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Valerio Brustia

Nikonlander Veterano
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Blog Entries pubblicato da Valerio Brustia

  1. Valerio Brustia
    Nikon Z9 ob. Nikon Z 400/2.8 S TC a 560mm, mano libera
    Qualche anno fa biasimavo con vigore l'abitudine ormai consolidata di utilizzare qualsiasi mezzo per scattare immagini ai selvatici; complice un'occasione di gruppo, con gli amici Massimo, Marco e Andrea mi sono ritrovato proprio nel luogo che 5 anni fa mi produsse brutti pensieri ed amare constatazioni (per i chi vuole approfondire, QUI i miei ragionamenti di allora).
    Questa volta ho bellamente ceduto alla lusinga fotografica, lasciandomi andare ad gioco che, in tutta onestà, è piuttosto divertente, ma che rimane un gioco (appunto).
    La questione si è articolata così: un'uscita fotografica flash in quel di Pont in Valsavarenche con l'intenzione di inquadrare il gipeto che qui è segnalato ed avvistato con una certa regolarità. Massimo, abituè della zona, mi ha convinto con poco sforzo, così ho infilato nello zaino il mio nuovissimo Nikon Z 400/2.8 S TC per la sua prima uscita montanara.

    Eccoci quindi di buon mattino al parcheggio di Pont pronti alla salita verso una fantomatica "paretina" un muro di granito su cui scivolano le correnti ascensionali. I veleggiatori come il gipeto sfruttano combinazioni di questo genere per attraversare le valli, battendo con poco sforzo centinaia di chilometri al giorno alla ricerca di qualche carcassa da "disossare".
    I miei soci sono preparatissimi, conosco Massimo da un diversi anni e so che non lascia nulla al caso. E' attentissimo ad ogni minimo particolare, dalla calza ai piedi al cappello in testa passando per tutto ciò che è utile per ottimizzare una ripresa fotografica. Io, con il mio corredo Decathlon in offerta fine serie, a paragone sono decisamente un "cazzone". In comune abbiamo le scarpe, su quelle non ho mai lesinato.
    La salita è abbastanza breve da non stancare troppo, ma lunga a sufficienza per sudare un po', anche perché, appena usciti dall'ombra delle montagne, il sole è bello caldo. E' tutto un togli e metti di strati di vestiti, salvo i ramponi che terrò ai piedi fino al ritorno a Pont; sono utili mi danno grip e sicurezza, ho fatto bene a comperarli la sera prima, alla Decathlon ovviamente. A mezza mattina raggiungiamo il punto di osservazione dove troviamo altri fotografi in attesa, Uno di questi si chiama Andrè ed è amico di Marco, l'appuntamento era programmato. Restiamo sulla balconata ad aspettare per diverse ore, sotto di noi la valle con la pista di fondo che pian piano si popola. Del gipeto avremo solo una breve apparizione, lontanissimo più in basso; ci sorprende invece un'aquila in volo radente di cui salvo qualche scatto solo dopo aver ripreso il controllo dell'autofocus della Nikon Z9. Gli stambecchi sono lontani, le montagne sono bellissime ed i camosci ci vengono a vedere. Le ore volano ed è già tempo di rientrare.

    Nikon Z9 ob. Nikon Z 24-70/4 S , mano libera

    Nikon Z9 ob. Nikon Z 24-70/4 S , mano libera

    Nikon Z9 ob. Nikon Z 24-70/4 S , mano libera

    Nikon Z9 ob. Nikon Z 400/2.8 S TC a 560mm, mano libera

    Nikon Z9 ob. Nikon Z 400/2.8 S TC a 560mm, mano libera

    Il massiccio dell'Herbetet. Nikon Z9 ob. Nikon Z 400/2.8 S TC, mano libera

    Cima della Tresenda.  Nikon Z9 ob. Nikon Z 400/2.8 S TC a 560mm, mano libera

    Versanti del col del Nivolet. Nikon Z9 ob. Nikon Z 400/2.8 S TC a 560mm, mano libera


    Nikon Z9 ob. Nikon Z 24-70/4 S , mano libera

    Nikon Z9 ob. Nikon Z 400/2.8 S TC, mano libera

    Nikon Z9 ob. Nikon Z 400/2.8 S TC a 560mm, mano libera

    Nikon Z9 ob. Nikon Z 400/2.8 S TC a 560mm, mano libera

    Nikon Z9 in DX ob. Nikon Z 400/2.8 S TC, mano libera
     
    Ridiscesi al parcheggio, mentre carichiamo gli zaini in auto, percepiamo del trambusto intorno al rifugio di Pont. I miei compagni sanno di che si tratta, io intuisco che, come 5 anni fa, un visitatore sta attirando l'attenzione dei fotografi: la volpe di Pont è scesa al ristorante. E così è infatti, dietro al locale tra i bidoni della spazzatura, un discreto gruppo di fotografi sta puntando i tele verso uno splendido piccolo cane rosso. Con la scusa di aver con me il nuovo Nikon 400/2.8 Z, CEDO ALLA DEBOLEZZA, mi unisco alla banda e mi concedo al gioco. Effettivamente è fantastico disporre di un selvatico così docile all'obiettivo, ma non nascondo nulla delle modalità di ripresa che sono descritte nelle immagini finali.

    Nikon Z9 ob. Nikon Z 400/2.8 S TC, mano libera

    Nikon Z9 ob. Nikon Z 400/2.8 S TC, mano libera

    Nikon Z9 ob. Nikon Z 400/2.8 S TC, mano libera

    Nikon Z9 ob. Nikon Z 400/2.8 S TC, mano libera

    Nikon Z9 ob. Nikon Z 400/2.8 S TC, mano libera

    Nikon Z9 ob. Nikon Z 400/2.8 S TC a 560mm, mano libera

    Nikon Z9 ob. Nikon Z 400/2.8 S TC a 560mm, mano libera

    Nikon Z9 ob. Nikon Z 400/2.8 S TC, mano libera

    Nikon Z9 ob. Nikon Z 24-70/4 S , mano libera

    Nikon Z9 ob. Nikon Z 24-70/4 S , mano libera

    Nikon Z9 ob. Nikon Z 24-70/4 S , mano libera
     
    Va bene, è stato divertente, ma c'è di più, ed il di più, come al solito, lo fanno gli incontri e le persone. Così è avvenuto che ho conosciuto Andrè, amico di Marco.; sapevo di questi due giovani fotografi valdostani, di una loro pubblicazione, ma non avevo messo in cantiere l'ipotesi di tornare a casa con un libro nuovo, ed invece...
     
    Nuovi Equilibri, storia di incontri con il Lupo
    Un libro deve raccontare una storia, se questa è avvincente e sorprendente allora resterà a lungo nella memoria diventando cultura propria dell'individuo. Se il libro è fotografico allora quella storia si leggerà velocemente, ma poi si espanderà "nell'immaginario" del lettore che tornerà più e più volte a cercare quelle fotografie. Il "Nuovi Equilibri" di André Roveyaz e Francesco Guffanti è un volume che aprirò molto spesso, le immagini che i due fotografi hanno raccolto sono spettacolari, il lupo è ripreso nell'ambiente montano, in ogni stagione e con ogni meteo, così come gli altri piccoli e grandi animali che popolano  le nostra Alpi a cui Andrè e Francesco hanno dedicato doverosa attenzione.

    Nella scelta degli scatti di questa raccolta si percepisce un forte il desiderio di mostrare il lupo in connessione con la montagna su cui è tornato ad abitare. E questa montagna è il massiccio del Bianco e le valli della profonda Val D'Aosta in cui mezza Italia si inerpica solo per raggiungere le piste da sci. Al chiaro di luna, nel bagliore giallo delle luci degli abitati zeppi di turisti, il lupo porta Equilibri che, più che "Nuovi", sono "Ristabiliti". Le immagini testimoniano incontri vis a vis tra fotografo e lupo, segno concreto di una popolazione in crescita ed in salute, stabilmente arroccata sulle Alpi italiane, ma anche di una relazione con l'uomo priva di conflitto. I lupi ci osservano invisibili ed incontrarne uno è un evento molto speciale: Francesco ed Andrè questo privilegio lo hanno vissuto molte volte, li invidio apertamente.

     

     

     

     

    Il volume "Nuovi Equilibri" non è in vendita in nessuna libreria, l'editore non lo può distribuire quindi il lavoro di diffusione e smercio è a carico dei due fotografi Andrè e Francesco. 
    In una società iperconnessa e ipertecnologica per distribuire un libro siamo regrediti al tempo dei pizzicagnoli di quartiere. Ottimo.
    Ciò detto, da fotografo A fotografi, ve lo consiglio, perchè è un lavoro ben fatto da cui possono scaturire grandi ispirazioni e soprattutto dona la vertigine di un'avventura del fuori porta come mai se ne potevano vivere (nemmeno ai tempi del Pilone centrale di Walter Bonatti).
    Per qualsiasi informazione di dettaglio non esitate a contattarmi via MP, vi metterò in contatto diretto con i due fotografi (Nikonisti  pure loro)

    Attendo vostre
     
     
  2. Valerio Brustia

    Natura
    L’ottocento millimetri, tra mito e leggenda.
    Da ragazzo il mio amico Matteo nella sua cameretta teneva esposti spettacolari poster di straordinarie “pinup”, erano immagini che “colpivano”; io invece per anni ho tenuto appesa alla vetrinetta una pessima fotocopia formato A4 di un obiettivo: il Nikon Ais 800/5.6 IF-ED. Onestamente Matteo non mi ha mai detto niente, uomo intelligente, ed io non ho mai dovuto dare spiegazioni. E come avrei potuto spiegare che per me l’800 era un attrezzo epico, quasi mitico, che certamente regalava l’ingrandimento “giusto”, che permetteva appostamenti concretamente produttivi, almeno così mi immaginavo e credevo. Le mie fantasie si innescavano ogni volta che la sua sagoma compariva nelle mani di qualche fotografo di National Geographic Magazine, una conferma di sogni proibiti, un rimarcare un concetto che mi rodeva l’anima. Altro che pinup discinte….beh, son fantasie diverse… 

    Ottobre 1996 Joel Sartore aggrappato ad un Nikon 800/5.6 duplicato con TC301. Quella foto è famosa, Joel indossava degli occhiali da saldatore per evitare di danneggiare la retina. 

    E questa era la foto ricercata da Joel Sartore: le gru del fiume Platt nel sole morente 
     
    Mi rodeva l’anima, dicevo, e mi rodeva molto fin dal 1991 quando ne vidi uno per intero nella vetrina di un famoso negozio di Milano. Chiedevano 7 milioni per accaparrarselo, usato. Giuro, se li avessi avuti…. 

    Nikon AIs 800/5.6 IF ED 
     
    Quando poi, molti anni dopo, la vita mi rese possibile un esborso oneroso, scelsi il Nikon Ais 600/4. L’esperienza accumulata su e giù le mie montagne e, soprattutto, lungo il fiume di casa, mi avevano dimostrato che incrementare la focale a scapito della riduzione di uno stop di luminosità, sarebbe stato un suicidio operativo. In pratica avrei sì ottenuto un ingrandimento più significativo, ma la riduzione dell’apertura massima, oltre che imporre tempi più lunghi, mostra a mirino una immagine meno luminosa (la metà) e con gli Ais si metteva a fuoco a mano: durissima. Inoltre, l’assenza di qualunque tipo di riduzione delle vibrazioni mi avrebbero garantito una ampia raccolta di foto micro-mosse. Di qui la preferenza per il 600/4. 

    Con il Nikon Ais 600/4 IF-ED ad oltre 2000 m in alta val Sesia 
     
    Fine dei “rodimenti” da 800mm?
    L’aggiornamento successivo, in tempi di ripresa digitale, lo feci ancora con il 600/4, ora stabilizzato ed autofocus e qui mi sono fermato (più o meno). Ammetto che il lancio del Nikon AF-s 800/5.6 FL VR, mi generò qualche turbamento, ma all’atto pratico, ormai, avevo maturato contezza di quanto sia spigoloso gestire focali superiori a 600 mm e ciò mi bastò per ricacciare la “scimmia” nei recessi della mente e della memoria. E poi il mio bel Nikon AF-s 600/4 VR con un TC14 può diventare un dignitosissimo 840/5.6, quindi alla bisogna un 800mm già ce l’avevo. 

