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Massimo Vignoli

Nikonlander Veterano
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Blog Entries pubblicato da Massimo Vignoli

  1. Massimo Vignoli

    Ricerche Google
    Credo che ognuno di noi, almeno ogni tanto, abbia piacere di vedere come è considerato quello che fa rispetto a quello che fanno gli altri. Non mi capita spesso, di solito vado per la mia strada, soprattutto in fotografia, ma oggi si vede che era il mio momento. Allora che ho fatto? ho provato a fare ricerche con google, esattamente come quando sono in cerca di informazioni per me... ma su argomenti coperti da miei articoli recenti.
    Immagino di voler comprare una Z9 per il mio prossimo safari. Quindi Google "Safari Z9"...

    Insomma, argomento complicato: 4 video su Youtube; un po' di immagini; ecco come primo articolo di testo il mio Serengeti!
    E se ci voglio portare il 600/4? mi ricordo di avere fatto un mucchio di inconcludenti ricerche per capire se un 600/4 è la lente giusta o no per i safari. Google?

    Taac, alcune MIE immagini, seguite dall'articolo di presentazione sul 600/4 e dall'articolo sul Seregeti.
     
    E se cerco se la Z9 va bene per la Namibia?

    E per le Svalbard?

    Scusate, volevo condividere un po' di felicità con voi. E dire che a scrivere qui, redazione o Nikonlander, siamo in pochi... ma quello che scriviamo è unico al mondo!
     
     
  2. Massimo Vignoli

    Cervi
    Fotografare i cervi al bramito è una cosa che mi ha sempre dato enormi emozioni. In particolare sono innamorato del momento in cui, nel buio fitto, li senti lontani. Mi trasmette un'eccitazione ed una tensione ancestrali.
    Ma è una fotografia difficile, che ha bisogno delle giuste condizioni e della giusta location. Quest'anno, dopo anni di insuccessi e grazie all'amico Alberto che ha trovato un posto fantastico, è andata molto bene.
    Condivido con voi alcune fotografie e un po' di ricordi che le accompagnano.
    Primo giorno, un sabato pomeriggio di tempo bellissimo - nonostante le previsioni meteo dicessero pioggia. A dire le condizioni peggiori, in particolar modo se sei al primo appostamento in un posto nuovo e non hai idea di quello che ti puoi aspettare. Ma nel bosco bramiscono.... quindi di corsa sotto la rete . 
    Di quel pomeriggio ne salvo pochissime. L'aria calda è micidiale!





    Ma ad un certo punto, più in alto....



    E' una coppia che per un po' di tempo starà posata, lontano. Molto emozionante vederli insieme!
    La giornata finisce. Lo sappiamo, le foto sono solo così così. Quando la luce non ti è amica e ti metti nel posto sbagliato puoi solo... sperare nella prossima occasione.

    Ed eccoci alla mattina dopo, pochissime ore di sonno, disturbate da una notevole agitazione. Colazione alle 4:00, si va via veloci perché per tornare lassù ci vogliono quasi 2 ore. Le previsioni danno bellissimo, speriamo di avere dalla nostra parte il fresco della notte, che ha una stellata splendida. Si sale nel bosco, al buio. Bramiscono un sacco. Arriviamo vicini alla radura di ieri che è ancora troppo buio. Vicinissimo a noi rumore di corna: combattono!
    Con molta cautela prepariamo il materiale, dobbiamo aspettare ancora. Ed ecco che succede l'imprevedibile, appena inizia a schiarire, prima ancora di riuscire davvero a vedere.... scende la nebbia.
    E' una fortuna notevole!!!!
    Ci appostiamo, angolo diverso rispetto alla sera che tiene conto sia della diversa angolazione della luce che di quello che crediamo di aver capito ieri sera...


    Sentirli bramire nella nebbia per poi intravederne le forme è stato bellissimo!






    Questa non è una bella foto... ma la posto lo stesso. Vederlo così vicino non capita spesso!
    Poi la nebbia si alza e la magia finisce. Occorre, ancora, rientrare. Ma si torna a casa.
    Venerdì un giorno di ferie, si torna sù!


    Luce ancora migliore, ma ad essere molto migliore, ancora, è il punto dove ci siamo appostati questa volta. 
    Viene voglia di giocare un po', cercando inquadrature diverse... 



    Le ultime due immagini sono dell'ultima mattina, meteo ancora diverso e cervi molto più lontani.


    E anche per quest'anno è finita.... ma il prossimo anno credo proprio che proverò a bivaccare lassù, dove arriva il primo raggio di luce 

    Commenti, critiche e reazioni di qualsiasi genere sempre graditi!!!
     
     
     
  3. Massimo Vignoli
    Sono veramente stregato dalla maestosità delle aquile e l'ultimo giorno, lo scorso febbraio - ne ho raccontato qui, mi ero accordato con Eero per tornare in dicembre. L'occasione ghiotta era il ponte dell'Immacolata, che per i milanesi fa scopa con Sant'Ambrogio, al quale ho attaccato un lunedì di ferie: 5 giorni, 2 di viaggio e 3 per fotografare! 
    Nella squadra Fabrizio, Elly e Nicola: gli esperti e collaudati compagni di molte avventure scandinave.
    Il viaggio era orientato a provare a fotografare questo splendido rapace in situazioni dinamiche, sperando in una maggiore concentrazione di animali che, questo il mio sogno ad occhi aperti, avrebbe favorito scontri e combattimenti. Dico subito che non se ne sono verificati perché "girava" un nucleo familiare - i genitori ed un giovane - ed un solo individuo ad esso estraneo. Ma la cosa fantastica era la luce, morbida e blu grazie a giornate molto corte - alba alle 10.10 e tramonto alle 14:15 - ed un meteo molto nordico, con il primo giorno di fotografia immerso in una intensa e persistente nevicata. Il secondo giorno, come spesso accade, è trascorso senza vedere essere vivente mentre il terzo era semplicemente nuvoloso. Tutte le notti il cielo, sempre coperto, era rischiarato dall'aurora boreale che non abbiamo così mai potuto ammirare. 
    Giornate così corte, pur entrando in capanno prima di giorno ed uscendo a buio, lasciano un mucchio di tempo disponibile. Così, per la prima volta, ho avuto modo di assaggiare la cucina tipica finlandese, fatta di sapori molto interessanti che i vari ABC - un mix tra autogrill e fastfood dove spesso finivo per cenare - non mi avevano mai fatto nemmeno immaginare. E dire che questo è stato il mio sesto viaggio in Finlandia e l'ottavo in Scandinavia! Questo, unito ai capanni riscaldati, ha trasformato il viaggio in un soggiorno 5 stelle per fotografi naturalisti!
    Di seguito una piccola selezione delle immagini, tutte con D5 e 500 AFS VR G. ISO spesso alti, che ho abbassato nelle situazioni statiche perché i tempi lenti risultanti erano funzionali a riprodurre la bufera di neve. Un interessante gioco a nascondino con il mosso perché un'aquila affamata non sta mai ferma, a meno che non stia controllando quel che succede intorno ed in quei momenti il fotografo deve stare molto fermo ed in silenzio per non farla scappare (l'ho già detto che l'unico vero motivo per cui oggi vorrei una ML è lo scatto silenzioso? ).








     
    Massimo
    4/1/2018 
     
     
  4. Massimo Vignoli
    A feast for the senses, the sounds and sights of Hermaness are full of drama.
    Così il sito Visitscotland.com introduce questo luogo incredibile, estrema propaggine nord del Regno Unito.

    (immagine tratta da visitscotland.com)
    La riserva è molto grande per i nostri standard e girarla tutta è una vera e propria escursione, per la quale viste le estremamente mutevoli condizioni meteorologiche occorre essere bene attrezzati. Non è raro, infatti, partire con il sole e sperimentare venti fortissimi e veri e propri diluvi, così come partire con la pioggia e ritrovarsi dentro una splendida giornata. Per questo una giacca e scarponi realmente impermeabili sono indispensabili, così come un pile aggiuntivo e pantaloni pesanti. Insomma la solita regola del vestirsi a strati, alla quale aggiungerei abbondanti dosi di ottimismo e di perseveranza.

    (immagine tratta da nature-shetland.co.uk)
    Ho conosciuto questo luogo fantastico nel 2007, nel corso di un epico viaggio in camper. Epico perché è stato il mio primo viaggio specificatamente concepito ed organizzato per fotografare animali, perché sono state 5 settimane di vacanza - le più lunghe della mia vita adulta, tutte in camper con viaggio non-stop dall'Italia alle Shetland e, last but not least, perché nel team c'era mia figlia Margherita, all'epoca di due anni di età. Qui lei, equipaggiata di tutto punto, ha avuto la sua prima avventura.

    Si sa, col passare del tempo i ricordi diventano più dolci e quelli belli irresistibili. Così nel 2016 abbiamo deciso di tornare!
    Queste brevi note, quindi, hanno lo scopo di descrivere un luogo che da solo può giustificare una settimana di vacanza nella natura. Magari non in camper dall'Italia, anche il ritorno è stato così per motivi logistici, ma con uno dei voli che atterrano in un incredibile aeroporto, Sumburgh Head nel sud dell'arcipelago, la cui pista è attraversata dalla strada (vicino all'aeroporto c'è un'altra riserva RSPB dove vedere i Puffin, ma non in un ambiente speciale come a Hermaness).
    Allora, perché andare fin laggiù? perché questo ambiente incredibile...

