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Viandante

Nikonlander
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  1. Viandante

    Shiro - Castelli Giapponesi
    Con il passare del tempo, molto tempo, è mia intenzione postare foto dei vari castelli che ho visitato e visiterò in futuro. Per rendere il tutto più fruibile creerò via via un album per ogni castello nel quale ripeterò l'introduzione  ed aggiungerò le foto così da dare la possibilità di vedere le immagini anche di un solo castello piuttosto che di tutti. In ogni album inserirò, oltre alle classiche immagini cartolina, anche fotografie di dettagli e particolari che magari sono peculiari di un determinato luogo. Questo che presento è Kanazawa-jo (il kanji che si legge jo accanto al nome di un castello significa appunto...castello), splendido castello nel cuore di un'antica città che è famosa per l'arte, l'artigianato e la cultura, nella prefettura di Ishikawa sull'isola di Honshu e rivolta verso il Mar del Giappone.
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    Shiro
    Vi fu un tempo in Giappone durante il quale la pace era soltanto un'utopia, un'epoca di guerre e di violenza, secoli di lotte per il predominio di uomini su altri uomini. Così come nel medioevo europeo, anche in quello giapponese potenti signori feudali muovevano guerra l'uno verso l'altro in una spirale apparentemente infinita. Nonostante tutto questo il medioevo giapponese, proprio come il nostro, ha lasciato un'eredità romantica fatta di storie di coraggio e determinazione, popolata da nobili guerrieri samurai, dai loro signori con le loro corti ospitate in splendidi palazzi protetti da meravigliosi ed imponenti castelli.
    In Giappone si trovano tracce delle prime fortificazioni fin dal III° Sec. A.C. ma possiamo dire che i castelli giapponesi, per come li conosciamo oggi, vennero eretti a partire dalla metà circa del 1400 fino a fine 1600 (periodi Sengoku e Azuchi-Momoyama). In questi anni il Giappone vide il proliferare delle lotte interne tra daimyo (signori feudali) fino a che due di loro, Oda Nobunaga e Toyotomi Hideyoshi, inziarono un lento processo di unificazione del paese che culminò con l'ascesa al potere del famoso shogun Tokugawa Ieyasu ed il trasferimento della capitale del Giappone ad Edo, l'odierna Tokyo.
    Con l'unificazione del Giappone finalmente iniziò un lungo periodo di pace durante il quale i castelli persero la loro funzione e divennero solamente imponenti strutture dispendiose da mantenere. Inoltre Ieyasu emanò una legge che proibiva ai vari daimyo di possedere più di un castello, per garantirsi che i suoi sudditi non costituissero una minaccia troppo grande, e moltissimi castelli furono così demoliti. Molti altri caddero in rovina poiché erano stati abbandonati ed altri ancora furono smontati per poterne rivendere i materiali con i quali erano stati edificati. Fu così che dei circa settemila castelli che si stima esistessero in quel periodo, ne sopravvissero poche decine. In seguito a causa di varie calamità naturali, come gli incendi, o a causa delle successive guerre, per ultima la Seconda Guerra Mondiale, la maggioranza dei castelli superstiti fu parzialmente o completamente distrutta e soltanto negli ultimi decenni ne sono stati ricostruiti svariati, utilizzando tecniche antiche ma con materiali a volte del tutto moderni come il calcestruzzo.
    Ad oggi sono solamente dodici i castelli che sono giunti a noi con la loro struttura originale e, di questi, solo quattro sono considerati Tesoro Nazionale (Himeji, Hikone, Matsumoto, Inuyama) ed uno di essi addirittura Patrimonio dell'umanità dell'UNESCO (Himeji).
    Dopo secoli di declino e oblio, negli ultimi anni i castelli giapponesi hanno riconquistato un posto speciale nel cuore del popolo ed hanno anche acquistato un sempre crescente numero di fan provenienti da ogni parte del mondo. Molti castelli sono divenuti mete turistiche molto apprezzate, la maggioranza sono presi d'assalto questa volta non da eserciti di soldati bensì da moltitudini di turisti, specialmente durante il periodo della fioritura dei ciliegi che, a migliaia, adornano le mura ed i parchi intorno al corpo centrale dei castelli.
    Parte di questo successo è dovuto al fatto che
    "I castelli giapponesi non sono affatto quei tremendi bastioni di granito che si è soliti associare all’Europa. I castelli giapponesi hanno un aspetto delicato, sembrano torte nuziali decorative in cima agli alberi"
    (Cit.Will Ferguson, Autostop con Buddha).
    Si, è assolutamente vero, i castelli giapponesi sono estremamente eleganti, affascinanti, semplicemente bellissimi. Uniamo questo al fatto che molte volte sono circondati da un ampio territorio trasformato in parco o a volte sono adiacenti a degli splendidi giardini come i famosissimi Kenroku-en, Koraku-en, Koko-en ed altri, ed è facile capire il perché di questo successo.
     
    Ma veniamo al titolo che ho scelto per parlare di castelli giapponesi, Shiro.
    Shiro significa bianco ed è per questo che i castelli in Giappone sono chiamati così, a causa del candore affascinante delle mura della maggior parte di essi.
    Uno degli aspetti che mi affascinano dei castelli giapponesi è che sono strutture militari costruite secondo precisi progetti frutto di studi su attacco e difesa, su tecniche di guerra e presidio del territorio, al contempo sono così eleganti, piacevoli, imponenti certo ma con grazia infinita. Oggi possiamo sederci ad ammirarne l'eleganza e la potenza evocativa che richiama un passato glorioso e ricco di tradizioni, un tempo perduto che vive nella memoria di ogni giapponese che ha nel castello un grandioso testimone.
    Quando visitiamo un castello giapponese la prima cosa che salta agli occhi è che non sembra di camminare all'interno di una struttura militare, piuttosto sembra di visitare un giardino su più livelli con strutture create per godersi il panorama circostante. Bastioni di pietra dai quali affacciarsi, fossati con limpide acque nelle quali talvolta ammirare il riflesso delle torri o scorgere una carpa o un candido cigno, panchine all'ombra di splendidi ciliegi o aceri che sapranno regalare, ciascuno a suo tempo, una tavolozza di colori degna compagna del profilo dei tetti, un mare di petali e foglie del quale rimanere meravigliati vedendoci nuotare gli Shachihoko, le mitologiche carpe che adornano gli angoli delle torri più alte.
    Ma erano e rimangono strutture militari e trovo altresì molto interessante vedere come il passare del tempo abbia influito sulle competenze degli ingegneri che hanno costruito castelli sempre più evoluti, con fortificazioni sempre più efficaci e complesse per far fronte al contemporaneo sviluppo delle armi. Parlando dei castelli classici che conosciamo oggi possiamo trovarne esempi relativamente semplici costituiti da una o più cinte murarie, sormontate da torri e separate da vari cancelli, che proteggono un maschio (chiamato tenshukaku o tenshu) isolato come a Hikone, fino ad arrivare ad imponentissime fortezze costituite da un tenshu di dimensioni molto maggiori, collegato direttamente ad altre torri secondarie attraverso mura sormontate da corridoi coperti, intricatissimi percorsi che attraversano anche vari fossati inondati di acqua, come a Himeji. Percorsi studiati accuratamente per intralciare eventuali eserciti nemici, letteralmente decine di porte da oltrepassare, il tutto affiancato da mura irte di torri dotate di feritoie e caditoie dalle quali poter facilmente colpire i nemici con armi come archi o armi da fuoco.
    Visitando un castello giapponese è impossibile rimanere insensibili al fascino delle caratteristiche mura in pietra. Sono uno dei loro tratti distintivi, la presenza costante di mura non verticali ma più o meno inclinate, di altezza estremamente variabile. Si chiamano Ishigaki (gaki significa recinto e ishi pietre) e costituiscono sia le mura esterne che danno forma ai fossati, allagati o meno, sia le mura che creano corridoi e cortili interni, sia le possenti mura che sostengono i vari terrapieni o costituiscono le fondamenta di tenshu e torri secondarie. Sono generalmente le uniche parti in pietra costituenti queste fortezze, e tra le pochissime costruzioni in pietra dell'antico Giappone, infatti tutto il resto è fatto di legno. Ci sono comunque vari stili costruttivi, con nomi diversi, in base all'inclinazione ed al modo di lavorare ed incastrare le pietre. Le fortificazioni più antiche non disponevano di ishigaki, infatti non erano necessarie difese così massicce e stabili, a partire però dall'era Sengoku si iniziarono a costruire questo tipo di mura poiché la guerra era ormai divenuta una costante quotidiana. I primi esempi ci mostrano uno stile costruttivo che si basava sul reperire pietre in loco ed ammassarle l'una sull'altra con maestria e viene chiamato stile nozurazumi. Successivamente l'arte degli scalpellini e degli ishiku (i muratori specializzati in questo tipo di costruzioni) si affinó e le pietre furono via via lavorate sempre più precisamente ed incastrate con sempre maggior maestria permettendo di creare superfici lisce, grazie alle quali offrire pochi appigli ad eventuali nemici, ed innalzare mura sempre più alte e maestose come per esempio a Himeji, Osaka, Kumamoto e questo stile invece si chiama uchikomihagi.
    Ad un certo punto gli ishigaki assunsero un ulteriore funzione, quella di status symbol che mostrava in modo chiaro la potenza anche economica del daimyo di un castello. Infatti le fortezze divennero sempre più imponenti e richiedevano una quantità di materiali da costruzione davvero mastodontica, basti pensare che gli ishigaki del castello di Osaka contano oltre mezzo milione di pietre. Ammassare, lavorare ed impilare quantità così enormi di materiale non era certo un affare di poco conto e lo sforzo economico era davvero notevole. Poi si sviluppò un'ulteriore tradizione che voleva che i vari vassalli estraessero, scolpissero e consegnassero pietre sempre più grandi al loro signore come omaggio. In realtà era un modo per il daimyo di tenere sotto controllo le finanze dei suoi sudditi con questo tipo di richieste sempre più esose, impedire che costruissero fortezze per proprio conto ed infine reperire materiale a basso costo per loro stessi ed i loro castelli. Comunque questo fece si che in vari castelli, Osaka ne è il miglior esempio, si trovino ishigaki che inglobano pietre davvero colossali che arrivano a pesare decine di tonnellate e misurare metri e metri in larghezza ed altezza come la famosa Tako-ishi che pesa 108 tonnellate e misura oltre 59 metri quadri di superficie complessiva.
    Se gli Ishigaki, segnati da tempo e guerre, sono sopravvissuti fino ad oggi, lo stesso purtroppo non si può dire delle innumerevoli torri, chiamate Yagura, che vi erano ospitate e che, per mille motivi, sono andate perdute.
    Le funzioni di queste Yagura erano estremamente varie ed anche le strutture erano diverse per dimensioni e forme. Da quelle più semplici ad un piano (hira yagura), a quelle più comuni a due piani (niju yagura) fino a quelle più imponenti a tre piani (sanju yagura) che sono assimilabili ad un tenshu in miniatura e sono presenti solitamente soltanto nei castelli più grandi come Himeji. In effetti però in alcuni castelli dove il tenshu non fu mai costruito (Kanazawa per esempio), le yagura a tre piani svolgevano il ruolo di tenshu e prendevano il nome di gosankai yagura (nobili torri a tre piani) poiché era lì che risiedeva il daimyo durante i periodi di guerra. Potevano poi essere semplici magazzini per il cibo o per le armi ed avevano nomi diversi in base a ciò che vi si stivava, per esempio nelle shio yagura vi si conservava il sale (shio, sale), nelle yoroi yagura le armature (yoroi, armatura) e così via. Vi erano yagura che fungevano da alloggi per le truppe, torri per la protezione dei pozzi, potevano ospitare il grande tamburo che scandiva le ore o dava segnali in guerra (chiamato taiko e quindi la torre taiko yagura), postazioni di avvistamento e tantissime altre ancora.
    Tuttavia tra tutte queste tipologie di yagura, quella che mi affascina di più è certamente la rara torre per l'osservazione della luna, tsukimi yagura (tsuki significa luna e mi è il verbo miru, vedere). Sono torri nelle quali il daimyo si poteva ritirare, o intrattenere i suoi ospiti, ed osservare la luna. Sono facilmente riconoscibili perché normalmente non possiedono strutture difensive, sono costituite internamente da un singolo ambiente arioso e più lussuoso del resto del castello e possiedono pareti scorrevoli e rimovibili dalle quali vedere la luna. Per esempio nel caso della tsukimi yagura del castello di Matsumoto, si trovano tre pareti rimovibili (nord-est-sud) e un elegante corrimano esterno dipinto di rosso. Questa particolare torre fu costruita successivamente al castello, durante il periodo di pace seguito al regno di Ieyasu, e per questo non necessitava di sistemi difensivi. Per finire ci sono yagura che prendono il nome semplicemente in base alla loro posizione rispetto all'asse nord sud con nomi presi dal calendario giapponese e dai segni zodiacali.
    Dopo aver parlato però di mura e torri non è possibile concludere senza menzionare l’elemento più affascinante e caratteristico di un castello giapponese, quello che lo rappresenta maggiormente e che è la vera icona che il mondo si raffigura quando pensa a queste fortezze, il tenshu.
    Diciamo che il tenshu come lo conosciamo oggi prende vita con il castello di Azuchi, fatto erigere da Oda Nobunaga a fine 1500. Il primo stile con il quale vennero costruiti i tenshu si chiamava borogata ed era costituito da una torre di tre piani sopra la quale veniva aggiunto un edificio a due, come nel castello di Inuyama. Dopo il 1600 invece lo stile si affinò ed il tenshu fu così costituito da un edificio i cui livelli si sovrappongono regolarmente diminuendo di ampiezza con l’aumentare dell’altezza, come nel castello di Nagoya, questo stile si chiama sotogata. A dispetto dell’eleganza, raffinatezza e splendore esterno, l’interno dei tenshu è generalmente molto sobrio e privo di fronzoli, essendo in realtà una fortezza dove rifugiarsi in caso di guerra e non una residenza per i periodi di pace. Anche l’altezza dei tenshu varia da castello a castello e non solamente per mere questioni di potenza economica ma anche in funzione del luogo dove sorge l’edifico. Un castello che sorge in montagna o su una collina probabilmente non necessita di un tenshu molto alto per poter avvistare i nemici, per esempio il castello di Hikone dispone di un tenshu di soli tre piani ma è situato su un’altura dalla quale domina pianura e lago adiacenti. Viceversa un castello di pianura avrà bisogno di innalzarsi molti metri al di sopra della città che generalmente sorge intorno alla fortezza, infatti per esempio il castello di Matsumoto dispone di un tenshu a sei piani ed addirittura il castello di Aizu ha il tenshu con il maggior numero di piani in Giappone, ben nove.
    Ad ogni modo, se è vero che il tenshu attrae inevitabilmente gli sguardi e le attenzioni della maggior parte dei visitatori me compreso, spero di essere riuscito a trasmettere un po’ di quell’emozione e voglia di scoprire che mi pervade ogni qual volta visito un castello giapponese ed esploro la sua struttura per intero.
    Andrea
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    P.S. Click sulle foto per una risoluzione migliore, grazie
    Precedenti articoli:
    Castello di Matsumoto
    Castello di Okayama
    Castello di Hikone
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    Kanazawa
    La storia di questo castello risale al 1583 quando il daimyo Maeda Toshiie diede ordine di edificare una fortezza a Kanazawa.
    Prima del suo arrivo Kanazawa era una sorta di città fortezza, sostenuta da alte colline e protetta da due fiumi, principale roccaforte di una sorta di repubblica teocratica chiamata "Il Regno dei Contadini". Questa città castello fu la base sulla quale fu fondata l'attuale città di Kanazawa. La svolta più importante fu appunto nel 1583 quando il daimyo Maeda, alla guida delle forze di Toyotomi Yedeyoshi, sconfisse il rivale Morimasa (che regnava da pochi anni su Kanazawa), fece di Kanazawa la base delle sue proprietà che si estendevano su tutta la provincia di Kaga ed ordinò la costruzione del castello.
    Durante i secoli successivi questo castello fu colpito più volte da devastanti incendi il primo dei quali, nel 1602, distrusse il maschio (alto ben sei piani) che non fu mai più ricostruito.
    Fu nel 1631 che la struttura della fortificazione cambiò drasticamente, fu ampliata la seconda cinta muraria, fu costruito un fossato all'interno del castello e le dimore dei vassalli furono spostate all'esterno delle mura. In quel periodo l'aspetto della fortezza doveva essere davvero impressionante con oltre 3 chilometri di fossati interni ed un sistema di canali per fornire acqua potabile che portava l'intero complesso idrico ad una lunghezza di oltre 15 chilometri. I terreni del castello furono divisi in 9 recinti divisi e protetti da bastioni di terra,  mura di pietra e grandi cancelli fortificati.
    Le peripezie che il castello dovette attraversare non finirono lì, fu distrutto ancora nel grande incendio che nel 1759 distrusse gran parte della città ed oggi possiamo vedere il castello così com'era stato ricostruito nel 1850 e sono poche le parti risalenti al XVIII secolo arrivate fino a noi.
     