    Tronfio con Nikon 600/4 AFs VR G, Finlandia.
    Ma, inatteso, venne il giorno.
    Non so cosa diavolo sia passato per la zucca dei progettisti Nikon, non so che bizzarria abbia condotto alla nascita del Nikon Z 800/6.3 VR S, ma so di dover censurare le parole che mi sono sfuggite quando ho visto le prime demo in internet. Si perché questo obiettivo scopa via tutte le limitazioni della realizzazione 800/5.6 ben nota ed agognata. Prima di tutto i pesi non sono comparabili, passiamo dai 4.6 Kg dell’800/5.6 AF-s ai circa 2.2Kg di questo 800Z: ciò si traduce in reale possibilità di brandeggio manuale. Poi negli ingombri l’800Z è identico al 500/4 AIS, il più smilzo supertele prodotto da Nikon, anzi è pure meglio perché il paraluce è correttamente dimensionato e non è un tubo di stufa come quello di tutti i 500/4 Nikon. 

     
    Aggiungiamo la farcitura tecnologica del VR allo stato dell’arte, dell’autofocus reattivo e della potenza di una Z9 e il piatto è servito. A maggio 2022 Mauro ci invitò a provare questo nuovo fottuitissimo 800mm. Al tempo stavo valutando pro e contro per l’abbandono della reflex in favore della Nikon Z9 che definire mirrorless è riduttivo. I pro li avevo tutti ben presenti, sempre grazie a Mauro, i contro li lascio al lettore; partii da casa senza indugio per toccare con mano questo strabiliante attrezzo che, come accennato, sulla carta sciacquava via tutte le limitazioni del passato promettendo un formidabile ampliamento di possibilità. 

    Nikon Z 800/6.3 nelle mani di Mauro 
    Alla prova dei fatti son rimasto di stucco, direi meglio: inebriato. Le ipotesi su cui avevo imbastito mille ragionamenti si sono confermate in pochi minuti. E Mauro il suo 800mm me lo ha ceduto a giugno di quest’anno, quindi lo sto usando da 6 mesi e confermo tutto quello che avevo intuito in quei pochi minuti di prova sul lungo lago comasco del maggio 2022. 

    Folgorato 
     
    Nikon Z 800/6.3 S, una carta in più da giocare nella fotografi della  Natura.
    In questi mesi di utilizzo, sporadico, in ferie, nelle “frattaglie” di tempo dei WE, nel dopo lavoro (me lo sono, inutilmente, portato in trasferta), insomma quando possibile, il Nikon Z 800/6.3 mi ha dimostrato le capacità di cui avevo intuito in pochi minuti di prova con gli amici di Nikonland. Non perdo tempo a raccontare di brillantezza ed incisione, queste caratteristiche sugli Z ora le abbiamo come “default”, ma voglio raccontare la mia esperienza per quanto concerne una focale così lunga. 

    estratto dallo zaino, S. Caterina di Pittinuri (OR) 

    Fortunato incontro con caprioli, Parco Lame Sesia - Agosto Nikon Z9 ob. Nikon Z 800/6.3 S Gitzo GT3541LS Arca B1 
     
    Le problematiche dell’ottica geometrica ed il miracolo di Nikon. 
    <Ottocento millimetri> su full frame sono una lunghezza focale difficile da gestire fondamentalmente per 2 aspetti:
    Il potente ingrandimento amplifica il mosso in modo brutale, il che impone tempi di otturazione molto rapidi. La messa a fuoco è criticissima per via dell’angolo di campo così ristretto: risulta addirittura difficile portare il soggetto nell’inquadratura, figuriamoci mantenerlo a fuoco. Aggiungiamo una Profondità di Campo di qualche millimetro e la combinazione finale è assolutamente disarmante. In particolare il Nikon Z 800 colpisce per compattezza e maneggevolezza, ciò è dovuto alla costruzione con lenti diffrattive, ma soprattutto al non esaltante valore di luminosità massima di f/ 6.3 che, a chi ha i capelli brizzolati, fa storcere le budella. Queste considerazioni “geometriche” condurrebbero alla conclusione per cui un 800/6.3 potrà essere utilizzato solo in particolari fortunate occasioni. Invece tutti questi problemi, incluso il torci budella, li risolve la Z9: luminosità ridotta, messa a fuoco criticissima e stabilizzazione, sono a carico della fotocamera che assolve brillantemente il compito. E lo fa sempre. Il ristrettissimo campo inquadrato rimane allora l’unica vera questione che va in capo al fotografo. Io lo trovo PAZZESCO. 

    Rampichino, Valsavarenche (AO) - Agosto. Nikon Z9 ob. Nikon Z 800/6.3 S mano libera 

    Airone di Amazon, Novara - Agosto Nikon Z9 ob. Nikon Z 800/6.3 S mano libera 

    Libellula in risaia. Novara - Agosto Nikon Z9 ob. Nikon Z 800/6.3 S mano libera 

    Tralicci orribili, Novara - Agosto Nikon Z9 ob. Nikon Z 800/6.3 S mano libera 

    Le cime della val Soana viste da Novara  - Settembre. Nikon Z9 ob. Nikon Z 800/6.3 S Gitzo GT3541LS Arca B1 , fotomerge di 4 scatti 

    Martin pescatore "alterato", Parco lame Sesia - Agosto. Nikon Z9 in DX ob. Nikon Z 800/6.3 S Gitzo GT3541LS Arca B1 
     
    Dei Pesi e delle Misure.
    Con 800mm siamo per forza di cose nel campo degli obiettivi “mammazzoni” il cui trasporto, brandeggio e gestione generale è sempre un problema. L’800/6.3 ingombra quanto il 200-400/4, quindi non poco, ma pesa 1kg di meno e questo aspetto ha un’importanza micidiale. Spesso si pensa che il peso sia un guasto solo per il trasporto e non si valuta l’inerzia della massa. Al brandeggio a mano libera i circa 3.3kg di fotocamera e 800mm si gestiscono in modo semplicemente imbarazzante, non so come dirlo altrimenti. Ne faccio il paragone con il brandeggio di ottiche più corte come il già citato 200-400 piuttosto che del 300/2.8 di qualunque versione, nell’uso pratico ho sempre dovuto ricorrere ad un appoggio, foss’anche solo la spalla di un socio di escursione. Invece il Nikon 800/6.3 accoppiato alla Z9 risulta pratico quanto un obiettivo che non esiste, un leggero 300/2.8, e scrivo 300mm con cognizione di causa perché non sembra di manovrare uno strumento che offre un ingrandimento di quasi 3 volte maggiore. Nella pratica cosa significa? Tantissimo e qui porto un esempio fresco fresco della scorsa estate.
    Ero appostato con l’800 montato sul treppiedi; esattamente alle mie spalle ho sentito il fischio di un rapace. Ho afferrato la seconda Z9, che tengo libera proprio per le “sorprese” come questa, e con il 300mm in canna, e ginnica contorsione, ho scattato una “foto ricordo” a distanza siderale di una sagoma di rapace su tronco scassato. La cosa sarebbe finita qui se davanti a me avessi avuto il 600/4 perché è impossibile spostare il tele grosso, cioè staccarlo dal treppiedi, brandirlo trascinando con sé tutte le reti mimetiche e orientarlo in direzione opposta. E’ uno sforzo che non si può fare, sono 6-7kg a sbalzo da sostenere con i muscoli addominali. Ma come detto quel giorno avevo l’800, che è decisamente meno ingombrante del 600, e soprattutto pesa meno della metà. Allora provo: stacco l‘800 dal treppiede, lo imbraccio, riesco a ruotare senza che mi partano fitte addominali e scatto, ma stavolta con 1200mm equivalenti di ingrandimento (Z9 in DX). 

    Rapace ? Parco lame Sesia - Agosto Nikon Z9 ob. Nikon AFs 300/4 PF + FTZ2 mano libera 

    Biancone juv. Parco lame Sesia - Agosto Nikon Z9 in DX ob. Nikon Z 800/6.3 S mano libera 
    Nello Zaino.
    Pur essendo un “mammazzone” l’800Z offre un contenimento degli ingombri tale da facilitarne il trasporto. Per scarrozzarmi l’800 mi basta lo zaino da montagna da 40 - 45 litri e mi resta spazio per accessori quali vestiti e altre fotocamere. La scorsa estate ho trasportato per 4gg (tutte le mie ferie sigh) 3 fotocamere e 3 obiettivi su e giù per la Valsavarenche dentro ad uno zaino Forclaz 45l estremamente leggero. Non mi è sembrato vero di poter disporre di una varietà così ampia di focali anche in alta montagna consentendomi di riprendere qualunque soggetto e situazione incontrata. 

    Dotazione Gran Paradiso estate 2023 
     
    Zaino Forclaz da 45litri e fotocamere; accanto: Ghiacciaio Gran Paradiso Nikon Z 800/6.3 mano libera 

    Alpe Meyes Valsavarenche PN Gran Paradiso, Nikon Z7II ob. Nikon Z 24-70/4 S 

    Alpe Meyes Valsavarenche PN Gran Paradiso, Nikon Z9 ob. Nikon AF-s 300/4 PF + FTZ2 

    Alpe Meyes Valsavarenche, PN Gran Paradiso, Nikon Z9 ob. Nikon Z 800/6.3 S mano libera 

    Torrente Savara sotto la pioggia, PN Gran Paradiso, Nikon Z9 ob. Nikon Z 800/6.3 S mano libera 
     
    I limiti del Nikon 800Z.
    Lo strumento perfetto non esiste e nemmeno noi siamo troppo perfetti. Il Nikon 800Z è un’ottica diffrattiva, come tale presenta un aspetto che ad alcuni può risultare indigesto: lo sfuocato. In certe condizioni le linee presenti sui piani fuori fuoco possono mostrarsi come ondulazioni simili a quelle di un miraggio. Non solo, nei controluce sparati si possono presentare fenomeni bizzarri simili all’aberrazione cromatica che presumo dipendano dal gruppo diffrattivo Fresnel presente nello schema ottico. 

    Sfocato diffrattivo Novara - Ottobre. Nikon Z9 in DX ob. Nikon Z 800/6.3 mano libera 

    Goccioline multicolori, Gran Paradiso - Agosto. Nikon Z9 ob Nikon Z 800/6.3 S mano libera 
    Ma io non appartengo alla schiera degli estimatori dello sfocato assoluto, quindi la mia valutazione di uno strumento non viene stravolta da aspetti che giudico men che secondari. Credo che oggi per qualunque fotonaturalista non esista un’ottica più accattivante di questo 800Z. Per me è stato un sogno diventato reale quello di poter trasportare a 2500m di altezza 800mm di focale e lo scrivo con la coscienza propria di chi, a quelle quote, ha scapicollato il 600/4 unito al treppiede Manfrotto 055. Il vero limite di questo obiettivo è nella luminosità massima relativa quell’f/6.3 con cui occorre scendere a patti. La verità è che dispiace arrendersi al buio perché questo obiettivo con la Z9 sembra poterti condurre ovunque. Il crepuscolo spinge l’attrezzatura fotografica al limite, e questo 800/6.3, per quanto digerisca benissimo tempi di otturazione dell’ordine del 1/60s, si deve arrendere dove altri obiettivi possono osare. Il compromesso però è abbondantemente a favore di questa soluzione che, nella pratica, consente di fare quasi tutto. 