    (Pano 152mpix, ottenuta con D810 e 70-200/4, scattando in verticale con focale 135mm 1/250 F8, 64 ISO, 8 foto)

    (tutte: D810 con 16-35/4 o 70-200/4)
    ... ospita due gigantesche colonie di Gannets (Sule), numerosissimi Puffin (Pulcinella di mare) e, in cima alla catena alimentare, gli Skua (Stercorario maggiore).
    Beh, non solo loro...

    Ma andiamo con ordine. Gli SKUA sono grossi uccelli marini dotti di ampie ali e coda corta, corpo massiccio, bruno con remiganti fasciate di bianco. Non sono buoni pescatori, ma veri e propri pirati dell'aria che attaccano in volo gli altri uccelli, per rubare il cibo che portano a terra per alimentare i piccoli. E, a volte, predano direttamente i piccoli delle altre specie. Attenzione: Lo SKUA è estremamente aggressivo e non esita a gettarsi in picchiata sul maldestro, ed in questo caso incauto, escursionista che dovesse avvicinarsi ai siti di nidificazione, che sono a terra nelle praterie erbose.
     
    (tutte D4 e 500/4, liscio e moltiplicato)
    Qui mentre attacca in volo una sula, molto più grande di lui:

    Ma non è lui, per me, la vera star di questo posto. Sono le Sule, uccelli marini molto grandi e dotati di un corpo affusolato ed un'apertura alare di poco meno di due metri. Pescano nell'oceano, gettandosi in picchiata a 100km/h da 50mt di altezza per raggiungere le prede.

    Nidificano in enormi colonie, impossibile mentre si è sul bordo non pensare a quanto è forte la vita. Immaginate essere su una scogliera alta diverse centinaia di metri, davanti all'oceano che pare infinito guardando decine di migliaia di uccelli schiamazzare, corteggiarsi ed allevare i piccoli. Indescrivibile a parole. 
    Impagabile trascorrere qualche ora sdraiati sul bordo a binocolare la colonia, osservando il loro comportamento.

    (tutte D4 con 500/4, liscio e moltiplicato)
    Ma, per me, i più simpatici sono loro, i Pulcinella:

    (D4 a 500/4, liscio e moltiplicato; l'ultima D810 e 70-200/4)
    Perché mi sono simpatici credo sia evidente dalle fotografie, ma non sono solo carini. Sono dei duri. Basti pensare che, pur essendo alti solo 30cm per 400-600gr di peso, trascorrono a terra solo il periodo della nidificazione, in estate. L'inverno lo passano in mezzo all'oceano!
    Purtroppo, il cambio del clima inesorabilmente sta modificando il nostro pianeta. Nella penultima immagine gli osservatori più attenti avranno notato che  i pesci nel becco non sono tutti piccoli. I Pulcinella faticano a trovare adeguate quantità di piccole Sand eels, e finiscono per pescare pesci più grandi che non sono adatti ad alimentare i piccoli. Per questo, negli ultimi anni, la popolazione di questi meravigliosi uccelli sta drasticamente riducendosi nelle colonie più a nord (Islanda e Shetland), senza purtroppo nessuna buona prospettiva sul lungo periodo.
    Massimo
    5/11/2017
     
     
  5. Massimo Vignoli
    Non sono mai stato un particolare appassionato di questo genere fotografico, ma la voglia di fotografare mi ha spinto a provare. Qui l'esordio, in casa. 
    Ora, fortunatamente, inizia a fiorire qualcosa, per cui ho proseguito con i miei tentativi. Dico subito che mi sono divertito un sacco, al punto da provare sia sabato che domenica della scorsa settimana. In particolare domenica, ho passato diverse ore sdraiato nel bosco a provare punti di ripresa bassissimi. Ero del tutto assorbito a cercare il punto di ripresa perfetto, incrociando sfocati, luce, erba, foglie, petali.... insomma mi sembrava di avere davanti una tavolozza ricchissima. E, con il passare del pomeriggio, la luce cambiando aggiungeva meravigliose variabili. (N.b: sdraiarsi in boschi frequentati da ungulati è una pratica che non consiglio per via delle zecche, che ho ignorato preso da quello che vedevo ma che mi ha lasciato ben preoccupato nelle ore successive).
    Come dicevo nel blog di apertura di questa serie, il mio intento non è di riprodurre i fiori "da catalogo" ma quello di lavorare prevalentemente ad ampie aperture (vedrete che qui ho fatto anche qualche scatto più chiuso, sto sperimentando e per capire bene preferisco scattare e poi guardare con calma a casa), valorizzando lo sfocato e dando risalto più alle forme che alla nitidezza. Nitidezza che deve esserci, ma che cerco di confinare a pochi tratti. 
    All'opposto di quanto ho fatto in casa, non ho usato null'altro che la luce naturale e non ho aggiunto goccioline o altro. Al massimo, in alcune inquadrature, mi sono limitato a togliere qualche stelo secco che "sporcava" la composizione o, più spesso, a lasciare/introdurre volontariamente tra la lente ed il fiore elementi sfocati. Il bello di tutto questo giochino, in sostanza, è stato usare i mattoncini che madre natura ha disseminato in giro e valorizzarli con spostamenti del punto di ripresa di pochi centimetri. Insomma, pochi metri quadrati di bosco sono stati un universo di possibilità. 
    Ultima nota, tutte le immagini sono state fatte a mano libera. Io, normalmente, preferisco, e di molto, usare il treppiede, ma qui non era materialmente possibile accedere a tali "bassezze" usandolo. Come lenti ho usato il 50S 1.8, con i tubi di prolonga Meike 11 e/o 18 (non ho segnato quali sono fatte con uno e quali con due, e non mi è possibile ricostruirlo ora), ed il 70-200/2.8FL via FTZ con la lente diottrica Canon 500D, che è risultato di una incredibile comodità compositiva per via della variazione di ingrandimento data dallo zoom (non mi dilungo a spiegare, ma agli interessati consiglio di cercare i fantastici articoli di Silvio).
    Ed ora un po' di foto.

    Z6II su 50S 1.8 a F2.8 1/25s ISO 200 - Al mattino aveva piovuto ed io, uscendo in primo pomeriggio, cercavo le goccioline. Errore: questi fiori bagnati stanno chiusi. Ho quindi fatto una bella passeggiata e sono riuscito a fotografare solo alla fine del pomeriggio, qui sono le 18:05 (del 6 marzo e nel bosco).

    Z6II su 50S 1.8 a F2 1/25s ISO 200 - Stesso fiore, stessa lente, forse un mezzo metro più lontano e 7 minuti dopo.... ma la luce è finita ed in esterni basta un filo d'aria per rendere impossibile avere anche solo il goccio di nitidezza che serve.

    Z6II su 70-200/2.8FL@200mm a F8 1/100s ISO 200 15:34 del giorno dopo, c'è il sole. Non è più facile, anzi in realtà è più difficile perché il sole filtra tra i rami spogli ed una delle altre variabili da conciliare è dove cade la luce e cosa produce.

    Z6II su 70-200/2.8FL@175mm a F8 1/100s ISO 200

    Z6II su 70-200/2.8FL@170mm a F4.5 1/160s ISO 100

    Z6II su 70-200/2.8FL@110mm a F2.8 1/200s ISO 200

    Z6II su 70-200/2.8FL@165mm a F4 1/125s ISO 400

    Z6II su 70-200/2.8FL@135mm a F5.6 1/50s ISO 400

    Z6II su 50S 1.8 a F4 1/25s ISO 100 - Ci risiamo, sono di nuovo le 18:04.... Quel rosa è proprio il tramonto. Sono impazzito per fotografare questo meraviglioso amico con dietro la palla del sole. Ne ho fatte molte, nessuna mi convince. 

    Z6II su 50S 1.8 a F2 1/60s ISO 100.
    Com'è andata l'ho scritto sopra, ora un po' di info sui retroscena.
    Innanzi tutto le Z con il monitor basculante sono veramente una manna, io stavo sdraiato a terra perché dopo ore di scatto non riuscivo più a stare comodo in ginocchio - e questo nonostante le ginocchiere da giardiniere che dopo il primo giorno ho iniziato ad usare. Ma è perché le mi ginocchia hanno fatto troppi chilometri!
    Come detto, niente treppiede, ma con la macchia fotografica tenuta in mano e la mano a terra. In certi casi, la macchina direttamente a terra, in particolare le ultime due immagini per far corrispondere il fiore ed i colori del tramonto.
    Il 50 1.8S con i tubi è una meraviglia, solo è un po' scomodo lavorarci a mano libera: servirebbero tre mani quando si devono cambiare i tubi (e capita molto spesso, visto che le 4 combinazioni: liscio, 11mm, 18mm, 29mm producono distanze di lavoro e quindi ingrandimenti ben differenti). Ovviamente, tra mani e macchina a terra - che nel bosco significa fango, foglie, erba - non bisogna aver paura di portar qualcosa sul sensore (e qui speriamo che a Tokyo ascoltino).
    La vera sorpresa è la versatilità del 70-200/2.8FL con la 500D. Se non si cerca il massimo ingrandimento, la possibilità di zoomare consente di comporre variando grandemente la dimensione del soggetto. E, se non si cerca la nitidezza a tutto fotogramma, anche ad f2.8 fornisce risultati assolutamente interessanti.
    Ma quanto mi farebbe piacere provare un 105 macro per fare queste cose!!!!
     
