccoglie e illustra tutti i suoi libri personali e molti dei più importanti libri collettivi a cui ha preso parte Amburgo Istambul Palazzo Expo Lisbona La fotografia urbana di Basilico ha un impronta figurativa a volte che ricorda le città "metafisiche" di De Chirico e un'attenzione agli spazi che si rifà a Sironi. E' grande l'attenzione alle volumetrie urbane ed alle prospettive. Di sè diceva "sono un misuratore di spazi".Il suo ripetuto tornare sui luoghi, gli ha permesso una lucida documentazione di un mondo iche cambia in contnuazione. Glasgow Trieste Roma Documentazione non priva di una appassionata partecipazione, specialmente nei suoi lavori sulle fabbriche, vere "cattedrali del lavoro" e sui porti, che a suo dire rappresentano il suo soggetto perfetto, con le loro architetture industriali unite al cielo ed al mare. Nei suoi lavori non può certo mancare Milano, la sua città: Accanto a questi temi, relizza progetti di carattere differente, non privi a volte di ironia quali "in pieno sole", oppure "chair contact". Accanto alla produzione artistica Basilico ha tenuto numerosi seminari e workshop, ed ha scritto libri didattici come ad es. "Leggere le fotografie in docici lezioni" edito da Rizzoli-Abitare. Basilico muore a Milano il 13 febbraio 2013 . Uno dei suoi ultimi progetti del 2006, mi tocca da vicino, si tratta della documentazione di ciò che rimaneva dell'area industriale Falck, vicinissima a me, prima dell'inizio dei lavori di smantellamento. Anche in questo caso le sue immagini sono evocative, si respira il lavoro e la fatica di un tempo, così come l'abbandono di oggi. Silvio Renesto per Nikonland NOTA tutte le foto sono prese da siti diversi a solo scopo divulgativo. Basilico muore a Milano il 13 febbraio 2013 . Uno dei suoi ultimi progetti del 2006, mi tocca da vicino, si tratta della documentazione di ciò che rimaneva dell'area industriale Falck, vicinissima a me, prima dell'inizio dei lavori di smantellamento.
  13. Fotografie di Silvio Renesto e Gianni Ragno Testo di Silvio Renesto Un fenomeno culturale. Fino a pochi decenni fa il Tai Chi Chuan (Taijiquan, secondo la translitterazione moderna) in Italia era quasi sconosciuto. Capitava di vederlo nei documentari sulla Cina, dove venivano mostrate numerose ed ordinate folle che nei parchi facevano qualcosa che sembrava una strana ginnastica lenta. Negli anni Settanta/Ottanta era già una moda negli USA: Fra personaggi dell'epoca che praticavano il Taijiquan c'erano il fisico-saggista Fritjof Capra, autore de "Il Tao della Fisica" (1975) e Benjamin Hoff, che ne scrive, un po' fantasiosamente, nel suo "Tao di Winnie Pooh" (1982, libro più che delizioso) Ne scrive anche la pediatra e psicanalista francese Francoise Dolto, confrontandolo con lo Yoga. Nello stesso periodo il Taijiquan ha fatto la sua timida comparsa in Italia, insieme ad altri stili di kung-fu, con l'arrivo dei primi maestri cinesi. Dalla fine degli anni '90, grazie a numerose dimostrazioni pubbliche delle varie scuole, anche da noi la pratica del Taijiquan all'aperto si è diffusa, ed oggi molte persone si allenano nei parchi cittadini, da sole o in gruppo, con indubbio effetto coreografico e i suoi seguaci non suscitano più (tanta) curiosità o sconcerto. Il Taijiquan è ormai così famoso che dal 1999 si celebra la "Giornata Mondiale del Taijiquan", di solito il secondo sabato di Aprile. Parco Sempione Nei parchi ,Praticato nel parco, all'ombra degli alberi, si aggiunge una sensazione liberatoria, quella di muoversi in armonia con l'ambiente che ci circonda. In gruppo, all'aperto è ancora meglio, si lavora con una maggiore sintonia e serenità di spirito. Come molte altre discipline fisiche, il Taijiquan sembra dare di più quando praticato nel verde. Parco Sempione Ed è così che di solito si immagina il Taijiquan. Una mia collega ha addirittura deciso di studiarlo dopo essere rimasta affascinata da alcune scene del film Calendar Girls in cui Helen Mirrell e le sue amiche lo praticano su un bel prato di collina. Il