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Enrico Floris

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Blog Entries pubblicato da Enrico Floris

  1. Enrico Floris
    A Castelsardo un rito diverso, generato dalla pietà popolare e che affonda le sue radici negli anni della dominazione aragonese.
    La processione del Lunissanti è la prima della Settimana Santa, si svolge il lunedì successivo alla Domenica delle Palme e dura un giorno intero. La pietà popolare esalta il carattere della manifestazione attingendo dalle proprie tradizioni e dalla propria cultura della fede evitando i dettami della liturgia e persino la presenza di un prete che la guidi.
     

     
     
    La Confraternita della Santa Croce custodisce i Misteri della passione di Cristo, gli strumenti del suo dolore: il calice, il guanto, la catena, la colonna, i flagelli, la corona di spine, la croce, la scala, il martello e la tenaglia, la lancia e la spugna, il teschio, il busto dell’ecce homo e il Cristo crocefisso.
     
    È trascorsa da poco l’alba quando nella concattedrale di Sant’Antonio Abate a Castelsardo viene celebrata la messa alla presenza dei confratelli di Santa Croce che termina con la benedizione degli strumenti del dolore di Cristo. È questo il momento per gli apostuli (ognuno dei quali porta con sé uno dei Misteri accompagnati ognuno da un gruppo di cantori che intonano il Miserere, lo Stabat Mater, il Jesus) di incamminarsi alla volta di Tergu, un piccolo centro dell’Anglona, diretti alla chiesa di Nostra Signora di Tergu. Arrivo verso le 11,30.

    L'ingresso sul selciato che conduce a Nostra Signora di Tergu e l'attesa degli Apostuli prima dell'ingresso in chiesa

     
    Ancora una messa e una nuova benedizione dei Misteri e poi ripartenza verso Castelsardo, sempre a piedi.

     

     

    I Cantori davanti all'ingresso di Nostra Signora di Tergu
     
    A Castelsardo l’ultima funzione alle 19 e alle 20 l’ultimo tratto, sempre in assenza delle autorità ecclesiastiche. La processione attraverserà il paese, totalmente al buio, con la sola illuminazione delle fiaccole.
    Non vado oltre con la storia perché è veramente difficile documentarmi su questa particolare manifestazione ma quello che sono riuscito a sapere lo avete appena letto.
    Per quanto riguarda invece l’aspetto fotografico ho dovuto necessariamente tenermi “leggero” perché la spalla destra è ancora dolorante e so che il recupero sarà particolarmente lungo. Per cui ho preferito usare la Zfc con una sola lente. La mattina ho scelto il 16-50 per via della maggiore duttilità e nonostante la giornata piovosa in luce non mi ha creato problemi. La scelta del bianco/nero, visti i colori inesistenti, l’ho ritenuta appropriata.
    Definire coinvolgente e quasi ipnotico il rito serale è riduttivo, bisogna assistere per capirlo. Una folla composta da fedeli e turisti provenienti da tutta Europa solo per assistere a questo evento. Un silenzio surreale, tanto che ho dovuto silenziare la Zfc, persino quel rumore finto dello scatto era fuori luogo. Documentarla è una sfida. Non si tratta di fotografare al buio, si tratta di fotografare il buio. Difficile stare sotto i 10000 ISO. In quelle condizioni il meglio di cui disponevo era il 24mm 1,7 che ancora una volta si è dimostrato lente di razza, sorprendente.

     

     

     

     

     
     

     
    Molti doppioni e anche molte immagini scartate perché sbagliate o magari per micromosso o perché semplicemente non mi piacevano. Le poche che propongo differenziate per momento e per scelta (b/n al mattino e colore alla sera) spero che rendano al meglio l’idea di una manifestazione che non si snoda lungo un tracciato segnato o immaginario ma scorre attorno alle persone, le circonda e le sfiora in un silenzio denso, rotto solo dalle litanie dei cantori, illuminato dalle fiaccole affidate alle consorelle (tutte bambine) precedentemente vestite di bianco dalle mamme all’interno del battistero e che hanno il compito di far luce con le torce sui passi degli apostuli.
    Ultime immagini per i Cantori

     

     
    Pezzo consigliato: Jubilee Street (Nick Cave)
    Copyright Enrico Floris 2024 per Nikonland
     
     
     
  2. Enrico Floris
    DA quest’anno Alghero e Olbia ospiteranno la prova italiana del WRC ad anni alterni. E già da quest’anno le prove speciali si sono spostate verso la Gallura con qualche sorpresa che fa tanto vecchio Costa Smeralda. Solite levatacce con tanti chilometri in più da macinare e solite attese, ma non si esagera più come negli anni passati perché tutto è diventato più faticoso per me ed Enzo. La passione c’è sempre ma il fisico non la segue più per cui va bene svegliarsi alle 5 del mattino e infilare lo stradone, va meno bene spostarsi rapidamente da una speciale all’altra per incassare il pieno di foto. Non ce lo possiamo più permettere. Per cui abbiamo preferito concentrare il nostro lavoro in due sole giornate, venerdì e sabato. Tre sarebbero state troppe. Pazienza per il gran finale di oggi.
    Come anticipato le sorprese ci sono state con le due prove speciali di Terranova, quella col salto _ a mio avviso _ più spettacolare fra tutti quelli visti sinora e quella che racchiude il tratto più insidioso: la mitica e discesa Kitzbuhel con una esse veloce in mezzo al granito. Vietato sbagliare.
    E alle 8 in punto stiamo parcheggiando all’interno del cantiere forestale di Terranova, proprio di fronte alla caserma della Forestale, distante un centinaio di metri dal salto. C’è tanto pubblico ma tutto sommato un servizio d’ordine attento ma non invasivo.
    Il motivo per il quale questo salto è così interessante sta nel fatto che le auto arrivano a velocità elevata su asfalto che diventa sterrato proprio nel punto del salto. Lo show ha inizio…
     





     
    Nonostante il sole, il cielo non prometteva bene. Temporali sparsi, anche di forte intensità. E li abbiamo visti, da dentro l'auto. A Kitzbuhel però la pioggia era già passata prima dell'inizio della speciale. Una luce pessima. In compenso, fango in quantità industriale
    Ecco la famigerata Kitzbuhel, una discesa pazzesca con una esse insidiosa tra le rocce di granito e una pendenza impressionante. Si scende "a palla": quì i più bravi fanno il tempo, gli altri tolgono il piede dall'acceleratore. Non ci sono immagini per raccontarlo perchè se non la si vede non si ha la giusta percezione


     
    .... e sotto di lei, il fango...
    Takamoto Katsuta, uno che pensa col piede


     
    Tierry Neuville

     
    Dani Sordo

     
    Molta pioggia significa anche molti guadi e sarebbe stato questo l'obiettivo della seconda giornata, trovarne almeno uno


    Un raggio di sole alle 8,20 fa la differenza.  Solo Zfc col 16-50, contenta di fare il bagnetto mattutino (io un po' meno contento).
    Il pomeriggio, invece, è tutto della D500. Le distanze di Loelle richiedono parecchi millimetri. L'attesa è meno faticosa del solito per via della temperatura accettabile viste le condizioni meteo. Cionostante quattro ore d'attesa per il secondo passaggio sono davvero tante.
    Tenuta da combattimento

     
    Arrivano....
    Elfyn Evans

     
    Dani Sordo

     
    Sebastien Ogier

     
    Per la cronaca ha vinto Terry Neuville

    Anche stavolta è andata. Dovremo trovare nuove location per il prossimo anno o sperare in altre novità, giuto per non fare sempre gli stessi scatti.
     
    Copyright Enrico Floris 2023 per Nikonland
     
     
    Pezzo consigliato: Come Up For Air - Albert Cummings
     
     
  3. Enrico Floris
    La mia passione ha un prezzo sul piano fisico, nella maggior parte dei casi accettabile. Stavolta, invece, non è stato così. La prima giornata del WRC è stata in assoluto la mia peggiore giornata da fotografo: spossante, oltre 42° percepiti, uno scirocco rovente che risucchiava l'aria dai polmoni e la polvere... tanta, ma tanta da colorare di rosso me, i miei vestiti e la mia fotocamera. Per fortuna l'inferno è durato solo un giorno, già dalla sera i venti hanno cambiato quadrante, rendendo le seguenti due giornate enormemente meno faticose.
    Sul piano sportivo, invece, il WRC 2019 sembra iniziare bene: un rombo lacerante e la grinta di Sebrastien Ogier preannunciano una giornata fantastica

     
    .... giusto due curve e poi il disastro col driver transalpino che rompe il braccetto dello sterzo su una roccia


    Sarebbero bastati 10 minuti allo stesso Ogier per sostituire il braccetto... se Citroen si fosse ricordata di metterlo nel bagagliaio tra le dotazioni regolamentari. Oltre un'ora persa e un ritiro che non è avvenuto solo per le pressioni degli sponsor (immagino).
     
    The show must go on


     
    Altre volte vi siete sorbiti il mio "pistolotto" sulle condizioni di lavoro svantaggiate. Beh, stavolta ho sfruttato la cosa a mio favore




     
    Atterraggio duro per Mikkelsen

     
    Thierry Neuville al salto

     
    Ancora Ogier, ormai fuori classifica... ma riparato il guasto va come un proiettile

     
    I veri "missili" sono però le Toyota ufficiali di Latvala e Tanak. Sfortunati entrambi: Latvala rallentato da problemi meccanici e Tanak che si fa sfuggire la vittoria finale.

     
    Vittoria che va al più continuo e martellante Dani Sordo che con tanto merito ha saputo trovare il miglior equilibrio tra le prestazioni e la gestione della macchina.
    Questo il suo volo verso il traguardo

     
    Dietro le quinte
    Un meccanico al lavoro sulla macchina di Latvala


     
    Sebastien Oger controlla personalmente il lavoro dei suoi meccanici e trova anche il tempo di firmare una miniatura che rappresenta il suo salto dello scorso anno (quando correva con la Ford ufficiale) a Monte Lerno


     
    Concludendo. Non sono pienamente soddisfatto, mi sono affaticato molto e questo mi ha limitato parecchio nella mobilità fra una postazione e l'altra; per non parlare dei trasferimenti in auto tra le varie speciali (sempre molto rapidi facendo lo slalom tra marshall inflessibili e security particolarmente attenta). Sto invecchiando, sicuro, ma non riesco a darmi un limite. Finirò per restarci secco
    Buona visione a tutti
    Pezzo consigliato, mi pare appropriato: Driving Towards the Daylight, Joe Bonamassa
  4. Enrico Floris

    Reportage
    UNA narrazione semplice, teatrale originata da riti apotropaici propri delle antiche civiltà dell'area mediterranea. La ragione che deve dominare sull'istinto animale che alberga in ognuno di noi. La bestia (Boe, il bue) e l'uomo (Merdule*, il guardiano dei buoi). L'uomo tiene a bada la bestia con un bastone (su mazzoccu) e la lega a se con un laccio di cuoio (sa soca). La bestia resiste, si ribella e lotta con forza ma l'uomo ha la meglio e la sottomette.
    E' a questo punto che appare una terza figura a occupare la scena in questo immenso teatro che è la piazza e appare dal nulla, tra la gente. E' una figura femminile cupa, vestita di nero, Sa Filonzana** che stringe nella mano un fuso con avvolto un filo di lana, il filo della vita che lei sola ha il potere di spezzare, quindi ordina alla bestia di morire. Uno stato di morte apparente perchè poi la bestia si ridesta e ricomincia a lottare. Questo ci insegna che non è possibile uccidere la bestia senza uccidere anche l'uomo. Con i nostri peggiori istinti conviviamo tutta la vita ma sarà sempre la ragione a prevalere.
    Maschere inquietanti, ombre antiche che danzano intorno al fuoco, immerse nell'abbraccio di una folla festante, un altro Carnevale in Sardegna è iniziato.
    -
    La notte tra il 16 e il 17 gennaio segna l'inizio del Carnevale in Sardegna. Nei centri dell'isola si accendono i fuochi di Sant'Antonio e le maschere compaiono. Le maschere di Ottana sono queste, Boes, Merdules* e Sa Filonzana**. Amatissime dalla comunità ottanese che in questa notte si stringe attorno ad esse con gioiosa partecipazione.
    * Su Merdule. Si ipotizza che tale nome sia composto da due parole di origine addirittura nuragica mere (padrone) e ule (bue), quindi padrone del bue. Ma non esistono certezze perchè si va a ritroso nel tempo di alcune migliaia di anni forse all'epoca degli etruschi o forse prima.
    ** Sa Filonzana. E' sicuramente una figura inquietante e che in passato era particolarmente temuta: non è una figura propria della tradizione sarda ma si suppone sia stata importata da altre culture mediterranee, ricorda le Moire greche che avevano il potere di decidere del destino degli uomini.
     