    Quasi notte, messa a fuoco difficilissima. Parco Lame Sesia - Giugno Nikon Z9 ob Nikon Z 800/6.3 Gitzo GT3541LS Arca B1 
    Un guaio cui invece non c’è rimedio è collegato a focali così lunghe ed è e rimane nella qualità dell’aria che separa il fotografo dal soggetto. Talvolta bastano 50 metri di strato d’aria per risultati inguardabili, in questo senso credo sia molto importante avere coscienza delle condizioni pratiche di possibilità di utilizzo.

    Non c'è niente di nitido. Leviona PN Gran Paradiso - Agosto. Nikon Z9 ob. Nikon Z 800/6.3 mano libera 
    Concludo consigliando a tutti gli amanti della fotografia della natura di guardare con attenzione, ed un po’ di sana cupidigia, ad ottiche quali l’800 Z, e ai suoi fratellini più piccoli, perché vi possono regalare opportunità non facilmente prevedibili. 
  3. Valerio Brustia

    Natura
    Ieri sera, 23 giugno, complice la serata in libertà ed un forte vento che garantiva aria povera di zanzare e caldo sopportabile, mi son recato al fiume anticipando di 1gg lo scarico foto-trappole. Intorno alle 21.00 ero appostato all'ombra di una siepe di poligono giapponese, sul greto che è crocevia serale di tutti i mammiferi del Parco delle Lame.

    Appostamento.
    Nikon Z9 ob Sigma 24/1.4 Art+FTZ2.
    Sono appostato da meno di 10min e sento un rumore delicato di sassi smossi ale mie spalle. Mi chino in posizione, porto la mano sulla ghiera zoom del tele il 200-400/4 VRII e la ruoto al minimo, voglio il massimo di campo inquadrabile. Non è un rumore di zoccoli quindi ho 3 opzioni: lepre, volpe e tasso, in probabilità decrescente. Ed infatti arriva una bella lepre. Muovo lentissimamente il tele sul treppiede per centrare l'inquadratura e mi fermo. E' a meno di 6 metri, scatto a 200 250mm, sono sufficienti. 
    LE FOTO DELLA LEPRE CHE SEGUONO SONO TUTTE IN FORMATO PIENO FX e NON SONO CROP (IO NON "CROPPO" MAI)

    Arriva la lepre. Nikon Z9 ob NIkon AFs 200-400/4 VRII+FTZ2 @200mm , Gitzo GT3541LS Arca B1.

    Nikon Z9 ob NIkon AFs 200-400/4 VRII+FTZ2 @250mm , Gitzo GT3541LS Arca B1.

    Nikon Z9 ob NIkon AFs 200-400/4 VRII+FTZ2 @350mm , Gitzo GT3541LS Arca B1.
    La lepre non si avvede di me, si ferma a fare toletta: uno sciallo scatto scatto scatto. La lepre non vede benissimo, ma ha un ottimo udito e olfatto. Sono sottovento e NON FACCIO NESSUN RUMORE!!! Con la reflex questa situazione si sarebbe conclusa con tre foto e via. 





    Nikon Z9 ob NIkon AFs 200-400/4 VRII+FTZ2 @400mm , Gitzo GT3541LS Arca B1.
    La lepre si pulisce per bene contorcendosi ed assumendo forme che nessuna AI implementata nella fantastica Z9 riesce a decifrare. Ho piacere che Nikon faccia campagna a favore dell'intelligenza NATURALE, ed ecco che sono chiamato ad usarla, attraverso il pollice che attiva il menù scelta messa a fuoco: via il wide S + bestie persone cose e dentro il punto Singolo. Da qui in poi è un inseguire con il joystic l'occhio della lepre.

    WIDE S BESTIE PERSONE COSE: mette a fuoco il groppone.
    Nikon Z9 ob NIkon AFs 200-400/4 VRII+FTZ2 @400mm , Gitzo GT3541LS Arca B1.



    Forme inconsulte per l'AI della Z9. per beccare l'occhio ho dovuto ricorrere alle vecchie pratiche di joystic.
    Nikon Z9 ob NIkon AFs 200-400/4 VRII+FTZ2 @400mm , Gitzo GT3541LS Arca B1.

    Eh qui nemmeno io sono riuscito a beccare l'occhio. L'intelligenza Naturale mi ha detto di fotografare lo stesso
    Nikon Z9 ob NIkon AFs 200-400/4 VRII+FTZ2 @400mm , Gitzo GT3541LS Arca B1.
     
    La toilette dura circa una manciata di minuti, poi la lepre riparte per i suoi vagabondaggi. Solo più tardi, all'orizzonte sulla lingua di sabbia dove mi ero appostato sabato scorso, quando la luce s'è ridotta tanto da pretendere i 16000 ISO, ricomparirà in compagnia di una collega, ma solo dopo un passaggio di un capriolo in fuga dai tafani e sotto l'occhio alieno di una coppia di svassi che ha deciso di stazionare al fiume (è la prima volta che vedo degli svassi nel Sesia)

    Capriolo maschio in fuga dalla tafaneria.
    Nikon Z9 in DX ob NIkon AFs 200-400/4 VRII+FTZ2 @400mm , Gitzo GT3541LS Arca B1.

    Un raro svasso.
    Nikon Z9 in DX ob NIkon AFs 200-400/4 VRII+FTZ2 @400mm , Gitzo GT3541LS Arca B1. ISO 16000 1/160 f/4

    Carosello di Lepri.
    Nikon Z9 in DX ob NIkon AFs 200-400/4 VRII+FTZ2 @400mm , Gitzo GT3541LS Arca B1. ISO 16000 1/160 f/4

    benvenuta la notte.
    Nikon Z9 ob Sigma 24/1.4 Art+FTZ2, Gitzo GT3541LS Arca B1. ISO 800 1.3s f/8
     
    CONSIGLI fotografici  della lepre
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    "'SCULTA AL STUPID"
    Z9 santa subito, l'ho già detto. Mi piace però osservare che in questa occasione  ho avuto l'accortezza di indovinare l'obiettivo giusto per l'occasione corrente. In questo caso avere un'ottica zoom è stato fondamentale. Certo, altrettanto utile è stato che fosse f/4 per il contesto crepuscolare, ma la cosa interessante è che questo zoom è uno zoom IMMOBILE. Capiamoci: con il vecchio 200-500 queste foto le avrei fatte ugualmente, salvo per un piccolo dettaglio: l'allungarsi dell'ottica, date le corte distanze di ripresa, avrebbe potuto farmi individuare, perché la lepre non ci vede bene, non legge il giornale, ma i movimenti li percepisce benissimo.  Dico questo perché il nuovo Nikon 180-600 è stato intelligentemente realizzato  in modo da non allungarsi. Ai futuri possessori di questo obiettivo auguro incontri come questo che sono fotograficamente appaganti oltre che spassosi (la lepre è buffa forte) 
    Il mimetismo è fondamentale, ma va accompagnato con la scelta del punto di ripresa adeguato. Ero all'ombra di un cespuglione di poligono, e la rete, i vestiti, hanno creato un buon tutt'uno che mi ha reso invisibile, salvo per quel non identificato animale che ho sentito arrivare da nord ovest e che deve aver odorato l'afrore di Autan portato dal vento. Ho sentito i sassi smossi e qualcosa allontanarsi. Meglio uscire senza vento, ma nella sera del 23 giugno 2023 ho gradito molto l'aria in movimento, altrimenti sarei ribollito.   
     

    comunque ... fa un po' caldino ... magari perdo i sensi  
  4. Valerio Brustia
    Sabato pomeriggio, come di consueto, sul tardi parto per il Parco per scaricare le fototrappole. Lo faccio tutte le settimane ma ho saltato il giro quindi ci son 2 settimane di video e foto da scaricare.  Però non mi lascio scappare l'opportunità di fare due foto. Ho il nuovo 800/6.3, non è proprio il suo ambito, però, magari, lungo fiume qualche limicolo compare, quindi lo infilo nello zaino e via. Il bosco è il solito macello di vegetazione;  da aprile fatico metodicamente per tener aperto un sentiero, ma questo sabato dovrò buttarci dentro un'ora di sudore per farmi strada per l'ennesima volta. Giugno è così, opulento in tutto, nella bellezza del bosco ma anche nel caldo , nell'umido e nelle zanzare.

    Nikon Z9 ob. Sigma 24/1.4 Art +FTZ2
    Arrivo al fiume, che trovo bene (finalmente). L'acqua scorre trasparente e placida su un letto di sassi puliti. Sono fradicio di sudore, quasi quasi, ma sì: mi butto dentro; mi spoglio biotto come mamma mi ha fatto e splash, qui non mi vede nessuno e ne approfitto per rinfrancarmi (serve). Ricomposti i pezzi, rivestito di tutto punto, stivale bucato incluso, cerco una barena per appostarmi, saran si e no le 19.20 e di luce ce n'è in abbondanza.

    il fiume trasparente, invitante. Nikon Z9, ob. Sigma 24/1.4 Art +FTZ2

    una barena che potrebbe andare bene per appostarmi. Nikon Z9 ob. Nikon F 200/2 VR II +FTZ2
    Apro il treppiede e monto l'800/6.3 a spiare la sponda opposta e le acque basse della riva sabbiosa davanti a me; il sole alle spalle, e nessuna nuvola a sciupare il tramonto, cosa voglio di più. Il punto è buono, ma lo so da 25 anni, ed ecco che arriva un bel corriere piccolo (bordo occhio giallo): E' tranquillo , è segno che mi son mimetizzato bene, la rete verde fa il suo mestiere. E l'800 anche! questo obiettivo è fatto proprio per minuscolezze come il corriere; evviva il ritaglio DX a cui accedo con un click (ma che figata questa Z9).  La mira di fuoco becca bene l'occhietto bordato di giallo e lo tiene con risolutezza, peccato che l'uccellino è un po' scazzato, si mangia 2 bacherozzi e sta lì immobile, dandomi le spalle. Lo mollo per cercare altrove, arrivano i germani che in questa stagione stanno subendo la muta e sono veramente brutti da vedere, oltre che difficili da riprendere. Fa ridere che per riprendere il germano del Sesia io, da sempre, abbia dovuto fare i salti mortali, eppure c'è una ragione, la ragione della doppietta.

    Corriere piccolo. Nikon Z9 in DX ob Nikon S 800/6.3 Gitzo GT3541LS Arca B1

    Germani nervosi in muta stagionale. Nikon Z9 in DX ob Nikon S 800/6.3 Gitzo GT3541LS Arca B1
    Vabbè, potrei già prendere il sentiero del rientro, sono le 20.20 e per il tempo dedicato ho già di che essere soddisfatto. Ma le anatre si allarmano e si scostano dalla riva opposta, qualcosa le ha disturbate: è un capriolo maschio che pascola le fronde lungofiume. Lo seguo con il tele, va verso sud diventando sempre più piccolo. Per scrupolo con l'occhio dell'800 risalgo la sponda, ed ecco un altro capriolo, una femmina adulta, lei invece va verso nord quindi si avvicina. La aspetto e scatto FX, DX, ho da scegliere, le fronde sono una iattura e ce n'è sempre una su un occhio o sul naso. La femmina prosegue il suo percorso fino al greto ed esce di vista, è finita davvero, alzo la testa ma vedo un'altra macchia arancione di là dal fiume tra i salici. E' un capriolo femmina ma giovane. Strano di solito stanno i coppia, madre e figlia, fino a... a non so quando. 

    Capriolo maschio. Nikon Z9 in FX ob Nikon S 800/6.3 Gitzo GT3541LS Arca B1

    Capriolo femmina. Nikon Z9 in DX ob Nikon S 800/6.3 Gitzo GT3541LS Arca B1

    Capriolo femmina juv. Nikon Z9 in DX ob Nikon S 800/6.3 Gitzo GT3541LS Arca B1
    La giovane capriolo segue le impronte della femmina adulta, ma sta a debita distanza. Strano, penso, normalmente sono a vista. Seguo la giovane su su verso nord fino al greto. Ancora uno scatto e il capriolo si ferma. Rigida sulle zampe guarda davanti a se, orecchie tese in avanti, sicuramente c'è qualcosa, magari una volpe. Poi succede qualcosa che non mi aspettavo ed è documentato nelle foto seguenti.



