     
  6. Massimo Vignoli
    E' un po' che mi girava in testa l'idea di fotografare dei fiori, ma non con lo stile della perfetta riproduzione, magari sfruttando il focus stacking per avere tutto a fuoco (cosa che ho fatto, ma non mi ha intrigato). Così come, al di fuori dei pochi scatti fatti per illustrare test ed articoli, era la prima volta che provavo a fotografare "still life". Le virgolette sono assolutamente necessarie, il motivo sarà chiaro nel seguito: non ho la minima idea di come si fa! 
    Tornando ai fiori, per me è terra incognita: devo capire quello che mi piace e come fare a fotografarlo. 
    Per questo ho iniziato a documentarmi sull'uso di lenti particolari, come certi vintage e le lensbaby, che ora stanno affacciandosi sul mercato anche in baionetta Z. Perché quello che mi piacerebbe fare è esplorare una fotografia non fatta da nitidezza ma più da forme, luci e colori.
    Ed ieri pomeriggio è stata la prima sessione pratica. Per farci quattro risate, tornando allo "still life", questo uno dei set.

    Potete notare:
    - Il piano di appoggio: il tavolo di cucina.
    - La luce principale: la finestra, diffusa dalla tenda.
    - Luce di effetto: una pila frontale a led, diffusa con carta da forno, ed arrotolata intorno ad un bicchiere per alzarla (la testa è snodabile, quindi può essere diretta dove serve).
    - La pioggia: acqua nello spruzzatore riciclato del disinfettante per la pulizia di casa
    - Uno degli sfondi usati
    - E la Z6 su treppiede (con l'illuminazione disponibile in una giornata nuvolosa i tempi non erano granchè... e poi avevo idea di fare focus selettivo, quindi com profondità di campo estremamente ridotta).
    Non ho fotografato sempre così, a seconda di come volevo la luce cambiavo le posizioni relative per fare arrivare sui fiori più o meno luce dalla finestra, o dalla lampada o per cambiare lo sfondo ecc.
    Davanti alla Z6 il 50 1.8S, e diverse combinazioni di tubi Meike per Z, da 11mm e 18mm (una scocciatura notevole, apprezzo proprio molto l'idea di una lente macro vera che mi faccia arrivare almeno a 1:2.... ma pure un'apertura massima f1.8!!!!).
    Dimenticavo il soggetto!!!! 10€ di tulipani presi in mattinata alla giardineria.
    Com'è andata? ci arriviamo....

    Z6 su 50 1.8S - Tubi Meike - f1.8, 1/10" ISO 100.

    Z6 su 50 1.8S - Tubi Meike - f2.8, 0.4" ISO 100.

    Z6 su 50 1.8S - Tubi Meike - f2.5, 1/6" ISO 100.
    Questa è l'immagine ripresa nel setup ritratto all'inizio:

    Z6 su 50 1.8S - Tubi Meike - f2.8, 1/6" ISO 100.

    Z6 su 50 1.8S - Tubi Meike - f3.5, 1/3" ISO 100.

    Z6 su 50 1.8S - Tubi Meike - f1.8, 1/15" ISO 100.

    Z6 su 50 1.8S - Tubi Meike - f4, 1/3" ISO 100.

    Z6 su 50 1.8S - Tubi Meike - f5.6, 1" ISO 100.

    Z6 su 50 1.8S - Tubi Meike - f1.8, 1/15" ISO 100.

    Z6 su 50 1.8S - Tubi Meike - f1.8, 1/25" ISO 100.

    Z6 su 50 1.8S - Tubi Meike - f1.8, 1/25 ISO 100.
    Cosa ho imparato?
    Innanzi tutto che i tubi e la ripresa ravvicinata a tutta apertura rendono molto morbido il 50 1.8S, al punto da farmi già raggiungere buona parte di quello che vorrei ottenere con lenti più specializzate. Operativamente i tubi Meike funzionano perfettamente, consentendomi nel 100% di queste immagini di mettere a fuoco in AF-S con pinpoint.
    Poi che la nitidezza, con PDC così limitate, è come se fosse l'accento: va sul punto che qualifica l'immagine. Ma non è semplice capire cosa si vuole.... occorre giocare e guardare bene i risultati. Non sono soddisfatto di tutto quel che è uscito fuori, ma sono curioso di sentire il vostro parere.
    E che l'effetto della zona nitida è amplificato se circondata da forme che raccontano in modo un po' onirico il resto della storia. In questo senso, secondo me, le meglio riuscite sono proprio le ultime.
    Ma anche che, in taluni casi, non c'è verso: occorre chiudere un poco di più per avere maggiori zone in fuoco.
    Le luci... beh, direi piuttosto il modo in cui illuminare il soggetto, è per me del tutto da costruire. Nel senso che al minimo mi devo dotare di una luce vera per sostituire l'accrocchio con la pila frontale che ho usato. Ma credo che la luce continua LED, almeno in questo contesto e per aiutare i primi passi di uno ignorante come me, sia la via da seguire: troppo più semplice muovere la sorgente di luce vedendo nello schermo della Z6, ed in continuo, che succede invece che dover provare a scattare ogni volta. Dove per muovere intendo variare la distanza, e quindi forza e concentrazione, ma anche angolo. 
    La Z6 era molto a suo agio e così, incredibilmente, il mio treppiede da montagna, che probabilmente non avrebbe mai creduto di poter mettere i piedi sul tavolo di cucina! Ma li ha lavati bene, prima! 
    E, per finire, se interessa il genere, direi che possa essere molto utile stampare 2 o 3 sfondi con diverse sfumature di colori per migliorare la varietà delle fotografie. Come avete visto, anche su quello ho usato la fantasia e quello che avevo in casa. Li vedete mia figlia sul ponte di Brooklyn in una notte di agosto 2019... quando mai avrei pensato di passare un sabato pomeriggio in cucina a fotografar tulipani! Il blu dello sfondo, in tutte le foto fatte, arriva proprio da quel cielo.
    Ora a voi la parola: consigli & critiche a 360° non solo ben accetti ma proprio richiesti!
     
     
     
  7. Massimo Vignoli
    Sono tempi difficili, le domeniche pomeriggio di chi ha la fortuna di stare bene passano in casa. Magari un film, o un giretto in archivio a guardare qualche vecchia foto. 
    Queste sono alcune immagini dello scorso giugno, la Z6 era fresca fresca e cercavo di prendere confidenza. Ero a Rho, ad uno spettacolo di artisti di strada. La storia alla base di questo spettacolo non la ricordo con precisione, ma riguardando le immagini l'ho ricostruita così.
    Una ragazza romantica, appasionata di libri d’amore, parte alla ricerca dell’anima gemella.

    In uno dei suoi libri trova un indizio, un baldo giovane è come lei in cerca del suo amore.



    Sarà lui?


    mmmmm fammi controllare…
    .
    si è lui!


    Balliamo!

    Ma….

    …. il mio libro dice che ci possono essere momenti difficili!

    ….ma…. 

    Che fareste voi?!?!?

    ma si, la vita è un gioco!



     
    Tutte le immagini con la Z6 ed il 70-200/4 AFS VR su FTZ. Per tutte i dati di scatto sono 1/500 a f4, ISO 800 (esposizione manuale ed iso manuali).
    La regolazione è fatta in LR CC e questi colori sono ottenuti con profilo modern 05 ed opacità al 50%. Poi ho regolato la prima immagine e copiato i valori su tutte le altre della serie. 1' di lavoro per la prima e un paio di secondi in totale per le altre.
     
     
     
     
     
  8. Massimo Vignoli
    Dicembre è la stagione degli amori degli stambecchi. Così anche quest'anno, che pure meteorologicamente è stranissimo, li puoi trovare riuniti sulle rocce al sole, quelle che non trattengono troppo la neve e lasciano la possibilità di brucare qualche ciuffo d'erba. I maschi, ad annusare l'aria percependo l'estro delle femmine e ad affrontarsi, questa volta sempre abbastanza da lontano viste le differenze di stazza tra i contendenti presenti,  per stabilire le gerarchie nel branco. Le femmine, per quel pomeriggio almeno, a spostarsi più in la per evitare gli approcci troppo... espliciti. Quasi 4 ore, con un bel sole molto piacevole che si alternava ad un vento piuttosto fresco, ed un mucchio di foto! 
    In realtà, negli ultimi anni non è stato così semplice fotografarli perché la popolazione è in declino, al PNGP, ed il branco più grande della Valsavarenche è stato completamente "etichettato" per uno studio universitario volto a capirne le ragioni. Da una chiacchierata con una guardia, ho capito che il motivo è probabilmente nel riscaldamento globale. L'evoluzione ha sincronizzato le nascite  con il momento in cui dovrebbe esserci l'erba più tenera e digeribile per i piccoli, ma oramai la neve dura sempre meno e quel momento, quando nascono, è passato da un pezzo. Speriamo che il nuovo anno porti a tutto il genere umano un po' più di saggezza!
    Tutte le immagini con D5 e 500/4E FL, su monopiede in carbonio Genesis MPC-3 e testa Sirui L-10 (coppia formidabile per il fotografo da montagna, argomento per un articolo per l'anno nuovo!).












  9. Massimo Vignoli
    ... e di nuovi propositi!
    Il mio 2018 è stato schizofrenico, fotograficamente sostenuto da un numero di viaggi e di giornate sul campo a fotografare decisamente superiore alla mia media con a contrasto impegni lavorativi asfissianti ed interminabili giornate in ufficio. Uno insegue l'altro perché se è vero che la stanchezza data dal troppo lavoro e la materiale mancanza di tempo tende a rallentare ed ostacolare tutto, è anche vero che appena possibile mette ancora più voglia e bisogno di staccare la spina per... sopravvivere!
    Gennaio in Canada, a fotografare gli splendidi gufi delle nevi.