    All'imbrunire l'accensione dell'immenso falò con un addetto della Protezione Civile che lancia un secchio di accelerante sulle fiamme
    (e un fotografo di passaggio che mi si para davanti all'improvviso)

     
    ... e inizia l'attesa, le fiamme dovranno essere ben alte


     
    Poi, un suono di campanacci ci avvisa che sos Boes stanno arrivando


    ... seguiti da sos Merdules


     
    Le bestie corrono e gli uomini tentano di trattenerle e tranquillizzarle
    ma una carezza non può bastare...

     
    ...si ribellano furiosamente tentando di liberarsi. La lotta ha inizio


     
    L'uomo ha la meglio, sottomette la bestia e improvvisamente, avvolta in un mantello nero, appare Sa Filonzana
    la quale, spezzando il filo della vita avvolto nel fuso che tiene in mano ordina alla bestia di morire



     

     
    Uno stato di morte apparente che dura pochissimo, quel tanto che basta
    perchè il calore del fuoco ridesti la bestia che riprende a lottare, inarrestabile.
    Ancora una volta. In un nuovo Carnevale a Ottana.
     

     

     

     
    Un evento che si ripete ogni anno. Uno spettacolo emozionante e una bella sfida per chiunque voglia documentarlo con una fotocamera tra le mani. Veramente incredibile la partecipazione popolare, soprattutto dei più giovani che non mostrano solo affetto nei confronti di queste maschere ma si sentono parte di questa storia antica. Sono per loro le ultime immagini di questo lavoro che finalmente, dopo tanti anni, sono riuscito a produrre.
    I ragazzi si avvicinano al fuoco e "rubano" pezzi di legno già carbonizzati con i quali si sporcano la faccia e li porgono anche ai bambini, con grande disperazione delle mamme che poi li dovranno lavare
     

     

     

     
     
    L'allegria di una ragazza, anche lei con la faccia sporca di carbone

     
    ... e uno sfondo nello smartphone non ce lo vogliamo mettere?
     

     
    Copyright Enrico Floris 2023 per Nikonland
     
  5. Enrico Floris
    16 giugno 2020. Sono assente da Nikonland da parecchie settimane. Come tutti voi sono stato frenato dal lockdown la cui fine, purtroppo, è coincisa con l'inizio del mio periodo di letargo fotografico per via delle condizioni di luce che per tutta l'estate non sono esattamente il meglio che un fotografo vorrebbe. Per diversi giorni ho cercato un argomento buono per popolare il mio blog e alla fine l'ho trovato. Piuttosto ostico e capirete perchè. Diciamo il classico passo più lungo della gamba, ma è difficile scrollarsi di dosso un'idea quando arriva.
    Si parla di un'opera architettonica dimenticata da molti, quella che viene definita la Cupola di Antonioni, disegnata dall'architetto Dante Bini nel 1969 e realizzata a Costa Paradiso, a margine di un agglomerato residenziale d'élite, appunto per Michelangelo Antonioni. In realtà le cupole sono due, una più piccola. Ma la proprietà venne divisa e la più piccola, in seguito, ceduta.
    Come dicevo l'argomento è ostico perchè entrare nel merito delle filosofie di progettazione applicata di certi geni dell'architettura Made in Italy è per me estremamente complicato. Ma sono rimasto talmente affascinato da quest'opera che devo assolutamente sforzarmi di scrivere questo pezzo evitando il più possibile di scrivere stupidaggini.
    L'opera in sé richiama costruzioni già presenti in Italia, sin dal primo dopoguerra, esattamente a Milano, le famose case Igloo della Maggiolina. Diversa è la tecnica di costruzione: nel caso della Maggiolina le case Igloo erano costruite in mattoni e sorrette da losanghe in acciaio. Mentre la cupola costruita da Bini sfrutta una tecnica realizzativa da egli stesso ideata e denominata Binishell che consiste in un'unica colata di calcestruzzo su una forma d'aria sollevata a pressione (sostanzialmente forme prerealizzate e gonfiate ad aria). Facile oggi a dirsi e farsi, assolutamente geniale nel 1969.
    Ma Dante Bini (classe 1932) era e continua ad essere un visionario. Oggi viene definito l'architetto delle piramidi e un motivo c'è: ha ideato la più colossale opera architettonica mai pensata e realizzata dall'uomo, quella che viene definita Piramide di Tokyo, un'immensa struttura a forma di piramide, appunto, alta 2.004 metri, sorretta da nanotubi in carbonio e in grado di accogliere 1.000.000 di persone che _ se realizzata _ avrà un costo di 554 miliardi di euro, inizio lavori nel 2030, fine lavori nel 2110.

     
    La Cupola di Antonioni
     

    Il primo impatto con questo incredibile manufatto produce un certo disappunto. Sembra uno sfregio ambientale insanabile, su un costone di roccia e vegetazione che precipita in acqua, già largamente degradato dalla presenza di centinaia di villette che si affacciano su un mare invivibile, esposto a tutti i venti del quadrante occidentale. Incomprensibile.
    La cupola è fortemente degradata e in stato di abbandono, i segni del tempo sono largamente visibili. Sorprende subito il corridoio sospeso che porta all'ingresso. Ed è in questo momento che questo manufatto esercita tutto il suo fascino e riesco ad immaginare la casa del futuro, una cupola completamente rivestita di pannelli solari, una superficie inattaccabile dall'acqua che non ristagna sul tetto ma scivola per gravità; resistente al vento che, per quanto forte, non può far altro che scorrergli attorno.

     

    Interessante la seduta a destra dell'ingresso ricavata da un blocco di granito e la singolare finestra
    La curiosità cresce e scendo pochi scalini che mi conducono dabbasso, dove intravedo una porta aperta...

     
    ... la oltrepasso e mi ritrovo in un incredibile open space, una zona giorno piuttosto ampia e perfettamente illuminata. Ma come è possibile illuminare ciò che a prima vista appare come un bunker impenetrabile persino ai fotoni? Le soluzioni sono semplici ed estremamente efficaci: un'enorme vetrata che segue la curvatura della cupola e un "oculo" centrale che proietta dentro la luce del sole. Tanto basta.

     

     
    L'oculo non ha mai avuto un vetro, si capisce perfettamente. E perpendicolarmente ad esso è posizionato un piccolissimo giardino che quando piove viene innaffiato naturalmente. Molto difficile fotografarli assieme e mostrarli. Credetemi, è stata l'unica volta in vita nella quale ho desiderato di avere un decentrabile montato sulla baionetta.

    ..
    Forme inimmaginabili, luci e ombre che si fondono e talvolta creano contrasti netti. Pavimenti e scalinate basse, irregolari rigorosamente in pietra e il movimento creato sulla parete circolare dall'intonaco, anch'esso irregolare, volutamente steso con la spatola (ho tirato un po' la struttura perchè risaltasse) e in grado di generare movimento perchè un'unica parete liscia diversamente diventerebbe terribilmente occlusiva e claustrofobica. Trovo che l'architettura talvolta diventi l'arte dei particolari dove niente deve sfuggire.

     

     

     

     

     

    Michelangelo Antonioni la commissionò come rifugio per se e per Monica Vitti. E Dante Bini fece un lavoro eccellente, ahimé curandosi poco dell'ambiente circostante. Ciononostante ritengo che debba essere recuperata. Come dicevo, il Fondo Ambiente Italiano sta cercando di acquisirla e restaurarla. Sicuramente è un'opera di grande valore architettonico e anche storico. Mi auguro che il FAI riesca ad ottenere i finanziamenti necessari. D'altronde, a vedere in che stato versa, non credo che gli eredi Antonioni (se ne esistono, non so) interessi qualcosa.
    Perchè il Bianco e Nero
    Perchè gli Anni Sessanta facevano tanto Nikon F e scatti in b/n con forti contrasti. Un po' di nostalgica immaginazione non guasta mai. E poi credo che luci e ombre generate dalla matita di un architetto risaltino meglio col monocromatico. Invece le curve un po' esasperate sono opera mia (potete dissentire liberamente, ci mancherebbe)
    Conto di ritornarci perchè ho la sensazione di non aver finito il lavoro. Qualche volta mi capita. Buona visione a tutti
    Un pezzo appropriato mi pare Time Machine di Devon Allman
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    Tutte le immagini sono realizzate con Nikon D7100 e Tamron 17-50 f.2,8 in luce ambiente. Copyright Enrico Floris per Nikonland
     
     
  6. Enrico Floris
    UNA sola settimana più da turista che non da fotografo in una città tra le più belle d'Italia. Una città nobile, colta che mostra i segni di una grande ricchezza oggi appena accennata, svanita con l'unità d'Italia. Palazzi d'epoca meravigliosi, architetture di pregio e tanta arte. La definirei un museo a cielo aperto. Purtroppo una settimana non basta per apprezzare Palermo e per trovare una storia da scrivere e in verità mi ci sarebbe voluto un soggiorno almeno dI un mese ma non è stato possibile.
    Le immagini che ho prodotto, un migliaio circa, sono immagini da turista, immagini ricordo di un viaggio con un gruppo di amici per cui la maggior parte assolutamente personali. Ma questa città generosa ha avuto pietà di me per cui qualche scatto (alcuni li avete già visti) me lo ha offerto e ve lo propongo
     
    L'arrivo a Punta Raisi

     
    Piazza Politeama

     
    Mercato del Capo

     
    Maqueda

     
    Un giorno con Max


    Come si mangia non ve lo dico nemmeno (non l'ho detto nemmeno al cardiologo e avrei dovuto. Ma non gliel'ho detto)
     
    Portella della Ginestra

     
    Max e Laura fanno conversazione (se ingrandite, ma non troppo, riuscire a scorgerli)

     
    La cattedrale di Santa Maria Nuova a Monreale
    Difficile fotografare le chiese disponendo solo di un 16-50, hanno volte alte e prospettive e profondità che mi creano disagio (fotograficamente parlando) per cui mi sono limitato ad alcuni particolari, alcuni dei quali giustamente illuminati con faretti spot, un lavoro certosino, inimmaginabile se non lo si vede dal vivo, da rimanere a bocca aperta.