    Una di queste parti è la famosa porta d'accesso chiamata Ishikawa-mon.

     
    Il cortile interno, racchiuso tra due possenti cancelli e difeso da alte mura con numerose feritoie, passaggio obbligato per ogni eventuale aggressore.

     
    Varcando il secondo cancello e salendo una rampa lastricata ci troviamo di fronte all'impressionante corpo centrale del castello, costituito da una splendida tamon-yagura, di cui stupisce l'estensione che gli è valsa l'appellativo di "Palazzo dei 1000 tatami" poichè il tatami è da sempre considerata un'unità di misura in Giappone (la superficie di questa yagura è di quasi 1.400mq).

     
    La tamon-yagura che collega le due torri è davvero splendida e raffinata grazie a varie scelte costruttive come la particolare decorazione a quadretti del muro del primo piano con una tecnica particolare e di difficile realizzazione chiamata Namako Kabe.

     
    All'estrema destra troviamo quella che forse è la struttura più rappresentativa del castello di Kanazawa (insieme al cancello Ishikawa-mon), la yagura a tre piani chiamata Hishi Yagura (hishi = rombo e yagura = torre) che possiamo tradurre con Torre Diamante perchè la pianta non è quadrata ma romboidale con angoli di 80 e 100 gradi, cosa che ha comportato notevoli difficoltà per gli ingegneri dell'epoca.

     
    Particolare che sottolinea l'eleganza che una struttura militare può comunque avere.

     
    In questa immagine possiamo ammirare come una semplice caditoia sia stata trasformata in un'elegantissima finestra grazie ad un tetto ondulato e spiovente.
    Particolari che donano eleganza e raffinatezza al castello.

     
    Dettaglio delle mura.

     
    All'estremità sinistra della tamon-yagura invece troviamo un cancello protetto da una grande torre chiamata Tsuzuki-yagura ma il complesso prende il nome di Hashizume-mon.
    Questa era una parte molto importante e delicata del castello poichè, attraversando il ponte chiamato Hashizume, si potevano varcare due cancelli ed accedere al secondo recinto interno e quindi al cuore della fortezza.

     
    Lo stile costruttivo di questa porta, con cortile interno racchiuso tra due cancelli, è chiamato Masugata ed è lo stesso stile che contraddistingue la porta principale Ishikawa-mon.

     
    Per motivi di spazio consentito per l'upload, continuo nei commenti sotto...
  2. Viandante
    Con lo sguardo rivolto al...
    Semplicemente una serie di pontili, strutture che mi hanno sempre affascinato, collegamenti tra due mondi così diversi.
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    Andrea
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    In The Middle Of Nowhere

     
    Grey

     
    Into The Myst

     
    Line

     
    Alone

     
    Rust

     
    Blu

     
    Rust 2

  3. Viandante

    Less is More
    Less is More...
    Da qualche anno ho intrapreso, insieme alla mia compagna, un percorso di vita volto alla "riscoperta" dell'essenziale, al vivere pensando profondamente di essere parte di un tutto e non il centro di quest'ultimo.
    Non che in passato avessimo vissuto in modo sciagurato e così distante da come siamo oggi, solo che ora ne siamo molto più consapevoli.
    Inevitabilmente tutto ciò non può che riflettersi anche nel mio approccio alla fotografia.
    Ho molto diminuito la produzione, mai peraltro così elevata, e mi sono indirizzato verso il minimalismo fotografico anche come "stile di vita".
    Ho così riscoperto il piacere di fare foto che mi fanno venir voglia di essere riviste e che mi fanno pensare.
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    Andrea
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    Spirituality

     
    Cobalt Harmony

     
    Red

     
    The Thin Blue Line

     
    The Seagull

     
    Japanese Colors

     
    In The Middle Of Nowere

     
    Line

     
    Dot

     
    The Church

     
    Solitude

     
    Terrace

     
    Human

     
    Balloon Graffiti

     
     
     
  4. Viandante

    Shiro - Castelli Giapponesi
    Con il passare del tempo, molto tempo, è mia intenzione postare foto dei vari castelli che ho visitato e visiterò in futuro. Per rendere il tutto più fruibile creerò via via un album per ogni castello nel quale ripeterò l'introduzione  ed aggiungerò le foto così da dare la possibilità di vedere le immagini anche di un solo castello piuttosto che di tutti. In ogni album inserirò, oltre alle classiche immagini cartolina, anche fotografie di dettagli e particolari che magari sono peculiari di un determinato luogo. Il maniero di cui parlerò in questo articolo è uno dei castelli più belli ed antichi del Giappone, Matsumoto-jo (il kanji che si legge jo accanto al nome di un castello significa appunto...castello).
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    Shiro
    Vi fu un tempo in Giappone durante il quale la pace era soltanto un'utopia, un'epoca di guerre e di violenza, secoli di lotte per il predominio di uomini su altri uomini. Così come nel medioevo europeo, anche in quello giapponese potenti signori feudali muovevano guerra l'uno verso l'altro in una spirale apparentemente infinita. Nonostante tutto questo il medioevo giapponese, proprio come il nostro, ha lasciato un'eredità romantica fatta di storie di coraggio e determinazione, popolata da nobili guerrieri samurai, dai loro signori con le loro corti ospitate in splendidi palazzi protetti da meravigliosi ed imponenti castelli.
    In Giappone si trovano tracce delle prime fortificazioni fin dal III° Sec. A.C. ma possiamo dire che i castelli giapponesi, per come li conosciamo oggi, vennero eretti a partire dalla metà circa del 1400 fino a fine 1600 (periodi Sengoku e Azuchi-Momoyama). In questi anni il Giappone vide il proliferare delle lotte interne tra daimyo (signori feudali) fino a che due di loro, Oda Nobunaga e Toyotomi Hideyoshi, inziarono un lento processo di unificazione del paese che culminò con l'ascesa al potere del famoso shogun Tokugawa Ieyasu ed il trasferimento della capitale del Giappone ad Edo, l'odierna Tokyo.
    Con l'unificazione del Giappone finalmente iniziò un lungo periodo di pace durante il quale i castelli persero la loro funzione e divennero solamente imponenti strutture dispendiose da mantenere. Inoltre Ieyasu emanò una legge che proibiva ai vari daimyo di possedere più di un castello, per garantirsi che i suoi sudditi non costituissero una minaccia troppo grande, e moltissimi castelli furono così demoliti. Molti altri caddero in rovina poiché erano stati abbandonati ed altri ancora furono smontati per poterne rivendere i materiali con i quali erano stati edificati. Fu così che dei circa settemila castelli che si stima esistessero in quel periodo, ne sopravvissero poche decine. In seguito a causa di varie calamità naturali, come gli incendi, o a causa delle successive guerre, per ultima la Seconda Guerra Mondiale, la maggioranza dei castelli superstiti fu parzialmente o completamente distrutta e soltanto negli ultimi decenni ne sono stati ricostruiti svariati, utilizzando tecniche antiche ma con materiali a volte del tutto moderni come il calcestruzzo.
    Ad oggi sono solamente dodici i castelli che sono giunti a noi con la loro struttura originale e, di questi, solo quattro sono considerati Tesoro Nazionale (Himeji, Hikone, Matsumoto, Inuyama) ed uno di essi addirittura Patrimonio dell'umanità dell'UNESCO (Himeji).
    Dopo secoli di declino e oblio, negli ultimi anni i castelli giapponesi hanno riconquistato un posto speciale nel cuore del popolo ed hanno anche acquistato un sempre crescente numero di fan provenienti da ogni parte del mondo. Molti castelli sono divenuti mete turistiche molto apprezzate, la maggioranza sono presi d'assalto questa volta non da eserciti di soldati bensì da moltitudini di turisti, specialmente durante il periodo della fioritura dei ciliegi che, a migliaia, adornano le mura ed i parchi intorno al corpo centrale dei castelli.
    Parte di questo successo è dovuto al fatto che
    "I castelli giapponesi non sono affatto quei tremendi bastioni di granito che si è soliti associare all’Europa. I castelli giapponesi hanno un aspetto delicato, sembrano torte nuziali decorative in cima agli alberi"
    (Cit.Will Ferguson, Autostop con Buddha).
    Si, è assolutamente vero, i castelli giapponesi sono estremamente eleganti, affascinanti, semplicemente bellissimi. Uniamo questo al fatto che molte volte sono circondati da un ampio territorio trasformato in parco o a volte sono adiacenti a degli splendidi giardini come i famosissimi Kenroku-en, Koraku-en, Koko-en ed altri, ed è facile capire il perché di questo successo.
     