    Nikon Z9 in FX ob Nikon S 800/6.3 Gitzo GT3541LS Arca B1. ISO 6400 f/6.3 1/200s VR ON, sono le 21.20 del 17 giugno.
    In tutta evidenza il capriolo adulto è la madre della giovane e la sta allontanando, ma la figlia avrebbe ancora piacere della compagnia materna. Nella fuga vengono dritte verso di me e raggiunta una certa distanza mi "percepiscono" e si danno alla fuga scomposta. Ho appena il tempo di fare due primi piani che mi raccontano quanto sia feroce il tormento che i caprioli subiscono ad opera dei tafani 
    In tanti anni di osservazioni mi bastano le dita di una mano per contare le volte in cui ho assistito ad un comportamento di relazione etologica. E' già difficile fotografare qualcosa, ma ben di più è assistere, in presa diretta, alla vita quotidiana delle specie selvatiche. In pochi minuti ho visto con i miei occhi qualcosa che accade, nel segreto dei nostri boschi, tutti gli anni. E' la fine dell'adolescenza e l'ingresso nella vita adulta di una giovane capriolo. Del resto in queste settimane le mie fototrappole hanno registrato le novità di stagione ben descritte nel video che chiude il post.
    Per parlare di fotografia, devo puntualizzare 2 aspetti
    - era buio e l'f/6.3 è una bella fatica per la Z9, bene avrei fatto ad aggiornare il firmware alla rev 4.0 che dichiara miglioramenti in aggancio soggetti scuri su campo scuro; ho perso un bel po' di scatti per indecisione della messa a fuoco e qui era tutto scuro.
    - l'800 f/6.3 è un obiettivo fantastico ma questo non è il suo campo di battaglia. Lo sapevo, ma contavo di rientrare prima del crepuscolo. Queste riprese sono risolte dal 600/4 o dal 400/2.8 TC
    per concludere, 50 euro di fototrappola ha visto questo

    35_PLS-FTPM_0510.AVI   Valerio Brustia
    Nikonland
    giugno 2023
     
  5. Valerio Brustia
    Mezzo metro, al massimo 2 è la profondità in cui ho realizzato tante fotografie subacquee, sia in mare che in acqua dolce. Confesso di essere qui a scrivere di questo perchè ho un po' di nostalgia; le foto di questo post sono già passate per Nikonland ma non sono qui nel blog, mi sembra corretto farne una sintesi (brutale) e metter qui la "bandierina".

    Da sopra il mobile spunta la sacca rossa della muta stagna, sta lì muta, in tutti i sensi, però da lì silenziosamente mi parla delle piccole avventure di riprese subacquee nelle acque di casa. Sì perchè fotografare in un fiume non è proprio uguale ad affittare un posto barca, con jacket e bombola, eh no,  non si tratta MAI di fotografia subacquea secondo i sacri crismi dei brevetti sub, ma di vere spedizioni che non richiedono titoli ADVANCED - OpenWATER ma zaino, scarponi ed un po' di sano movimento. Spesso le condizioni di ripresa sono proibitive, visibilità di pochi centimetri, situazioni che richiedono un po' di fantasia per riuscire a fotografare qualcosa. E se il gioco è difficile, è più bello.
    Tritoni blu a 2000 metri.
    Aiutato da mia moglie e dall'amico Davide, ho potuto fotografare i tritoni alpini in un lago della Val d'Ossola. L'occasione fu un fine settimana con il meteo perfetto e un lago gonfio d'acqua (non è più ovvio). Il tritone è un anfibio non particolarmente timido, ma per riempiere l'inquadratura il 105 micro in DX è stata la scelta giusta.



     


    Altri Tritoni, speciali, ma al livello del mare.
    In Sardegna vivono diverse sottospecie di Geotritone. Più piccolo e dai colori assolutamente differenti da quelli del tritone comune (crestato), è un animaletto delicato che sopravvive nei corsi d'acqua dell'isola. Ebbi la fortuna di individuare un luogo perfetto per fare delle riprese e ne approfittai. Ad aiutarmi mia moglie Laura, senza di lei le foto più divertenti non ci sarebbero. Il torrente dell'Ogliastra in cui mi sono immerso ha pozze abbastanza anguste, ho allora armato la D800 con l'unico fisheye di cui disponevo, il Nikon 10.5 f/2.8 DX, da cui ne è uscito un crop forzato a 16mpx. Per le riprese macro utilizzai invece la D300 con 105micro AFs accoppiato al TC14II, un cannoncino perfetto per non disturbare il timido anfibio sardo. Mi potei permettere una focale così lunga perchè l'acqua del torrente era straordinariamente limpida.







     
    Muddy water, toad free.
    No, no, non centra il re del Blues e nemmeno il software per DBR, è una faccenda di fotosub. Marzo non è un mese che invoglia abluzioni, tanto più tuffarsi in una pozza fangosa incastrata sulle prealpi valsesiane; eppure quando arrivai sulla riva del laghetto non esitai un momento, preparai l'equipaggiamento e splash, nel brodo marrone, tra i rospi. La pessima visibilità, in certi punti dell'ordine di 10 cm, mi impedì di effettuare riprese macro, utilizzai solo lo zoom Nikon AFs 18-35/3.5-4.5 con la lente correttiva Sea&Sea. Spinsi al limite le possibilità di ripresa catturando immagini abbastanza nitide solo grazie alla notevole pdc dei 18mm, perchè i soggetti erano al di sotto della minima messa a fuoco.






     
    Bei momenti, bellissimi ricordi, felice di condividerli e lasciarne traccia qui su Nikonland, tra fotografi che come me usano Nikon per cavalcare le loro piccole e grandi avventure. 
     
     
     
  6. Valerio Brustia

    alluvione
    Piemonte e Liguria sembra vogliano contendersi il primato della "sfiga da alluvione". Questa volta è toccato al Piemonte orientale, qualche giorno di pioggia concentrato sul bacino idrografico del Sesia e si sono contati morti e milioni di euro di danni. Un'alluvione flash, questa di inizio autunno 2020, in confronto agli 8 giorni di pioggia consecutivi del novembre del 1994, e la cosa deve indurre maggiore inquietudine. Ma queste sono faccende degli uomini, per i fiumi, per le aste fluviali, i rigonfiamenti stagionali sono una benedizione. Sul Sesia "era" normale attendersi un paio di piene annuali, piene in grado di spostare milioni di tonnellate di ciottoli e sabbia in una vera azione di pulizia biologica del corso fluviale . Negli ultimi anni il meccanismo si è inceppato, i pioppi hanno colonizzato greti e gerbidi ed il fiume è rimasto inchiodato al letto tracciato venti anni fa, un letto che, nei rami laterali, appariva fangoso e lontano dalla natura di torrente sub alpino quale è il Sesia.  Questo fino a domenica 3 ottobre 2020. 
     




     
    Nella notte tra sabato e domenica 3 ottobre il livello del fiume ha superato (di poco) l'argine orientale come si vede dal deposito lasciato sulla strada arginale. Più a monte ha rotto il contenimento inondando i campi.




     
    All'interno dell'argine, nel bosco del parco delle lame, l'acqua ha raggiunto livelli record, andando ad inondare punti dove nemmeno nel lontano 1994 era arrivato. Dall'argine ho osservato l'acqua color caffè e latte turbinare con violenza in punti dove meno di una settimana prima passeggiavo con il treppiede a spalla. Fiducioso nei miei stivali a cosciale ho provato ad addentrarmi lungo la stradina d'accesso, ma dopo due soli passi la profondità era tale da non poter proseguire.







    costretto al rientro mi riprometto di tornare appena il fiume rientrerà nel suo alveo normale. E così il 10 ottobre sono nel parco a misurare l'effetto della piena sul bosco di San Nazzaro. 
    Uno shock, giuro. In 25 anni di alluvioni e bizze del fiume ne ho viste tante, ma questa volta è diverso, questa volta il fiume si è schiantato sui miei sentieri, cancellandoli completamente. La topografia del luogo che conoscevo non esiste più, non ci sono più i riferiementi ultra decennali che mi consentivano di orientarmi anche nel buio pesto. La pista principale è stata cancellata, la radura grande dove pascolano i caprioli semplicemente non esiste più. 
    Per tentare di rendere l'idea del "prima" ho cercato in archivio qualche immagine di luoghi noti. Spero possa rendere il senso di straniamento che ho io.
     
    INGRESSO DEL PARCO 2011-ESTATE 2020


    INGRESSO PARCO 10 OTTOBRE 2020

     
    STRADA DI ACCESSO 2011-ESTATE 2020

    STRADA DI ACCESSO 10 OTTOBRE 2020

     
    GUADO DELLA LAMA GRANDE ESTATE 2019

    GUADO DELLA LAMA GRANDE 10 OTTOBRE 2020

     
    LAMA GRANDE SETTEMBRE 2020

    LAMA GRANDE 10 OTTOBRE 2020

     
    RADURA A NORD DELLA LAMA GRANDE LUGLIO 2019

    RADURA A NORD DELLA LAMA GRANDE 10 OTTOBRE 2020

     
    In sostanza, come sospettavo, luoghi come la Lama grande non hanno subito particolari effetti, anzi sono stati ripuliti dal fango di sedimentazione che negli anni condurrebbe all'interramento dello specchio d'acqua.  Questa Lama resiste da troppi anni, segno che il fiume ogni tanto arriva fin qui. Per il bosco invece è differente. L'azione dell'acqua corrente ha strappato via il terreno portando alla luce il sottostante, antico, greto fluviale.

    Molti alberi hanno perso il loro ancoraggio e sono stati sradicati andando a creare enormi accumuli di detriti, accumuli che hanno prodotto un effetto benefico verso il bosco a valle.

    Evidentemente le dighe di detriti producono una importante riduzione della velocità dell'acqua depotenziando l'azione di dilavamento del terreno. Ciò riduce rischio di sradicamento degli alberi più a valle come dimostra l'immagine seguente dove il passaggio dell'acqua non ha neppure piegato le erbacce. Più a valle ho registrato i segni di fango sui tronchi ed uno spesso strato limo depositato, tutte evidenze di una lenta sedimentazione cioè di un flusso d'acqua molto calmo.



    Capriolo di passaggio


    Cinghiali al trotto

    In questa immagine si vede molto bene il massimo livello raggiunto dal fiume. Ebbene, i miei piedi si trovano a 4.5 m sopra il normale livello del Sesia.
    Lo strato di fango ha reso evidente la rapida "ricolonizzazione" del bosco da parte di tutti i suoi abitanti. Cinghiali, caprioli, nutrie, tassi e volpi sono rientrati nel loro bosco.

    Nutria e ratto


    Volpe

    Tasso
    Con una certa difficoltà (non ci sono più i passaggi che conoscevo) sono comunque riuscito a raggiungere il fiume. Paradossalmente il corso principale non ha subito particolari alterazioni, in altri termini data l'azione sul bosco mi sarei aspettato qualcosa di più, invece il fiume è sempre  quello di prima. Riporto qualche immagine di confronto.
    ESTATE 2020

    OTTOBRE 2020

     
    ESTATE 2020

    OTTOBRE 2020

    Faccio solo osservare che la cuspide di ciottoli della foto di Ottobre si trova 60-80 metri più a valle rispetto alla stessa cuspide ripresa in estate. La piena ha ripulito il fiume ma ha anche spostato, come previsto, incredibili quantità di materiale. Il fiume ora è semplicemente splendido.





     
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    Tornando invece alle tristi vicende umane, poiché l'Italia si sta facendo notare in tutto il mondo per i suoi ponti stradali, non poteva mancare in questa occasione una ulteriore conferma di una qualche perdita di consuetudine con il calcestruzzo. Da Romagnano per andare a Gattinara, per un po' si dovrà fare il giro largo.