     
    Il lavoro di restauro e pulizia sottile è continuo, protettivo 

     
    Fine della visita

     
    Santa Maria dell'Ammiraglio (parte del complesso)

     

     
    Ballarò



     
    Davvero, non sono tante immagini e comunque rendono bene l'idea di cosa nasconda questa città difficile e sofferente per molti versi, ma con una grande storia, con un passato importante, abitata da persone che la amano davvero e si nota subito non solo dai discorsi dei tassisti ma anche dal modo di fare della gente che tra mille difficoltà comunque continua a viverla e a viverci con piacere. E' stata una bella settimana, magari non soddisfacente dal punto di vista fotografico, ma sono stato bene e Max è stato un ospite fantastico. Mai ne avrei dubitato
    PS - Lato tecnico: in viaggio la Zfc è difficilmente battibile (almeno alla mia età): leggera, pratica, veloce quanto basta nella street. La qualità è molto buona, un paio di buone lenti e una manciata di SD è tutto quello che serve.
    Pezzo consigliato: Glass Off, Bernie Leadon
     
    Copyright Enrico Floris 2022 per Nikonland
     
     
     
     
     
     
     
     
  7. Enrico Floris

    Reportage
    “.... per arrivare a Bosa dovrai attraversare l'inferno”
    Sono queste le esatte parole che ho detto a Max Aquila prima di incontrarci.
    Io, quell'inferno, lo avevo attraversato due giorni prima, il 29 luglio, con il mio amico Enzo.
    Ho quasi 63 anni e ancora non mi sono abituato. Sono nato con l'odore della legna bruciata che mi penetrava le narici e, come tutti i sardi, ci ho convissuto per tutta la vita, senza poter fare niente per impedire lo scempio. E ogni maledettissima volta il dolore è il medesimo, stessa intensità, stesso odore, sgradevole e insopportabile, di legna bruciata. E affiora sempre la stessa ferita sulla terra che mi ha dato i natali e mi ha fatto grande. Una terra meravigliosa che non riesco a proteggere.

     
    In quei giorni su Instagram sono fioccate centinaia di immagini crude, terribili, di animali carbonizzati. Cani fedeli al loro dovere morti con le greggi che dovevano proteggere a costo della vita; e ancora animali abituati a muoversi velocemente, volpi, gatti, cinghiali che mai sarebbero potuti essere veloci come il fuoco spinto dal vento. E in lontananza allevatori in lacrime che assistevano impotenti ai roghi delle loro stalle, straziati dai disperati lamenti degli animali intrappolati dalle fiamme. E viene male persino parlarne, ma per un solo istante ad immaginare, a figurarsi ciò che è stato quell'inferno, si riesce a provare quel dolore, quella disperazione e si stringe lo stomaco, tanto quanto il pugno di un bambino.
    Ed è allora che si capisce.
    Con Enzo abbiamo deciso di documentare. Niente immagini crude. Solo la devastazione. Tanto dovrebbe bastare. Contrariamente a ciò che vedrete, le immagini sono a colori. I colori del carbone e della cenere in un paesaggio che non riconosco, rimodellato dalle fiamme, intersecato da muretti a secco anneriti che si incrociano più e più volte delimitando spazi confinanti all'interno dei quali regna il nulla in un ordine sinistro, malsano.
    E' l'estetica del fuoco

     

    Dji Mavic Mini 2 - Copyright Enzo Cossu 2021

    Dji Mavic Mini 2 - Copyright Enzo Cossu 2021
     
    Non lasciatevi ingannare da alcune sparute macchie di colore, il fuoco ha superato l'orizzonte visibile, 20.000 ettari del Montiferru sono andati in fumo, cancellati da fiamme alte oltre trenta metri che hanno sviluppato temperature vicine ai 7000° con grande rischio non solo per le squadre di terra ma anche per Canadair ed elicotteri.
    Due domus de janas ai margini di un canalone, per tanto tempo invisibili, nascoste dalla vegetazione, oggi rivelate dal fuoco.

     
    Enzo dirige il drone

     
    La Panda 4x4, anche lei sofferente

     

     

     

     

     
    Mi muovo lentamente su un terreno soffice, impiego qualche secondo per assaporare la sgradevole sensazione che si prova a camminare sulla cenere, sollevandone piccole nuvolette ad ogni passo. Mi guardo le gambe, sono segnate dai rami carbonizzati. Un'altra dolorosa fitta allo stomaco.

     
    Sennariolo. Le fiamme hanno saltato la strada ma si sono fermate, improvvisamente, di fronte al cimitero.
    Non ci può essere niente per il fuoco in un luogo nel quale regna la morte.

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    I Know Why The Sun Shines, Judith Owen
     
    Copyright Enrico Floris 2021 per Nikonland
     
     
     
  8. Enrico Floris
    E' la prima emersa dell'arcipelago delle Canarie. Fu un'eruzione sottomarina a formarla 5 milioni di anni fa a un centinaio di chilometri dall'Africa. Da Corralejo, guardando ad Est, ci provo a cercare il Marocco, El Ouatia, pur sapendo che i miei occhi non potranno mai coprire quella distanza, oltre l'orizzonte.
    Un'isola desertica. L'interno pietroso, alte scogliere e paesaggio dunale lungo le coste. Chilometri di dune continuamente rimodellate dal vento che si muovono verso l'acqua. Un'attrazione magnetica. L'ineluttabilità di un fenomeno uguale in tutto il mondo: il vento che spinge la sabbia verso il mare. Alisei sempre costanti che tengono bassa la temperatura rendendo piacevole il soggiorno, pronti a crescere fra qualche mese, ad agosto e sino alla fine di ottobre. Sempre gli stessi, quelli che salvarono la reputazione di Cristoforo Colombo
    Mi sarebbe piaciuto girarla in lungo e in largo ma non è stato possibile. Insomma, non si è trattato interamente di un viaggio fotografico. Diciamo che sono prevalse altre esigenze. Ciononostante ciò che sono riuscito a vedere mi ha molto colpito e in larga parte sono riuscito a documentarlo.
    Si inizia quindi con le Grandes Playas de Corralejo. Sabbia finissima e bianca, tanta sabbia e acque pulite e affollate dai kite, mica dai bagnanti, perchè alla temperatura dell'Atlantico ci si deve prima abituare.




     
    Come dicevo l'isola è desertica ed è proprio attraversando questo paesaggio lunare che si arriva a El Cotillo, un piccolo villaggio di pescatori con la bella Playa del Castillo esposta ad Ovest sulla quale arrivano periodicamente le onde generate dalle tempeste atlantiche, un luna park naturale per surfisti veri che _ ahimé _ in questi mesi di calma si limitano a fare lezione ai giovani appassionati di questo sport. Che sono tantissimi, provenienti da tutta Europa.



     
    Un tratturo da percorrere e finalmente si giunge alla spiaggia. Una ragazza con la tavola sotto il braccio e il suo istruttore sono il primo incontro.

     
    Entra in acqua e sembra una sirena con i capelli rossi... ed è la foto del giorno



     
    Il surf è uno sport faticoso e occorre una preparazione atletica importante. Anche di questo si occupano gli istruttori



    Sempre vicino ad El Cotillo il faro del Tostòn e Playa los Lagos, pozze di sabbia che quando la marea si abbassa diventano vere e proprie lagune, meravigliose. E poi ancora Playa la Concha, un altro gioiello (e detto da uno che di spiagge belle ne ha viste è un complimento che vale).


     
    Un corralito di fronte alla piccola laguna. I corralitos sono ripari in pietra che consentono di poter prendere il sole senza essere infastiditi dal vento. Ne esistono in tutte le spiagge dell'isola.

    Playa la Concha
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    Dicevamo del deserto che incontra il mare. Nell'immaginario di tutti penso sia una delle icone più commoventi. Devo dirlo, ho sempre sognato di poterlo vedere. Almeno perchè ero stanco di figurarmelo. Giusto una manciata di chilometri in direzione Est e si arriva al Parco Naturale delle dune di Corralejo, attraverso un nastro d'asfalto che vi corre in mezzo: spettacolare mi pare l'aggettivo giusto

    Non so se così rende meglio l'idea


    In questa immagine si possono notare tre cose: sulla sinistra la striscia d'asfalto che attraversa la duna, altissima, un dislivello che supera i dieci metri e non è la sola; giusto dietro il promontorio la sagoma dell'Islote de los Lobos che tanto islote non è; e infine, sulla linea dell'orizzonte il profilo di Lanzarote, a nord di Fuerteventura.
    Anche qui non mancano le ragazze della scuola surf con la loro istruttrice

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    Credo di non aver mai pubblicato tante foto in un blog. E non ho finito.
    Attraversando l'interno si capisce meglio cosa sia la vera siccità. A Fuerteventura piove  per soli cinque giorni all'anno. Piogge sparse, neanche localizzate, per un totale di 20 mm.  Il fabbisogno idrico è garantito dai depuratori e da alcuni dissalatori. Esiste ancora qualche falda ma viene gestita con grande parsimonia. Purtroppo il vento tanto amico non solo non permette le precipitazioni perchè le nuvole passano troppo veloci ma asciuga rapidamente qualsiasi cosa cada dal cielo.
    Allora vediamolo un po' quest'interno. Iniziando dai caratteristici mulini a vento, sulla strada che ci porta a Betancuria, antica capitale delle Canarie perchè Fuerteventura fu la prima ad essere colonizzata da Jean de Béthencourt nel 1405 il quale fondò Betancuria che rimase capitale sino al 1834. Oggi è una cittadina-museo praticamente, poche case restaurate e la chiesa che rappresentano l'agglomerato urbano di allora e attorno il paesino moderno che ospita anche un piccolo museo. Ed è anche l'unico posto dove è possibile vedere un po' di verde. Una piccola oasi, insomma.




     
    Rientrando a Corralejo ancora il deserto. Ho provato _ lo dico per i nostri appassionati di wildlife _ a cercare l'avvoltoio egiziano, la specie più piccola, che nidifica a Fuerteventura. Su quelle montagne esistono le indicazioni sul percorso da seguire. La fortuna di incontrarlo, mi rendo conto, sarebbe stata un bel regalo. In compenso ho trovato _ e non pensavo proprio potesse succedere _ i corvi reali. E si lasciavano persino avvicinare...

     
    Per quel poco che ho visto di ques'isola potrei scrivere un blog infinito. Mi sono ripromesso di ritornarci perchè potrò pure essere un turista fugace ma non sarò mai un fotografo da mordi e fuggi. Ho bisogno di ambientarmi, di vedere, studiare le luci. Troppo vicini all'equatore cambia tutto e cambia rapidamente.
    Concluderò con qualche immagine da vero turista.


    Ogni volta che mi scappava il traversone Laura rideva come una matta. Dopo 34 anni la mia copilota ride ancora.
     
    Pezzo consigliato: Sea Breeze, Chick Corea
    Copyright Enrico Floris 2022 per Nikonland
     
     
     
  9. Enrico Floris
    «Gli olivi del lascito a Santa Croce sono stati i primi a bruciare
    e il fuoco è già come quello dell’inferno»
    (Grazia Deledda dal racconto L'incendio nell'Oliveto, per il Corriere della Sera)

     
    Poco più di un anno è trascorso dal giorno del disastroso rogo del Montiferru dal quale scaturì mio blog L'estetica del fuoco, lo ricorderete, scritto con grande sofferenza. Ciò che non sapete è che il mio lavoro proseguì anche nei mesi seguenti durante i quali riuscii a produrre centinaia di immagini oggi relegate in una cartella del mio archivio, a imperitura memoria.
    Allora evitai di scrivere, forse perchè era la parte più dolorosa del racconto, del terribile destino che spettò al Patriarca, un olivastro millenario a qualche chilometro da Cuglieri. Un albero bellissimo, rigoglioso, oltre 20 metri di altezza col fusto che aveva una circonferenza di 10 metri. Una pianta antica che ha visto scorrere la nostra storia senza mai muoversi dal luogo nel quale era nata. Che attirava migliaia di visitatori ogni anno. Non solo turisti, anche tanti sardi i quali avevano sempre piacere di ammirare quel prodigio della natura. Non potevo crederci, Pensai che chissà quante volte nella sua lunga vita avesse conosciuto il fuoco e fosse sempre sopravvissuto.