    Ma veniamo al titolo che ho scelto per parlare di castelli giapponesi, Shiro.
    Shiro significa bianco ed è per questo che i castelli in Giappone sono chiamati così, a causa del candore affascinante delle mura della maggior parte di essi.
    Uno degli aspetti che mi affascinano dei castelli giapponesi è che sono strutture militari costruite secondo precisi progetti frutto di studi su attacco e difesa, su tecniche di guerra e presidio del territorio, al contempo sono così eleganti, piacevoli, imponenti certo ma con grazia infinita. Oggi possiamo sederci ad ammirarne l'eleganza e la potenza evocativa che richiama un passato glorioso e ricco di tradizioni, un tempo perduto che vive nella memoria di ogni giapponese che ha nel castello un grandioso testimone.
    Quando visitiamo un castello giapponese la prima cosa che salta agli occhi è che non sembra di camminare all'interno di una struttura militare, piuttosto sembra di visitare un giardino su più livelli con strutture create per godersi il panorama circostante. Bastioni di pietra dai quali affacciarsi, fossati con limpide acque nelle quali talvolta ammirare il riflesso delle torri o scorgere una carpa o un candido cigno, panchine all'ombra di splendidi ciliegi o aceri che sapranno regalare, ciascuno a suo tempo, una tavolozza di colori degna compagna del profilo dei tetti, un mare di petali e foglie del quale rimanere meravigliati vedendoci nuotare gli Shachihoko, le mitologiche carpe che adornano gli angoli delle torri più alte.
    Ma erano e rimangono strutture militari e trovo altresì molto interessante vedere come il passare del tempo abbia influito sulle competenze degli ingegneri che hanno costruito castelli sempre più evoluti, con fortificazioni sempre più efficaci e complesse per far fronte al contemporaneo sviluppo delle armi. Parlando dei castelli classici che conosciamo oggi possiamo trovarne esempi relativamente semplici costituiti da una o più cinte murarie, sormontate da torri e separate da vari cancelli, che proteggono un maschio (chiamato tenshukaku o tenshu) isolato come a Hikone, fino ad arrivare ad imponentissime fortezze costituite da un tenshu di dimensioni molto maggiori, collegato direttamente ad altre torri secondarie attraverso mura sormontate da corridoi coperti, intricatissimi percorsi che attraversano anche vari fossati inondati di acqua, come a Himeji. Percorsi studiati accuratamente per intralciare eventuali eserciti nemici, letteralmente decine di porte da oltrepassare, il tutto affiancato da mura irte di torri dotate di feritoie e caditoie dalle quali poter facilmente colpire i nemici con armi come archi o armi da fuoco.
    Visitando un castello giapponese è impossibile rimanere insensibili al fascino delle caratteristiche mura in pietra. Sono uno dei loro tratti distintivi, la presenza costante di mura non verticali ma più o meno inclinate, di altezza estremamente variabile. Si chiamano Ishigaki (gaki significa recinto e ishi pietre) e costituiscono sia le mura esterne che danno forma ai fossati, allagati o meno, sia le mura che creano corridoi e cortili interni, sia le possenti mura che sostengono i vari terrapieni o costituiscono le fondamenta di tenshu e torri secondarie. Sono generalmente le uniche parti in pietra costituenti queste fortezze, e tra le pochissime costruzioni in pietra dell'antico Giappone, infatti tutto il resto è fatto di legno. Ci sono comunque vari stili costruttivi, con nomi diversi, in base all'inclinazione ed al modo di lavorare ed incastrare le pietre. Le fortificazioni più antiche non disponevano di ishigaki, infatti non erano necessarie difese così massicce e stabili, a partire però dall'era Sengoku si iniziarono a costruire questo tipo di mura poiché la guerra era ormai divenuta una costante quotidiana. I primi esempi ci mostrano uno stile costruttivo che si basava sul reperire pietre in loco ed ammassarle l'una sull'altra con maestria e viene chiamato stile nozurazumi. Successivamente l'arte degli scalpellini e degli ishiku (i muratori specializzati in questo tipo di costruzioni) si affinó e le pietre furono via via lavorate sempre più precisamente ed incastrate con sempre maggior maestria permettendo di creare superfici lisce, grazie alle quali offrire pochi appigli ad eventuali nemici, ed innalzare mura sempre più alte e maestose come per esempio a Himeji, Osaka, Kumamoto e questo stile invece si chiama uchikomihagi.
    Ad un certo punto gli ishigaki assunsero un ulteriore funzione, quella di status symbol che mostrava in modo chiaro la potenza anche economica del daimyo di un castello. Infatti le fortezze divennero sempre più imponenti e richiedevano una quantità di materiali da costruzione davvero mastodontica, basti pensare che gli ishigaki del castello di Osaka contano oltre mezzo milione di pietre. Ammassare, lavorare ed impilare quantità così enormi di materiale non era certo un affare di poco conto e lo sforzo economico era davvero notevole. Poi si sviluppò un'ulteriore tradizione che voleva che i vari vassalli estraessero, scolpissero e consegnassero pietre sempre più grandi al loro signore come omaggio. In realtà era un modo per il daimyo di tenere sotto controllo le finanze dei suoi sudditi con questo tipo di richieste sempre più esose, impedire che costruissero fortezze per proprio conto ed infine reperire materiale a basso costo per loro stessi ed i loro castelli. Comunque questo fece si che in vari castelli, Osaka ne è il miglior esempio, si trovino ishigaki che inglobano pietre davvero colossali che arrivano a pesare decine di tonnellate e misurare metri e metri in larghezza ed altezza come la famosa Tako-ishi che pesa 108 tonnellate e misura oltre 59 metri quadri di superficie complessiva.
    Se gli Ishigaki, segnati da tempo e guerre, sono sopravvissuti fino ad oggi, lo stesso purtroppo non si può dire delle innumerevoli torri, chiamate Yagura, che vi erano ospitate e che, per mille motivi, sono andate perdute.
    Le funzioni di queste Yagura erano estremamente varie ed anche le strutture erano diverse per dimensioni e forme. Da quelle più semplici ad un piano (hira yagura), a quelle più comuni a due piani (niju yagura) fino a quelle più imponenti a tre piani (sanju yagura) che sono assimilabili ad un tenshu in miniatura e sono presenti solitamente soltanto nei castelli più grandi come Himeji. In effetti però in alcuni castelli dove il tenshu non fu mai costruito (Kanazawa per esempio), le yagura a tre piani svolgevano il ruolo di tenshu e prendevano il nome di gosankai yagura (nobili torri a tre piani) poiché era lì che risiedeva il daimyo durante i periodi di guerra. Potevano poi essere semplici magazzini per il cibo o per le armi ed avevano nomi diversi in base a ciò che vi si stivava, per esempio nelle shio yagura vi si conservava il sale (shio, sale), nelle yoroi yagura le armature (yoroi, armatura) e così via. Vi erano yagura che fungevano da alloggi per le truppe, torri per la protezione dei pozzi, potevano ospitare il grande tamburo che scandiva le ore o dava segnali in guerra (chiamato taiko e quindi la torre taiko yagura), postazioni di avvistamento e tantissime altre ancora.
    Tuttavia tra tutte queste tipologie di yagura, quella che mi affascina di più è certamente la rara torre per l'osservazione della luna, tsukimi yagura (tsuki significa luna e mi è il verbo miru, vedere). Sono torri nelle quali il daimyo si poteva ritirare, o intrattenere i suoi ospiti, ed osservare la luna. Sono facilmente riconoscibili perché normalmente non possiedono strutture difensive, sono costituite internamente da un singolo ambiente arioso e più lussuoso del resto del castello e possiedono pareti scorrevoli e rimovibili dalle quali vedere la luna. Per esempio nel caso della tsukimi yagura del castello di Matsumoto, si trovano tre pareti rimovibili (nord-est-sud) e un elegante corrimano esterno dipinto di rosso. Questa particolare torre fu costruita successivamente al castello, durante il periodo di pace seguito al regno di Ieyasu, e per questo non necessitava di sistemi difensivi. Per finire ci sono yagura che prendono il nome semplicemente in base alla loro posizione rispetto all'asse nord sud con nomi presi dal calendario giapponese e dai segni zodiacali.
    Dopo aver parlato però di mura e torri non è possibile concludere senza menzionare l’elemento più affascinante e caratteristico di un castello giapponese, quello che lo rappresenta maggiormente e che è la vera icona che il mondo si raffigura quando pensa a queste fortezze, il tenshu.
    Diciamo che il tenshu come lo conosciamo oggi prende vita con il castello di Azuchi, fatto erigere da Oda Nobunaga a fine 1500. Il primo stile con il quale vennero costruiti i tenshu si chiamava borogata ed era costituito da una torre di tre piani sopra la quale veniva aggiunto un edificio a due, come nel castello di Inuyama. Dopo il 1600 invece lo stile si affinò ed il tenshu fu così costituito da un edificio i cui livelli si sovrappongono regolarmente diminuendo di ampiezza con l’aumentare dell’altezza, come nel castello di Nagoya, questo stile si chiama sotogata. A dispetto dell’eleganza, raffinatezza e splendore esterno, l’interno dei tenshu è generalmente molto sobrio e privo di fronzoli, essendo in realtà una fortezza dove rifugiarsi in caso di guerra e non una residenza per i periodi di pace. Anche l’altezza dei tenshu varia da castello a castello e non solamente per mere questioni di potenza economica ma anche in funzione del luogo dove sorge l’edifico. Un castello che sorge in montagna o su una collina probabilmente non necessita di un tenshu molto alto per poter avvistare i nemici, per esempio il castello di Hikone dispone di un tenshu di soli tre piani ma è situato su un’altura dalla quale domina pianura e lago adiacenti. Viceversa un castello di pianura avrà bisogno di innalzarsi molti metri al di sopra della città che generalmente sorge intorno alla fortezza, infatti per esempio il castello di Matsumoto dispone di un tenshu a sei piani ed addirittura il castello di Aizu ha il tenshu con il maggior numero di piani in Giappone, ben nove.
    Ad ogni modo, se è vero che il tenshu attrae inevitabilmente gli sguardi e le attenzioni della maggior parte dei visitatori me compreso, spero di essere riuscito a trasmettere un po’ di quell’emozione e voglia di scoprire che mi pervade ogni qual volta visito un castello giapponese ed esploro la sua struttura per intero.
    Andrea
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    P.S. Click sulle foto per una risoluzione migliore, grazie
    Precedenti articoli:
    Castello di Okayama
    Castello di Hikone
    Castello di Kanazawa
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    MATSUMOTO
    Benchè la prima fortezza costruita sul luogo risalga al periodo Sengoku, il castello così come lo vediamo oggi è stato eretto a partire dal 1593 da parte del daimyo Ishikawa Norimasa e suo figlio Yasunaga. E' uno dei quattro castelli Tesoro Nazionale ed è anche uno dei pochi ad essere laccato di nero. Questo suo colore ed il fatto che si affacci su un fossato enorme, gli hanno conferito il soprannome di Castello del Cormorano.

     
    In primo piano l'elegante ponte chiamato Uzumibashi

     
    Il tenshu si riflette nell'immenso fossato che, nel punto di ripresa della foto, è largo ben 60mt.