     
  7. Valerio Brustia
    In estate il fiume Sesia, lungo il basso corso,  si riduce in modo veramente significativo. Prima che i greti si secchino e che il fiume diventi un rigagnolo dal letto bruno, è ancora bello visitare questo pezzo di pianura che appare ancora selvaggia ed incontaminata. Ma è apparenza perché qui l'opera umana ha agito per secoli e secoli e la natura che si incontra oggi è frutto di una ricolonizzazione complessa e difficile e, a suo modo, affascinante. 

    Si prosegue solo a piedi
    Nikon D800E ob Nikon AFs 17-35/2.8

    Il bosco è quasi impenetrabile, occorre seguire le tracce degli animali per raggiungere il fiume.
    Nikon D800E, ob. Nikon AFs 17-35/2.8 treppiede Gitzo GT3541LS + Arca B1


    Un capriolo, di cui ho seguito le tracce e le "indicazioni di guado", attraversa il bosco in direzione opposta alla mia.
    Nikon D5, ob. Nikon AFs 200-400/4 VRII  treppiede Gitzo GT3541LS + Arca B1

    In nuovi inquilini del nord Italia: popillia japonica su vite selvatica, altro che migranti...
    Nikon D800, ob. Nikon AFs 105/2.8 micro treppiede Gitzo GT3541LS + Arca B1, flash Nikon SB500+cavo SC-17

    Si son trovati!! Poligono giapponese demolito dalla popillia.
    Nikon D5, ob. Nikon AFs 600/4 VR + Tc14II treppiede Gitzo GT3541LS + Arca B1

    Preso! Forse è una preda sproporzionata, ma i ragni sanno fare scorta...
    Nikon D500, ob. Nikon AFs 300/4E PF

    Il fiume Sesia, riva orientale.Quella schiuma non dovrebbe esserci....
    Nikon D800E, ob. Sigma 24/1.4 Art treppiede Leofoto LS-254C + LH30


    Mentre guado non posso che provare a fermare l'ipnosi del movimento dell'acqua sui sassi.
    Nikon D800E, ob. Nikon AFs 18-35/3,5-4,5 Circular Pola, treppiede Gitzo GT3541LS + Arca B1.
      

    Sulla sponda occidentale, una spiaggia frequentata solo da "non umani".
    Nikon D800E, ob. Nikon AFs 18-35/3,5-4,5 Circular Pola, treppiede Gitzo GT3541LS + Arca B1.


    Un capriolo scende sulla riva a cercare tra i sassi qualcosa per integrare la dieta.
    Nikon D5, ob. Nikon AF-I 300/2,8 +  TC17, treppiede Gitzo GT3541LS + Arca B1.
    E' E' tempo di rientrare.
    Nikon D5, ob. Nikon AFs 300/4E PF, treppiede Gitzo GT3541LS + Arca B1.


    Il fiume Sesia, innaturalmente "schiumato", nell'ora Blè.
    Nikon D800E, ob. Sigma 24/1.4 Art treppiede Leofoto LS-254C + LH30

    Il guado di ritorno un'ora dopo il tramonto.
    Nikon D800E, ob. Nikon AFs 18-35/3,5-4,5, treppiede Gitzo GT3541LS + Arca B1.
     
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    Per saperne di più:


    Appost amento al capriolo sulla riva del fiume

    E questo è un selfy al guado, sulle orme dell'altro capriolo.
     
    Appena posso, io ci vado. Estate o inverno, basta poter andare
  8. Valerio Brustia
    Nella notte del tre settembre 2019, al largo di Santa Monica, California, l' imbarcazione Conception, un charter diving con circa 40 passeggeri, si incendiava.

    Il fuoco ha divorato completamente l'imbarcazione causando ben 34 vittime
    .
    Ad oggi sono stati identificate solo 27  delle 34 vittime e ciò è stato possibile  grazie alle analisi dna, unico strumento capace di dare un nome ai pochi resti carbonizzati.
    Scrivo di questa tragedia qui su Nikonland perché al momento la causa del disastro è imputata ad un dispositivo che conosciamo bene e che utilizziamo correntemente: le batterie al litio. 
    Il Conception viaggiava zeppa di fotosub; come naturale, dopo un giorno di immersioni si approfitta della notte per mettere in ricarica le batterie di fari, videocamere, flash e fotocamere. Le prime indagini dicono che l'innesco sia partito dal locale dove erano in ricarica proprio quei dispositivi. 
    Questa tragedia ha dimensioni enormi e mi vengono i brividi se considero la mia abitudine di lasciare in carica le batterie durante la notte nello stanzino qui accanto.. Cambiare abitudine, subito.
     
     
     
  9. Valerio Brustia
    Era il 2017, e mi manca un po', un po' tanto.
    Nel giugno 2017 abbiamo visitato la costa di Villasimius, in Sardegna. C'ero già stato negli anni '80, a salutare un vecchio amico, poi di passaggio ma mai mi ero fermato per esplorare, come merita, questa magnifica linea di costa. In verità ci ho fatto una capatina anche a settembre 2019, ma onestamente, solo per ragioni eno-gastronomiche (un we con i piedi sotto il tavolo, bello ma non è "andare al mare") 
    Nel '17 comunque viaggiavo leggero perchè di tutto l'equipaggiamento sub mi sono portato solo una maschera e la Nikon D300 nel suo compatto e magnifico scafandro Sea&Sea MDX-D300: una compatta subacquea ... per come la intendo io.

    Il territorio di Villasimius, da Capo Carbonara a Muravera, è uno spettacolo di spiagge di tutte le dimensioni, sconfinate o minimali, e di scogliere di granito che dalla linea del mare salgono verso l'entroterra, creando il paesaggio montuoso che i motociclisti tedeschi amano tantissimo (l'orientale Sarda SS-125 "originale", si dispiega come un elettrocardiogramma da Orosei fin giù a Cagliari).


    Spiaggia di Porto S'Ilixi,  Capo Ferrato (CA).
    Nikon D800, ob Nikon AFs 17-35/2.8 Circular pola 

    Entroterra roccioso e cotto dal sole. Località Monte Porceddus, Castiadas (CA).
    Nikon D800, ob Nikon AFs 17-35/2.8 Circular pola 
    Cardellino sui cardi, Castiadas (CA)
    Nikon D500, ob Nikon AFs 200-400/4 VR II finestrino auto
    Il baluardo montuoso dei Sette Fratelli chiude l'orizzonte e Ovest.
    Nikon D500, ob Nikon AFs 200-400/4 VR II Gitzo 3541LS Arca B1
    L'entroterra e le calette di questo pezzo di Sardegna sono spettacolari, ma nel giugno del 2017 ho avuto l'opportunità di visitare la punta estrema della costa di Villasimius: l'isola dei Cavoli di capo Carbonara.
    Accompagnati in barca da Enrico, nostro padrone di casa (Agriturismo Abba Arrubia - Castiadas), abbiamo potuto sguazzare nelle fresche (inizio giugno) ma cristalline acque dell'istmo del capo. La D300 nel suo scafandro è venuta utile.

    In barca verso Capo Carbonara, Villasimius (CA)
    Nikon D800, ob Nikon AFs 17-35/2.8 Circular pola 

    Banco di Occhiata sotto la chiglia della barca, Isole dei Cavoli - Capo Carbonara (CA).
    Nikon D300, S&S MDX-D300, Dome 240+ER40, ob Sigma 8-16/4.5-5.6.
    Appena entrato in acqua  mi son trovato circondato da una nuvola di occhiata di piccola e media taglia. Attirati dalle molliche di pane che Enrico gettava a mare, le occhiata sono aumentate di numero in modo impressionante. Poco intimorite dai nuotatori si lasciavano avvicinare come non mi è mai capitato prima, evidente segno degli effetti dell'area Marina Protetta di capo Carbonara. 
    Dalla barca ho raggiunto a nuoto, deciso perchè l'acqua era freschetta, le rocce della punta estrema dell'isola dei Cavoli. Qui il bassofondale di sabbia chiara è colonizzato da una vigorosa prateria di posidonia, bella come mi è capitato poche volte di incontrarne.
     



    Prateria di posidonia nel bassofondale, Isole dei Cavoli - Capo Carbonara (CA).
    Nikon D300, S&S MDX-D300, Dome 240+ER40, ob Sigma 8-16/4.5-5.6.

    Ritorno alla barca ... veloce.
    Il Mediterraneo in giugno è favoloso, purtroppo l'acqua è intorno ai 18-22 °C il che richiederebbe una muta per protezione dal freddo. In questa occasione non ne disponevo quindi, nonostante il sole capace di friggere un uovo, mi son bastati 15 - 20 minuti per godere degli effetti dell'inizio dell'ipotermia: brividi incontrollati. Nuotata veloce verso la barca a riscaldarmi al sole e scoprire che quei 20 minuti a mollo son stati sufficienti per una bella scottata a schiena e spalle, risultato: gelato e ustionato allo stesso tempo. Fantastico, però, perché ho visto un pezzettino di Sardegna che mi mancava e che consiglio vivamente di visitare.
     
     
     
  10. Valerio Brustia
    26 luglio 2020
    Nel dicembre del 1968, in Inghilterra, la canzone prima in classifica si intitolava "A man of the world".
    Quell'"uomo del mondo" si è spento la notte scorsa a Londra, nella sua casa, e si chiamava Peter Green. Per chiunque strimpelli una chitarra, per chi ama ascoltare musica sincera, genuina, il nome dei Fleetwod Mac di Peter Green non deve essere sconosciuto. Quei Fletwood Mac erano lontani due ere geologiche da quelli che saranno in "Don't Stop" di Leslie Buckigham (a metà dei '70) e furono anello di congiunzione tra il Blues di Chicago e le folk derivazioni britanniche, quindi germe e brodo primordiale di evoluzioni quali l'Hard Rock (poi Metal) e soprattutto della meravigliosa stagione del Progressive Rock inglese (e americano, perchè gente come i Chicago Transit Authority non li dimentico).

    Negli ultimi anni '60 al Marqee Club di Londra, Peter Green lo incontravi una sera sì e una no, andavano tutti ad ascoltarlo (con "tutti" intendo gli altri musicisti). Un gruppo speciale, quei Fleetwood Mac, una sezione ritmica solidissima, cementata da John Mc Vie al basso e Mick Fleedwood dietro il rullante, e due chitarristi, Peter e Jeremy Spencer, a cui quasi subito se ne aggiungerà un terzo, Denny Kirwan. Fu un gruppo che trasformò il Blues portandolo a livelli mai ascoltati prima. BB King affermerà, anni '90, che nessuno è mai stato capace di replicare il suo tocco di chitarra elettrica, nessuno tranne uno: Peter Green.
    Purtroppo Peter si devasterà con l'LSD (e dopo di lui anche Denny), riducendo al lumicino le sue capacità musicali escludendosi così dalle scene già dai primi anni '70. Una meteora, insomma, sì, ma un astro che 50 anni dopo piangiamo per l'ultima volta.
    Addio, Man of the World.
     
  11. Valerio Brustia
    Il gusto fondante per la Fotografia che accomuna molti fotografi, è quello dell'esplorazione. La fotocamera è un attrezzo formidabile per alimentare la curiosità, è un cavallo che sa portare in luoghi che altrimenti non si avrebbe alcun stimolo a visitare, ad esplorare. Così è che questa volta a fare il piccolo esploratore son tornato in vecchi luoghi che, da giovane neo-patentato, avevo già "indagato", ma senza troppa convinzione. Trent'anni dopo le ruote della mia auto si sono inerpicate su per le vigne di Ghemme (NO), lungo uno stradino dissestato, hanno superato la A26 (che comunque 30 anni fa non c'era), per fermarsi ai bordi di un bosco misto come qui da me non ce ne sono più, quasi più.

    Fuji Xpro-2 Ob. Fuji XF 35/2, mano libera.

    Nikon D800E Ob. Nikon AFs 17-35/2.8, Gitzo GT3541Ls, Arca Swiss B1.

    Nikon D800E Ob. Nikon AFs 17-35/2.8, Gitzo GT3541Ls, Arca Swiss B1.