     
    Quando l'Università di Cagliari rese noto che sarebbe stato forse possibile recuperarlo ebbi qualche dubbio ma comunque volli andare a vedere cosa stava accadendo in quel sito. Trovai i tronchi bruciati, alcuni tagliati con la motosega ma posizionati con ordine. Ciò che rimaneva del Patriarca era coperto da una rete fitta che doveva rappresentare l'ombra dell'impenetrabile chioma. Ai tronchi ripuliti dal carbone erano stati collegati tanti tubicini, flebo che attingevano medicine e nutrienti da un serbatoio posizionato su un muro a secco.





     
    A me parve subito una follia, il solito modo per ottenere finanziamenti e portare avanti una ricerca che non avrebbe prodotto alcun risultato. Ma una volta tanto, con grande sorpresa, ebbi il piacere (e anche la gioia) di ricredermi.
    Il 13 giugno scorso il grande annuncio: il Patriarca, l'oleastro millenario di Sa Tanca Manna è ancora vivo. Ma come? Le foto che sto pubblicando non lasciano spazio a dubbi. Qualcosa mi sfugge e allora provo a documentarmi, cerco di capire cosa sia successo in questo anno e come abbia lavorato il professor Gianluigi Bacchetta, docente di botanica e direttore dell'orto botanico dell'Università di Cagliari. A lui e alla sua équipe va il merito dell'importante recupero.


    Così appariva a prima vista il sito dopo la "cura"
    Sono trascorsi mesi dal rogo, undici mesi di cure e di attenzioni e il Patriarca ha ricominciato a vegetare. Già da aprile si era notata una certa attività di fotosintesi sotto corteccia in alcuni ceppi, ben protetti e ombreggiati anche con teli di juta inumiditi, irrigazione a goccia per le radici ancora sotto il suolo e la somministrazione di amminoacidi levogiri tramite flebo.
    A smentire gli scettici come me, il 13 giugno ben tre polloni già millenari, col Dna della pianta che li aveva generati venivano illuminati dalla luce del sole. Tecnicamente e scientificamente il Patriarca era vivo. Rinato dalle proprie ceneri.


    Lo dico senza vergogna, ma quando fotografai i polloni sentii un groppo in gola: la mano dell'uomo, la stessa che con stolta crudeltà aveva privato della vita quell'albero millenario ora gliela stava restituendo. Un potere assoluto che ancora l'umanità non dimostra di meritare.
     
    Può apparire cosa di poco conto ma l'albero simbolo del Montiferru che si affaccia a una nuova vita infonde grande coraggio e nuova forza a questa comunità laboriosa che tanto ha sofferto e tanto sta ancora pagando per quel terribile incendio.
    E fra un migliaio di anni _ se tutto andrà bene _ i posteri potranno ancora ammirare il Patriarca in tutto il suo splendore.
     
    Pezzo consigliato: Tree, Oafur Arnalds
     
    Copyright Enrico Floris 2022 per Nikonland
    L'immagine di apertura è su licenza CC Creative Commons, solo divulgativa e senza fini di lucro
    poichè non disponevo di un'immagine nel mio archivio
     
     
     
     
  10. Enrico Floris
    Sono tantissimi gli sport che non ho mai fotografato e che mi piacerebbe fotografare. Ma, nonostante l'età che avanza, ogni tanto capita una buona occasione che non richiede accrediti, l'unico deterrente che tiene noi appasionati a distanza dalle grandi manifestazioni sportive.
    E' stato il caso, stavolta della pallanuoto internazionale.
    WaterPolo Sardinia Cup 2022, in corso di svolgimento proprio di fronte a casa, dovevo solo attraversare la strada per arrivare alla piscina all'aperto del complesso natatorio comunale. Due tornei distinti riservati alle nazionali A, un sei nazioni femminile (Italia, Spagna, Ungheria, Grecia, Olanda, Israele), terminato oggi e un quattro nazioni maschile (Italia, Serbia, Croazia e Grecia) che inizierà domani ma non so se riuscirò a seguirlo.
    Ingresso libero e scatto libero anch'esso, nonostante la presenza di alcuni fotografi ufficiali che godevano di accessi a me preclusi, ma comunque con la piscina a meno di dieci metri non ho avuto il benchè minimo problema e senza neache cambiare posizione perchè sia col 70-300, sia col 200-500 riuscivo a coprire qualsiasi angolazione.
    Lo dico subito, sport veramente difficile da fotografare. Non fa proprio a seguire la palla che viaggia molto veloce su spazi ristretti, conviene provare a seguire il gioco e trovare gli atleti che potrebbero ricevere perchè col campo stretto dei tele è l'unica soluzione, Il grado di difficoltà l'ho individuato subito e nel primo minuto sono andato a vuoto come mai mi era capitato. Ma una sfida è una sfida e allora: due partite in due giorni Spagna-Israele e Italia-Spagna, oltre non potevo andare per una serie di contrattempi che mi stanno rovinando l'estate e anche per il caldo (qua siamo a 40° da giugno e non ne posso più).




     
    Veramente spettacolari i portieri


    La prestazione atletica è imponente  e queste ragazze hanno una grinta mai vista


    E cattiveria altrettanto imponente, con una spiccata predilezione all'annegamento dell'avversaria


    Guerriere che sanno essere eleganti

     
    E un black&white ce lo vogliamo mettere? Time Out

     
    "Questo non è certo uno sport per femminucce" diceva Nanni Moretti in Palombella Rossa
    Nanni, non lasciarti ingannare dallo sguardo angelico...

     
    Pezzo consigliato: Come Hell or High Water, Royal Southern Brotherhood
     
    Copyright Enrico Floris 2022 per Nikonland
  11. Enrico Floris

    Mondo Zeta
    NON è un test tecnico, non può esserlo, non ho le conoscenze per farlo e men che meno l'ambizione di farlo. Piuttosto lo classificherei come test emotivo se mi passate la definizione.
    Ho sempre fotografato _ lo sapete _ con fotocamere aps-c (salvo qualche rara occasione). Di tutte quelle che possiedo (non mi sono mai liberato di nessuna di esse) ho apprezzato i pregi e sopportato i difetti. Ho iniziato con la D80 che riusciva a rendere i colori brillanti anche sotto un acquazzone; ho apprezzato la straordinaria colorimetria della D7100 e la capacità del suo sensore di produrre tonalità dense quasi fosse una full-frame; per approdare infine alla D500, la meraviglia delle reflex DX di Nikon.
    Oggi ho deciso di muovere qualche passo nel mondo Z prima del trapasso definitivo acquistando la piccola Zfc perchè ero troppo curioso di scoprire con cosa avrei avuto a che fare negli anni a venire.
    Ricordo che il passaggio dall'analogico al digitale fu nella giusta maniera traumatico considerando il divario netto tra la pellicola e il sensore che ha modificato universalmente il modo di scattare foto ma anche _ e soprattutto _ il modo di lavorarle cancellando definitivamente la camera oscura e rendendo il nostro lavoro più rapido e pulito pur costringendoci a studiare un po' per imparare almeno le basi della post produzione giusto per riuscire a tirare fuori dai RAW la maggior parte delle informazioni. Miracoli del progresso.
    Stavolta è diverso. Potrei uscire da questo discorso con una citazione dal film Pulp Fiction: “... non è lo stesso fottuto campo da gioco, non è lo stesso campionato e non è nemmeno lo stesso sport”. Ma vi rispetto troppo per liquidarvi con una tale semplificazione.
    E poi non vi è nulla di semplice. Eppure i comandi sono gli stessi, l'ergonomia la conosco a memoria e il menù è quello di sempre, rapido e intuitivo. E io fotografo sempre allo stesso modo, stesse regolazioni, stessa interpretazione della luce. Ogni volta, su ogni scatto.... e invece è proprio questo che non va bene. E impiego un bel po' di giorni e un bel po' di prove prima di capirlo. La piccola Zfc reagisce in maniera diversa dalle altre digitali che possiedo e che uso. Eppure dovrebbe avere lo stesso sensore della D500, un sensore che conosco bene e col quale ho confidenza. Ma non c'è verso.
    La cosa più sconcertante è l'autonomia di pensiero della Zfc (e questa me la dovete passare per forza). Perchè decide lei come elaborare il file:
     
    Nitidezza straordinaria e colori reali e brillanti in favore di luce


     
    Colori neutri con luce laterale e di bassa qualità, quasi fosse una Leica
    distante una manciata di parsec dalle curve Kodak alle quali ci ha abituato Nikon
     


     
    Colorimetria da interpretare nei controluce ma tratti netti
    e una qualità che fino a questo momento era appartenuta esclusivamente a fotocamere equipaggiate con sensori FF


     
    E la lettura WB Auto che pare quasi zonale? Nessuna reflex è scevra da condizionamenti nella fotografia notturna e in presenza di luci artificiali di varia natura. La temperatura colore è condizionata sempre dalla fonte luminosa preponderante. Ma questa Zfc riesce ad isolare tutte le fonti di luce e a garantire una lettura diversa per ogni zona del fotogramma.. Mai visto un WB Auto con una tale estensione dinamica. Da non credere.
    Del rumore, poi, è meglio tacere. Nessuna scheggia di colore vagante solo una grana, sottile e perfettamente definita anche agli alti ISO e senza correzioni.

    L'unica foto che ho scattato a tarda sera rientrando a casa.
    C'era di tutto: neon, tungsteno, led e persino la luce naturale del crepuscolo. Le ha riconosciute tutte. ISO 4500, 1/30 f. 16
    E' pur vero che noi fotografi amiamo spesso catturare scene che fanno parte del nostro immaginario, scattiamo ciò che vorremmo vedere e non ciò che è realmente. Inevitabilmente la nostra post produzione inizia proprio con lo scatto, con quel terzo di diaframma in più o in meno, con quell'ombra che vogliamo più netta o quel colore che vogliamo più cupo ma che deve anche risaltare, richiamare l'attenzione. Imperfezione e creatività sono elementi difficili da disgiungere e sono umani. Questa piccolina però non lo capisce, fa di testa sua. E produce immagini sempre perfette.

    Un dubbio mi assale: sarà mica che dovrò pensare come lei per ottenere ciò che voglio? E' davvero questo che mi ha dato Nikon? Parrebbe proprio di sì.


    Pazza Idea non vuole partire, il solenoide del motorino d'avviamento è morto e la Zfc si specchia sul contagiri tristemente immobile.
     

    Questo è il plasticotto 16-50. Chissà cosa potrebbe fare la piccolina con l'annunciato 12-28, non riesco ad immaginarlo
    Ci sarà da faticare, me ne farò una ragione. Indietro, di certo, non si torna.
    Copyright Enrico Floris 2022 per Nikonland
    Miracle, Rocky Athas Group
     
  12. Enrico Floris
    QUANTO sia stato realmente terribile quel soggiorno in Sardegna per Honoré de Balzac probabilmente non lo sapremo mai.
    Era il marzo del 1838 quando il grande scrittore trovò a Marsiglia un imbarco per l'isola. La meta da raggiungere era il sito di estrazione mineraria dell'Argentiera
    “... abbandonato dai tempi della scoperta dell'America”, scriveva a Ewelina Hańska, la donna che amava e che sposò qualche mese prima di morire.

    Nelle sue intenzioni vi erano il recupero e lo sfruttamento delle miniere di piombo e argento e in effetti in quegli anni l'attività estrattiva avrebbe potuto rendere bene, tanto da rimettere in sesto le finanze dello scrittore. Benestante sì, ma indebitato fino al collo e perseguitato dai creditori per via della cattiva abitudine a spendere molti più denari di quanti ne guadagnasse, che già erano tanti, proventi dell'attività di scrittore, drammaturgo ed editore.
    L'affare non andò mai in porto. Battuto sul tempo da un amico al quale, con scarsa prudenza, aveva confidato il motivo del viaggio. L'Argentiera ai suoi occhi e in quello stato d'animo per l'affare sfumato deve essere apparsa un luogo triste, oscuro e deprimente.
    Un villaggio minerario abbandonato circondato da un'estesa e impenetrabile foresta di lecci per attraversare la quale occorrevano giorni.
     