     
    L'ultima porta da oltrepassare per accedere al tenshu è chiamata Kuro-mon

     
    Un dettaglio del lato destro della Kuro-mon e, più specificatamente, della torre che affianca il possente secondo cancello interno

     
    Una volta oltrepassata la porta principale si accede all'area del tesnhu e la vista è mozzafiato per l'imponenza del castello, quasi 30 metri di altezza massima. In primo piano si possono vedere le tracce che delimitavano gli edifici che fungevano da residenza privata del daimyo e che non sono giunti fino a noi. La torre a destra del tenshu si chiama Inui Kotenshu ed è collegata al maschio tramite una particolare yagura che prende il nome di watari yagura. Alla sinistra del corpo principale, connessa direttamente, invece troviamo la tatsumi tsukeyagura (dal verbo tsukeru, legare) con annessa in primo piano con il corrimano rosso una hira yagura ad un solo piano che, nello specifico, è la tsukimi-yagura di cui ho parlato nell'introduzione.

     
    Ma è quando ci si avvicina ad essa che possiamo apprezzarne meglio l'eleganza, con le sue forme slanciate ed il magnifico contrasto di colori che la contraddistingue

     
    Per motivi di spazio consentito per l'upload, continuo nei commenti sotto...
     
  5. Viandante

    Shiro - Castelli Giapponesi
    Con il passare del tempo, molto tempo, è mia intenzione postare foto dei vari castelli che ho visitato e visiterò in futuro. Per rendere il tutto più fruibile creerò via via un album per ogni castello nel quale ripeterò l'introduzione  ed aggiungerò le foto così da dare la possibilità di vedere le immagini anche di un solo castello piuttosto che di tutti. In ogni album inserirò, oltre alle classiche immagini cartolina, anche fotografie di dettagli e particolari che magari sono peculiari di un determinato luogo. Questo che presento è Okayama-jo (il kanji che si legge jo accanto al nome di un castello significa appunto...castello), stupendo castello che si trova nell'omonima città, nella zona Chugoku sull'isola principale di Honshu.
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    Shiro
    Vi fu un tempo in Giappone durante il quale la pace era soltanto un'utopia, un'epoca di guerre e di violenza, secoli di lotte per il predominio di uomini su altri uomini. Così come nel medioevo europeo, anche in quello giapponese potenti signori feudali muovevano guerra l'uno verso l'altro in una spirale apparentemente infinita. Nonostante tutto questo il medioevo giapponese, proprio come il nostro, ha lasciato un'eredità romantica fatta di storie di coraggio e determinazione, popolata da nobili guerrieri samurai, dai loro signori con le loro corti ospitate in splendidi palazzi protetti da meravigliosi ed imponenti castelli.
    In Giappone si trovano tracce delle prime fortificazioni fin dal III° Sec. A.C. ma possiamo dire che i castelli giapponesi, per come li conosciamo oggi, vennero eretti a partire dalla metà circa del 1400 fino a fine 1600 (periodi Sengoku e Azuchi-Momoyama). In questi anni il Giappone vide il proliferare delle lotte interne tra daimyo (signori feudali) fino a che due di loro, Oda Nobunaga e Toyotomi Hideyoshi, inziarono un lento processo di unificazione del paese che culminò con l'ascesa al potere del famoso shogun Tokugawa Ieyasu ed il trasferimento della capitale del Giappone ad Edo, l'odierna Tokyo.
    Con l'unificazione del Giappone finalmente iniziò un lungo periodo di pace durante il quale i castelli persero la loro funzione e divennero solamente imponenti strutture dispendiose da mantenere. Inoltre Ieyasu emanò una legge che proibiva ai vari daimyo di possedere più di un castello, per garantirsi che i suoi sudditi non costituissero una minaccia troppo grande, e moltissimi castelli furono così demoliti. Molti altri caddero in rovina poiché erano stati abbandonati ed altri ancora furono smontati per poterne rivendere i materiali con i quali erano stati edificati. Fu così che dei circa settemila castelli che si stima esistessero in quel periodo, ne sopravvissero poche decine. In seguito a causa di varie calamità naturali, come gli incendi, o a causa delle successive guerre, per ultima la Seconda Guerra Mondiale, la maggioranza dei castelli superstiti fu parzialmente o completamente distrutta e soltanto negli ultimi decenni ne sono stati ricostruiti svariati, utilizzando tecniche antiche ma con materiali a volte del tutto moderni come il calcestruzzo.
    Ad oggi sono solamente dodici i castelli che sono giunti a noi con la loro struttura originale e, di questi, solo quattro sono considerati Tesoro Nazionale (Himeji, Hikone, Matsumoto, Inuyama) ed uno di essi addirittura Patrimonio dell'umanità dell'UNESCO (Himeji).
    Dopo secoli di declino e oblio, negli ultimi anni i castelli giapponesi hanno riconquistato un posto speciale nel cuore del popolo ed hanno anche acquistato un sempre crescente numero di fan provenienti da ogni parte del mondo. Molti castelli sono divenuti mete turistiche molto apprezzate, la maggioranza sono presi d'assalto questa volta non da eserciti di soldati bensì da moltitudini di turisti, specialmente durante il periodo della fioritura dei ciliegi che, a migliaia, adornano le mura ed i parchi intorno al corpo centrale dei castelli.
    Parte di questo successo è dovuto al fatto che
    "I castelli giapponesi non sono affatto quei tremendi bastioni di granito che si è soliti associare all’Europa. I castelli giapponesi hanno un aspetto delicato, sembrano torte nuziali decorative in cima agli alberi"
    (Cit.Will Ferguson, Autostop con Buddha).
    Si, è assolutamente vero, i castelli giapponesi sono estremamente eleganti, affascinanti, semplicemente bellissimi. Uniamo questo al fatto che molte volte sono circondati da un ampio territorio trasformato in parco o a volte sono adiacenti a degli splendidi giardini come i famosissimi Kenroku-en, Koraku-en, Koko-en ed altri, ed è facile capire il perché di questo successo.
     
    Ma veniamo al titolo che ho scelto per parlare di castelli giapponesi, Shiro.
    Shiro significa bianco ed è per questo che i castelli in Giappone sono chiamati così, a causa del candore affascinante delle mura della maggior parte di essi.
    Uno degli aspetti che mi affascinano dei castelli giapponesi è che sono strutture militari costruite secondo precisi progetti frutto di studi su attacco e difesa, su tecniche di guerra e presidio del territorio, al contempo sono così eleganti, piacevoli, imponenti certo ma con grazia infinita. Oggi possiamo sederci ad ammirarne l'eleganza e la potenza evocativa che richiama un passato glorioso e ricco di tradizioni, un tempo perduto che vive nella memoria di ogni giapponese che ha nel castello un grandioso testimone.
    Quando visitiamo un castello giapponese la prima cosa che salta agli occhi è che non sembra di camminare all'interno di una struttura militare, piuttosto sembra di visitare un giardino su più livelli con strutture create per godersi il panorama circostante. Bastioni di pietra dai quali affacciarsi, fossati con limpide acque nelle quali talvolta ammirare il riflesso delle torri o scorgere una carpa o un candido cigno, panchine all'ombra di splendidi ciliegi o aceri che sapranno regalare, ciascuno a suo tempo, una tavolozza di colori degna compagna del profilo dei tetti, un mare di petali e foglie del quale rimanere meravigliati vedendoci nuotare gli Shachihoko, le mitologiche carpe che adornano gli angoli delle torri più alte.
    Ma erano e rimangono strutture militari e trovo altresì molto interessante vedere come il passare del tempo abbia influito sulle competenze degli ingegneri che hanno costruito castelli sempre più evoluti, con fortificazioni sempre più efficaci e complesse per far fronte al contemporaneo sviluppo delle armi. Parlando dei castelli classici che conosciamo oggi possiamo trovarne esempi relativamente semplici costituiti da una o più cinte murarie, sormontate da torri e separate da vari cancelli, che proteggono un maschio (chiamato tenshukaku o tenshu) isolato come a Hikone, fino ad arrivare ad imponentissime fortezze costituite da un tenshu di dimensioni molto maggiori, collegato direttamente ad altre torri secondarie attraverso mura sormontate da corridoi coperti, intricatissimi percorsi che attraversano anche vari fossati inondati di acqua, come a Himeji. Percorsi studiati accuratamente per intralciare eventuali eserciti nemici, letteralmente decine di porte da oltrepassare, il tutto affiancato da mura irte di torri dotate di feritoie e caditoie dalle quali poter facilmente colpire i nemici con armi come archi o armi da fuoco.
    Visitando un castello giapponese è impossibile rimanere insensibili al fascino delle caratteristiche mura in pietra. Sono uno dei loro tratti distintivi, la presenza costante di mura non verticali ma più o meno inclinate, di altezza estremamente variabile. Si chiamano Ishigaki (gaki significa recinto e ishi pietre) e costituiscono sia le mura esterne che danno forma ai fossati, allagati o meno, sia le mura che creano corridoi e cortili interni, sia le possenti mura che sostengono i vari terrapieni o costituiscono le fondamenta di tenshu e torri secondarie. Sono generalmente le uniche parti in pietra costituenti queste fortezze, e tra le pochissime costruzioni in pietra dell'antico Giappone, infatti tutto il resto è fatto di legno. Ci sono comunque vari stili costruttivi, con nomi diversi, in base all'inclinazione ed al modo di lavorare ed incastrare le pietre. Le fortificazioni più antiche non disponevano di ishigaki, infatti non erano necessarie difese così massicce e stabili, a partire però dall'era Sengoku si iniziarono a costruire questo tipo di mura poiché la guerra era ormai divenuta una costante quotidiana. I primi esempi ci mostrano uno stile costruttivo che si basava sul reperire pietre in loco ed ammassarle l'una sull'altra con maestria e viene chiamato stile nozurazumi. Successivamente l'arte degli scalpellini e degli ishiku (i muratori specializzati in questo tipo di costruzioni) si affinó e le pietre furono via via lavorate sempre più precisamente ed incastrate con sempre maggior maestria permettendo di creare superfici lisce, grazie alle quali offrire pochi appigli ad eventuali nemici, ed innalzare mura sempre più alte e maestose come per esempio a Himeji, Osaka, Kumamoto e questo stile invece si chiama uchikomihagi.
    Ad un certo punto gli ishigaki assunsero un ulteriore funzione, quella di status symbol che mostrava in modo chiaro la potenza anche economica del daimyo di un castello. Infatti le fortezze divennero sempre più imponenti e richiedevano una quantità di materiali da costruzione davvero mastodontica, basti pensare che gli ishigaki del castello di Osaka contano oltre mezzo milione di pietre. Ammassare, lavorare ed impilare quantità così enormi di materiale non era certo un affare di poco conto e lo sforzo economico era davvero notevole. Poi si sviluppò un'ulteriore tradizione che voleva che i vari vassalli estraessero, scolpissero e consegnassero pietre sempre più grandi al loro signore come omaggio. In realtà era un modo per il daimyo di tenere sotto controllo le finanze dei suoi sudditi con questo tipo di richieste sempre più esose, impedire che costruissero fortezze per proprio conto ed infine reperire materiale a basso costo per loro stessi ed i loro castelli. Comunque questo fece si che in vari castelli, Osaka ne è il miglior esempio, si trovino ishigaki che inglobano pietre davvero colossali che arrivano a pesare decine di tonnellate e misurare metri e metri in larghezza ed altezza come la famosa Tako-ishi che pesa 108 tonnellate e misura oltre 59 metri quadri di superficie complessiva.
    Se gli Ishigaki, segnati da tempo e guerre, sono sopravvissuti fino ad oggi, lo stesso purtroppo non si può dire delle innumerevoli torri, chiamate Yagura, che vi erano ospitate e che, per mille motivi, sono andate perdute.
    Le funzioni di queste Yagura erano estremamente varie ed anche le strutture erano diverse per dimensioni e forme. Da quelle più semplici ad un piano (hira yagura), a quelle più comuni a due piani (niju yagura) fino a quelle più imponenti a tre piani (sanju yagura) che sono assimilabili ad un tenshu in miniatura e sono presenti solitamente soltanto nei castelli più grandi come Himeji. In effetti però in alcuni castelli dove il tenshu non fu mai costruito (Kanazawa per esempio), le yagura a tre piani svolgevano il ruolo di tenshu e prendevano il nome di gosankai yagura (nobili torri a tre piani) poiché era lì che risiedeva il daimyo durante i periodi di guerra. Potevano poi essere semplici magazzini per il cibo o per le armi ed avevano nomi diversi in base a ciò che vi si stivava, per esempio nelle shio yagura vi si conservava il sale (shio, sale), nelle yoroi yagura le armature (yoroi, armatura) e così via. Vi erano yagura che fungevano da alloggi per le truppe, torri per la protezione dei pozzi, potevano ospitare il grande tamburo che scandiva le ore o dava segnali in guerra (chiamato taiko e quindi la torre taiko yagura), postazioni di avvistamento e tantissime altre ancora.
    Tuttavia tra tutte queste tipologie di yagura, quella che mi affascina di più è certamente la rara torre per l'osservazione della luna, tsukimi yagura (tsuki significa luna e mi è il verbo miru, vedere). Sono torri nelle quali il daimyo si poteva ritirare, o intrattenere i suoi ospiti, ed osservare la luna. Sono facilmente riconoscibili perché normalmente non possiedono strutture difensive, sono costituite internamente da un singolo ambiente arioso e più lussuoso del resto del castello e possiedono pareti scorrevoli e rimovibili dalle quali vedere la luna. Per esempio nel caso della tsukimi yagura del castello di Matsumoto, si trovano tre pareti rimovibili (nord-est-sud) e un elegante corrimano esterno dipinto di rosso. Questa particolare torre fu costruita successivamente al castello, durante il periodo di pace seguito al regno di Ieyasu, e per questo non necessitava di sistemi difensivi. Per finire ci sono yagura che prendono il nome semplicemente in base alla loro posizione rispetto all'asse nord sud con nomi presi dal calendario giapponese e dai segni zodiacali.
    Dopo aver parlato però di mura e torri non è possibile concludere senza menzionare l’elemento più affascinante e caratteristico di un castello giapponese, quello che lo rappresenta maggiormente e che è la vera icona che il mondo si raffigura quando pensa a queste fortezze, il tenshu.
    Diciamo che il tenshu come lo conosciamo oggi prende vita con il castello di Azuchi, fatto erigere da Oda Nobunaga a fine 1500. Il primo stile con il quale vennero costruiti i tenshu si chiamava borogata ed era costituito da una torre di tre piani sopra la quale veniva aggiunto un edificio a due, come nel castello di Inuyama. Dopo il 1600 invece lo stile si affinò ed il tenshu fu così costituito da un edificio i cui livelli si sovrappongono regolarmente diminuendo di ampiezza con l’aumentare dell’altezza, come nel castello di Nagoya, questo stile si chiama sotogata. A dispetto dell’eleganza, raffinatezza e splendore esterno, l’interno dei tenshu è generalmente molto sobrio e privo di fronzoli, essendo in realtà una fortezza dove rifugiarsi in caso di guerra e non una residenza per i periodi di pace. Anche l’altezza dei tenshu varia da castello a castello e non solamente per mere questioni di potenza economica ma anche in funzione del luogo dove sorge l’edifico. Un castello che sorge in montagna o su una collina probabilmente non necessita di un tenshu molto alto per poter avvistare i nemici, per esempio il castello di Hikone dispone di un tenshu di soli tre piani ma è situato su un’altura dalla quale domina pianura e lago adiacenti. Viceversa un castello di pianura avrà bisogno di innalzarsi molti metri al di sopra della città che generalmente sorge intorno alla fortezza, infatti per esempio il castello di Matsumoto dispone di un tenshu a sei piani ed addirittura il castello di Aizu ha il tenshu con il maggior numero di piani in Giappone, ben nove.
    Ad ogni modo, se è vero che il tenshu attrae inevitabilmente gli sguardi e le attenzioni della maggior parte dei visitatori me compreso, spero di essere riuscito a trasmettere un po’ di quell’emozione e voglia di scoprire che mi pervade ogni qual volta visito un castello giapponese ed esploro la sua struttura per intero.
    Andrea
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    P.S. Click sulle foto per una risoluzione migliore, grazie
    Precedenti articoli:
    Castello di Matsumoto
    Castello di Hikone
    Castello di Kanazawa
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    OKAYAMA
    Il castello di Okayama si innalza elegante alle spalle del giardino Korakuen.
    Il giardino, uno dei tre considerati i più belli del Giappone, fu costruito a partire dal 1687 dal vassallo Tsuda Nagatada per ordine del daimyo Ikeda Tsunamasa e fu completato nel 1700.
    Fondamentalmente è rimasto invariato nei secoli fino ad oggi ed è un posto magico, nel quale respirare l'atmosfera di quel periodo se si ha l'accortezza di visitarlo in orari e periodi nel quale sia praticamente privo dei tantissimi turisti che normalmente lo affollano. Questo tipo di giardini veniva ideato generalmente come luogo di svago e relax per il signore del vicino castello e, nelle costruzioni edificate al suo interno, venivano anche accolti gli ospiti più importanti.
     