    Nikon D800E Ob. Nikon AFs 17-35/2.8, Gitzo GT3541Ls, Arca Swiss B1.

    Nikon D800E Ob. Nikon AFs 17-35/2.8, Gitzo GT3541Ls, Arca Swiss B1.

    Nikon D800E Ob. Nikon AFs 17-35/2.8, Gitzo GT5541Ls, Photo Clam PC74-BNS.

    Nikon D5 Ob. Nikon AFs 300/4 E, Gitzo GT3541Ls, Arca Swiss B1.

    Nikon D500 Ob. Nikon AFs 300/4 E, Gitzo GT3541Ls, mano libera.

    Nikon D5 Ob. Nikon AFs 300/4 E, Gitzo GT3541Ls, Arca Swiss B1.

    Nikon D800E Ob. Nikon AFs 17-35/2.8, Gitzo GT5541Ls, Photo Clam PC74-BNS

    Nikon D5 Ob. Nikon AFs 600/4 VR, Gitzo GT3541Ls, Arca Swiss B1.

    Nikon D800E Ob. Nikon AFs 17-35/2.8, Gitzo GT5541Ls, Photo Clam PC74-BNS.

    Nikon D800E Ob. Nikon AFs 17-35/2.8, Gitzo GT5541Ls, Photo Clam PC74-BNS.

    Nikon D800E Ob. Nikon AFs 17-35/2.8,Gitzo GT5541Ls, Photo Clam PC74-BNS.

    Nikon D5 Ob. Nikon AFs 300/4, Gitzo GT3541Ls, Arca Swiss B1.

    Nikon D800E Ob. Nikon AFs 17-35/2.8, Gitzo GT5541Ls, Photo Clam PC74-BNS, Autan, tanto Autan.

    Fuji Xpro-2 Ob. Fuji XF 16/2.8, mano libera.
    Due gite, niente di più, verso sera alla fine di maggio e poi a giugno, per scoprire un piccolo Serengheti fatto da una radura erbosa, circondata da boschi di quercia rossa, betulle, acacie enormi e castagni. Boschi di picchi, sentiti tutti e tre: rosso verde e nero, ma visto uno solo di sguincio. Felci, eriche e qualche rovo e molti sentieri di caprioli che escono solo la sera quando l'incontro con l'uomo è meno probabile. 
    per la cronaca questo luogo, scampato miracolosamente ad ogni tipo di "evoluzione antropica" è il Parco delle Baragge, più precisamente è quel luogo noto localmente come Piano Rosa. Di rosa non c'è niente salvo una montagna enorme che nelle ore del mattino chiude l'orizzonte a nord ovest. Questa è terra povera, argillosa, e ciò mi spiega perchè non è stata trasformata in coltivi. C'è un pastore che razzola il suo enorme gregge, ho visto i segni ma non l'ho incontrato, sarà per la prossima volta. 
    Fotografare i boschi è bellissimo, non smetterei mai.
  12. Valerio Brustia
    Sono giorni strani quelli in cui ci troviamo vivere.
    Lo smart job sarebbe dovuto essere, per i lavoratori dipendenti - pendolari, la conquista sindacale del nuovo secolo, invece è diventato uno strumento di salvezza per tutti quanti, persone ed imprese insieme. Gli uffici ora sono deserti ma con le luci accese, l'acronimo VPN è diventato (finalmente) di uso comune.

     
    Nel confino domiciliare in cui siamo costretti mi sembra comunque utile, per quanto sia concesso, che in qualche modo si cerchi di documentare quello che sta accadendo. Perciò, ieri la mia sortita per i rifornimenti alimentari, è stata accompagnata da una fotocamera. Nei limiti di fotografo arrugginito quale sono, ho registrato qualche momento di quotidianità stravolta, prima di rintanarmi nel mio mini ufficio laboratorio dove, normalmente, il "LAVORO" non entra.





    Il tempo di uscire dal panettiere con una fotocamera in mano e son stato fermato da agenti di PS in borghese; Il baule carico con la spesa per 5 persone è stato il mio salvacondotto.
    Torno nel mio loculo fino a venerdì prossimo, per una seconda puntata. Se va male mi portate le arance?

     
  13. Valerio Brustia
    Mi hanno chiesto, in relazione allo sforzo profuso per mettere in esposizione le mie foto del Parco Lame Sesia, cosa diamine mi spinge, dato lo scarso interesse registrato e l'assoluta assenza di alcun tipo di ritorno, a filare tanti soldi giù nel gabinetto. Ed allora proviamo a spiegarci.

    Per cominciare vorrei che vi dimenticaste della fotografia, delle fotocamere, degli obiettivi, di me  e di quelli come me. Vorrei che pensaste solo alle persone con cui state bene, ai luoghi in cui siete stati bene, ai momenti emozionanti ma sereni, se non piacevoli, che nella vita avete vissuto. Ecco, ora parliamo del Parco delle Lame del Sesia e del perché da tre anni mi sbatto in modo estenuante per fare vedere, far circolare, le foto che ho raccolto all'interno di questo pezzo di natura selvaggia, dimenticato da tutto e tutti.

    Ho già avuto modo di raccontare come tanti anni fa ho scoperto, a pochi chilometri da casa, una piccolissima, ma verace, wilderness di pianura, un bosco impenetrabile su una terra paludosa, senza sentieri o strade che lo attraversano, con pochi punti di accesso e, lungo i fianchi del fiume, sterminati greti spacca-gambe. Una volta dentro, nell'ombra degli ontani, ho visto le “Lame”, ampi specchi d'acqua ricchi di vita sopra e sotto la superficie, riflettere le nuvole del cielo. Poi ho incontrato gli animali grossi e piccoli che sorprendentemente riescono a sopravvivere in così poco spazio. Infine ho tratto l’amara constatazione che se tutto questo vive e prospera è perché gli appetiti dell’uomo moderno sono rivolti altrove, riguardano esigenze e valori in cui il tronco di un pioppo secolare vale solo il peso della legna per il camino. Ho capito allora come l'esistenza di questo luogo sia intrinsecamente fragile, appesa ad una legge regionale di 40 anni fa e basterebbe una piccola variante di piano regolatore, per superiori ragioni di “interesse comune”, a stravolgere irrimediabilmente un ecosistema già troppo piccolo. E nel silenzio, nel disinteresse generale, in brevissimo tempo andrebbe distrutto ciò che la natura ha ricostruito in circa mezzo secolo di azione indisturbata.


















    Io non v oglio perdere questo capolavoro di alberi scomposti, rami caduti, siepi di more, cascate di fiori di acacia, letti di funghi “chiodini”, di incontri fortuiti con volpi e lepri, e faccia a faccia con lucci e tinche, no,  non ci sto proprio e finché posso farò quanto mi è possibile affinché questo non accada. Ed allora parlo, scrivo, fotografo, mi sbatto per far conoscere, per spiegare cosa c’è di meraviglioso in un territorio che fa a meno dell’uomo, lo accetta come pari, lo accoglie secondo le regole della foresta, un luogo che già solo nell'azione molesta delle zanzare ci restituisce alla dimensione atavica di anello della catena alimentare. Di posti come questo in Italia ne son rimasti ben pochi ed in pianura padana ancor meno, perciò quei soldi, quei quattrini che sperpero in stampe che in pochi vengono a vedere, il tempo che trascorro a montare e smontare quadri, i giorni di ferie impalati a cercare le cornici giuste, a ben guardare sono una scommessa e un investimento sul mio prossimo, sono un atto di fiducia di un inguaribile ottimista che spera ci sia in giro ancora qualcuno che sa ascoltare.

    Bene, e adesso se ne avete ancora voglia, parliamo anche di fotografia.
  14. Valerio Brustia
    Nel nostro sgabuzzino (che è abbastanza ampio, asciutto e non riscaldato) ci teniamo le bottiglie di vino. Ma non potevo immaginare che il liquido più prezioso che abbiamo in casa, si trovasse invece sotto il lavello.
      
    Ovviamente un valore segno dei tempi, mi auguro che presto i valori si riequilibrino in favore del Barbaresco, comunque ad oggi le cose stanno così. A proposito di come "stanno" queste cose, un mio amico mi ha girato qualche snapshot cellularesco colto presso un grande supermercato della famosa catena dalla consonante allungata.

    Personalmente non ho il tempo di andarci al supermercato perchè, per evitare a mia moglie il classico lazzaretto dei mezzi pubblici, mi sparo 4h giorno di guida spericolata su provinciali e tangenziali milanesi. Sabato prossimo spero di trovare almeno i grissini nel reparto prodotti a lunga conservazione, sempre che sui social  non compaia qualche epidemiologo del web  ad asserire straordinarie qualità protettive del pane secco allungato.
    Sabato scorso son passato in farmacia e, dopo aver ricevuto i medicinali per le mie anziane assistite, mi son permesso di fare una domanda: "NO! NON MI CHIEDA LE MASCHERINE". Infatti no, volevo sapere solo se avevano in casa sei bottiglie di acqua di Tabiano unico strumento valido per cacciare via i dolori sinusitici dal mio capoccione. Sì quella non la voleva nessuno; ora ho 6 bottiglie, stanno nello sgabuzzino, accanto al Chianti ed ad un Barolo del'87. L'amuchina è tornata al posto che le compete: SOTTO IL LAVELLO.
     
     
  15. Valerio Brustia
    Recentemente Isotecnic, produttore degli scafandri Isotta, ha realizzato lo scafandro per Nikon Z. Ho richiesto qualche immagine per mostrarla qui su Nikonland e Isotecnic gentilmente ha risposto. Quindi ecco qui la "rossa" Z, tutta italiana, costruita in riva al lago di Garda. Diciamo subito che lo scafandro nasce come Isotta Z7, ma è assolutamente compatibile con la Z6 perchè le due ML di Nikon sono esternamente identiche (UNA BELLA NOTIZIA)
    Gli scafandri Isotta sono caratterizzati, oltre al colore rosso dell'anodizzazione dei due gusci di alluminio che costituiscono la cassa,  anche dalla soluzione di accoppiamento di chiusura dello scafandro stesso costituito da due perni, in basso, e da una grossa manopola posta in cima alla struttura. Un metodo veloce e sicuro la cui tenuta è garantita da doppi Oring  chiamati a lavorare "di taglio" e non per diretta compressione, come per tutti gli altri scafandri in commercio. A parole è difficile da spiegare voglio solo segnalare l'originale differenza di scelta costruttiva.

    La fotocamera si alloggia su una piastra a sgancio rapido da avvitare alla base. Isotta sfrutta il foro del piolo anti scivolo presente nella base delle Nikon Z, scelta intelligente che evita slittamenti e posizionamenti imprecisi della fotocamera, rammento che bastano poche frazioni di mm per rendere inutilizzabile qualche comando a leva. A tal proposito Isotta offre tutte le possibilità di comando immaginabili, parliamo di decine di leveraggi che consentono di accedere a tutti i comandi, pulsanti e ghiere, della Nikon Z. In acqua fa freddo (per definizione) i leveraggi e pulsanti esterni sono ben dimensionati e quindi ben governabili anche con guanti spessi; di mio ho qualche dubbio sui 5 pulsanti cursore, che mi paiono un po' troppo vicini, probabilmente mi dovrei ricredere, ma così ad intuito mi vedo impacciato con i ditoni coperti di neoprene 5mm ad annaspare tra un bottone e l'altro.
     
    Sul frontale dello scafandro, in alto, sono ben visibili i connettori per il comando in fibra ottica dei flash, quindi Isotta propone un convertitore elettro ottico da accoppiare alla Nikon; però Isotta non dimentica gli affezionati alla connessione Nikonos in rame ed ecco che a destra e sinistra lo scafandro è predisposto per accogliere quei connettori, che però non sono forniti di serie.