    Strutture in legno marcescente
    Gallerie che sventrano la montagna e sbucano su spiagge nere
    lambite da un mare infido
     

     

     

     

     
    Scogliere imponenti che si palesano improvvise protette alla vista da un velo di nebbia
    Attorniate da secche occultate in un palmo d'acqua
    prole affilata che si mostra solo quando non vi è più tempo per raddrizzare la barra
     

     
     

     
    Mulinelli enormi, capaci di inghiottire in pochi minuti un mercantile di buona stazza
    e il furioso sibilare del vento che accresce la ferocia delle acque
    dalle quali emergono orribili mostri e lugubri presagi
     

     

     

     
    ... mentre nel medesimo istante, a terra, sotto la pioggia
    un raggio di sole illumina beffardamente l'Eldorado svanito
    sparso su una mulattiera
    Una distesa di microscopiche particelle di materiale che brillano
    sfiorate dalla luce che penetra le dense nubi

     
    Ci provo con poche immagini a ricreare quelle atmosfere angoscianti. L'Argentiera e il suo mare non faticano a mostrarsi in tutta la loro cupa e spaventosa bellezza, pur addolcita dalla mano dell'uomo e dal trascorrere del tempo. A dispetto di ciò che lo scrittore francese narrò di quei giorni che non riuscì mai a dimenticare.
    You Know, You Know - John McLaughlin, Mahavishnu Orchestra
    Copyright Enrico Floris 2022 per Nikonland
     
     
  13. Enrico Floris
    SCOPRII per puro caso, lo scorso anno, che una tappa del campionato del mondo di aquabike si svolgeva in Sardegna, non lo sapevo proprio. Ovviamente l'edizione 2020 venne totalmente cancellata dopo due prove, ma nel 2021 si sta cercando di recuperare, Per ora le prime tre prove Polonia, Ungheria e Italia sono andate a buon fine. La location scelta è Olbia, esattamente il molo Brin, un ampio spazio acquatico non più utilizzato di fronte al marina

    Mi ero riproposto di non perdere l'appuntamento e sono riuscito nell'intento ma solo in parte (per istinto di autoconservazione e anche per motivi indipendenti dalla mia volontà). Comunque per un pomeriggio e una mattina sono riuscito a produrre qualcosa. Lo dico subito: mai fotografato l'aquabike fino ad oggi e a dire il vero non conosco neanche le classi di gara e neanche il regolamento e, mea culpa, non conosco neanche i nomi degli atleti in gara... un disastro.
    Ciononostante il tempo che ci ho speso ritengo sia stato proficuo.

     

     

    Poche le postazioni a mia disposizione ma comunque una certa libertà di movimento l'ho avuta grazie a un servizio d'ordine comprensivo e a un limitatissimo affollamento.
    Ho lavorato tranquillo per qualche ora ed era ciò che più mi interessava.

     

     
    Sport magari noioso da vedere dopo i primi cinque minuti ma decisamente divertente da fotografare.
    Con grande sorpresa ho scoperto che si può fare tanto e le situazioni in acqua sono le più disparate. Un antistress consigliatissimo.


     
    Una grinta pazzesca questi ragazzi e anche tanti muscoli, perchè tenere un jet sky non è facile. Sulle boe fanno pieghe da paura... le orecchie in acqua


     

     
    E le ragazze non sono da meno, meravigliosamente aggressive. Da brivido

     

     

     
    L'unico rammarico è stato non poter assistere alla parte più divertente dello show, la specialità freestyle che potete ben immaginare. Purtroppo si è svolta ieri in notturna, con inizio alle 21. Per i motivi che ben conoscete ho dovuto rinunciare. Ero già in tira da ieri mattina e non posso più permettermi certe zingarate. Cercherò di gestirmi meglio nel 2022, sperando che il mondiale resti in Sardegna.
    Mi sono divertito veramente tanto e, sinceramente, non avevo mai prodotto tante immagini in un' paio di sessioni di poche ore ognuna. Vorrei pubblicarle tutte,
    Quest'ultima credo spieghi molto bene a cosa si va incontro... ci si può sbizzarrire veramente tanto.
    Pezzo consigliato: Let It Ride, della Bachman Turner Overdrive, per chi ancora se la ricorda. Alzate il volume

     
    Copyright Enrico Floris 2021 per Nikonland

  14. Enrico Floris
    Avevo deciso in tempi non sospetti di fare le vacanze (se si possono chiamare tali 8 giorni) con Laura nella costa ovest della Sardegna, a Torre del Pozzo. Posto tranquillo, anche in estate, per chi vuole riposare in santa pace o comunque cercare di dormire quando ha voglia di dormire. Unica controindicazione (consideriamola tale, a nostra insaputa quando prenotammo) è che siamo ubicati a pochi chilometri dalla zona  del megaincendio che ha mandato in fumno 20.000 ettari del Montiferru ma fortunatamente  non ha fatto danni sulla costa. Questo però ha comportato diversi sorvolamenti di elicotteri "presidenziali" dal momento che il presidente Mattarella in vacanza a Porto Conte ha voluto visitare dall'alto la zona del disastro a bordo di un Agusta Super Siuri (avrebbe detto Max Magnus) dei CC. Ma questo prima che arrivassi io. Solo che oggi i giornali riportavano la notizia  che anche la presidente del Senato Casellati era in vacanza ad Alghero.
    Chiarito questo arrivo al punto. Laura dormiva beatamente e io stavo cercando di addormentarmi con le cuffiette quando all'improvviso.... uno stramaledettissimo elicottero ha iniziato a sorvolare il B&B che ci ospita a bassissima quota... insomma ho pensato che fosse la Casellati che in un'ora assolutamente inopportuna aveva deciso _ anche lei _ di fare un bel giro panoramico per accertarsi di persona di quanto fosse estesa la zona carbonizzata (tanto comunque nessuno farà una cippa) invece no. Stavolta (ma solo stavolta) la povera presidente del Senato è risultata innocente perchè persistendo il casino ho deciso di guardare fuori dalla finesta... era l'elisoccorso. Non penso sempre troppo in questi casi, ho acchiappato l'unica fotocamera che non era nello zaino, la D7100, con l'obiettivo che vi era attaccato in quel momento, il Sigma 10-20 e sono corso in strada. Qualcuno è stato molto male, spero non troppo, nel residence vicino e l'ambulanza era per strada ma non sarebbe mai arrivata in tempo. Ci ha pensato comunque l'elisoccorso a scaricare il medico e il paramedico in attesa dell'arrivo del 118. Poche foto, avrei preferito una posizione più favorevole ma questo è quello che si può fare in un paio di minuti...

    Medico e paramedico sono imbragati assieme

     

    Il tono vagamente drammaico ritengo sia appropriato.
     
    Don't crash the ambulance - Mark Knopfler
     
    Copyright Enrico Floris per Nikonland
  15. Enrico Floris
    Con un po' di fatica perchè a parte i problemi di salute sono fuori allenamento per via dei lockdown e del meteo che quest'inverno mi hanno tenuto chiuso in casa, mi sto impegnando in qualche passeggiata non troppo faticosa. Stranamente è piovuto ininterrottamente da novembre ad aprile. Capita ogni duecento anni? Vabbè, quest'anno è capitato. Allora riprendo in mano e cerco di concludere vecchi lavori che considero appropriati per il blog.
    Ho pensato bene, quindi, di raccontare una storia. La storia di una chiesetta campestre situata a Martis, un piccolo comune dell'Anglona, poco meno di 500 abitanti, a una quarantina di chilometri da Sassari.


    La chiesa in questione è San Pantaleo, edificata nel 1325 con una strana scelta architettonica: un'unica navata quasi interamente in stile romanico ma con qualche tratto aragonese, alla quale in seguito vennero aggiunte due navate laterali e un campanile in chiaro stile gotico (XVI secolo). Questa la brevissima descrizione ma non la storia, in fondo di chiesette campestri in Sardegna ce ne sono a decine e fin qui niente di strano.
     
    La particolarità di San Pantaleo è che venne sconsacrata nel 1920 in seguito a uno smottamento.
    In effetti venne edificata ai margini di un altopiano, su una base di roccia che ne garantiva, in quegli anni, l'assoluta sicurezza. Il fatto è che in tempi più moderni ci si accorse che quella base di roccia presentava una frattura netta. Parte della navata centrale e una delle due navate laterali subirono gravi danni con il crollo della copertura, il distaccamento di parecchi blocchi di pietra del colonnato e il dissesto insanabile del campanile.
    Sin qui la storia. Ma in epoca più recente (1988) venne tentata una ristrutturazione almeno per renderla fruibile ai visitatori. Purtroppo il progetto venne abbandonato dopo qualche anno poichè successive perizie decretarono la definitiva chiusura del luogo di culto e il divieto assoluto di ingresso in tutta l'area circostante (con un perimetro di una cinquantina di metri attorno alla chiesa). Per farla breve i geologi dell'università e i vigili del fuoco diedero per certo il crollo. Quando? Fra un'ora... fra un anno... dieci anni... Insomma, basterebbe un tuono più forte durante un temporale e metà della chiesa (o tutta la chiesa) crollerebbe a valle.
    La navata centrale


     
    Il campanile

     

    Come già detto non si tratta del lavoro di una giornata, è cresciuto in diversi anni durante i quali sono riuscito a produrre alcune centinaia di immagini in condizioni ambientali e di luce molto diverse. Con uno sguardo attento noterete i vari gradi di deperimento dell'intera struttura. Ma ogni volta è sempre diverso e vedo cose nuove.
    Quella che doveva essere la sacrestia, forse il punto più pericoloso. Ho scattato una foto secca e sono uscito immediatamente

     
    Le arcate superstiti della navata di destra


     
    Un particolare di ciò che doveva essere un affresco su una colonna portante della navata centrale

     
    Alcuni blocchi di pietra lavorati, staccatisi dalle arcate


     
    La navata di destra

     
    Lo scoperchiamento della navata centrale

    Lo so, non ci dovrei entrare, non dovrei superare le transenne e il recinto facendo finta di non vedere i cartelli di divieto, ma provo grande attrazione per questo luogo abbandonato. E avverto una strana sensazione nel calpestare il pavimento di una chiesa deserta, ascoltando i miei passi e pesandoli. Immerso in un'architettura silenziosa, deformata dal tempo, da una faglia nella roccia, invisibile, aperta da chissà quale sommovimento tellurico chissà quanti millenni fa e dagli eventi atmosferici... dall'abbandono. Definitivo. Inappellabile. Mi pare persino di percepire il rumore dell'otturatore che rimbomba. So che non è possibile che ciò accada, non c'è neanche il tetto... ma quel suono arriva alle mie orecchie amplificato dal vento che scorre veloce tra le navate scoperchiate. Quello che so è che ci tornerò ancora per cercare cose che mi sono sfuggite. E per godere di quel silenzio.
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    Pezzo consigliato: A Taste of Honey, nella versione che preferisco, quella di Paul Desmond.
    Copyright Enrico Floris 2021 - Per Nikonland
     
  16. Enrico Floris
    L'edizione 2020 in effetti si sarebbe dovuta svolgere a giugno, come ogni anno, ma a maggio ancora non si sapeva se e quando. Solo ai primi di luglio correva voce che il mese prescelto sarebbe stato ottobre. Naturalmente a campionato ridotto perchè molte prove del mondiale sono saltate proprio per i lockdown imposti in molte nazioni in quasi tutto il circuito. Ma la tappa italiana è sempre stata tra le più sicure, in parte per la chiusura dei confini per chi proveniva da stati non classificati sicuri e in parte per il “bluff” concordato con la FIA dal governatore della Sardegna che ha annunciato totale chiusura al pubblico. Cosa ovviamente impossibile, ma che è servita a scoraggiare l'arrivo di molti appassionati. Quest'anno doveva andare così.
    Complicato il programma. Prove speciali ridotte, orari improbabili e controlli attenti (soprattutto sulle mascherine). Ma quando mai mi sono lasciato scoraggiare?
    Nella prima giornata una prova speciale che non conoscevo e che attraversava un cantiere forestale meraviglioso, nei pressi di Castelsardo. Speravo meglio, con Enzo Cossu (bravo fotografo e nikonista, col quale normalmente ho piacere di lavorare) avevamo fatto un sopralluogo lungo tutta la speciale un mese fa, ci sembrava un'ottima scelta. Ahimè, così non è stato. Luce pessima con metà del tracciato in ombra e una foschia veramente fastidiosa. Ho preferito orientarmi sulle immagini ambientate, giusto per fare qualcosa di diverso e che non facesse troppo ringhiare.