     
    Il vicino fiume Asahi fu deviato ed usato come fossato protettivo per la parte posteriore del castello e, attraversandolo, si può godere di una splendida vista del tenshu e riconoscerne lo stile architettonico classico del periodo Azuchi-Momoyama.

     
    Quando si giunge alla base del tenshu possiamo apprezzarne meglio la complessa struttura. Infatti la sua base è a pianta pentagonale irregolare, cosa che rende questo edificio decisamente inconsueto rispetto al resto dei castelli giapponesi.

     
    La porta principale, chiamata Roka-mon, protetta dalle alte mura tempestate di feritoie dalle quali i difensori potevano facilmente colpire i nemici in avvicinamento.

     
    Una volta oltrepassata la porta ci aspetta un altra cinta muraria, meno imponente della prima ma ugualmente difficile da espugnare.

     
    Nel dettaglio si può apprezzare la struttura esterna di questa seconda cinta muraria e lo stile costruttivo delle mura stesse che, come abbiamo letto nell'introduzione, viene chiamato Nozura-zumi.

     
    Ci sono soltanto due porte che interrompono quest'ultime mura, una porta è piccola e nascosta, inadatta al passaggio delle truppe invasori, l'altra è ben più grande e fortificata ed è chiamata Akazu-no-mon.
    Questa porta è un perfetto esempio di Yagura-mon (come abbiamo detto nell'introduzione Yagura significa torre, mentre mon significa cancello) e quindi abbiamo una torre costruita direttamente sopra al cancello, perfetta per proteggerlo dagli assalti nemici.

     
    Da quest'angolazione si può capire meglio anche l'altezza che le mura raggiungono in determinati punti, cosa che obbligava gli assalitori a cercare forzatamente di abbattere i cancelli protetti.

     
    Per motivi di spazio consentito per l'upload, continuo nei commenti sotto...
     
  6. Viandante

    Shiro - Castelli Giapponesi
    Con il passare del tempo, molto tempo, è mia intenzione postare foto dei vari castelli che ho visitato e visiterò in futuro. Per rendere il tutto più fruibile creerò via via un album per ogni castello nel quale ripeterò l'introduzione  ed aggiungerò le foto così da dare la possibilità di vedere le immagini anche di un solo castello piuttosto che di tutti. In ogni album inserirò, oltre alle classiche immagini cartolina, anche fotografie di dettagli e particolari che magari sono peculiari di un determinato luogo. Questo che presento è Hikone-jo (il kanji che si legge jo accanto al nome di un castello significa appunto...castello), piccolo ma delizioso castello che sorge sulla riva ovest dell'immenso lago Biwa nel centro di Honshu, nella prefettura di Shiga tra le prefetture di Kyoto e Nagoya.
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    Shiro
    Vi fu un tempo in Giappone durante il quale la pace era soltanto un'utopia, un'epoca di guerre e di violenza, secoli di lotte per il predominio di uomini su altri uomini. Così come nel medioevo europeo, anche in quello giapponese potenti signori feudali muovevano guerra l'uno verso l'altro in una spirale apparentemente infinita. Nonostante tutto questo il medioevo giapponese, proprio come il nostro, ha lasciato un'eredità romantica fatta di storie di coraggio e determinazione, popolata da nobili guerrieri samurai, dai loro signori con le loro corti ospitate in splendidi palazzi protetti da meravigliosi ed imponenti castelli.
    In Giappone si trovano tracce delle prime fortificazioni fin dal III° Sec. A.C. ma possiamo dire che i castelli giapponesi, per come li conosciamo oggi, vennero eretti a partire dalla metà circa del 1400 fino a fine 1600 (periodi Sengoku e Azuchi-Momoyama). In questi anni il Giappone vide il proliferare delle lotte interne tra daimyo (signori feudali) fino a che due di loro, Oda Nobunaga e Toyotomi Hideyoshi, inziarono un lento processo di unificazione del paese che culminò con l'ascesa al potere del famoso shogun Tokugawa Ieyasu ed il trasferimento della capitale del Giappone ad Edo, l'odierna Tokyo.
    Con l'unificazione del Giappone finalmente iniziò un lungo periodo di pace durante il quale i castelli persero la loro funzione e divennero solamente imponenti strutture dispendiose da mantenere. Inoltre Ieyasu emanò una legge che proibiva ai vari daimyo di possedere più di un castello, per garantirsi che i suoi sudditi non costituissero una minaccia troppo grande, e moltissimi castelli furono così demoliti. Molti altri caddero in rovina poiché erano stati abbandonati ed altri ancora furono smontati per poterne rivendere i materiali con i quali erano stati edificati. Fu così che dei circa settemila castelli che si stima esistessero in quel periodo, ne sopravvissero poche decine. In seguito a causa di varie calamità naturali, come gli incendi, o a causa delle successive guerre, per ultima la Seconda Guerra Mondiale, la maggioranza dei castelli superstiti fu parzialmente o completamente distrutta e soltanto negli ultimi decenni ne sono stati ricostruiti svariati, utilizzando tecniche antiche ma con materiali a volte del tutto moderni come il calcestruzzo.
    Ad oggi sono solamente dodici i castelli che sono giunti a noi con la loro struttura originale e, di questi, solo quattro sono considerati Tesoro Nazionale (Himeji, Hikone, Matsumoto, Inuyama) ed uno di essi addirittura Patrimonio dell'umanità dell'UNESCO (Himeji).
    Dopo secoli di declino e oblio, negli ultimi anni i castelli giapponesi hanno riconquistato un posto speciale nel cuore del popolo ed hanno anche acquistato un sempre crescente numero di fan provenienti da ogni parte del mondo. Molti castelli sono divenuti mete turistiche molto apprezzate, la maggioranza sono presi d'assalto questa volta non da eserciti di soldati bensì da moltitudini di turisti, specialmente durante il periodo della fioritura dei ciliegi che, a migliaia, adornano le mura ed i parchi intorno al corpo centrale dei castelli.
    Parte di questo successo è dovuto al fatto che
    "I castelli giapponesi non sono affatto quei tremendi bastioni di granito che si è soliti associare all’Europa. I castelli giapponesi hanno un aspetto delicato, sembrano torte nuziali decorative in cima agli alberi"
    (Cit.Will Ferguson, Autostop con Buddha).
    Si, è assolutamente vero, i castelli giapponesi sono estremamente eleganti, affascinanti, semplicemente bellissimi. Uniamo questo al fatto che molte volte sono circondati da un ampio territorio trasformato in parco o a volte sono adiacenti a degli splendidi giardini come i famosissimi Kenroku-en, Koraku-en, Koko-en ed altri, ed è facile capire il perché di questo successo.
     