    Lo scafandro offre un magnificatore del mirino utilissimo per vederci qualcosa con una maschera sulla faccia, evidentemente Isotta è certa che il suo utente tipo preferisce inquadrare in modo "classico" e non in stile smarphone. Personalmente apprezzo tantissimo la coppia di piedini robusti ben visibili nella parte inferiore dello scafandro. In barca, sul molo, sulle rocce, da qualche parte lo scafandro dobbiamo posarlo, per questo Isotta ha dotato il suo prodotto con due bei pattini di plastica (credo) per ridurre le abrasioni della parte inferiore della cassa.
    Il bottone ISO è posto proprio accanto alla leva di scatto quindi è raggiungibile con l'indice della mano destra , ciò significa che per intervenire sugli ISO si opera come fuori dall'acqua con indice e pollice
     

     
    Bellissime le maniglie, anche loro in alluminio anodizzato, forate ed idrodinamiche già predisposte del giunto a T per alloggiare i bracci porta flash. Interessante, molto interessante un terzo foro predisposto da Isotta probabilmente per la vacuum pump, un dispositivo di controllo pre-immersione utile a garantire la tenuta dello scafandro. Personalmente lo immagino molto più utile per il telecomando della fotocamera scafandrata, funzione banale se vogliamo, ma che i costruttori sottovalutano od offrono a costi irrazionali.
     

    Quest'ultima immagine mostra lo scafandro in assetto di immersione, con un oblò macro a chiudere l'ampio bocchettone della cassa frontale. Bellissimo, compatto.
    Peccato che ad oggi non esiste un solo obiettivo che possa essere alloggiato nell'assetto mostrato in foto, nè tanto meno un macro. Il 60 micro AFs, il più corto dei macro FX, richiede i 3.8 cm dell'estensore FTZ: lì dentro non ci sta. Non che non si possa portare sott'acqua la Isotta Z con il 60 o il 105 micro, no, ma serve il corretto set di estensori che renderanno l'insieme molto meno compatto di quanto non appaia in questa immagine. Il sistema Isotta dispone di un completo set di oblò piani ed emisferici, di estensori e tutto quello che serve per alloggiare quasi tutti gli obiettivi Nikon F, ma qui parliamo di Z, gli oblò di Isotta saranno sicuramente adeguati alle ottiche che verranno, quando arriveranno.
    Di fatto questa Z rossa segnala che Isotecnic non vuol perdere il treno, anzi, vuole essere tra i primi a trovar posto nel nuovo corso e lo fa con un biglietto da visita di grande rispetto perchè questa rossa è uno scafandro fatto per durare cioè servire il subacqueo in decine e decine di immersioni.
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    Le Ottiche del sistema Nikonos V
      
    Il vecchio sistema Nikonos disponeva di un obiettivo ormai mitologico il 15/2.8 UW. Si trattava di un obiettivo supergrandangolare lineare utilizzabile solo in acqua quindi progettato per il mezzo liquido. Quell'obiettivo offriva qualità ottica inarrivabile per qualunque grandangolo rettilineare alloggiato in scafandro (pur usando il miglior cristallo ottico $$ non c'è trippa per gatti, ai bordi si soffre) ed una minima distanza di messa a fuoco cortissima che consente di riempire l'inquadratura con piccoli soggetti del benthos. Va detto che quel tipo di riprese (molto coinvolgenti) erano possibili perchè una piccola fotocamera si può infilare tra anfratti e rocce avvicinando così il soggetto quanto basta, cosa irrealizzabile con strumenti come quello che reggo in mano nella foto seguente.

    Ora, una qualsiasi mirorrless ha  tiraggio che teoricamente consente l'accoppiata con il vecchio Nikonos 15 UW, la cosa non è passata inosservata ed infatti Nauticam, costruttore iperattivo di HK, ha costruito questo coso qui

    Che si accoppia all'obiettivo


    e si monta sullo scafandro della Sony A7

     
    I risultati sono spettacolari, quindi il desiderio è un tarlo in testa a tutti i fotosub. Per ora non esiste nulla verso Nikon Z, paradosso, io ho interpellato Isotecnic a riguardo e mi ha detto che ci sono dei problemi di spazio/ingombro non facilmente risolvibili.
    Interessante evoluzione delle cose, corsi e ricorsi, oggetti che non valevano più nulla oggi tornano ad avere appeal quindi a crescere in valore. Sul mercato dell'usato un buon 15mm Nikonos ora vale sui 450-500 euro, ma con tendenza a salire.
     
     
  16. Valerio Brustia
    Il treppiede fotografico è detestato da molti fotografi ed è facile capire perchè: pesa è ingombrante e limita, impaccia, i movimenti del fotografo. In genere quindi è una noia che tutti i fotografi vorrebbero evitare.
    Questi fotografi però sfruttano metà delle potenzialità della fotocamera perchè per tempi più lunghi del 1/60 s  non c'è mano ferma che tenga. Questa dovrebbe essere un motivo sufficiente a convincere della ragione del treppiede, non un accessorio, ma parte normale di un corredo fotografico. Niente da fare: è scomodo, pesante goffo... Ok, ma che treppiedi usate?
    Da circa una decina di anni scatto solo con treppiedi Gitzo Systematic serie 3 e 5 SENZA COLONNA CENTRALE in carbonio. NON MI DO PACE DALL'AVER FATTO QUESTA SCELTA TARDI, TARDISSIMO. Perchè?
    Questo tipo di strumenti sono veloci da piazzare sul campo, da regolare e sono relativamente leggeri, per quel che sostengono, tanto da'avermi permesso di portarli ovunque, dal mare ai 3000m di quota. C'è però un ambito in cui anche il più piccolo Gitzo GT3541LS risulta troppo invasivo. Si tratta di quelle situazioni (e non sono poche) in cui non c'è spazio, non c'è tempo, non si può. Gitzo non ha mai voluto realizzare, nella sua serie 2, qualcosa di equivalente alle serie 3 e 4 cioè qualcosa di parimenti robusto ma che avesse un peso ed una dimensione veramente contenuti
    Lo ha fatto la cinese Leofoto con questo coso qui l' LS - 254 C


    Il Leofoto è minuto, rispetto ai cugini franco-italiani è un cinesino minimale, ed alla prova sul campo mi ha consentito di scattare con questi archibugi qui.


    Ovviamente mirror lock-up e scatto da telecomando, ma solo sui tele perchè con i grandangoli non ha troppa paura. Certo, se gli tirate il collo (tutto aperto alla max altezza) vi strozzerete, ma con le dovute accortezze permette di scattare con qualsiasi reflex per focali fino a 300 mm anche in DX. 
     
    Il Leofoto montato a lato sullo zaino che uso per le mie escursioni.

     
    La leofoto nella confezione mette di ogni. Oltre alla bella sacca imbottita (fornita di serie) nel Kit Bundle trova posto una testa perfettamente adeguata al treppiede, i piedini per il ghiaccio, un set di chiavi per smontare completamente l'attrezzo e una colonna centrale telescopica pensata per essere avvitata sul piattello e ... che non userò mai.

     
    Nei numeri il treppiede si riassume nelle foto seguenti che non commento. Li ho verificati e son qui da vedere.




     
    Qualche foto di dettaglio del prodotto tanto da dare il senso della qualità di questa manifattura che, a tutti gli effetti, è tutto fuorchè una "cinesata". 

    Nel mio modo consueto di usare il treppiede questo Leofoto si è inserito perfettamente. Ai miei occhi è il mini systematic che Gitzo non ha mai voluto realizzare. Dopo due estati e qualche gita invernale posso dire che il Leofoto è un oggetto estremamente robusto ed affidabile. 
    Uso ed abuso: tre esempi da incorniciare
    1) In montagna alla veloce
    Una giro in giornata, a febbraio, su in Valsavarenche a spiare gli ungulati lungo la strada poderale. Nikon D500 sul 200-400/4, Nikon D800e con il 17-35/2.8 e 60 micro. Leggero leggerissimo che son scoppiato. No il treppiedi no non lo porto, tanto tempo non ce ne sarà....però il leo è piccolo, lo attacco fuori allo zaino e manco lo sento. Così è che ho potuto fotografare le stalattiti di ghiaccio nella gallerie del Nivolet ma soprattutto mi ha aiutato a sorreggere i 4.5 kg di 200-400 +D500 per una lunga osservazione di una coppia di giovani stambecchi acrobati inerpicati sui tronchi di larice abbattuto, un comportamento "arboricolo" che non avevo mai osservato tra gli stambecchi. Il Leofoto è troppo debole per stabilizzare come si dovrebbe l'insieme di tele e fotocamera, ma è robusto abbastanza per sgravarmi del peso e consentirmi di stare a lungo a puntare i due mattacchioni con le corna. L'amico Paolo con attrezzatura più leggera della mia ha desistito per mal di braccia.



     
    2) Appostamento fluviale
    Forse non tutti sanno che quando ci si apposta per le riprese dei selvatici si porta appresso un sacco di roba. Il posizionamento richiede lavoro e lo si sfrutta fino all'ultima bava di luce. Il treppiede in queste sessioni è "occupato" dal tele grosso, quindi può accadere che certe riprese non si possano fare perchè il supporto è già occupato. Il Leo 254 mi consente di utilizzare una seconda fotocamera e di scattare quelle immagini che altrimenti potrei solo osservare dai buchi della rete mimetica. E' il caso del Monviso che si specchia nel Sesia dopo il tramonto.


     
    3) In Sardegna per 72 ore
    Tre giorni in Sardegna a cavallo dell'ultimo WE di settembre. Butto il Leofoto e le ML Fiuggi in uno zainetto da studente e via, volo Malpensa - Cagliari.  L'ultimo giorno, un tuffo serale a Santa Giulia (Villasimius). Le luci del dopo tramonto accendono il granito di tinte incredibili. Il Leofoto viene utile per 30s di posa alle rocce bagnate dal mare.


    Sono solo tre esempi in cui la maneggevolezza di questo Leofoto hanno dato la possibilità di fotografare dove altrimenti non mi sarebbe stato possibile.
     
    Concludendo, al netto delle limitazioni dimensionali e prestazionali, questo modello di Leofoto è a tutti gli effetti un treppiede che ha i medesimi skill della serie Gitzo Systematic, caratteri di praticità tali da far dimenticare la "scocciatura" treppiede a favore delle Opportunità offerte da un solido supporto di ripresa. Quanto costa? Al momento della stesura di questi appunti siamo a meno di 300 euro (kit omnicomprensivo). Direi che specialmente per gli utilizzatori di Nikon Z questa è una soluzione da valutare con grande attenzione.
     
    Per gli interessati, i bisognosi di strumento uguale o simile o diverso ma furbo ed al giusto prezzo, segnale il distributore unico per l'italia
    Photofuture
    che ha base a Cagliari. Spulciate il sito e chiedete indicazioni direttamente a loro, sapranno dare ottimi consigli.
     
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    Auguri per un felice Natale 2019 a tutta Nikonald ed amici collegati
  17. Valerio Brustia
    Lo scorso anno ho fatto un colpo di testa: mi son comprato la barca. Ma andiam con ordine.
    In antichità per fotografare sott'acqua con il fisheye era mandatorio scafandrare una reflex. Le tradizioni si sono mantenute e ancora oggi è così anzi, oggi è pure peggio perchè non ci sono alternative: per fotografar sott'acqua si deve ricorrere agli scafandri in cui alloggiare reflex/mirrorless di corrente produzione. Detto ciò, a giugno del 2018 ho individuato la bella occasione di un fisheye 15/2.8 Sigma AF per Nikon. Il venditore lo cedeva perchè non compatibile con la sua Nikon D5 (scafandrata Nauticam per la cronaca). Nei fatti pare che questa serie di Sigma AF non si accoppi correttamente con la leva diaframmi della Nikon D5, informazione poco significativa per me che uso D800, ma tant'è. L'obiettivo è il seguente
     
    Lo cercavo da anni, da prima del digitale, ma non mi decidevo mai e c'è un perchè. In effetti dalla metà anni '90 non sono mai stato sprovvisto di fisheye.