    In piedi su una roccia, e con le ginocchia scassate... queste cose non le dovrei proprio fare, ma ancora non riesco a trattenermi.

    Veibi-Andersson su Hyundai i20. Primo anno per quest'auto e va veramente forte. Erano due le i20 in gara, l'altra affidata all'equipaggio russo Gryazin-Aleksandrov.



     

    Una scenografia pazzesca. Mi riprometto di tornarci con più calma... magari rischiando meno

    Me lo sentivo dentro che questa foto l'avrei dovuta fare, un primo piano degli americani Sean Johnston e Alexander Kihurani... ancora ignari di quanto sarebbe accaduto loro il giorno dopo....
    ....... il giorno dopo. Nella "speciale" di Loelle. E io ero c'ero.







    MA CHE CULO ANCHE LORO... CHE SONO RIPARTITI

    Tre giorni di sveglia alle 4 del mattino, tutto il giorno in piedi o sdraiato in terra con la testa poggiata sullo zaino, l'attesa infinita e i crampi.... qualcosa la dovevo incassare, per giusto diritto. Noi fotografi siamo dei cercatori. Se cerchiamo, prima o poi, troviamo. Amen.
    Ma tant'è... lo spettacolo deve continuare.

    La grinta di Thierry Neuville nella speciale di Tergu, quasi al volo prima di rientrare a casa.
    Terzo e ultimo giorno all'Argentiera, in quella che _ per il paesaggio che attraversa _ viene considerata la più spettacolare tra le prove del mondiale e per questo molto difficile da documentare per i fotografi non ufficiali. Cioè noi.
    Ce ne faremo una ragione, per ora qualche idea ancora l'abbiamo. Anche senza un passe appeso al collo.
    Intanto un doveroso omaggio alla coppia Solberg-Mikkelsen, apripista veloci

     
    .... e agli irriducibili amici della polvere

     
     
    Sebastien Ogier

     

     
    Veibi-Andersson

     
    Gryazin-Aleksandrov

     
    Tanak-Jarveoja

     
    E l'arrivo spettacolare di Dani Sordo, vincitore in Sardegna per il secondo anno consecutivo. Stavolta "spinto" dal maestrale.
    Un traversone in prossimità del traguardo mi mancava.

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    Copyright Enrico Floris 2020 per Nikonland
     
     
     
     
     
     
  17. Enrico Floris
    UN VIAGGIO non fotografico, principalmente da appassionato di musica. L'intento era quello di seguire il Jazz Fest & Heritage, il festival annuale, un vero e proprio patrimonio per New Orleans. Jazz Fest è una onlus che finanzia col ricavato le 130 scuole di musica della città, le quali ogni anno sfornano musicisti che faranno Pil per i prossimi 40 anni. Un'esperienza che io e Laura volevamo vivere da tempo. Un soggiorno di appena 12 giorni, dei quali 7 trascorsi quasi interamente nel grande spazio aperto adibito ad area concerti: 5 palchi, 2 tende, una media di 400.000 visitatori, 40 concerti al giorno, dalle 11 alle 19, impossibile muoversi senza seguire un programma perchè si vorrebbe vedere tutto ma si finirebbe per non vedere niente. Un happening pazzesco. In una città pazzesca. La Big Eesy non delude.
    Avevo con me solo la piccola Coolpix P5100, ma l'intenzione era quella di acquistare lì la reflex che mi serviva, cosa che feci il giorno dopo l'arrivo, la D80 in kit con l'obiettivo peggiore che Nikon abbia mai prodotto, il 18-135 (ma io non lo sapevo... ancora). Ciononostante pagai il kit esattamente la metà di quanto costava in Italia (nel 2008 il cambio euro/dollaro era a 1.48 e mi vennero rimborsati persino 90 dollari di tasse...)
    L'impatto con il Jazz Fest è dei migliori, in una giornata caldissima e... piovosissima

    Aspettando Stevie Wonder... che arriva insieme alla pioggia

     
    Incuriosisce e sorprende la varia umanità che popola questi festival, ad iniziare da me...

    che tutto sommato sono il più... sobrio (la bandana serve solo per non farmi sudare quando metto il cappellino)




     
    Coco Robicheaux, uno dei miei bluesman preferiti sul palco della Blues Tent con la sua bellissima Godin Multiac. Non dimenticherò mai quella fantastica esibizione.


     
    Nella Big Easy si vive h24, praticamente io e Laura dormivamo 4 ore, la notte intesa come momento di riposo non è contemplata: locali con musica (di qualità, credetemi) rigorosamente dal vivo, feste private e daiquiri a fiumi...
    Bourbon Street

     
    .... e le sue feste private. Non occorre essere conosciuti per entrare in una di queste terrazze, basta pagare: alcool q.b., tanta musica e tanto divertimento.
    L'ideale se non si è in compagnia delle mogli... o dei mariti.


    E poi Toulouse Street, con i suoi bordelli storici (ovviamente chiusi)

     
    I sex shop

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    Canal Street di notte ha pure il suo fascino

     
    Nonostante la confusione notturna, di giorno il Quartiere appare tranquillo e vivibile, sempre pulito e ordinato. A tal fine si lavora sin dalle prime ore del mattino


     
    ed è piuttosto piacevole passeggiare nel parco lungo il Mississippi o nel parco prospiciente la cattedrale di St. Peter, una chiesa non grande ma molto bella, antica e ben tenuta. Iniziarono a costruirla gli spagnoli oltre trecento anni fa, proseguirono gli inglesi e infine venne terminata dai francesi



     
    Di giorno Canal Street ha un altro volto. Vedete quelle palme? Se ricordate bene le foto dell'uragano Kathrina, erano sotto l'acqua...

     
    Il ferry che collega il French Quarter ad Algiers, il quartiere nel lato Ovest del Mississippi

    ... e visto che siamo nel Mississippi...


     
    Anche di giorno la varia umanità non manca

     

     

    Molti ci sbarcano il lunario.
    E qualche volta con apprezzabili risultati: tanto ci vuole a far sorridere una signora anziana costretta in carrozzina?

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    Per terminare questo breve tour.
    Come ben saprete la Lousiana è un'area di particolare interesse naturalistico. Le sue paludi si estendono per 1.000 chilometri e hanno una profondità di 200 chilometri, praticamente grandi quanto l'Italia. Si tratta di un'area tra le più protette al mondo perchè _ i nostri fotonaturalisti lo sanno _ il termometro che segna la salute dell'intero pianeta sono proprio le zone umide. Un'esperienza di mezza giornata veramente favolosa. Molto difficile fotografare in quelle paludi, servono una buona esperienza e una buona attrezzatura, ma soprattutto la giusta luce: alba o tramonto, perchè la Louisiana si trova in fascia preequatoriale, per cui alle 9,30 il sole è già a picco e la palude diventa una scacchiera di luci e ombre, un disastro.
    Il molo d'imbarco, peccato avrei voluto un pellicano sul pilone...

    L'airboat passa dappertutto. E' sicuramente il mezzo più adatto a percorrere gli stretti canali del bayou

    ... per carità, si potrebbe fare anche in canoa, ma non è consigliabile.
    Loro sono molto curiosi...

     
    Fine del tour.
    Purtroppo questo viaggio si è concluso con un dramma dal quale ancora non mi sono ripreso: lo scratch dell'hard disk proprio nel momento in cui scaricavo l'ultima SD. Tralascio di descrivere la sgradevole sensazione di disperata angoscia e non ne sarei neanche capace. L'assistenza riuscì a recuperare più o meno un centinaio file degli oltre 2000 che avevo prodotto, per di più in un formato simil jpg da riconvertire, di qualità discutibile.
    Capirete bene che per me è particolarmente doloroso aprire questa cartella di immagini, purtroppo sparpagliate, senza una traccia narrante, ma visto il periodo di magra ho deciso di prendere il coraggio a due mani e di popolare il mio blog con qualche ricordo. So che apprezzerete.
    Pezzo consigliato: naturalmente Pit Bull, Coco Robicheaux, dall'album Spiritland
     
     

  18. Enrico Floris
    Liam Wong, fotografo per caso
     
    Si chiama Liam Wong e non è un fotografo, almeno, non di professione. In realtà è uno degli Art Director della UbiSoft, nota software house di videogames. Solo casualmente, in occasione di un viaggio a Tokyo per la presentazione di un videogioco, si è ritrovato “da turista” a creare un vero e proprio diario di viaggio per immagini sulla sua pagina Instagram riscuotendo dapprima un grande successo tra gli amici e in seguito un successo più ampio (a mio parere meritato) dopo la visione della suddetta pagina da parte di Adobe e della Saatchi Gallery che hanno esercitato parecchie pressioni per convincere il povero Wong che poteva avere un fulgido futuro da fotografo. E questo lo ha spinto comunque ad approfondire l'argomento, migliorando le tecniche di street notturna con una post produzione attenta servendosi del pixel peeping, tecnica che permette di non trascurare alcun particolare della scena.
    In realtà le sue immagini sono perfette sul piano compositivo, assolutamente scevre da difetti, distrazioni, particolari sfuggenti. E questo _ per sua stessa ammissione _ grazie all'esperienza da art director che ogni giorno deve visionare decine di layout ambientati realizzati più o meno distrattamente dai creativi della UbiSoft. “Penso che grazie al lavoro che svolgo per me sia relativamente facile riconoscere immediatamente una composizione pulita”

    Ho scoperto le sue foto per caso ieri sera e per caso ho trovato il suo libro (che ho già provveduto a prenotare, visto che è esaurito dopo appena tre mesi dall'uscita) TO:KY:00, strana scelta grafica per un titolo che porta tutti a chiamarlo Tokyo Midnight giacchè le immagini sono tutte notturni della metropoli giapponese. Ed è proprio la notte che Tokyo dà il meglio di sé e forse Wong non lo immaginava (nonostante il cognome è scozzese di nascita e vive in Canada).


    Le immagini, assolutamente improvvisate, da turista, sono incredibili. Taglio cinematografico, ambientazioni da Blade Runner, nello stile rivoluzionario e inconfondibile di Jordan Cronenweth che fu il geniale direttore della fotografia della pellicola cult di Ridley Scott. La pioggia sottile, i colori violenti dei neon che si deformano fondendosi col nero dell'asfalto bagnato in un riflesso continuo e le persone si tramutano in forme nere brulicanti sotto ombrelli luminosi che rimandano all'occhio luminescenze di un gamut improbabile. Il tutto fuso da una post produzione che rasenta la perfezione.
     