    Ma veniamo al titolo che ho scelto per parlare di castelli giapponesi, Shiro.
    Shiro significa bianco ed è per questo che i castelli in Giappone sono chiamati così, a causa del candore affascinante delle mura della maggior parte di essi.
    Uno degli aspetti che mi affascinano dei castelli giapponesi è che sono strutture militari costruite secondo precisi progetti frutto di studi su attacco e difesa, su tecniche di guerra e presidio del territorio, al contempo sono così eleganti, piacevoli, imponenti certo ma con grazia infinita. Oggi possiamo sederci ad ammirarne l'eleganza e la potenza evocativa che richiama un passato glorioso e ricco di tradizioni, un tempo perduto che vive nella memoria di ogni giapponese che ha nel castello un grandioso testimone.
    Quando visitiamo un castello giapponese la prima cosa che salta agli occhi è che non sembra di camminare all'interno di una struttura militare, piuttosto sembra di visitare un giardino su più livelli con strutture create per godersi il panorama circostante. Bastioni di pietra dai quali affacciarsi, fossati con limpide acque nelle quali talvolta ammirare il riflesso delle torri o scorgere una carpa o un candido cigno, panchine all'ombra di splendidi ciliegi o aceri che sapranno regalare, ciascuno a suo tempo, una tavolozza di colori degna compagna del profilo dei tetti, un mare di petali e foglie del quale rimanere meravigliati vedendoci nuotare gli Shachihoko, le mitologiche carpe che adornano gli angoli delle torri più alte.
    Ma erano e rimangono strutture militari e trovo altresì molto interessante vedere come il passare del tempo abbia influito sulle competenze degli ingegneri che hanno costruito castelli sempre più evoluti, con fortificazioni sempre più efficaci e complesse per far fronte al contemporaneo sviluppo delle armi. Parlando dei castelli classici che conosciamo oggi possiamo trovarne esempi relativamente semplici costituiti da una o più cinte murarie, sormontate da torri e separate da vari cancelli, che proteggono un maschio (chiamato tenshukaku o tenshu) isolato come a Hikone, fino ad arrivare ad imponentissime fortezze costituite da un tenshu di dimensioni molto maggiori, collegato direttamente ad altre torri secondarie attraverso mura sormontate da corridoi coperti, intricatissimi percorsi che attraversano anche vari fossati inondati di acqua, come a Himeji. Percorsi studiati accuratamente per intralciare eventuali eserciti nemici, letteralmente decine di porte da oltrepassare, il tutto affiancato da mura irte di torri dotate di feritoie e caditoie dalle quali poter facilmente colpire i nemici con armi come archi o armi da fuoco.
    Visitando un castello giapponese è impossibile rimanere insensibili al fascino delle caratteristiche mura in pietra. Sono uno dei loro tratti distintivi, la presenza costante di mura non verticali ma più o meno inclinate, di altezza estremamente variabile. Si chiamano Ishigaki (gaki significa recinto e ishi pietre) e costituiscono sia le mura esterne che danno forma ai fossati, allagati o meno, sia le mura che creano corridoi e cortili interni, sia le possenti mura che sostengono i vari terrapieni o costituiscono le fondamenta di tenshu e torri secondarie. Sono generalmente le uniche parti in pietra costituenti queste fortezze, e tra le pochissime costruzioni in pietra dell'antico Giappone, infatti tutto il resto è fatto di legno. Ci sono comunque vari stili costruttivi, con nomi diversi, in base all'inclinazione ed al modo di lavorare ed incastrare le pietre. Le fortificazioni più antiche non disponevano di ishigaki, infatti non erano necessarie difese così massicce e stabili, a partire però dall'era Sengoku si iniziarono a costruire questo tipo di mura poiché la guerra era ormai divenuta una costante quotidiana. I primi esempi ci mostrano uno stile costruttivo che si basava sul reperire pietre in loco ed ammassarle l'una sull'altra con maestria e viene chiamato stile nozurazumi. Successivamente l'arte degli scalpellini e degli ishiku (i muratori specializzati in questo tipo di costruzioni) si affinó e le pietre furono via via lavorate sempre più precisamente ed incastrate con sempre maggior maestria permettendo di creare superfici lisce, grazie alle quali offrire pochi appigli ad eventuali nemici, ed innalzare mura sempre più alte e maestose come per esempio a Himeji, Osaka, Kumamoto e questo stile invece si chiama uchikomihagi.
    Ad un certo punto gli ishigaki assunsero un ulteriore funzione, quella di status symbol che mostrava in modo chiaro la potenza anche economica del daimyo di un castello. Infatti le fortezze divennero sempre più imponenti e richiedevano una quantità di materiali da costruzione davvero mastodontica, basti pensare che gli ishigaki del castello di Osaka contano oltre mezzo milione di pietre. Ammassare, lavorare ed impilare quantità così enormi di materiale non era certo un affare di poco conto e lo sforzo economico era davvero notevole. Poi si sviluppò un'ulteriore tradizione che voleva che i vari vassalli estraessero, scolpissero e consegnassero pietre sempre più grandi al loro signore come omaggio. In realtà era un modo per il daimyo di tenere sotto controllo le finanze dei suoi sudditi con questo tipo di richieste sempre più esose, impedire che costruissero fortezze per proprio conto ed infine reperire materiale a basso costo per loro stessi ed i loro castelli. Comunque questo fece si che in vari castelli, Osaka ne è il miglior esempio, si trovino ishigaki che inglobano pietre davvero colossali che arrivano a pesare decine di tonnellate e misurare metri e metri in larghezza ed altezza come la famosa Tako-ishi che pesa 108 tonnellate e misura oltre 59 metri quadri di superficie complessiva.
    Se gli Ishigaki, segnati da tempo e guerre, sono sopravvissuti fino ad oggi, lo stesso purtroppo non si può dire delle innumerevoli torri, chiamate Yagura, che vi erano ospitate e che, per mille motivi, sono andate perdute.
    Le funzioni di queste Yagura erano estremamente varie ed anche le strutture erano diverse per dimensioni e forme. Da quelle più semplici ad un piano (hira yagura), a quelle più comuni a due piani (niju yagura) fino a quelle più imponenti a tre piani (sanju yagura) che sono assimilabili ad un tenshu in miniatura e sono presenti solitamente soltanto nei castelli più grandi come Himeji. In effetti però in alcuni castelli dove il tenshu non fu mai costruito (Kanazawa per esempio), le yagura a tre piani svolgevano il ruolo di tenshu e prendevano il nome di gosankai yagura (nobili torri a tre piani) poiché era lì che risiedeva il daimyo durante i periodi di guerra. Potevano poi essere semplici magazzini per il cibo o per le armi ed avevano nomi diversi in base a ciò che vi si stivava, per esempio nelle shio yagura vi si conservava il sale (shio, sale), nelle yoroi yagura le armature (yoroi, armatura) e così via. Vi erano yagura che fungevano da alloggi per le truppe, torri per la protezione dei pozzi, potevano ospitare il grande tamburo che scandiva le ore o dava segnali in guerra (chiamato taiko e quindi la torre taiko yagura), postazioni di avvistamento e tantissime altre ancora.
    Tuttavia tra tutte queste tipologie di yagura, quella che mi affascina di più è certamente la rara torre per l'osservazione della luna, tsukimi yagura (tsuki significa luna e mi è il verbo miru, vedere). Sono torri nelle quali il daimyo si poteva ritirare, o intrattenere i suoi ospiti, ed osservare la luna. Sono facilmente riconoscibili perché normalmente non possiedono strutture difensive, sono costituite internamente da un singolo ambiente arioso e più lussuoso del resto del castello e possiedono pareti scorrevoli e rimovibili dalle quali vedere la luna. Per esempio nel caso della tsukimi yagura del castello di Matsumoto, si trovano tre pareti rimovibili (nord-est-sud) e un elegante corrimano esterno dipinto di rosso. Questa particolare torre fu costruita successivamente al castello, durante il periodo di pace seguito al regno di Ieyasu, e per questo non necessitava di sistemi difensivi. Per finire ci sono yagura che prendono il nome semplicemente in base alla loro posizione rispetto all'asse nord sud con nomi presi dal calendario giapponese e dai segni zodiacali.
    Dopo aver parlato però di mura e torri non è possibile concludere senza menzionare l’elemento più affascinante e caratteristico di un castello giapponese, quello che lo rappresenta maggiormente e che è la vera icona che il mondo si raffigura quando pensa a queste fortezze, il tenshu.
    Diciamo che il tenshu come lo conosciamo oggi prende vita con il castello di Azuchi, fatto erigere da Oda Nobunaga a fine 1500. Il primo stile con il quale vennero costruiti i tenshu si chiamava borogata ed era costituito da una torre di tre piani sopra la quale veniva aggiunto un edificio a due, come nel castello di Inuyama. Dopo il 1600 invece lo stile si affinò ed il tenshu fu così costituito da un edificio i cui livelli si sovrappongono regolarmente diminuendo di ampiezza con l’aumentare dell’altezza, come nel castello di Nagoya, questo stile si chiama sotogata. A dispetto dell’eleganza, raffinatezza e splendore esterno, l’interno dei tenshu è generalmente molto sobrio e privo di fronzoli, essendo in realtà una fortezza dove rifugiarsi in caso di guerra e non una residenza per i periodi di pace. Anche l’altezza dei tenshu varia da castello a castello e non solamente per mere questioni di potenza economica ma anche in funzione del luogo dove sorge l’edifico. Un castello che sorge in montagna o su una collina probabilmente non necessita di un tenshu molto alto per poter avvistare i nemici, per esempio il castello di Hikone dispone di un tenshu di soli tre piani ma è situato su un’altura dalla quale domina pianura e lago adiacenti. Viceversa un castello di pianura avrà bisogno di innalzarsi molti metri al di sopra della città che generalmente sorge intorno alla fortezza, infatti per esempio il castello di Matsumoto dispone di un tenshu a sei piani ed addirittura il castello di Aizu ha il tenshu con il maggior numero di piani in Giappone, ben nove.
    Ad ogni modo, se è vero che il tenshu attrae inevitabilmente gli sguardi e le attenzioni della maggior parte dei visitatori me compreso, spero di essere riuscito a trasmettere un po’ di quell’emozione e voglia di scoprire che mi pervade ogni qual volta visito un castello giapponese ed esploro la sua struttura per intero.
    Andrea
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    P.S. Click sulle foto per una risoluzione migliore, grazie
    Precedenti articoli:
    Castello di Matsumoto
    Castello di Okayama
    Castello di Kanazawa
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    HIKONE
    La storia di questo castello ha inizio dopo la storica e famosa battaglia di Sekigahara, che ebbe luogo nella Provincia di Mino (l'odierna Prefettura di Gifu) il 21 ottobre del 1600.
    Come ricompensa per la partecipazione e l'appoggio datogli, il condottiero (futuro Shogun) Tokugawa Ieyasu offrì al generale Li Naomasa il castello di Sawayama e le terre circostanti.
    A causa della posizione e delle sue cattive condizioni, Naomasa progettò di costruire un nuovo castello al suo posto ma in un luogo più adatto lì vicino, nacque così Hikone-jo, su un'altura vicino alle rive del lago Biwa. La sua costruzione ebbe inizio nel 1603 e terminò nel 1622 ma fu Naotsugu, il figlio di Naomasa, a dare inizio ai lavori poichè il padre morì prematuramente. Nel 1615 divenne Daimyo il fratello di Naotsugu, Naotaka, che si occupò del completamento del castello.
    Hikone-jo è uno dei quattro castelli considerati Tesoro Nazionale ed è uno dei pochissimi ancora originali.
    Al nostro arrivo ci accoglie la maestosa Sawaguchi Tamon Yagura. Le Tamon Yagura sono queste particolari costruzioni che sormontano le mura (Ishigaki) e sono di fatto corridoi coperti dai quali difendere le mura. Il nome deriva probabilmente dal castello di Tamon dove furono utilizzate per la prima volta e, per dare un'idea di che spettacolo impressionante offrissero i castelli dell'epoca, basti pensare che, secondo i documenti di quel tempo, il castello di Osaka era circondato da una Tamon Yagura lunga ben 1.720 metri (oggi ne rimangono meno di 60 metri).

     
    La presenza di un largo fossato e di queste torri coperte erano ostacoli davvero difficili da oltrepassare per un eventuale assalitore.

     
    Oltrepassato il cancello ci troviamo di fronte ad un ulteriore fossato, attraversato da pochissimi e stretti ponti, al di là del quale si erge la collina boscosa sulla cui sommità svetta il Tenshu.


    Inerpicandoci su per una stradina in mezzo agli alberi veniamo sopraffatti dall'imponente e minacciosa Tenbin Yagura, uno strumento difensivo davvero impressionante.
    Prende il nome dalla sua peculiare ed unica forma, quella di una bilancia (Tenbin significa appunto bilancia) ed è uno dei simboli più famosi e riconoscibili di questo castello essendo unica.

     
    Chiunque avesse voluto conquistare il castello, avrebbe avuto un bel da fare arrivato in questo punto. La strada, volutamente contorta, obbliga a fare un giro largo (dando le spalle ai difensori) per poter arrivare di fronte al cancello della torre e cercare di capire come attraversare lo spazio di molti metri che separa i due lati del fossato. Infatti il ponte chiamato Rokabashi era progettato per essere facilmente abbattuto in caso di necessità, per far sì che il cancello rimanesse isolato a metri e metri di altezza dalla strada sottostante.