Taijiquan all'aperto è dunque diventato un fenomeno di costume. Giardini di Porta Venezia Inizio della pratica. Parco Trotter. Per questioni logistiche ho scelto di illustrare il Taijiquan all'aperto nei parchi di Milano, con la collaborazione delle scuole che lì lo praticano (che ringrazio sentitamente per la cortesia e disponibilità), ma è ormai così comune, che avrei potuto fare lo stesso reportage in quasi tutte le città italiane. Afferrare la coda del passero. Parco Sempione L'airone (o la Gru) apre le ali. Giardini di Porta Venezia Cos' è il Taijiquan e perchè ha successo. N.B. Quanto segue è frutto della mia trentennale esperienza pratica e di documentazione. E' un quadro forzatamente incompleto e in parte soggettivo, certamente può differire da quel che avete letto o sentito. Se qualche lettore non condivide, sarò felice di approfondire, ma in ambito più consono di un forum fotografico. Taijiquan (Tai Chi Chuan) vuol dire Pugno/Pugilato/Lotta (Quan/Chuan) della Suprema Polarità, o Supremo Principio (Tai Chi/Taiji, rappresentato dal simbolo taoista bianco e nero dello Yin/Yang). Sorvolando su miti e leggende inverificabili riguardo l'origine (ad es. vecchi monaci taoisti che sognano gru e serpenti in lotta...), Taijiquan è il nome che tra il 1700 ed il 1800 è stato dato ad un' arte marziale giudicata talmente elegante ed efficace da meritarsi questo titolo quanto mai impegnativo. Il suo fondatore, Yang Lu Chan, (detto Yang l'Invincibile), la chiamava invece Mienquan (boxe di cotone), oppure Huaquan, (boxe che neutralizza), oggi è lo Stile Yang di Taijiquan. Il nome Taijiquan venne poi esteso alle arti che Yang Lu Chan avrebbe studiato per elaborare il suo metodo (soprattutto lo Stile Chen, risalente al 1300-1400), che a stili derivati (Wu, Sun e tanti altri.), così che oggi si ha una numerosa "famiglia di stili" di Taijiquan, basati su concetti comuni, ma ognuno con le sue caratteristiche. Il più diffuso fuori dalla Cina è proprio lo lo stile Yang.Il Taijiquan comprende pratiche a corpo libero e con armi (spada, sciabola, bastone ecc.) da soli e in coppia. Aggiustarsi il vestito (mantello), postura tipica dello stile Chen. Parco Sempione Il ventaglio è un' arma (aveva in origine le stecche di acciaio appuntite) che è stata introdotta successivamente nel bagaglio tecnico del Taijiquan, ma è molto coreografico. Parco Trotter. La ragione del successo. E' un'arte marziale diversa dalle altre, è considerata interna, perchè fra l'altro, il movimento e l'espressione della forza partono dal "centro" propagandosi come un'onda (dai piedi al tronco, dalla spina dorsale alle braccia). Altre arti marziali cinesi e giapponesi hanno una notevole componente "interna", ma il Taijiquan si distingue per il modo lento di praticare le "forme". Le "forme" (Lu in Cinese, Kata in Giapponese), sono presenti in quasi tutte le arti marziali tradizionali, sono delle sequenze di movimenti, un compendio delle tecniche proprie dell'arte. Il praticante le ripete per perfezionarsi nell'esecuzione, acquisire ritmo, potenza, equilibrio, coordinazione e concentrazione (nel senso di "presenza mentale"). Le "forme" vengono di solito eseguite con velocità e potenza, come se si stesse combattendo contro un avversario. Nel Taijiquan invece si eseguono le forme molto lentamente, almeno all'inizio, per consolidare e connettere le parti del corpo, sentire gli spostamenti del peso, lo scorrere del movimento e così via. Le "tecniche" sono poco esplicite, a volte quasi incomprensibili per chi osserva (anche per qualcuno che le pratica). Anche i nomi piuttosto poetici,, come è lo stile cinese, giocano un certo ruolo (Il nome spiega in modo allegorico il concetto della postura). Il serpente scende dalla collina. Stile Yang Parco Trotter. Afferrare l'ago in fondo al mare. Parco Trotter La pratica lenta e silenziosa ha una indubbia eleganza coreografica specialmente in gruppo, e non esprime violenza. Apparentemente facile (ma a farlo bene è l'esatto contrario), è associata