    Cosa dire. Non so se è il momento di reclusione forzata a farmi apprezzare questo lavoro, ma è certo che questo fotografo non-fotografo mi ha colpito parecchio. Ve lo propongo con qualche riserva perchè so che avete il palato fine. In queste foto Wong sfrutta la pioggia come elemento di narrazione e con un filo di garbo racconta una delle città più caotiche e più affollate del mondo.

    E comunque in questo periodo di magra avrete poco da lamentarvi
    Pezzo consigliato ovviamente: Temptation della bravissima Hiromi
    Le immagini a corredo di questo articolo e i diritti a loro connessi sono di proprietà di Liam Wong
     
  19. Enrico Floris
    Il riferimento alla pellicola cult di John Milius non è per niente casuale... in effetti ieri era mercoledì. E io avevo voglia di provare la D500 sul campo che preferisce, lo sport. L'idea di scrivere questo blog, invece, già mi balenava per la mente da alcuni mesi, e i campionati FISW, che quest'anno non solo assegnavano i titoli italiani, ma decidevano le qualificazioni per Tokyo 2020 per la specialità shortboard, sono stati la giusta occasione.

    Galeotto è stato un libro, una classica lettura estiva dal titolo Giorni Selvaggi, scritto dal giornalista e scrittore americano, premio Pulitzer per i suoi servizi di guerra dalla Somalia, William Finnegan. Giorni Selvaggi è la sua storia, la sua vita. Una vita divisa da sempre tra il grande amore per la letteratura e la religione (perchè di questo si tratta) del surf. Una vera e propria folgorazione nata alle Hawaii quando ancora era un ragazzino. Un libro avventuroso, straordinario; un ritmo che non annoia, piuttosto incuriosisce.

    Finnegan (oggi 67enne) ha girato il mondo per oltre cinquant'anni cercando le onde più difficili da surfare, quelle che egli stesso definisce onde killer, che si infrangono con lo stesso fragore di due treni che si scontrano; racconta della sensazione di terrore assoluta che si prova a surfare un'onda veloce, alta dieci metri. Terrore che in una manciata di secondi si fonde con la gratificante euforia per averla surfata senza cadere. Stati d'animo contrastanti che “sparano” l'adrenalina a mille.



    Una vita fatta di passione, rischi e sacrifici, tirando a campare, nel suo girovagare, con i lavori più umili: cameriere, benzinaio, giardiniere e di tanto in tanto qualche articolo che le riviste di surf australiane pubblicano volentieri. Persino insegnante di storia nel Sud Africa dell'apartheid, in un college per ragazzi di colore. Più avanti, da giornalista e inviato di guerra non viaggiò mai senza la sua tavola da surf. In quegli anni affrontò persino le onde di El Salvador durante la guerra civile e della Somalia... un bersaglio perfetto. Troppo difficile però rinunciare alla gioia di surfare, quasi per esorcizzare quei momenti difficili, di drammatica sofferenza. Un surfista randagio che i giorni selvaggi li ha vissuti per davvero, affrontando onde che oggi non esistono più perchè il mare, nel suo incessante lavoro di erosione, modifica i fondali. E' geloso delle "sue" onde e sa che non potranno mai più ripetersi e nessuno potrà mai più surfarle.





     
    Il campo di gara era lo spot di Mini Capo, nei pressi di Mandriola. Al mio arrivo (intorno alle 11) gli atleti erano già in gara da un paio d'ore, sulla line up, alle prese con onde di circa 4 metri che arrivano in serie (swell) di 3, distanziate di circa 5 secondi. Vento di maestrale, oltre i 25 nodi, abbastanza destabilizzante quando si sta su una tavola piccola, leggera e difficile da controllare come la shortboard. Ma loro sono bravissimi e spettacolari, agili e veloci interpretano alla perfezione ogni minima increspatura sull'acqua. Lo spettacolo infinito di uno degli sport tra i più fotogenici in assoluto... e io mi diverto come un matto. E la D500 nelle mie mani è una scheggia, reattiva e infallibile, nonostate il vecchio 70-300 VR, ieri veramente alla frusta (in attesa che mi arrivi il 200-500). E non potrei scrivere niente di meglio di quanto è statoo scritto finora su Nikonland. Voglio solo pensare che siano le immagini a parlare.





    E qualche volta l'onda ha la meglio, il mare non si lascia addomesticare

     
    Come al solito, spero di aver fatto un lavoro almeno dignitoso. In ogni caso, per poche ore, mi sono divertito tanto. E leggete Giorni Selvaggi, ne vale davvero la pena.
    Pezzo consigliato, visto l'argomento: dal genio di Brian Wilson, Surf In Usa, Beach Boys
     

     
     
  20. Enrico Floris
    Una delle mie solite passeggiate con fotocamera. Stavolta ad Alghero, un giro per il centro storico già addobbato di luminarie in attesa del Natale. Nei pressi di Lo Quarter un'indicazione richiama la mia attenzione: Presepe contemplativo sonoro in movimento. Sono curioso abbastanza da seguire la freccia ed entrando nel salone trovo qualcosa che non avevo mai visto: un immenso presepe con statuine animate (animali compresi) e controllate, evidentemente, con sequenze di comandi in loop da un computer remoto. Straordinaria l'ambientazione con un impianto luci led, anch'esso controllato dal computer, che riproduce tutte le condizioni di luce delle 24 ore, dall'aurora al tramonto, per non parlare dei suoni, ahimè non riproducibili su file fotografico. Ho pensato subito che fosse una buona idea per un blog natalizio, senza valutare le prevedibili difficoltà.
    Experience: perchè non mi era mai capitato di fotografare in semioscurità con luci artificiali così complesse che variavano colore, intensità e producevano dominanti diverse. Non ho voluto rinunciare alle atmosfere e non mi sarei mai sognato di usare il flash appiattendo tutta quella profondità. Per cui ho impostato la fotocamera su WB auto (con l'intenzione di eliminare qualche dominante in pp, salvaguardando le atmosfere), ISO 1600 (non ho osato andare oltre) e tempi di esposizione che variavano fra 1/50 e 1/20 a TA. La considero una scelta estrema e guardando le foto ve ne renderete conto anche voi: ho utilizzato la fotocamera come fosse una steadicam, inserendola nel paesaggio senza, ovviamente, guardare nel mirino e ho scattato cercando di tenere la fotocamera ben ferma e possibilmente orizzontale, a distanze minime di maf. La linea di fuoco, sottilissima, qualche volta mi ha lasciato i soggetti fuori fuoco, ciononostante rende bene l'idea della profondità di tutta la struttura paesaggio. Sinceramente: avrei voluto la Z6 per poter selezionare il punto di fuoco sullo schermo touch e poter spingere gli iso a 6400 senza colpo ferire... questo non è proprio il terreno della D7100.
     
    Non so se le immagini saranno di vostro gradimento, ma ciò che mi interessa è sapere cosa pensate della strategia di ripresa (ribadisco, assolutamente improvvisata).








    Non preoccupatevi se mancano i protagonisti (il Bambin Gesù, Maria, Giuseppe, l'asino e il bue), sono certo che verranno aggiunti al momento giusto.
    Buona visione e grazie per qualunque consiglio.
    Pezzo consigliato: ovviamente Let it snow (Frank Sinatra)
     
  21. Enrico Floris
    L’ultima volta fu 37 anni fa, nel 1981, Rally della Costa Smeralda e avevo 22 anni.  Quella volta vinse Markku Alen al volante della 131 Abarth. Riuscii a fotografarlo da meno di quattro metri di distanza con il 35mm, ancora ricordo il ruggito assordante del motore, il fango che schizzava da tutte le parti e quel brivido… ma che ci faccio qui, in mezzo alla strada… A pensarci oggi quasi mi viene un coccolone.
    Ma tutti questi anni non sono bastati per ridurre la mia passione per la fotografia sportiva. Aspettavo solo l’occasione, quasi un ultimo sprazzo di vitalità e non lo dico per scherzo. Si suda dall’alba per raggiungere il tracciato, l’auto spesso parcheggiata a qualche chilometro, zaino sulle spalle e via su sentieri limitrofi… che neanche le capre…
    E poi l’attesa, lunga e snervante (accessi chiusi alle 6-7 del mattino e passaggio delle auto in gara alle 11-12) in cerca di due-tre postazioni da utilizzare durante lo svolgimento della speciale. Le litigate con i marshall, tanti soldatini  ai quali non va mai bene niente. Godevo di maggiori libertà 37 anni fa e non avevo bisogno di croppare per via della troppa distanza dal soggetto.
    Ho davvero sopportato di tutto per provare ancora quelle sensazioni, e allora ho deciso che riprenderò la discussione polemicamente e compiutamente più tardi. Quasi 500 immagini (la 7100 non ha praticamente un buffer), ne ho scelte alcune, quelle che si sono fatte notare prima….
     

     

     

     

     



     
    Un omaggio al popolo del rally che si muove a carovane: I Love the Dust, come si fa a vivere senza la polvere....

    Nella giornata di oggi ho deciso di seguire il finale di gara nella prova speciale dell’Argentiera, non avevo in programma di fare molte foto, conosco bene il tracciato _ lo batto regolamente in inverno con la fotocamera al collo _ e so che non è possibile trovare punti particolarmente spettacolari, per cui mi sono adeguato alle regole e senza dare troppo fastidio, prima del secondo passaggio, mi sono posizionato ben distante, verso l’esterno, diciamo in linea d’aria a circa 50 metri dal mare e più o meno a 200 metri dal tracciato, zona assolutamente sicura e non riservata alle famigerate “pettorine verdi”, i supermegaprofessionisti (alcuni dei quali non ancora maggiorenni, armati di smartphone e fotocamere bridge. Dovrò scoprire chi ungere per avere una di quelle pettorine) che invece avrebbero libertà di posizionarsi persino sul tergicristalli dell’auto di Sebastien Ojer senza che nessuno osi proferire parola. Per cui mi sono seduto su una roccia in attesa. A questo punto la mia attenzione è stata richiamata da un poliziotto il quale mi ha gentilmente chiesto di allontanarmi da quel punto. Non riuscivo a capire il perché e alle mie rimostranze il gentile poliziotto ha risposto: “Per cortesia, non mi renda la vita difficile, io eseguo ordini del questore”… già, ordini che valgono per tutti, proprio in piena area demaniale, nella quale qualsiasi cittadino italiano o del mondo dovrebbe avere il diritto di transitare e, se vuole, fermarsi. Valgono per tutti, gli ordini, ma non per le “pettorine verdi”… Oops dimenticavo, di fianco a me ce n’erano un paio che si saranno pure vergognate (?) di quanto stava accadendo.
    Due parole per il questore di Sassari: il diritto è diritto e le aree demaniali sono aree demaniali. Per il prossimo anno le chiedo solo una cortesia: non permetta a chi riceve 1.500.000 euro di soldi pubblici per organizzare la tappa italiana del WRC in Sardegna di riscrivere le regole. I diritti in questa nazione ce li siamo guadagnati pagando un prezzo enormemente più alto.
    Agli amici di Nikonland: scusate lo sfogo, ma quando ci vuole ci vuole. Dovremo aprire un thread su questo argomento.
    Comunque mi sono divertito lo stesso e qualche buono scatto credo di averlo tirato fuori. Ma che fatica… non è roba da sessantenni.
    Buona visione.
    Pezzo consigliato: Emperor Jones, Joe Lovano
  22. Enrico Floris
    Herman Leonard - (C) Douglas Kirkland
    Per un appassionato di fotografia e di musica jazz come me è quasi un dovere parlare di Herman Leonard, classe 1923.
    Il suo percorso fotografico inizia quando ha appena 9 anni, appassionato dal lavoro del fratello in camera oscura, da ragazzo decide che frequenterà la Ohio University, l'unica allora in grado di garantire un corso di fotografia. Purtroppo i suoi studi vengono interrotti dalla seconda guerra mondiale: viene chiamato dall'esercito e inviato in Birmania come anestesista in un ospedale da campo. In realtà avrebbe preferito servire come fotografo di guerra ma questa opportunità gli viene negata solo per aver fallito un test sulla composizione chimica del bagno di sviluppo (capita anche questo).
    Dopo la guerra riesce a terminare gli studi e a conseguie la tanto agognata laurea. Immediatamente si trasferisce in Canada, alla corte del maestro Yousuf Karsh, il quale capisce subito che in quel giovane fotografo non ci sono solo entusiasmo e passione, c'è qualcosa in più, qualcosa che gli ricorda se stesso agli esordi. E il maestro non sbaglia, Herman Leonard è una spugna, impara in fretta e bene qualsiasi nozione, soprattutto la più importante: "Devi raccontare la verità, ma in termini di bellezza", la somma lezione di Yousuf Karsh che Leonard non dimenticherà mai.
    Ma tra le sue passioni non c'è solo la fotografia, c'è anche il jazz e nel 1948 decide di trasferirsi a New York e inizia a frequentare il Greenwich Village e i locali nei quali il jazz impazza, stringendo amicizie importanti con i più grandi jazzisti della storia e... fotografandoli, col suo stile inconfondibile, leggendo la loro anima complessa e tormentata attraverso l'obiettivo della sua fotocamera. Immagini che finiscono pubblicate sulle riviste specializzate e che il produttore discografico Norman Granz utilizza spesso per le copertine dei dischi.