    Poi in Sardegna, a Pasqua, per fare seascapes ed un po' di relax familiare nella costa sud occidentale.

    Fine aprile, alcuni giorni a Parigi, un po' di street. 

    Poi Portogallo, agosto è tempo di vacanze - uno splendido giro on-the-road in camper tra Porto e l'Algarve, con le mie ragazze!

    Per finire, ieri sono rientrato da Istanbul, dopo 5 giorni di zingarata a zonzo tra strade, moschee, bazar e localini, con le ragazze, Simona e Leo. 

    Per non parlare delle decine di migliaia di metri di dislivello fatti in montagna (come qui andando per ungulati) e di tutte le ore passate in natura. 

    Last-but-not-least quest'anno 10 giornate in studio/loft, tutte fantastiche.

    Ho ricordi bellissimi, non solo molti file negli hard disks! 
    In totale:
    66 giorni di fotografia - secondo il catalogo di Lightroom, almeno quelli nei quali ho portato a casa foto da non cestinare. 13.138, immagini per l'esattezza (io cancello moltissimo, anche se per motivi di tempo quest'anno non ho ancora terminato la selezione - quelli scattati in totale sono stati 34mila). La D5 è la regina, con 9.651 immagini. Seguono, con enorme distacco, la D810 con 2996 e la D500 con 491. Tre le ottiche più usate, che insieme fanno oltre l'85%, sostanzialmente nelle stesse quantità perché ciascuna di queste ha un numero di file compreso tra 3.500 e 4.000 - sono: 50, 70-200 e 500.  Già qui una mezza rivoluzione, perché nel 2017 con il 500 avevo fatto il 65% delle fotografie.
    Dicevo che è tempo di bilanci. Ma questo non è un post sui numeri, oltre a quelli che poc'anzi ho usato per riepilogare le giornate sul campo e le immagini fatte, e neppure sugli strumenti usati per fotografare. Bensì uno focalizzato sulla fotografia o, meglio, sul modo di fare fotografia che in questi anni e soprattutto nel 2018 sto imparando.
    La cosa più importante, il centro di tutto, è la definizione del Progetto. L'idea, cioè, da sviluppare fotograficamente. Questa è una cosa che ovviamente viene più alla mente pensando alla fotografia in studio - il regno della creatività perché li l'unico limite è la fantasia e l'unico ostacolo la capacità tecnica di realizzare quello che si è sognato. Ma non è, nei fatti, una cosa limitata a questo ambito perché se è vero che fotografando in natura è la natura a stabilire molto di quello che è possibile fare, è anche vero che è il fotografo a decidere quando andare, cosa fotografare, come comporre e via dicendo. 

    Aiuta molto, nel pensare a cosa e come fotografare, ispirarsi a Maestri della fotografia. Personalmente trovo che sfogliare il libro di un fotografo che amo sia ogni volta un' esperienza nuova, perché ogni volta scopro aspetti diversi. Altrettanto efficace valuto la visione delle immagini di diversi di noi qui su Nikonland. Grazie a Mauro, qui, ci si è spinti ancora più avanti. Organizzando un corso sulle luci e numerose occasioni per condividere sessioni di scatto. Momenti che sono stati la colonna portante della mia crescita fotografica in quell'ambito. Si, direi che dopo Progetto la seconda parola chiave di quest'anno è stata Condivisione. È la Condivisione che in questo 2018 mi ha fatto crescere nella fotografia in studio e con il tramite della fotografia di studio anche negli altri generi che pratico, facendomi acquisire la consapevolezza della necessità di ragionare la fotografia come costruzione e non come reazione e cattura. Ricordo, Nikonland 1.0, una discussione di qualche anno fa tra fotografia attiva e passiva: proprio quello, per chi la ricorda, intendo.

    Come detto, progetto significa innanzi tutto pensare a cosa e come fotografare, poi viene la scelta dell'attrezzatura per farlo. Spesso sento/leggo richieste di consigli sul materiale e sul modo di sfruttarlo al meglio senza indicare a quale fine questo debba essere impiegato. Stesso ragionamento circa le modalità più tecnologiche con le quali impiegarlo, come la scelta del diaframma più nitido e via dicendo.
    Io sono sempre più convinto che una bella foto dipenda esclusivamente dalla Visione del fotografo. Il materiale fotografico è asservito alla Visione, è il mezzo per realizzarla e non il fine. Questo, ovviamente, non significa che non siano utili ottime lenti e corpi prestazionali ma che, semplicemente, se una fotografia non trasmette non inizierà a farlo perché è stata scattata con l'obiettivo più nitido sul mercato. Questa cosa è ricorrentemente osservabile semplicemente mostrando le nostre fotografie a persone che non fotografano: Nessuno di loro guarda quanto sono nitide ciglia/piume/foglie ma tutti guardano l'espressione dei nostri soggetti, il contesto, la luce. Cercano insomma il messaggio, il perché della fotografia.

    Quindi, l'attrezzatura giusta è quella che ci consente di assecondare la nostra visione. In questo senso, ci sono alcune scelte semplicissime, che quasi si fanno da sole - per fotografare l'azione con poca luce c'è bisogno di lenti luminose e corpi con sensori che reggano bene gli alti ISO e siano molto reattivi - altre da basare sullo stile personale - per fotografare in giro per la città si può optare per un paio di fissi leggeri e poco ingombranti o uno o più zoom, ma la scelta non deve essere fatta cercando la copertura di tutte le focali ma la disponibilità di quelle che servono con i diaframmi necessari a costruire le immagini desiderate. E questo non vale solo per corpi e lenti ma anche, banalmente, per treppiede, flash e quant'altro. E, di nuovo, torna il nostro forum perché qui su Nikonland sono condivise informazioni basate sull'esperienza sul funzionamento di elementi chiave dell'attrezzatura che consentono di orientare meglio le nostre scelte. Alcuni esempi sono la copertura delle nuove Z, o i test dei sigma Art o.....  
    Per me, il risultato più importante di questo 2018 appena concluso non sono le tante fotografie fatte quanto questa presa di coscienza, che considero per me un importante passo avanti sotto il profilo artistico.
     
    Ma oggi è il primo dell'anno, un 2019 nuovo di zecca davanti a noi. E' quindi tempo dei buoni propositi per il futuro.
    Fotograficamente, questi i miei:
    Proseguire la ricerca nella fotografia alle persone, non tanto nel ritratto da studio o nel nudo - anche se una cosa che vorrei molto fare è del nudo alla Angels di Russel James - quanto in quello ambientato, in un contesto come lo street fatto ai navigli o le immagini fatte nei loft del Cross Studio nel 2018. Dedicare più tempo, in particolare alla fotografia di paesaggio, urbano o naturale, genere che negli ultimi 2 anni ho molto trascurato. Ma anche uscire a fare street vicino casa, non solo se sono in vacanza in qualche posto particolarmente stimolante.  Stampare, stampare, stampare. Perché la foto è di carta e già vederla uscire dalla stampante è una emozione, la chiusura del cerchio. Ovviamente non abbandonerò il Wildlife, finché potrò voglio continuare ad andare in montagna e regalarmi un viaggio esclusivamente fotografico ogni anno. Per il 2019 è già fissato il British Columbia per fotografare l'ecosistema della Great Bear Rainforest ed i suoi abitanti non umani, ma vorrei proprio, finalmente, riuscire ad organizzarmi per fotografare l'orso polare nel 2020, prima che sia troppo tardi!
    Ma ce n'è un altro: Contribuire di più alla vita di Nikonland. 
    Massimo
    1/1/2019
  10. Massimo Vignoli
    Tanti ne sono passati dal mio ultimo avvistamento di una volpe fotografabile.  Al punto da farmela porre come obiettivo fotografico per il 2019 e da farmi girare in perlustrazione ogni volta che torno al Parco del Gran Paradiso. O meglio, tanti ne erano passati lo scorso 15 dicembre, quando Marco tutto ad un tratto esclama "VOLPE!".
    Ma andiamo con ordine. Siamo appena scesi dopo alcune ore passate a fotografare stambecchi, circa 4 ore ed un mucchio di foto a dire la verità - quasi 2.000. La giornata non è finita ancora, ma un po' l'appagamento per la sensazione di avere fotografato quello che si poteva fotografare, un po' il vento freddo ed un po' la voglia di dare un'occhiata in giro finché c'è ancora luce ci fanno tornare giù. In realtà, l'idea era più che altro di finire la giornata dentro il bar davanti a qualcosa di caldo, il thermos del te è vuoto da un pezzo, ma quella inconfondibile coda rossa ci fa cambiare istantaneamente i piani.
    E' una giovane volpe, molto confidente, in caccia. Le volpi sono animali opportunisti, mangiano qualsiasi cosa, ma in caccia sono delle vere e proprie macchine da guerra. Individuano le arvicole sotto la neve con il loro udito finissimo, spiccano un salto in alto e piombano giù a muso in avanti nella neve per afferrare la preda direttamente tra i denti. In una mezz'ora ne prende e sgranocchia due, una proprio davanti a noi.
    Per non disturbarla non ci avviciniamo troppo ed io, temendo di perdermi fugaci momenti, lascio il 500 nello zaino. Purtroppo succederà lo stesso: scelgo di spostarmi per avere una migliore inquadratura proprio nel preciso momento in cui la nostra cacciatrice passa all'azione. Ma sono contento lo stesso, questa lunga astinenza si è interrotta!
    Tutte le immagini con D5 e 80-400 AFS VR - focale da 310 a 400mm, a tutta apertura. Nessun crop oltre al ritaglio 16:9.