a concetti taoisti e di medicina tradizionale, per cui attrae le persone non interessate alle arti marziali. Come ginnastica fa bene? Se si impara da un valido istruttore e si pratica come si deve fa molto bene perchè, sviluppa la capacità di "mettere in connessione" tutto il corpo, elimina le tensioni eccessive che "bloccano"; insegna come distribuire il peso nei movimenti, migliora l'equilibrio e la scioltezza, soprattutto articolare, ottenendo una struttura fisica solida ma non rigida, che contrasta efficacemente gli effetti dell'avanzare dell'età. I movimenti formano delle spirali, così che l' intero corpo è coinvolto, direi "massaggiato", ad ogni movimento, con effetti molto positivi per tutto l'organismo. Stile Chen. Parco Sempione La lentezza e la corretta esecuzione hanno effetto tonico sulla circolazione e sulla muscolatura profonda, soprattutto del tronco. Con il Taijquan si allena anche la mente perchè i movimenti sono complessi e ci vuole attenzione in quel che si sta facendo. In questo senso è "meditazione in movimento" perchè si impara a sentire il proprio corpo, ad averne consapevolezza in ogni momento. Questo attiva il cervello e il sistema nervoso in generale, con effetto rigenerante. Così praticato, il Taijiquan è molto valido e diverso da una ginnastica stereotipata. Una volta diventati esperti, sentire il movimento che attraversa il corpo, è molto appagante. In tutti questi aspetti somiglia ad alcuni tipi di danza (e ad altre arti marziali tradizionali). Frusta semplice (o singola, tradurre dal cinese ha sempre un margine di incertezza). Giardini di Porta Venezia. Non sembra (più) un'arte marziale. Oggi la stragrande maggioranza di chi pratica Taijiquan, soprattutto nello stile Yang, lo fa per la salute e per rilassarsi. Ma non è sempre stato così.Il capostipite del clan dei Chen era un militare e i suoi discendenti erano famosi per la loro abilità nel combattere, soprattutto con la lancia. Yang Lu Chan e i suoi figli addestravano la guarnigione imperiale. Yang Bahn Hou, Uno dei figli di Yang Lu Chan, aveva fama di combattente spietato, temuto dai suoi stessi studenti. Allora il Taijiquan era veramente un'arte marziale.L'allenamento era ben diverso da oggi: Intenso, quotidiano, per molte ore al giorno, comprendeva posizioni statiche per rafforzare il corpo, forme lente per connetterlo, forme veloci per esprimere la forza in modo esplosivo e penetrante. Ci si addestrava al combattimento contro avversari a mani nude e con armi, a piena forza e velocità. L'evoluzione "salutistica" iniziò a partire dagli anni '30 in Cina, quando un discendente della famiglia Yang iniziò ad ammorbidire la pratica, almeno in pubblico, enfatizzando l'aspetto benefico per la salute, a scapito di quello marziale. I movimenti fisicamente più impegnativi vennero eliminati dalla forma lenta e le forme veloci furono man mano trascurate e per lo più andarono perse. La pratica a due venne ridottaad alcuni esercizi di base. Si recuperarono trattati che collegavano la pratica con il Taoismo e la Medicina Tradizionale Cinese. Questa "svolta terapeutica" ebbe grande successo; la popolarità dello stile Yang aumentò enormemente e col tempo altri stili di Taijiquan si adeguarono, con qualche eccezione (come lo stile Chen), che mantenne, una componente più marziale. Nello stile Chen sono presenti molti movimenti "esplosivi" tipici del Taijiquan marziale. Parco Sempione L'evoluzione "morbida" venne accentuata in Occidente da correnti di pensiero "alternative" che adottarono il Taijiquan come pratica meditativa "Yoga in movimento"oppure arte marziale non violenta (un ossimoro...), arricchita di significati che i fondatori non si sarebbero immaginati (Yang "l'Invincibile" non sapeva nemmeno scrivere...). Ad oggi, gran parte dei praticanti di ogni livello, soprattutto nello stile Yang, non ha mai provato a confrontarsi con un avversario "deciso". Il Taijiquan si può praticare lentamente per la salute. Parco Trotter Parco Sempione. Ma c'è chi continua a