    Ora nella mia borsa ci sono più occhi di pesce che nella Tonnara di Camogli, la cosa è figlia della storia (la mia storia).
    Il primo fu lo storico Nikon 16/2.8 Ais che usai su Nikon F801 in scafandro Aquatica 80n con Dome da 8".

    Successivamente con l'arrivo della fotografia digitale mi portai in casa il Nikon 10.5/2.8 AF G per formato DX che sott'acqua è una bomba grazie alla sua ridotta minima distanza di fuoco e alla straordinaria PDC. Ma è un DX e finchè ho fotografato in acqua con la sola Nikon D300 non c'è stato da fare alcun ragionamento, ma poi quando ho iniziato ad immergere la Nikon D800, beh la tentazione di fotografare in full frame con un fisheye è stata forte. Ho quindi adattato il vecchio Nikon 16/2.8 Ais all'esigenza. Purtroppo l'uso acquatico si è rivelato più complicato e limitante di quanto immaginassi. La messa a fuoco manuale non è certamente un vantaggio (no l'iperfocale dietro al Dome  non funziona come stando all'asciutto: lo sfocato si vede), inoltre non è possibile comandare i diaframmi quindi ero costretto a fissare un bel f/11 prima di chiudere i ganci dello scafandro e tenermeli per tutta l'immersione. Il vecchio Nikon non va affatto male come si può vedere dallo scatto che segue, un forte controsole ripreso in apnea a pochi metri di profondità, ma non poter governare messa a fuoco in automatico e diaframmi è davvero "urticante"

    Così sono arrivato al Sigma 15/2.8. Bene, avevo tutto: fotocamera obiettivo flash. Mancava giusto il Mare? Niet! Nel 2018 i fiumi delle mie parti sono stati riccamente riforniti d'acqua anche in piena estate grazie all'accumulo, santo accumulo, di neve invernale sulle cime Alpine. Ciò ha fatto sì che ad Agosto la Lama Grande di S.Nazzaro Sesia fosse degnamente trasparente. L'ideale per provare il 15 sigma.




    Sia mai che riesca a posizionare correttamente i due flash Sea&Sea YS250, ce n'è sempre uno che spara troppo dentro l'inquadratura (ben si nota qui a destra). A mia discolpa devo dire che non è facile regolarli e tenerli in posizione facendo snorkeling in mezzo a rami galleggianti o semi-sommersi di fatto i flash devon stare più indietro possibile e puntare un poco in fuori. 
    In Agosto fa caldo, fuori dall'acqua. Il fiume sarà si e no 18 gradi ma lo spavaldo rimbambito che scrive ha pensato bene di indossare, sotto la stagna in trilaminato, solo il completo maglia e mutanda maniche lunghe termiche della Mico e lasciare a riposo la superpippo in pile nello zaino. Una discreta boiata.



    Ad inseguire tinche e carpe il tempo vola ed il freddo entra nelle ossa. L'idea iniziale era quella di fare qualche scatto con il fisheye, perfetto per condizioni d'acqua non proprio cristallina, per poi tentare delle macro ai pescioni che curiosi mi nuotavano attorno. Per questa ragione mi sono dotato di natante utile e necessario come stazione d'appoggio dove riporre il secondo scafandro macro pronto all'uso: mi son fatto la Barca


    Idea brillante, funzionamento con esito positivo, peccato per la leggerezza nel "dressing code" che mi ha condotto ad uscita anticipata dopo solo 45 minuti di ammollo. Un freddo della miseria e, fuori all'asciutto, 32°C con umidità prossima al 100%. Ci son voluti 20 minuti per smettere di barbellare, venti minuti spesi a guardare il mio bel natante rosso, lì a galleggiare allegro e pronto per un altro giro di danze. Lui era pronto, io un po' meno.


     
    Tre giorni dopo, misteriosamente, avevo 38 e mezzo di febbre. Non vedo correlazione. 
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    Autunno 2019.
    La pioggia è caduta copiosa e la Lama Grande di San Nazzaro è esondata per diversi giorni. Questa è una bella notizia per la prossima stagione primaverile, speriamo poi che in montagna cada tanta tanta bella neve e ne riparliamo a giugno 2020.

     
  18. Valerio Brustia
    Novità da Las Vegas, al DEMA 2017 tutti i  produttori di articoli per la Fotosub hanno messo in mostra le loro news e i loro pezzi forti.
    Io uso Sea&Sea e la mia fonte di informazione è ovviamente  Wetpixel, portale dedicato alla fotosub. Purtroppo Wetpixel ha relegato le news Sea&Sea in fondo all'oceanico report dal DEMA 2017, tacendo le importanti novità che il costruttore giapponese ha introdotto recentissimamente. Diciamola tutta: in verità si tratta di aggiornamenti della produzione di Sea&Sea che in questo modo si va ad allineare con altri costruttori particolarmente agguerriti (Nauticam su tutti). Di che si tratta
     
    Partiamo dallo scafandro più atteso
     

    Lo scafandro MDX-D850 MADE IN JAPAN eredita sostanzialmente la stessa struttura progettuale dell'MDX-D500 e si discosta parecchio, nella disposizione dei comandi rear side, dal molto pratico MDX-D800 che uso con notevole dimestichezza. Come si può notare, dal confronto con la seguente immagine, Sea&Sea ha riportato il cursore a 4 posizioni tal quale è sulla fotocamera, mentre nella MDX-D800 proponeva 4 pistoni abbastanza comodi da governare anche con guanti spessi

     Evidentemente Sea&Sea punta sul joystic accessibile là in alto vicino al mirino. Non è una gran trovata per me che fotografo con l'occhio sinistro e già adesso fatico non poco tra maschera ed erogatore a non impicciarmi nell'accedere con il pollice ai pistoni cursore,  quindi il joistic lo vedo molto male; mi piace invece, sul nuovo scafandro, il posizionamento laterale dei pulsanti cursore, anche se rimango un po' perplesso sulla loro dimensione, perchè sott'acqua piccolo non è MAI sinonimo di bello.
    I pulsanti della MDX-D850 sono retroilluminati e questo è un fattore drammaticamente utile nelle immersioni notturne o in grotta; io,per capire dove mi trovo, devo arrangiarmi con una torcetta puntata sullo scafandro.
    Per il controllo flash TTL Sea&Sea picchia duro sul suo optical converter e per questo dispositivo (venduto a parte) sagoma lo scafandro in modo adeguato: da qui il torrione sopra il pentaprisma che ingigantisce in modo spropositato la dimensione della custodia. Il nuovo sistema di controllo luci di Sea&Sea sfrutta la conversione del segnale elettrico di pilotaggio flash in segnale ottico da veicolare via cavi in fibra ottica ai recettori posizionati sui flash. Sea&Sea offre questa opzione di controllo luci per i suoi flash YS-250 YS-D1 e YS-D2 (e anche altri modelli non più prodotti, ma non gli storici YS-120 o YS-350, troppo vecchi per l'applicazione)
     
    Una curiosità:
    il flash YS-D2 è al momento lo strobe di punta di questa casa Giapponese. Il modello in questione fino a questa scorsa primavera veniva prodotto in Cina , ma dopo diversi guai "esplosivi", Sea&Sea ha deciso di riportarne la produzione su suolo nipponico. Okkio quindi ad offerte sul YS-D2  presenti sul web; al più fidatevi dell'importatore ufficiale e a lui rifatevi se qualcosa non va .

    Ma la vera novità che mi ha spinto a tornare a scrivere due righe è in quel che segue



    BENTORNATO CRISTALLO OTTICO!
    Ad un prezzo da far sanguinare le orecchie solo a sentirlo (tanto che l'importatore italiano non è molto convinto) Sea&Sea ha lanciato 3 Dome port (100/170/230 mm) in cristallo ottico multicoated dentro e fuori. Sono tre dimensioni differenti, come quelli offerti da altri brand, e come questi strumenti offrono prestazioni ottiche superiori, meno bolle sulla superficie esterna e ottima tenuta al flare e controluce.
    Io sto sbavando per il 230 mm purtroppo costa 100 euro al cm di diametro  speravo qualcosa meno.
    Vedremo, per ora mi beo della novità
    un saluto
     
  19. Valerio Brustia
    Mondo Mirrorless, sembra quasi un'imprecazione come Mondo cane, Modo boia chi più ne ha ne metta. Fatto sta che, ormai lo abbiamo capito tutti, questo tipo di tecnologia offre dei vantaggi notevoli. Primo tra tutti, per me, l'assenza di specchio che tanto mi fa dannare dietro al 600mm. C'è un aspetto che avevo sottovalutato e la scorsa estate mi si è palesato in tutta la sua pertinenza.
    Martedì 4 giugno 2019 ero in ferie e non mi ricordo nemmeno perchè. Altamente probabile sia stato impegnato in faccende famigliari, di fatto mi son trovato libero nel tardo pomeriggio e ne ho approfittato. Ho caricato l'automobile di tutte le cazzate necessarie e mi son recato sul mio solito fiume, nella solita ansa che frequento da decadi. Da diversi anni non pratico l'appostamento Supino, pigrizia, ma 'sta volta mi son detto "dai, proviamo". 
    Scelto il punto, sul greto del fiume, ho mimetizzato per bene la posizione e mi sono infilato sotto le reti mimetiche intorno alle 18.00. 
     
    Due teleobiettivi in posizione. A sinistra il 600 con la D500 in canna, mentre a destra dove il fiume prosegue, il 200-400 in accoppiata alla solida D3. Una discreta differenza di ingrandimento tra i due assetti, la D500 per riprese lontane, la D3 sul campo più corto.

    Gli appostamenti supini sono roba da fachiro, c'è sempre un sasso piantato in una costola o peggio a grattare una rotula, ma è un punto d'osservazione spettacolare che regala (quando succede) momenti elettrizzanti. Non è stato il caso di questa volta, comunque intorno alle 19.00 una garzetta ha deciso di fare pit-stop davanti alla mia posizione.
     

    Come niente fosse, e come speravo, l'airone ha iniziato la caccia di pesciolini proprio lì davanti a me. Il 600 sulla D500 è un archibugio fenomenale, son 900mm equivalenti con campo di messa a fuoco a tutto fotogramma. Seguo l'airone con il 600 mm e finchè sta ad una distanza di circa 45 m (le due immagini qui sopra) va tutto bene, è perfetto per l'inquadratura e riesco a stargli dietro muovendo la fotocamera. Faccio noto, per chi non avesse mai provato, che con una lunghezza focale di 900mm equiv. il campo inquadrato è così misero che basta uno zic per perdere il target. E purtroppo il pennuto ha deciso di cambiare i suoi piani e di avvicinarsi alla mia postazione con dei rapidi zig zag. 
    Ma io ero preparato, avevo accanto un bel secondo tele (zoom per di più) che mi consentiva di riconquistare la vista del soggetto, e così ho abbandonato la D500 per passare alla D3, mano alla ghiera zoom, allarga allarga, eccolo, stringi, stringi. Nell'inquadratura il pennuto era tornato ad essere grande come prima, come nelle riprese iniziali. Con decisione ho scattato.
     
    Il "CLaaAaack", secco ed asciutto della D3 viaggia veloce sull'acqua, il pollastro bianco si è spaventato ed è volato via (incazzato) - fine -
    Non ci avevo badato, ma avere nel mirino l'airone della stessa dimensione delle riprese iniziali, ma ora con solo 340 mm di focale significava averlo a meno della metà della distanza. A 15 metri quello mi ha sentito, o meglio ha sentito lo schiocco della D3 vanificando tutta la preparazione pregressa.
    E' da questa estate che mi domando, ma se avessi avuto una Zn, con il suo scatto elettronico silenzioso, come sarebbe andata avanti? Avrei ottenuto quello scatto maledetto della garzetta che lancia fuori dall'acqua il pesciolino per poi afferrarlo ed inghiottirlo al volo?  Forse no perchè ci vuole un AF che non vaga per i campi, o forse si? Non lo so è volata via. 
    E io son rimasto lì come un babba, con la stessa identica espressione di questo capriolo qui.
     
     
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