     
     
     
  11. Massimo Vignoli
    Non è quello delle piogge interminabili delle passate settimane ma quello della neve in montagna a coprire i larici gialli. Che finalmente è arrivata, molto copiosa e molto prima di quando è capitato gli scorsi anni. Basti pensare che 2 settimane fa ho dovuto rinunciare ad andare in quota per il rischio valanghe mentre la settimana scorsa sono salito faticando moltissimo, a causa della neve ancora inconsistente e di una errata valutazione sulla necessità delle ciaspole, finendo per non fotografare nulla. Ma tutto è andato a posto lo scorso sabato!
    Novembre è la stagione degli amori dei camosci, per cui scegliere la destinazione era semplicissimo: Parco Nazionale del Gran Paradiso. Questa volta in compagnia di una new entry in questo tipo di fotografia: Leo!
    Le previsioni meteo erano di tempo molto nuvoloso con deboli nevicate, proprio come piace a me (che sono genovese, ma i miei amici dicono che evidentemente devo avere origini scozzesi: più è tempo brutto e più mi piace). In realtà è stato molto peggio, nel senso che quasi tutta la giornata abbiamo avuto, causa mancanza di vento, un nebbione persistente che impediva, al netto di pochi rari istanti, di vedere a pochi metri. Quindi da una parte grosse difficoltà a rintracciare e poi fotografare i soggetti e dall'altra la forte umidità che aumentava, nell'attesa nella neve, la percezione del freddo.
    Ma la pazienza, prima attitudine indispensabile al fotografo naturalista, ha fatto premio anche questa volta ed a un certo punto tutto è andato a posto: un po' più di vento o un cambio di pressione e la nebbia si è alzata. 
    E qui è entrata in azione la seconda attitudine: la voglia di provarci ancora. Perché era ormai tardi e noi stavamo già rientrando. Ma c'era, laggiù in fondo, un bel maschietto di camoscio sdraiato a ruminare nelle neve!
    Per cui, verificato che Leo avesse preso la pila, che poi per tornare all'auto in sicurezza si è dimostrata indispensabile, siamo tornati sui nostri passi, scoprendo dopo poco che in zona erano in tre! 
    L' alzarsi della nebbia ha fatto si che divenissero consapevoli della presenza uno dell'altro, regalandoci momenti indimenticabili in una scenografia da sogno. Peccato che, per la neve, in giro non ci fossero femmine a scaldare, con gli ormoni, il livello del loro confronto. Per questo, ci sarà la prossima volta! 
    E ora le immagini, tutte a mano libera con D5, 24 1.8G e 80-400/4.5-5.6G (che anche questa volta si è guadagnato la mia stima!).

























    Massimo 
    19/11/2018.
     
     
  12. Massimo Vignoli
    Voglio raccontare di una fotografia molto difficile che ho fatto, di sicuro la più difficile, o meglio che ho collaborato a fare. Di fatto, dico subito che, pur essendo miei sia la macchina che l'obiettivo utilizzati, il 99.99% del merito di questo scatto va al mio amico Fabrizio. Ed in ultima analisi, l'intero post è un ringraziamento al mio amico per l'emozione che mi ha fatto provare e per quanto mi ha fatto vedere circa le tecniche necessarie a realizzare immagini come queste.
    Ricordo che anni fa, su Nikonland 1.0, ci fu una lunga ed articolata discussione sul tema della fotografia attiva o passiva. Nella discussione si dibatteva del ruolo e del merito del fotografo e si indicavano come appartenenti alla prima categoria le immagini "costruite" dal fotografo, che cioè le progetta e le realizza scegliendo con cura ed amalgamando tutti gli ingredienti - cosa che tipicamente avviene in studio. Mentre alla seconda appartengono le immagini per le quali il fotografo ha più un ruolo da spettatore, scegliendo cioè come gestire quello che vede ed a volte procurandosi occasioni che però, in ultima analisi, si verificano in modi indipendenti dalla sua volontà. Questa premessa per dire che questa è indiscutibilmente una immagine che pur sottostando alla volontà ultima della natura - l'allocco ritratto è assolutamente libero e sceglie dove, se e quando andare - appartiene alla categoria di quelle attivamente costruite dal fotografo che ha sviluppato la tecnica necessaria per realizzarle e dispone della conoscenza naturalistica adeguata a sapere dove e come provare a realizzarle. 
    Premetto anche, argomento sensibile, che il soggetto oltre a essere assolutamente libero non è stato attirato fornendogli prede vive, che l'immagine non è realizzata in un'area protetta e che non è stata realizzata nessuna operazione di fotoritocco oltre al normale "sviluppo" del file RAW.
    Come detto, c'è molto lavoro da fare, innanzitutto in osservazione per capire, in una zona frequentata da questi animali, qual'è il punto dove realizzare il "set". Set che è composto da numerosi flash, in questo caso 3 - in altri molti di più, installati e regolati nel bosco con un controllo delle luci molto simile a quello che ho visto, e personalmente sto imparando a gestire, in studio. Occorre inoltre una fotocellula per attivare automaticamente lo scatto ed una videocamera di sorveglianza per vedere, dal punto in cui i fotografi sono appostati, che cosa succede. La macchina, in questo caso con un'ottica grandangolare, è messa su treppiede ed il fuoco, pur aiutato dal diaframma chiuso e dall'intrinseca ampia profondità di campo dell'ottica grandangolare, messo a punto con cura. Inoltre occorre avere l'energia per alimentare il tutto, compresa la macchina fotografica che deve stare accesa per tutta la notte in attesa di scattare.
    Mettere insieme tutto questo è molto complesso e per farlo occorre avere un vero e proprio progetto che consideri qual'è l'azione che si vuol fotografare, quale dimensione ha il soggetto, in quale posizione e distanza si immagina di volerlo ritrarre e da quale direzione nel suo giro notturno debba arrivare. Il tutto deve essere già preparato al pomeriggio in modo che i fotografi, girando per il bosco, non creino disturbo provocando variazioni nelle abitudini degli animali che lo abitano e che possono essere percepite anche da questo notturno. Cosa che, invariabilmente, si tradurrebbe in una lunga ed inutile attesa a vuoto.
    Ultimo ingrediente è la pazienza. A questa immagine abbiamo dedicato 3 ore di lavoro per configurare il set ed una notte intera ad aspettare nella jeep di Fabrizio, mascherata con diversi teli cerati per evitare di essere visti attraverso i vetri (nella notte la lucetta dentro l'auto è visibile da molto lontano) e collegata al set con 100mt di cavo. Sembra tanto, ma è niente rispetto al lavoro di Fabrizio per preparare tutto questo, imparare le tecniche necessarie e dotarsi della strumentazione - in parte autocostruita - che abbiamo usato.
    Dopo tante parole, ecco l'immagine.

    D810, 16-35 AFS VR
    Massimo
    30/6/2018
      
  13. Massimo Vignoli
    Il ponte del primo maggio l'ho passato a Parigi, con la famiglia. L' idea alla base del viaggio era la ricerca di un po' di relax ed il desiderio di gironzolare qua e là perdendosi nel guardare cose belle e facendosi portare dall'ispirazione del momento tra strade e musei. Per noi, inoltre, era il modo di festeggiare in modo speciale un compleanno molto speciale.
    Da un po' di tempo le vacanze familiari le faccio senza macchina fotografica e scatto qualche foto ricordo col cellulare, è un'abitudine che ho preso per evitare di cadere in tentazione e dedicare energie ed attenzione alla fotografia invece che alle mie ragazze. Inoltre, quello che voglio evitare lasciando a casa l'attrezzatura fotografica, è di finire col passare più tempo con l'occhio nel mirino della reflex che guardandomi in giro e di rovinarmi queste lunghe giornate schiacciato dal peso dello zaino (il mio minimo è un corpo, lo zoom grandangolare - 16-35/4, lo zoom tele - 70-200/2.8 e l'immancabile treppiede). Oltre a tutto, lo zaino fotografico affardellato col treppiede è una delle cose meno indicate da avere con se quando si è seduti al piccolo tavolino di un bistrot o a cena in un ristorante elegante.
    Ma tant'è....avevo voglia di fotografare! Per questo, questa volta, ho provato a fare una cosa diversa.... non così leggera come aver con me il solo cellulare ma molto leggera. Insomma, ho portato questo:

    1300 grammi di attrezzatura fotografica, nessuno zaino, niente treppiede. Insomma macchina col cinquantino a tracolla, una batteria di scorta nella tasca del giubbotto e stop!
    Non è stato semplice decidere un taglio così drastico ma, nel farlo, mi ha molto aiutato un articolo di Ming Thein Travel minimalism: one lens to go. È molto interessante ed invito tutti alla lettura. In breve, l'articolo si apre con una frase che non avrebbe potuto essere più centrata: Every time I travel for personal purposes, I’m always torn between experiencing the place, and photographing the place - Ogni volta che viaggio per scopi personali, sono sempre diviso tra sperimentare il posto e fotografarlo.
    L' articolo prosegue, raccontando viaggi passati ed argomentando i vantaggi di viaggiare leggeri per focalizzarsi sull'esperienza ed avere una visione più profonda piuttosto che cercare di fotografare qualsiasi cosa. E chiude con una call-to-action che per me è risultata irresistibile: Give it a try. On your next trip, just use a 35 or 50 prime for at least a day or two; if it makes you feel better, bring along your zooms too, but don’t use them until you absolutely feel that you’re missing shots. - Prova. nel tuo prossimo viaggio, usa solo un 35 o 50 fisso per almeno un giorno o due; se ti fa sentire meglio, porta anche i tuoi zooms, ma non usarli fino a che non senti assolutamente che stai perdendo gli scatti.
    Beh, detto fatto. E non ho avuto neppure l'imbarazzo della scelta visto che il 35 non lo possiedo!
    Devo dire che raramente un consiglio trovato su internet si è rivelato più utile. Mi sono molto goduto la zingarata per Parigi, non mi sono stancato e... ho fatto anche molte foto. Tutte in bianco e nero, nativo on-camera come spesso fotografo se nel mirino non ho una scena di wildlife. In pochissimo tempo ho fatto l'occhio alle distanze e, lavorando di piedi, riuscivo con facilità a trovarmi nella giusta posizione. Inoltre, la luminosità del cinquantino ha parecchio aiutato consentendo sia le notturne o in interno sia una enorme flessibilità nella gestione della profondità di campo. Così come sono state di grande aiuto le sue piccole dimensioni, per fotografare la gente e tra la gente. Ma soprattuto, sono "stato nel momento"!
    Lo rifarei? si, sicuramente si. Forse aggiungerei, nell'altra tasca, un grandangolo luminoso. Un 24 1.8, ad esempio. E probabilmente lo rifarò anche senza andare in viaggio, magari bighellonando per il centro di Milano un sabato pomeriggio.
    Ecco una selezione di 36 immagini: una sorta di rullino virtuale sul quale è registrato quanto mi ha più colpito. Niente di speciale, fotograficamente parlando, anche perché credo che sia veramente difficile fare qualcosa che non sia visto e rivisto in uno dei posti più fotografati al mondo. Ma il senso di questo post è, più che nelle immagini, nel racconto di questa esperienza di viaggio basata sul "less-is-more" e sul tentativo di fotografare mettendo al centro non la fotografia ma l'esperienza vissuta e lo sguardo personale. 
    Spero comunque che vi piacciano: Parigi, anche nel clima uggioso e freddo nel quale l'abbiamo trovata, è una città fantastica!




































     
    Massimo Vignoli
    Maggio 2018
     
  14. Massimo Vignoli
    Il Gufo delle nevi, o Civetta delle nevi come viene chiamato qui da noi, è un uccello della famiglia degli strigidi. Si ciba prevalentemente di piccoli roditori e, contrariamente alla maggior parte degli altri appartenenti a questa famiglia, ha abitudini diurne. È molto grande, circa 150cm di apertura alare per 60cm di lunghezza. 
    Harry Potter, con Edvige, l'ha reso noto al vasto pubblico (piccola annotazione: l'esemplare utilizzato nel film in realtà è un maschio, riconoscibile perchè le femmine hanno un piumaggio con diffuse piume nere mentre i maschi sono quasi del tutto bianchi).
    Io ho iniziato a sognare di fotografarla nel 2015, guardando e riguardando Arctique di Vincent Munier - per me un capolavoro assoluto. È stato amore a prima vista! Ma è solo nel gennaio del 2017 che il sogno inizia a materializzarsi, quando il mio amico Nico mi dice di aver finalmente trovato, in Ontario - Canada, il contatto giusto, la guida cioè che può accompagnarci a fotografarla. La nostra amica, infatti, d'estate nidifica nella tundra artica ma d'inverno si sposta verso sud, alla ricerca di condizioni ambientali meno severe e di maggiore disponibilità di cibo. Infatti, la zona rurale vicino Ottawa, dove sono stato, è una distesa a perdita d'occhio di campi di grano e allevamenti di bestiame, che è evidentemente in grado di sostenere una imponente popolazione di topolini.
    Lo vorrei, è ovvio, ma purtroppo non è possibile partire subito: ingestibile un'altra settimana di assenza per famiglia e lavoro - mentre ne parliamo siamo in Finlandia - per non parlare del budget! Per questo stabiliamo di organizzare la partenza nella settimana a cavallo tra gennaio e febbraio 2018, che almeno sulla carta dovrebbe consentirci le giuste condizioni ambientali.  
    Pochi ma importanti passaggi nell'organizzazione:
    Contattare gli amici comuni per costituire il gruppo con il quale dividere le spese e le attività organizzative. Alla fine saremo in 4, oltre me Nico, Nicola e Pino.  Dotarsi del giusto abbigliamento, per poter stare fermi all'aperto con temperature che possono raggiungere i -30°C (in realtà la temperatura più bassa che abbiamo avuto è stata -23°C; per l'occasione ho comparato un piumino TNF Himalaya ed un paio di scarponi Sorel Glacier XT, entrambi veramente caldissimi). Selezionare il materiale fotografico, per essere il più vicino possibile ai limiti delle compagnie aeree, che nel mio caso è ormai piuttosto consolidato: un grandangolo, che non ho usato ma "non si sa mai", medio tele e supertele - cioè 16-35/4, 70-200/2.8 e 500/4; 2 corpi macchina - D5 e D500 (quest'ultima ha preso il posto della D810, rimasta a casa, ed è stata una positiva sorpresa. L'ho avuta in prestito il giorno prima della partenza dal mio amico Leonardo e mi sono trovato così bene che al ritorno gliel'ho comprata). Tenere i contatti con Marc, la guida, fissare il B&B dove abbiamo alloggiato ed il noleggio dell'auto. Definire i voli. Qui ho fatto un errore che poteva avere conseguenze irreparabili. Per l'ingresso in Canada occorre oltre al passaporto un permesso, l'ETA, questo lo sapevo e l'ho richiesto via internet mesi prima della partenza. Quello che non sapevo, ed ho scoperto al check in, è che transitando da Newark, senza uscire dall'aeroporto, è necessario anche dell'ESTA, analogo permesso per entrare negli Stati Uniti, in assenza del quale sarei stato reimbarcato. L'ho fatto sul portatile al check in di Malpensa, imbarcandomi in aereo per ultimo! E ora le foto, tutte con D5 e D500, su 500/4 e 70-200/2.8.




















     
  15. Massimo Vignoli
    La domanda di Nikolas, nel forum, su come proteggere le mani dal freddo mentre si fotografa mi ha fatto venire l'idea di raccontare qui nel blog le soluzioni che, negli anni, ho trovato particolarmente funzionali. Quindi riferisco unicamente alla mia esperienza di campo, che non pretende minimamente di essere una panoramica complessiva di quello che offre il mercato.
    Innanzi tutto dobbiamo dire che proteggersi dal freddo è una questione olistica, perché anche se tipicamente si inizia a sentire freddo alle estremità, cioè alle mani o ai piedi, questo avviene perché, o anche perché, quando è sottoposto al freddo l'organismo riduce la circolazione periferica. Per questo gli episodi di congelamento normalmente colpiscono le dita delle mani e dei piedi. Ma fotografando abbiamo un problema in più, proprio alle mani, che è quello di tenere in mano la fredda attrezzatura, macchina, obiettivo e treppiede.
    Seconda cosa, spesso quando si fotografa si sta fermi per lunghi periodi. Questo di per sè non rende necessario un abbigliamento particolare ma se si alternano momenti in cui si cammina, magari in salita, a momenti in cui si sta fermi a fotografare, il ricorso ad un abbigliamento abbastanza tecnico è per me indispensabile. Il principio base è quello di vestirsi a strati, ciascuno con la propria funzione, che chiaramente si declinano in maniera diversa a seconda della zona del corpo.
    Infine il miglior isolante è l'aria, per questo occorre vestirsi a strati che imprigionano tra loro diverse intercapedini.
    Mani.
    Abbiamo il problema di contemperare l'esigenza di guanti abbastanza caldi, e quindi tipicamente spessi, con la necessità di preservare la sensibilità nella punta delle dita, in particolare indice e pollice della mano destra, per manovrare i comandi della nostra attrezzatura. In più le reflex più recenti hanno lo schermo touch.
    La mia soluzione è quella di usare due guanti, uno sopra l'altro.
    A pelle uso un guanto di peso medio, in pile o in polartec a seconda del freddo, e con la punta delle dita "touch". Non è importante il modello, solo che non sia troppo pesante per preservare la sensibilità su bottoni e ghiere (ma nemmeno troppo sottile, tipo i guantini da runner). 
    Io uso l' Heavvyweigth screentap fleece gloves di Black Diamond, che il produttore un po' ottimisticamente consiglia in un range di temperatura da -4°C a +4°C. Sono ottimi e con il palmo in sottile pelle per migliorare la presa. Anche The North Face fa guanti simili, in pile, credo che il modello si chiami Denali.

    Sopra al guanto leggero, indosso una muffola Ferrino molto speciale, il modello Spire, questa:

    L'esterno è in materiale sintetico, antivento e idrorepellente, mentre l'intento è in primaloft, un materiale molto caldo e leggero che mantiene la termicità anche da umido. Se avete guardato con attenzione l'immagine avrete visto che la muffola ha un'apertura nel palmo. Per noi fotografi, così come per gli alpinisti per i quali è stato pensato questo guanto, è l'uovo di Colombo perché consente di tirare fuori l'indice:

    Il pollice

    O tutta la mano, ma senza senza sfilarlo e quindi senza bisogno di riporlo da qualche parte e disponibile per ricoprire istantaneamente la mano.