    Dexter Gordon 1948 - (C) Herman Leonard

    Il viso di Ella Fitzgerald, segnato da una goccia di sudore che racconta della sua grande generosità sul palco - (C) Herman Leonard
     

    Duke Ellington . (C) Herman Leonard
    Nel 1956 Leonard accetta un incarico come fotografo personale di Marlon Brando, un impengno gravoso (ma proficuo sul piano professionale) che lo porta ad accompagnare l'attore in un lungo viaggio nell'Estremo Oriente. Al suo rientro, ad attenderlo, una nuova proposta di lavoro da parte di una casa di produzione discografica, la Barclay Records di Parigi. Un'occasione da non perdere considerato lo straordinario fermento nell'ambiente jazz della capitale francese. Herman Leonard vivrà a Parigi per ben 25 anni, alternando il suo "jazz project" (che ancora non ha visto la luce) con collaborazioni di grande rilievo: Yves St. Laurent, Christian Dior, Playboy.

    Clifford Brown 1954, allora astro nascente, trombettista di indiscutibile talento. Morirà due anni dopo, a soli 26 anni, in un incidente stradale - (C) Herman Leonard
     

    Il commovente e geniale ritratto di Lester Young. Il suo cappello, la custodia del suo sax. Poesia allo stato liquido. (C) Herman Leonard

    Louis Armstrong che sembra ringraziare la sua tromba, un nanosecondo di assoluta intimità - (C) Herman Leonard
    Nel 1980 si trasferisce a Ibiza con la sua famiglia ed è lì che riordina tutto il suo lavoro e riesce a dare forma solida alla sua antica passione per il jazz pubblicando il suo primo libro nel 1985: The Eye of Jazz, il comprendio di un trentennio straordinario che raccoglie i ritratti e le storie dei più grandi jazzisti dalla fine degli Anni 40 sino alla fine degli Anni Settanta: Louis Armstrong, Ella Fitzgerald, Charlie Parker, Thelonius Monk, John Coltrane, Miles Davis... le leggende, i loro volti, i loro tormenti. The Eye of Jazz è la storia di questa musica, oltre ogni nota, oltre ogni rigo.
    Nel 1988 la prima mostra a Londra, un vernissage in notturna in una piccola galleria di Notting Hill, con un'affluenza assolutamente imprevista, oltre diecimila persone la maggior parte delle quali non vedranno mai quelle immagini ma che testimoniano di quanta gente nel corso degli anni abbia apprezzato e amato il suo lavoro.

    Thelonius Monk sembra quasi accanirsi con lo spartito. L'uomo dall'orecchio assoluto, un privilegio che la natura ha riservato a pochi nella storia della musica - (C) Herman Leonard

    Chet Baker che sembra voler nascondere con la sua tromba un viso segnato dalla vita. - (C) Herman Leonard

    Miles Davis, immerso nella luce del suo genio - (C) Herman Leonard
    Nel 1992, dopo oltre trent'anni, Leonard torna negli Usa, a New Orleans, il posto dove il jazz è nato e continua a proliferare. Decide di stabilirsi definitivamente in quella città che ama profondamente. Purtroppo, come spesso accade, sarà il fato a segnare questa magnifica storia. E lo farà nel modo più brutale, nel 2005, sotto forma dell'uragano Kathrina. Pur riuscendo a salvare i negativi (spostati prontamente nel caveau protetto dell'Ogden Museum of Southern Art) il prezzo pagato fu di oltre ottomila stampe distrutte, tutte realizzate su carte ad alto tenore d'argento dallo stesso Leonard.

    Lo sguardo sognante di Stan Getz, il jazzista più delicato e romantico - (C) Herman Leonard

    Il visionario e innovativo Wynton Marsalis - (C) Herman Leonard
     
    Nel 2006 il definitivo trasferimento a Los Angeles, dove riorganizza il suo lavoro e rimette ordine nella sua vita dopo il disastro, pubblicando il suo ultimo libro, Jazz, giganti e viaggi: la fotografia di Herman Leonard.
    Morirà a Los Angeles il 14 agosto del 2010.
    Oggi le sue foto sono conservate nello scrigno della storia americana, lo Smithsonian Museum a Washington, nello stesso padiglione che ospita la tromba di Louis Armstrong, un riconoscimento dovuto, un passo obbligato che onora i curatori del più importante museo degli Stati Uniti.
    http://hermanleonard.com/
    E' stato un grandissimo fotografo che ha portato avanti un progetto difficile e di grande impegno per tutta la sua vita. Ammirevole. Confesso che nel mio piccolo, senza tante ambizioni, anch'io vorrei essere così.
    Spero di non avervi annoiato e spero anche che qualcuno di voi inizi ad appassionarsi a questa splendida musica.
    Pezzo consigliato: Jordu, Duke Jordan.
     
  23. Enrico Floris
    Un pomeriggio di ottobre, assolato, l'autunno sembra ancora parecchio distante e un amico fotografo mi invita a fare una passeggiata sulla costa nord-occidentale. La location scelta è Punta Argentiera, situata a metà strada fra Alghero e Stintino. Luogo affascinante ma particolarmente difficile da raggiungere. Lo guardo un po' incredulo, pronto a rifiutare l'invito (la mia povera schiena non sopporterebbe mai un paio di chilometri in salita su un tratturo drammaticamente accidentato che ha la pendenza del Mortirolo). Ma lui mi precede: “Tranquillo, si va su con la Panda 4x4”. E benedetta sia... Il viaggio è breve, una mezz'ora di asfalto e poi la Panda inizia l'arrampicata e siamo su in meno di cinque minuti. Sono passati alcuni decenni dall'ultima volta che ci ero salito a piedi (ma allora me lo potevo permettere, senza correre il rischio di finire alla stroke unit). Ciò che non ricordavo è quanto fosse mozzafiato questo panorama

    Quella che vedete sullo sfondo è Punta Cristallo con sotto l'Isola Piana, giusto dietro ci sono Capo Caccia e il golfo di Alghero

    Non male il precipizio, il vento era notevole ma non preoccupante (per fortuna) però un pelino di vertigini...


    Sull'altro versante non era interessante solo la luce di taglio... ma anche la compagnia. Assolutamente imprevista.


    Non era un vento fortissimo, l'ho già detto (forse 10-12 nodi) ma il tanto che bastava per sollevare queste vele


    Ho trascorso un bel pomeriggio anche se la luce non era proprio a favore e ho passato metà del tempo ad evitare i flare e a giocare con la compensazione. Ma altrimenti che gusto ci sarebbe? Buona visione a tutti
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    Pezzo consigliato: Sea Breeze (Chick Corea)
     
  24. Enrico Floris
    Sin da bambino sono sempre stato affascinato dal mare. E non sarebbe poi così tanto strano per chi è nato e vive su un'isola. Ha sempre alimentato il mio spirito d'avventura soprattutto attraverso la letteratura classica: Moby Dick, 20,000 leghe sotto i mari, Isole nella corrente e poi la storia dei grandi navigatori: Colombo, Magellano, Vespucci, Cook; per finire con le straordinarie avventure dei grandi velisti. Esiste una soglia, oltrepassata la quale non si vedono più i confini, solo un orizzonte. Distante e irraggiungibile.

     
    Ho sempre visto il mare come qualcosa di vivo, ho assistito ai suoi repentini cambiamenti d'umore: un minuto prima placido e assonnato e un minuto dopo infuriato, quasi infastidito dalla mia presenza. Qualche volta l'ho sfidato e mi ha insegnato cosa è la paura. Senza calcare troppo la mano però, perchè aveva ancora tanto da insegnarmi e io ho capito e ho imparato.
     
    ... il mare una volta era il solo re
    assolutamente libero
    La terra sorse
    dalle sue profondità
    usurpò il suo trono
    e da quella volta
    il povero vecchio, impazzito
    dal capo bianco di spuma
    si lamenta e geme senza fine...
    Così scriveva Rabindranath Tagore. Condivisibile o meno anche il grande scrittore lo vedeva come qualcosa di vivo, un'anima tormentata, umorale. Talvolta placido, amichevole, invitante...

     
    ...altre volte, irrequieto, disvela la tempesta che si addensa all'orizzonte

    … altre ancora mostra i muscoli e la sua inarrestabile ferocia
    Più spesso cupo, triste, dismette la veste turchese e indossa un velo color piombo mostrando quell'onda lunga, distanziata, ridondante... il respiro del Mediterraneo.... e pare quasi di sentirlo quel respiro. Pesante, affannato, stanco.

    Generoso, quando mostra il meglio di sé. Giochi d'acqua e di luci, colori che esplodono, disgregati all'istante sfiorandone appena la superficie.

    Un'onda lenta, stremata, alla fine della sua corsa. Era stata generata da una tempesta, forse in prossimità delle coste africane, non saprei. Ha attraversato il Mediterraneo con forza dirompente, ma ora è stanca, spossata, ha percorso tutte le sue miglia (direbbe Frost) e nel momento in cui “rompe”, prima di accasciarsi leggera sulla sabbia mostra per un breve istante una girandola di riflessi e luci inattese. E il mare, mio amico, sembra quasi volermi dire “io, se voglio, posso essere anche questo”.

    Per farla breve e scusandomi per l'eccesso di enfasi e per le citazioni ricorrenti, fotografo il mare da tutta la vita (da sopra, mai da sotto). Credo di aver fatto meglio di quello che state vedendo ma (ahimé) in analogico, esponendomi a parecchie docce impreviste in tempi nei quali le Nikon sopportavano veramente di tutto.
    Ho sentito la necessità di dare un senso a questo lavoro infinito rendendovi in qualche modo partecipi delle mie sensazioni e delle mie riflessioni. Ovviamente non finirà mai, certi temi non vedono mai un traguardo. Ma questo non mi spaventa, tutt'altro. Trovo piacevole e rilassante _ soprattutto durante i mesi invernali _ camminare per ore lungo le spiagge deserte o tra gli scogli con lo zaino leggero sulle spalle e la fotocamera tra le mani.
     
    (Un giorno o l'altro mi troveranno esanime riverso su una cozza. Nel senso di mitile)
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