studiare anche la parte marziale Negli ultimi anni però si è visto aumentare l'interesse per un Taijiquan un po' più concreto in alcune scuole Yang; mentre lo stile Chen (che fa ampio uso della forza "esplosiva") sta riscuotendo maggior successo. E' importante, non perchè si debba studiare il Taijiquan per combattere, ma perchè gli aspetti marziale e terapeutico sono strettamente legati: se non si conosce il significato dei movimenti è difficile ottenere i desiderati benefici per la salute. Solo sapendo che in quel movimento si sta deviando, tirando, spingendo o colpendo, l'intenzione guida il corpo a muoversi in modo corretto, regola lo spostamento del peso, la tensione muscolare, l'equilibrio, e aiuta a mantenere la struttura. Se non c'è la consapevolezza del gesto, questo rimane un movimento astratto e ci si ritrova allora con una strana ginnastica che non rafforza granchè nè corpo nè mente. La pratica delle armi del Taijiquan oggi ha sicuramente poco senso dal punto di vista combattivo (a meno che non si decida di andare in giro con una sciabola), ma rimane ugualmente utile, perchè aumenta le capacità di coordinazione e rende più impegnativo mantenere equilibrio e connessione.Chi invece fosse attratto proprio dall'aspetto marziale tradizionale del Taijiquan, trovando le scuole in cui questo viene insegnato, avrà molto da scoprire. Una diversa intepretazione di "sistemare il vestito". Giardini di Porta Venezia Nota bibliografica. Se volete informarvi sulla storia del Taijiquan, per lo stile Yang consiglio caldamente due libri:Douglas Wile (curatore) Yang Family Secret Transmissions. Sweet Chi PresseYang Jwing-Ming Tai Chi Secrets of the Yang Style. YMAA Publication Center.Sono due traduzioni degli insegnamenti (orali) trascritti dai discepoli diretti delle prime generazioni degli Yang, commentate in modo approfondito. Gli autori sono due esperti, (un sinologo docente universitario Douglas Wile, un noto maestro di Arti Marziali Yang Jwing-ing). Partendo da background diversi concordano sostanzialmente nelle interpretazioni.Chi volesse invece sapere di più su tutto il Taijiquan, la via più breve è il monumentale sito di Peter Lim Tian Tekhttp://www.itcca.it/peterlim/Abbastanza accurato, molto completo, sufficientemente documentato e di gran (e ripeto gran) lunga meglio di tanti libracci infarciti di panzane.Lasciate stare invece i manuali e le derive troppo filosofeggianti. Come avrete forse notato nel leggere l'articolo, ho omesso volontariamente i nomi delle scuole da me fotografate, delle scuole in cui ho studiato e non ho dato consigli su dove e da chi andare. Questo per non fare pubblicità a qualcuno a scapito di qualcun altro. Pregherei quindi anche chi commenta, qualora fosse praticante, di evitare di citare scuole, nel bene o nel male. Commentate le mie foto, discutete del lato sociale, culturale, storico o tecnico ma asteniamoci tutti da (auto)promozioni. Note fotografiche: per fotografare una forma di una qualsiasi arte marziale in cui i soggetti non si fermino in posa apposta per il fotografo, è meglio sapere qualcosa di quella disciplina, per individuare i momenti significativi. Questo vale ancora di più per il Taijiquan dove i singoli movimenti, pur essendo lenti, fluiscono uno nell'altro senza soluzione di continuità (se i praticanti sono bravi) per cui non si hanno degli stop fra un movimento e l'altro. Il rischio è di cogliere i movimenti in anticipo o in ritardo mancando l'espressione finale del gesto. L'altra difficoltà è che i praticanti nei parchi mostrano di vari livelli di esperienza all'interno di uno stesso gruppo; a volte l'esecuzione dei movimenti è sincrona, con effetto piacevole, altre volte invece c'è chi è in anticipo e chi in ritardo o ha posture strette o larghe; e il risultato "fermato" dall'immagine è disarmonico. Spesso di questo ci si accorge solo quando si selezionano le immagini, al momento della ripresa è difficile avere una vista d'insieme.
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