    Così otteniamo un doppio guanto molto caldo, vi assicuro che a oltre -20°C andava benissimo, che semplicemente piegando e tirando fuori l'indice consente di utilizzare le ghiere, i pulsanti ed il monitor touch senza problemi. Poi, dopo fotografato, possiamo rimettere le dita dentro senza problemi, e nella muffola le dita si tengono caldo tra loro.
    Piedi.
    Per i piedi la questione è più articolata. Diversi gli elementi da considerare:
    Quanto e su che terreno si cammina Quanto fa freddo Occorre inoltre ricordare che non è solo una questione di scarpone, ma che un ruolo importantissimo lo hanno le calze, che devono essere in lana e spesse - io uso con grande soddisfazione le THORLO da alpinismo. Assolutamente sconsigliabili calze in cotone o in pile.
    Altra cosa fondamentale è che lo scarpone deve essere ampio e non costringere il piede. Questo per non intralciare la circolazione. Le dita, cioè, devono essere libere di muoversi ed infatti, tipicamente, per uno scarpone invernale si tende a prendere una misura un pochino più grande della solita, cosa utile anche per lasciare posto a due paia di calze.
    Per lo scarpone, per me, non c'è una risposta univoca.
    Per il freddo "normale", diciamo fino ad un -5 da fermi o -15 se si cammina almeno un po' io uso i Salomon Nytro GTX, che il produttore definisce "Scarpa performante per il grande freddo, con GORE-TEX® e design aggressivo della suola per un’aderenza perfetta anche sul ghiaccio". Definizione che io sottoscrivo, sono leggeri - 600gr, e ci si cammina molto bene in tutte le condizioni. Sono questi:

    Ottimi dal tardo autunno ed inverno in montagna, se c'è ghiaccio abbinati ad un paio di ramponcini e se c'è molta neve con le racchette.
    Sono molto comodi per camminare. Il loro vero limite è dovuto alla loro leggerezza, portata da una suola, pur scolpita, non abbastanza spessa. Questa è una cosa necessaria per consentire una camminata agevole ma impedisce un più sostanzioso isolamento termico.
    Per il grande freddo, da sopportare stando fermi in piedi sul ghiaccio, io ho comprato i Sorel Glacier XT, questi:

    Sono estremamente caldi e pure comodissimi, a dispetto della sensazione "da mattone" che abbiamo guardando la foto. Evidentemente, però, sono inadatti ai sentieri alpini.
    Io, finora, li ho usati con grande soddisfazione in Canada a gennaio e per alcuni appostamenti in alta montagna ma senza dover percorrere a piedi tratti tecnici o troppo lunghi. Pensando ad un uso in Italia probabilmente li considererei eccessivi e starei sui Salomon, con misura adeguata alla doppia calza per le giornate particolarmente fredde (e magari cambiando la soletta con una in alluminio).
    Non consiglio, anche se dei pregi li hanno, gli scarponi da ghiacciaio o in plastica: troppo rigidi per la camminata su terreni non tecnici in particolare per chi non è abituato ad usarli.
    Gambe.
    Per le gambe consiglio la combinazione di tre strati:
    Calzamaglia, io mi trovo benissimo con le Mizuno Breath Thermo,  un tessuto tecnico sottile in grado di "riflettere" il naturale calore del corpo. Sono veramente confortevoli e calde. Pantalone da escursionismo invernale. Non è così importante il modello o la marca, l'importante è che l'interno sia "felpato" e l'esterno sintetico ed idrorepellente. Io evito i pantaloni da sci perchè sono troppo ampi e troppo poco traspiranti, assolutamente da evitare anche il cotone (tipo tute o altro!). Pantalone antivento impermeabile. Solo se serve, tipicamente se fa vento forte o se mi sdraio o siedo a terra. Io uso un modello economico in nylon ma con la cerniera a tutta lunghezza per metterlo e toglierlo senza dover togliere lo scarpone. Prediligo un modello economico perché non voglio preoccuparmi di rovinarli e perché, attrezzandosi per il grande freddo, non c'è da temere di stare sotto la pioggia per ore. Se nevica, basterebbe già l'esterno idrorepellente del secondo strato,il sovrapantalone, serve per il vento od il freddo veramente intenso.  Corpo.
    Tipicamente 4  strati:
    A pelle, lana Merino. Io ho trovato Brynje che produce le polo Arctic Double. Sono incredibili. Sono fatte con due strati, a pelle una rete di polipropilene crea migliaia di sacche d'aria e sopra la lana merino. Occorre prenderle aderenti, perché le micro camere d'aria funzionino, ma il risultato è indescrivibile. Io, da quando le uso, ho smesso, dopo l'avvicinamento su sentiero in montagna, di cambiare la maglia a pelle: caldo ed asciutto sempre e comunque. Pile leggero, nessuna avvertenza particolare Pile pesante, nessuna avvertenza particolare Piumino wind stopper. Qui, invece, vale di nuovo la pena di spendere. Io, per il grande freddo, ho comprato The North Face Himalayan Parka. TNF lo descrive così: "Designed for athletes aiming to reach the top of the world, the insulated Himalayan Parka is our warmest jacket, period.  It's perfect for remote expeditions.". posso solo confermare. 1.5 kg di piuma, esterno windstopper. Una meraviglia.  Raramente, se fa veramente freddo, vi servirà qualcosa di più impermeabile. Ma nel caso, ricordate che i piumini in piuma raramente sono impermeabili, proprietà necessaria a renderli traspiranti per non inumidirsi con la traspirazione. Pochi produttori usano il goretex. Personalmente, nel caso, uso un piumino più leggero e, sopra, una shell in goretex.
    Un paio di note aggiuntive sul piumino.
    L'Himalayan Parka è necessario per i climi veramente estremi, da noi può tranquillamente bastare qualcosa di più leggero, da scegliere tra la piuma o le fibre sintetiche: in casa TNF Thermoball o Primaloft. In generale la piuma, se di buona qualità, è più calda e comprimibile del sintetico, che però conserva maggiore termicità se umido. Quindi se siete in cerca di un "piumino" da escursionismo ormai vi consiglio il Thermoball.
    Il potere termico è strettamente correlato alla quantità di piuma. A Dire che i recenti piumini 100gr sono caldi per la città, ma niente a che vedere, nel freddo vero, con un kg di piuma.
    Collo, testa e viso.
    Personalmente credo che il collo sia abbastanza protetto dal colletto di piumino e pile: anche se soffro di cervicale non mi hanno mai tradito. Per stagioni intermedie, quando nello zaino il piumino non lo porto, uso indossare uno scalda-collo Mizuno, fatto dello stesso Breath Thermo che ho descritto prima.
    Per la testa consiglio qualsiasi cosa vi sia comodo, da supplementare alla bisogna con il cappuccio del piumino.
    Per il viso, non dimenticare la crema ed il burro cacao per le labbra, ad evitare di trovarvi a perdere i pezzi nei giorni successivi :-)
     
    Credo di aver detto tutto, chiedetemi di quello che non risultasse chiaro od esaustivo.
     
    Massimo
    2/3/2018
     
     
     
  16. Massimo Vignoli
    Alcune settimane fa un amico, impegnato nel settore del rugby giovanile, mi ha proposto di andare a bordo campo a fotografare un torneo. Ho accettato con entusiasmo perché vedere la grinta e l'impegno che questi ragazzi portano in campo mi emoziona tantissimo. 
    In più, ed è una cosa altrettanto importante, io credo che questo sport sia veramente formativo e capace di trasmettere ai ragazzi concetti molto importanti, come il valore del lavoro di squadra e del sacrificio. Inoltre, a differenza di quanto molti pensano, non è affatto uno sport violento e, anzi, grazie anche ad un pubblico molto corretto, le partite, ed il dopo partita - il famoso "terzo tempo", scorrono con grande serenità. Cosa che purtroppo non si può dire di sport molto più seguiti come il calcio, ma questo è altro discorso...
    Fotograficamente, le situazioni sono assolutamente simili a quelle delle fotografia naturalistica: è importante cercare di anticipare quanto sta per succedere e seguirne le evoluzioni. Quindi essere veloci nel muovere il sensore di messa a fuoco, per la quale ritengo che l'impostazione migliore sia "gruppi". Così come è importante utilizzare l'esposizione manuale per evitare che i diversi sfondi finiscano per ingannare l'esposimetro, ricontrollandone e modificandone i valori mano a mano che la luce cambia con il proseguire della giornata. 
    Spero di essere riuscito a rendere l'intensità di quei momenti e, come al solito, sono graditi tutti i commenti!
    Tutte le immagini con D5 ed 80-400 AFS VR.























     
    Massimo 
    7/1/2018
     
     
  17. Massimo Vignoli
    In questo post, condividendo alcune immagini ad un soggetto ben più raro realizzate nello stesso giorno, ho raccontato perché mi piace cercare queste situazioni e come gestisco i preparativi e la giornata. Per cui non lo ripeto qui.
    Introdurrò le immagini, invece, con una riflessione su un aspetto che, da diversi anni, considero essenziale per me in questo genere di fotografia: l'importanza di uno zoom utilizzabile a mano libera. Spesso, ci si sofferma a discutere unicamente della nitidezza ed in generale delle capacità ottiche di un vetro. Ma non è tutto lì, anzi, più vado avanti nel mio personale percorso fotografico e più mi sto convincendo che quelle caratteristiche in molte delle foto che amo sono in fondo alla lista di quanto è stato funzionale a produrle. In particolare quando, come in questo caso, è il contesto degli scatti a caratterizzarli.
    Queste immagini sono tutte realizzate con l'80-400 AFS VR G, utilizzato praticamente a tutte le focali. Ho impiegato molto tempo a selezionare questa lente, confrontandone le prestazioni sul campo con il nikon 200-500 ed il sigma 150-600 sport - piuttosto che con 300 e 500 nikon, rispetto a tutti i quali è decisamente cedente in termini ottici ma assolutamente vincente per flessibilità d'uso. Perché in queste situazioni è a volte difficile, se non impossibile o pericoloso, spostarsi per "zoommare con i piedi" cercando una diversa composizione e problematico cambiare frequentemente ottica come il susseguirsi delle situazioni renderebbe necessario. Così come la fatica nel trasportare un treppiede o anche un monopiede con un tele più lungo tende a defocalizzarmi e a farmi perdere la capacità di cercare le composizioni o di salire quei 100 metri di dislivello in più che nessun supertele è in grado di coprire. E pure la soluzione teoricamente più semplice - più corpi con ottiche diverse - non riesco ad applicarla perché camminare con reflex che dondolano di qua e di la non mi piace e poi... non ho abbastanza resistenza per portare tutto lassù!
    Per carità, l'80-400 non è un "fondo di bottiglia", ma sicuramente tra le lenti che possiedo è quello meno "otticamente performante".
    Altro accessorio decisamente utile, e che uso abitualmente in montagna, è il supporto Peak Design Capture Pro per appendere la reflex allo spallaccio dello zaino.
    Dopo tante parole, spazio alle immagini. Come sempre, ogni commento è gradito.