     
    Una volta arrivati di fronte alla Tenbin Yagura possiamo notare facilmente la differenza di stile costruttivo delle mura a destra e sinistra del cancello, rispettivamente Gobo-zumi e Otoshi-zumi.
    Si dice che questa torre provenisse dal cancello principale del castello di Nagahama, costruito originariamente da Toyotomi Hideyoshi. Visto il costo di queste costruzioni, era prassi comune sfruttare materiali provenienti da altri castelli se possibile.

     
    La salita non è ancora terminata, un'ulteriore rampa di accesso ci porta ai piedi della Taiko Yagura che, come ho spiegato nell'introduzione, ospitava il possente tamburo di guerra.
    Dovremo attraversare anche questo cancello per poter accedere finalmente alla sommità della collina e poter ammirare il Tenshu.

     
    La salita è stata faticosa ma lo spettacolo del maschio del castello di Hikone ci ripaga ampiamente dei nostri sforzi.
    A differenza di altri maestosi ed imponenti castelli (come Matsumoto, Himeji, Aizu e molti altri) questo Tenshu non è altissimo, soltanto tre livelli, dimensioni di poco superiori alle Yagura laterali del castello di Matsumoto per intenderci. La scelta di un Tenshu così basso è stata logica vista la posizione dominante sulla quale è stato edificato. La collina sovrasta la pianura circostante e domina il lago Biwa, offrendo una vista molto migliore di quella che potremmo godere dall'alto dei molti piani dei Tenshu di tanti castelli di pianura.

     
    Per motivi di spazio consentito per l'upload, continuo nei commenti sotto...
  7. Viandante
    Il tempo della vita
     
    Vorrei condividere con voi i miei "perchè" su questo scatto.
     
    La foto è scattata nell'ora che va verso il tramonto.
    Così come il giorno, anche la vita della suora si incammina verso la sua conclusione.
    L'ombra del tempo che passa, si avvicina e la sovrasta opprimendola,
    ma lo sguardo sembra perdersi in pensieri di fede e speranza.
    Appoggiata alla solida roccia che rappresenta la sua vita passata.
    Lassù in alto il tempo è ancora illuminato e nitido.
    C'è ancora tempo da vivere, per pregare e credere che non sarà un tramonto ma un'alba.

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    Andrea
     
     
  8. Viandante
    Verso nuove direzioni
    Ho passato ormai qualche anno a praticare macrofotografia prevalentemente di lepidotteri e, fino a poco tempo fa, le mie foto erano classici scatti macro con soggetti molto ingranditi, per esaltarne ogni dettaglio, e sfondi gradevolmente sfumati ma senza molta varietà di toni oltre al classico verde/giallo/marroncino (forse farò un'altra galleria di immagini macro contenente appunto quel tipo di foto perchè, se è vero che cerco di trovare nuove soluzioni, non sminuisco comunque il valore delle belle fotografie fatte in passato).
    Tornando a questo contenuto ed ai giorni nostri, devo dire che, ultimamente, ho scelto di provare ad intraprendere una via meno didattica e più "emozionale".
    Mi sto allontanando dai soggetti, cerco di porre più cura negli sfondi, scelgo i posatoi con maggior cognizione, ho iniziato ad usare il flash separato dal corpo macchina (prima non usavo mai il flash) e metto in pratica qualche altro piccolo accorgimento in fase di ripresa per ottenere immagini più gradevoli.
    Non è un percorso semplice perchè, oltre alle difficoltà della macrofotografia in se (e sono molte), c'è bisogno di vedere l'animale calato in un quadro nel quale certamente ne è il soggetto principale ma dipendente da tutto il resto.
    Non chiamo questo tipo di fotografia "naturalistica", lo scopo non è quello di documentare qualcosa riprendendolo nel suo ambiente naturale senza alterazioni, lo scopo è quello di rendere omaggio alla natura creando con tre soli elementi (soggetto, posatoio, sfondo) un "quadro" emozionante che esalti alcune delle qualità tipiche del mondo naturale come l'armonia di forme, colori, volumi, per far rilassare l'osservatore di fronte alla stupefacente semplicità che ci circonda quotidianamente. Per raggiungere questo scopo è indispensabile porre molta attenzione nella ricerca di uno sfondo adeguato al tipo di soggetto e posatoio scelti e spostare, con tutta la delicatezza che è richiesta nell'interazione con esserini così piccoli e fragili, i soggetti sul "set" che avremo preparato loro (mai usando le dita e prestando particolare attenzione al non toccare le loro delicate ali), avendo la massima cura anche nel ricollocarli nel loro ambiente naturale una volta terminata la sessione di scatto. Generalmente dedico dai trenta minuti a più di un'ora di tempo ad ogni scatto, considerando il tempo necessario per le ricerche di cui parlavo prima. 
    So che molte persone non sono d'accordo con questo modo di praticare macrofotografia, spesso leggo commenti poco entusiasti e denigratori che paragonano questi scatti a foto di modelle su un set precostruito. In realtà è proprio così, sono scatti elaborati a soggetti inseriti su un set precostruito, non vedo come ciò possa minimamente sminuire lo scatto o il lavoro che c'è dietro ad esso. L'importante è non pretendere di essere un foto naturalista ma solo un semplice fotografo che sfrutta quello che la natura e la tecnologica gli offre per tradurre in immagine quello che lui vede sul campo (un po' come nel genere minimalista al quale mi sono avvicinato).
    L'unica cosa che è imprescindibile e che ribadisco fortemente è che si può praticare questo tipo di foto solo e soltanto se si è in grado di manipolare con tutta la cura necessaria i soggetti, prima, durante e dopo lo scatto. Nessuna immagine vale la vita di una sola di queste creature.
    Spero di migliorare e proseguire nell'evoluzione delle mie immagini, verso una direzione che mi emozioni.
    P.S. Sono le stesse immagini che ho nella Galleria che avevo creato per studiare le funzionalità di questa nuova piattaforma, credo sia più consono averle nel mio spazio personale per cui aggiungerò quì eventuali altre fotografie.
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    Andrea
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    Purple Dream
     

    Spiral
     

    Leaves
     

    The Lady in Red

    On The Top
     

    Yellow Button
     

    Strips

    The Climbing Of The Caterpillar
     

    The Lady In White
     

    Aurora
     

     
     
  9. Viandante
    Pubblicai questo mio lavoro nel vecchio sito Nikonland, ci sono molto affezionato per cui lo ripropongo anche su questo portale sperando di fare cosa gradita.
     
    "Il luogo di confine tra terra e mare"
    Reportage sulla "vita" del porto di Katsuura - Giappone
    Premessa
    Il luogo di confine tra terra e mare.
    E’ così che vedo il porto. E’ un luogo che mi ha affascinato fin da piccolo, quando andavo con il babbo a girellare tra le barche ed i pescatori alla scoperta del pescato del giorno.
    Mi chiedevo “chissà se il mare sarà stato un pacifico amico o un feroce nemico in quest’ultima notte? Chissà cosa avrà donato loro in cambio di tanta forza e determinazione?”.
    Così lo stridio dei gabbiani, la brezza salmastra e gli schiamazzi dei pescatori mi sono sempre rimasti dentro, ammantati da quell’aura di magia che solo un bambino può percepire.
    Vorrei accompagnarvi in questo mio viaggio in Giappone, farvi vedere l’approssimarsi dell’alba, il chiarore del nuovo giorno che si intensifica sempre più per poi lasciare spazio nuovamente alla dorata luce del tramonto, anticamera di una nuova notte. Farvi ascoltare il rumore delle macchine che si mescola al garrito dei gabbiani, farvi sentire il vento che fa entrare nelle narici l’odore del mare, del pesce, del sale. Vorrei farvi compagnia mostrandovi ciò che ho potuto imparare nel tempo che ho passato in compagnia dei tanti lavoratori che questo luogo, che io chiamo “Il luogo di confine tra terra e mare”, lo chiamano “Casa”.
    Buon viaggio.
     
    (Click sulle anteprime grazie)
     
    Ore 03,00 am
    Lascio il tepore della casa e vengo accolto dall'aria fresca della notte. Scruto il cielo per sapere se pioverà e penso che, nello stesso momento, di fronte ad altre case, ci sono persone che stanno facendo la stessa cosa, come ogni mattina.
    Intorno a me le strade sono silenziose, buie le finestre delle case. M’incammino invisibile per strade cieche.
    Arrivo al porto e non sono certo il primo, le barche per il Kimmè sono appena uscite in mare e la banchina è quasi deserta. Quest'atmosfera mi dà un senso di calma e tranquillità, il silenzio mi circonda ed è interrotto solo ritmicamente dalle piccole, discrete onde che s’infrangono sulla rada. Siedo su una bitta arrugginita e gusto un caffè caldo mentre, sommessamente, arrivano i primi uomini e donne, lavoratori e lavoratrici che chiacchierano tra loro in attesa del ritorno della prima barca. Preparo l'attrezzatura fotografica con calma, so che le barche sono ancora lontane, perse nel mare. Poi si ode un rumore e, come fanno tutti gli altri, mi volto verso il mare aperto sapendo che vedrò una piccola luce bianca avvicinarsi rapidamente.
    La lunga giornata del “Porto” sta per avere inizio.



     

     

     

     
    I primi ad arrivare sono i pescatori di aragoste che hanno appena ritirato le reti. Il loro arrivo è rapido, come rapida è la loro ripartenza, giusto il tempo per scaricare a terra un intrico di reti gialle e rosse che sono già scomparsi, inghiottiti dal nero della notte. Le baracche di lamiera che prima attendevano silenziose nella penombra, s’illuminano e si animano di operai che, con gesti rapidi ed esperti, iniziano a districare e ripulire quell'ammasso fatto di reti, alghe, pesci e conchiglie. Le aragoste finiscono nell'acqua di secchi colorati, i pesci in altri contenitori, le conchiglie e le alghe vengono scartate e le reti appese ordinatamente sui  loro supporti. Bisogna lavorare rapidamente, altre barche hanno già salpato il loro carico e stanno correndo verso di noi, quando il vento gira sento già il loro motore. Ma questa gente non ha bisogno di guardare l’ora per sapere quanto tempo gli resta, finiscono di dare l'ultima spazzata alle alghe che hanno accumulato proprio mentre una barca entra nel porto.
    E si ripete lo stesso copione, un'altra volta ancora, e non sarà l'ultima stamani.



     

     

     
    Il tempo passa, l'alba sta arrivando, il cielo cambia colore e sono l'unico che ha il tempo e la voglia per accorgersene. Scatto un'altra foto, magari un giorno avrò l'occasione per far vedere a queste persone di che colore è il cielo della mattina su di loro. Mentre penso queste cose inizio ad allontanarmi, ne avranno ancora per un bel po', ma io so che dall'altro lato della banchina, tanto lontane da non sentirne le voci, ci sono altre persone che stanno arrivando. Sotto l'enorme tetto in cemento iniziano i preparativi per lo sbarco dei tonni.
    Le navi gonfie di pesce hanno aspettato tutta la notte ed ora, così come i loro occupanti, si stanno agitando.



     

     

     
    Insieme ad una giovane operaia guardo la lavagna verde, non comprendo la lingua ma so che ci sono scritti i nomi delle navi, gli orari, le quantità ed i tipi di pesci che saranno scaricati di lì a poco. Per me non sono molto di più che graffi di gesso bianco, vergati ordinatamente sull'ardesia, per lei e per gli altri invece significano tanto lavoro e fatica.
    Vedo arrivare due grosse gru e, alle mie spalle, un giovane cosparge buona parte del pavimento di ghiaccio tritato, preludio allo sbarco di grossi tonni e pesci spada. Di lì a poco tutto si anima. Dal ventre scuro delle bianche navi salgono enormi pesci argentati che vengono deposti con cura a terra. Le operazioni da fare sono molteplici ed ognuno sa qual è il suo compito, lavare, pesare, trascinare, smistare, tagliare, scrivere ed annotare, tutti fanno la loro parte.



     



    Il lavoro è duro, l'acqua fredda che lava i tonni schizza ovunque, il ghiaccio rende scivoloso il pavimento, muletti elettrici vanno e vengono dalla fabbrica del ghiaccio, c'è chi trascina un pesce spada lungo metri mentre qualcun altro pesa un enorme tonno. Il rumore dei motori delle gru si mescola con il cicalino della retromarcia del muletto elettrico, devo stare attento, non posso permettermi di essere sbadato o di pensare solo a scattare, devo fare in modo di non essere d'intralcio per loro, non possono lavorare e pensare anche alla mia sicurezza. Ma comunque sono tranquillo, li vedo scherzare, scambiarsi battute e risate mentre corrono e faticano e questo mi rasserena. Sono un intruso ma non sono un impaccio.
     

     

     

     

     



    Mentre le operazioni di scarico volgono al termine, vedo arrivare alcune auto lussuose dalle quali scendono distinti signori accompagnati da lavoratori in stivali di gomma. Nonostante l'apparenza, si avviano sicuri tra tonni ed operai, sono di casa qua, sono esperti compratori. Osservo la disposizione dei pesci, noto che sono stati suddivisi per file e per peso ed è quasi tutto pronto per l'avvio dell'asta di vendita, si aspetta solo che vengano tagliate e pulite le ultime code dei pregiati tonni. Dall'aspetto del grasso e delle carni della coda tagliata capiranno la qualità di ogni singolo pesce e faranno la loro offerta…che vinca il più bravo ed astuto.


     

     

     
    Mentre intorno a me i lavoratori sono indaffarati con tonni e ghiaccio, ci sono alcuni di loro che stanno svolgendo pacatamente altre singolari mansioni. Il cuoco di bordo siede tranquillo a poppa e sfiletta un piccolo tonnetto per il pranzo dei suoi amici marinai mentre uno di loro, armato di una piccola spazzola, si adopera per lavare la bianca fiancata della grande nave.
    Poco più in là è arrivato il Kimmè. Ceste blu sono piene di pesci di un rosso acceso e dagli occhi dorati, che gli valgono il nome “Occhi d'oro”. Seguiranno la stessa sorte dei tonni, saranno suddivisi per peso e venduti al miglior offerente.



     

     

     

     
    Il piccolo peschereccio ha finito di scaricare e molla gli ormeggi, al suo posto è arrivata una possente nave che lascia immaginare un carico di ben altre proporzioni. Con una grossa rete viene svuotata lentamente la stiva e le innumerevoli casse, riempite di argentei Sanma, vengono allineate in lunghe file per essere pesate e vendute. Di contorno ci sono le ceste, quasi snobbate, dei pesci comuni, quelli di minor pregio e richiesta, quelli che vorresti scambiare con un Kimmè, quelli che finiscono nelle zuppe, mescolati tra loro, senza neppure la dignità per un nome vero, altisonante o romantico. Pesci di poco conto per piccoli mercati e tavole discrete.

     

     

     

     

     
    Poi mi accorgo che, a pochi metri da noi, fervono i preparativi per qualcosa di grosso. Sono fortunato, uno splendido peschereccio sta entrando nel porto. E' bellissimo, diverso da quelli che, ormai vuoti, hanno scaricato i grossi tonni. Slanciato e candido è di ritorno dall'oceano, dove ha catturato il pesce che ha reso famoso questo porto, il Katsuo, tonnetti argentei di 2-4 kg dalle carni prelibate. Vedo un nastro trasportatore già pronto ad accogliere il prezioso carico ed ai suoi lati una fila di bilance ed enormi contenitori con acqua e ghiaccio. La grossa nave sta ancora manovrando con cautela ed a terra gli operai hanno ancora qualche minuto di riposo, ne hanno bisogno, molti di loro sono gli stessi che hanno da poco finito di scaricare e preparare i tonni, gli spada ed i marlin. Anche molte donne si preparano all'arrivo del Katsuo, che sarà smistato nei grossi cassoni blu e gialli. La stiva della nave inizia a riversare i tonnetti sul nastro, un passamano rapido tra i marinai, otto o dieci esperte operaie separano i pesci, individuano rapidamente quelli troppo piccoli o troppo grossi, non c'è tempo da perdere, il nastro scorre inesorabile e dalla nave il pesce sembra non aver mai fine.



     

     

     

     

     

     
    Tra loro ed i compratori di tonni che stanno ancora partecipando all'asta, altre persone si sono preparate ad accogliere anche il frutto della pesca delle aragoste. Chi con un piccolo furgoncino, chi in bicicletta trainando un carrello o chi a piedi, ecco per ultimi coloro che per primi erano arrivati al porto. Le ceste di aragostine vengono scaricate sullo scivolo e, una volta ancora, selezionate e vendute.



     
    Guardo l'ora, le 10,30, sono stanco, io che non ho fatto molto stamani se non osservare e fotografare gente che lavora sodo.
    La mattinata è stata davvero lunga e dura ma ora è il momento del riposo. Qualcuno ancora è indaffarato nella pulizia delle attrezzature, un gruppo di amiche si lascia andare in chiacchere e risate mentre un thè caldo le ristora. Tra non molto le tante biciclette, scooter ed auto svaniranno ed il silenzio occuperà ogni spazio, almeno per qualche ora.
     

     

     

     
    E' tempo di rientrare a casa, mi devo riposare perché nel pomeriggio voglio tornare qua.
    Voglio tornare in questo luogo che con il passare delle ore si trasforma continuamente e non rimane mai inanimato. Ci saranno operai che preparano il pescato per le spedizioni in tutto il paese. Troverò qualcuno a stendere il pesce a seccare al sole. So che troverò i vecchi pescatori in pensione, che mai hanno abbandonato il porto, chiacchierare tra baracche, biciclette e vecchi randagi. So che troverò alcuni di quegli operai, che tanto hanno faticato all'alba, ancora qua a riposarsi e scambiare due parole tra loro seduti su un muletto elettrico, questa volta spento.



     

     

     


     
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  10. Viandante
    Ma sia molto tardi che si va a dormire… (Cit. F.Guccini)
    Una delle cose che amo di più, quando ne ho la possibilità, è uscire a fare foto in città la notte, o quanto meno a partire dall'ora blu.
    Inserirò quà una serie di questo tipo di foto, senza nessuna pretesa o velleità artistica, soltanto alcuni scorci delle nostre stupende città nel momento in cui preferisco riprenderle.
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    Andrea
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    Firenze (Ponte Vecchio)

     
    Firenze (Palazzo delle Signoria)

     
    Firenze (Piazza della Repubblica)

     
    Firenze (Arnolfo di Cambio & Brunelleschi osservano il Duomo)

     
    Firenze (Panoramica da Piazzale Michelangelo)

     
    Mantova (Panoramica)

     
    Mantova (Portici)

     
    Mantova (Portici)

     
    Venezia (San Giorgio)

     
    Venezia (Fondamenta)

     
    Venezia (Fondamenta)

     
    Venezia (Fondamenta)

     
    Venezia (Calle)

     
    Roma (S.Pietro sul Tevere)

     
    Roma (San Pietro)

     
    Roma (S.Pietro & Luna)

     
    Roma (Castel S.Angelo)

     
    Siena (Piazza del Campo)

     
    Siena (Torre del Mangia)

     
    Siena (Piazza Salimbeni)

     
    Cremona (Duomo)

     
    Sirmione (Rocca Scaligera)

     
    Sirmione

     
    Monteriggioni (Luna piena)

     
    Montepulciano (Piazza Grande)

     
    Bagno Vignoni

     
    Castellina in Chianti

     
    Lago Maggiore (Isola dei pescatori)

     
    Sestri Levante (Baia del Silenzio)

     
    Prosegue nei commenti...
  11. Viandante
    1/1,7 inch
    Sono le dimensioni del sensore all'interno del mio smartphone.
    Ho voluto divertirmi qualche giorno scattando con lui piuttosto che con la Nikon, per capire se può "sostituirla" quando non posso averla con me per mille motivi o quando semplicemente non voglio portarla perchè farò solo foto ricordo che probabilmente rivedrò soltanto sul telefono/tablet.
    Si è ovvio che questo sensore ha grossi problemi rispetto ad una reflex, ci mancherebbe altro, gamma dinamica pessima, tenuta a medi e alti iso terribile, aberrazioni varie, problemi di MAF, perdita di dettaglio in punti random della foto e chi più ne ha più ne metta...ma è comunque un telefono e non ha senso pretendere foto di qualità assoluta.
    Io sono contento e soddisfatto di questi risultati.
    Le foto in notturna ed in interni sono logicamente fatte con un mini tripod e comando remoto BT. Tutte le foto in modalità manuale e scatto in raw. 
    Alcune foto le ho leggermente ridimensionate per limiti di upload.
    Doppio click per vederle meglio
     
    Vigevano, La torre del Bramante

    Segue
  12. Viandante
    Non bevo alcolici ma adoro il whisky!

    Ok, cerco di spiegarmi con poche parole.

    Sono sempre affascinato da tutto ciò che ha una storia di passione, competenza, sperimentazione, da tutto ciò che è bello o che sa regalare emozioni e suscitare pensieri.

    Mi piace da impazzire anche solo l'idea di tenere in mano un bicchiere di whisky e sentirne i profumi mentre sto leggendo un buon libro nella semi oscurità del salotto, ascoltando il mio micio ronfare beato sulle ginocchia.
    Che sia una fotografia, un orologio meccanico, una pipa (non fumo), un distillato, un libro o quant'altro.


    Mi affascina tutto ciò che c'è dietro ad un bicchiere di whisky, a partire dalla quercia con cui viene costruita la botte nella quale invecchiarlo, al complesso procedimento di distillazione, agli aromi e profumi che sprigiona il liquore, all'atmosfera che si crea sorseggiando un buon bicchiere in compagnia o magari da solo e, per finire, anche dagli accessori che ruotano intorno al whisky, il bicchiere da degustazione per esempio.


    Bevendo un whisky mi è impossibile non pensare alla distilleria dalla quale proviene, immaginarne i rumori, i profumi, immaginare i mastri distillatori al lavoro, il vento all'esterno ed il calore del fuoco sotto ai maestosi alambicchi di rame.

    Dal momento che sono affascinato anche dal Giappone, dalla capacità dei suoi artigiani ed artisti, dalla cura e meticolosità che vengono impiegate nelle più svariate attività, dal gusto per l'estetica e dalla ricerca della perfezione in tutto, ho appreso con sorpresa e con molto interesse la notizia che in questo paese vengono prodotti alcuni degli whisky migliori al mondo.


    Premesso questo, ho deciso che è giunto il tempo di porre rimedio e cedere all'attrazione che lo whisky ha sempre avuto su di me.

    La molla che ha fatto scattare la decisione è stato l'ultimo mio viaggio in Giappone e più precisamente ad Hokkaido, dove ho scoperto esistere la distilleria di Yoichi. Non ho avuto modo di visitarla in questa occasione ma lo farò certamente nel prossimo futuro. So che dopo quella visita, bere uno dei loro distillati non sarà più come prima.


    Dal momento che stavo cercando di individuare una buona bottiglia di whisky scozzese per fare un regalo speciale, mi sono comunque interessato ai distillati della Nikka ed il risultato è stato che non ho ancora trovato la bottiglia giusta per il regalo che devo fare ma in salotto ho uno Yoichi 10 Years Old che sta attendendo il momento nel quale avrò affinato i miei sensi a sufficienza per poterne comprendere il carattere, discernerne gli aromi e poterlo gustare.


    Ho letto la storia della distilleria di Yoichi e di Taketsuru san (fondatore e padre del whisky giapponese) e mi sono innamorato dei suoi distillati prima ancora di averne degustato uno.


    Logicamente la mia passione per il Giappone e per la sua gente ha fatto la sua parte ma tant'è, anche questo fa parte della somma di emozioni e pensieri che uno whisky deve trasmettermi.

    Sto studiando un bel libro sull'argomento, sto scoprendo piano piano il mondo che esiste dentro ad una bottiglia di whisky e mi piace pensare di essere appena entrato a far parte di una famiglia accomunata da una passione particolare, non l'alcol ma la ricerca di un'emozione.


    PS. Approfittando di alcuni oggetti ornamentali che ho in casa, ho creato un piccolo set in tema "Syodo" (calligrafia) che riprendesse le scritte a pennello che formano i due kanji Yo - ichi.

    Perchè per me un whisky non è solo olfatto e gusto ma anche l'occhio vuole la sua parte, ed una bella bottiglia, col suo liquido ambrato all'interno, merita tutta la cura che posso dedicargli in fase di presentazione.

     
     

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    Andrea
     
     

     
     
     


     
     
     
     
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