    Tutte con D5. I file contengono gli EXIF per ogni riferimento. Nessuna immagine è croppata, le inquadrature sono quelle originali a parte la finitura "16:9" che ultimamente preferisco.
    Massimo
    2/01/2018
     
     
     

  18. Massimo Vignoli
    Nel 2016, per il decennale, Nikonland organizzò un evento allo Spazio Blu con in agenda, tra gli altri appuntamenti, l'esposizione di stampe dei Nikonlanders. Come atteso, il livello fu altissimo e furono mostrate e commentate immagini straordinarie, alcune delle quali mi colpirono in modo particolare non solo per la qualità intrinseca di fotografia e stampa ma anche perché mi fecero venire voglia di sperimentare sullo stesso soggetto. 
    Questo argomento del mio blog è così dedicato al mio primo tentativo di fotografare di notte, in luce disponibile. Per farlo ho scelto la stessa location che Roberto Lauretta scelse per l'immagine che ci mostrò allora: Venezia. L'occasione un paio di giorni di vacanza con la famiglia in questa città così presa d'assalto dai turisti, ma che durante la notte ritrova una calma sorprendente e consente, soprattutto al mattino molto presto - alle 5 ero già in piazza San Marco, di sperimentare quella solitudine che durante il giorno non credo sia più possibile incontrare là. Una solitudine quasi innaturale, al punto di preferire, nella successiva selezione, diverse immagini scattate la sera prima in situazioni con alcune figure umane, che percepisco come fantasmi che si aggirano tra i numerosi secondi delle mie esposizioni. Inoltre, almeno dove ho girato io, molte stradine interessanti di giorno la notte sono solo lunghe file di saracinesche chiuse.
    Tecnicamente, non è stato difficile - due soli i "trucchi" imparati documentandomi in rete prima di partire: esporre per le luci e chiudere molto il diaframma - f16 - per avere le "stelline" ed evitare alle luci puntiformi dei lampioni di "sbombare"; usare ISO base per disporre della massima gamma dinamica. Ovviamente treppiede indispensabile, il tempo più breve che ho usato è stato 2".... ma molto più frequentemente  30"! 
    Da un altro evento Nikonland - ritratto in studio sulle tracce di Peter Lindbergh - il terzo "trucco": impostare la macchina fotografica direttamente in bianco e nero per capire subito se e cosa funziona. Ma qui non ho aggiunto grana, non mi sembrava funzionare.
    Tutte le immagini con D810 e 16-35/4, commenti di tutti i generi più che benvenuti.










     
  19. Massimo Vignoli
    Visto che l'aquila ambientata è piaciuta (https://www.nikonland.it/index.php?/blogs/entry/143-le-regine-delle-alpi-aquile-al-pngp/), condivido con voi alcune immagini fatte tra gennaio e febbraio 2017 nella in Lapponia finlandese. Un bel viaggio, in compagnia del mio amico Nico che mi ha chiamato per condividere questa esperienza e che ringrazio.
    Rispetto alle immagini sull'altro post, e a quello che si può fare "normalmente" da noi, sulle alpi, è un genere di fotografie del tutto diverso, sono immagini dominate dal soggetto, che è vicino, nella sua fierezza ed imponenza. I motivi sono diversi, non ultimo che il divieto di alimentare gli animali selvatici, qui nei nostri parchi, rende impossibile lo sviluppo in alcuni individui di quel poco di abitudine che serve ad averli con una certa sistematicità a distanze adeguate. Divieto non aggirabile, non solo per il dovuto rispetto delle regole ma anche perché le carni delle quali ci cibiamo sono così piene di antibiotici da risultare molto dannose per loro. E non tutti, qui, disporrebbero di volpi o lepri da usare a questo scopo.
    Ma non pensate che sia facile: sono animali liberi, che hanno una vista acutissima e restano comunque così timidi che basta "inseguirli" muovendo rapidamente il teleobiettivo con il paraluce che sporge dal capanno per spaventarli, facendoli volare via per tutto il giorno. Stesso discorso per il rumore dell'otturatore: scatto silenzioso e niente raffiche! Per questo, nei diversi giorni passati in capanno - si entra prima dell'alba e si esce dopo il tramonto - non ho potuto fotografare nessun volo.  E mai ho avuto più di un individuo in zona, per cui nessuna interazione. Beh, tra 10 giorni parto e torno su.... dita incrociate e chissà che questa volta non sia più fortunato. Secondo il mio amico Eero, l'uomo dei boschi lapponi che mi aiuterà nell'impresa, dicembre è la stagione migliore per vedere molte aquile! Speriamo che sia vero anche quest'anno....






     
    Tutte con D5 e 500/4 AFS VR, liscio escluso la seconda che è con il TC14. Nessun crop, nemmeno nella penultima... si vede che qualche credito con la fortuna lo avevo accumulato per non tagliare nessuna piuma!
    Massimo
    27/11/2017
     
     
     
     
  20. Massimo Vignoli
    In autunno cerco di ricavarmi lo spazio, tra i vari impegni, per andare in montagna il più possibile. Perché sono innamorato di questa stagione di mezzo, in particolare quando il cielo si riempie di nebbie e nuvoloni e ci sono le prime nevicate. È un fatto: io non sono un tipo da cieli azzurri!
    L' altro ieri le previsioni del tempo erano proprio quelle giuste, dopo un periodo secco - troppo - finalmente una perturbazione con neve di sabato. Così, venerdì sera preparavo lo zaino con un sorrisone.... beh, la schiena e le ginocchia non erano così felici - si sa, diventar vecchi è così - perché tra attrezzatura fotografica, binocolo, acqua e cibo, abbigliamento per quelle temperature e per la neve, ramponi - in montagna a novembre poca neve di solito vuol dire tanto ghiaccio - e bastoncini c'era poco da sorridere.
    Ma è sempre la solita storia: No pain no gain! così quando la sveglia alle 4:45 mi ha strappato al letto caldo ed al sonno di pietra procuratomi dalla settimana lavorativa non ho fatto una piega, mi sono preparato in fretta, una banana per i polpacci ed un robusto caffè a cacciar via il sonno e via..... alle 7:30, dopo un'altro caffè ed una brioche al cioccolato, iniziavo a camminare, il Parco Nazionale del Gran Paradiso non è proprio dietro l'angolo! Così come la location in quota che voglio raggiungere: a passo molto molto veloce, considerati zaino e condizioni del sentiero, ho impiegato 1h e 10' a salire i 620mt di dislivello che la separano dal parcheggio. Non male vecchio: il cartello indicava 1h e 50'!
    Le previsioni del tempo sono risultate perfette: neve, nebbia e nuvoloni bassi tutta la mattina. Mattina passata a fotografare camosci nell'ambientazione che speravo, ma questa è un'altra storia per il blog. Perché verso metà giornata si è alzato un po di vento ed i nuvoloni hanno iniziato ad aprirsi. Allora ho iniziato a guardare in cielo per vedere se una giornata così perfetta si poteva ancora migliorare. Cosa che è stata perché poco dopo le 15 la vedo, vicino il versante opposto della valle poco più in basso di me. Sta prendendo quota alternando momenti in cui batte le ali con ampi cerchi, alla ricerca di impossibili - vista la giornata - venti ascensionali, che però lei è capace a trovare e che rapidamente la portano su.
    Sono pochi istanti, come confermerà il timestamp della macchina fotografica sui file: dalle 15:14:06 alle 15:14:41 - giusto 35 secondi. Ma mentre sei li, la vedi, la cerchi nel mirino, speri che passi vicino e che vada proprio la dove c'è quello sfondo così interessante.... vi assicuro che sembra un tempo molto molto più lungo.
    Come quello in cui verifichi che la messa a fuoco non ti ha tradito, perché sei passato dal punto singolo ai gruppi, che l'istogramma va bene anche se l'esposizione l'hai compensata  "a occhio"  - togliendo il +0.7 che serviva per i camosci nella neve e passando a "zero", cioè matrix liscio - e che il tempo di scatto era abbastanza rapido da evitare che uscisse mossa. Cioè che quelle tre girate alle rotelle erano, "largo circa", quanto ci voleva.
    Il resto lo fa quella che, credo, debba essere considerata  l'impostazione "standard" della macchina fotografica per ogni fotografo naturalista: Manuale con auto ISO. 
    Bene, queste le foto:



    Tutte con D5 e 80-400 AFS VR. Focale 400mm diaframma 5.6, tempo 1/1250. ISO da 100 a 500.
    Massimo
    26/11/2017
     
     
     
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