Vai al contenuto

M&M

Amministratori
  • Numero contenuti

    42.140
  • Iscritto

  • Ultima visita

  • Giorni Vinti

    1.154

Tutti i contenuti di M&M

  1. Madame Schumann Musiche di Clara e Robert Schumann, Scarlatti, Handel, Schubert, Mendelssohn, Chopin, Gluck Ragna Schirmer, pianoforte Berlin Classics 2019, formato CD *** Il 13 settembre 2019 saranno duecento anni tondi dalla nascita di Clara Schumann, nata Wieck. Figlia, moglie, madre, musa ispiratrice per l'immaginario collettivo degli appassionati di musica romantica ma soprattutto il prototipo della donna concertista che si permette di mettere in programma le sue composizioni in un mondo per soli uomini che prevedeva per la donna il solo ruolo di cercare di fare il miglior matrimonio possibile o, in caso contrario, di fare l'istitutrice per i figli degli altri. Clara Wieck nel 1839 Questo disco è un omaggio alla concertista e alla compositrice e idealmente replica un recital tenuto proprio dalla stessa Clara durante un tour in Inghilterra nel 1872. In questo recital la pianista viene presentata come Madame Schumann nel programma stampato in oltre mille copie, a testimonianza della grande celebrità riconosciuta per tutta Europa. Clara Schumann in un ritratto degli anni '50 del XIX secolo Nel recital, il Quartetto per Pianoforte ed Archi Op. 47 di Robert, il Trio Op. 17 di Clara, le Kinderzsenen di Robert (dedicate alla moglie), un lieder di Schubert, uno di Schumann, due brani di Chopin, uno di Mendelssohn, una sonata di Domenico Scarlatti. Nulla di Johannes Brahms, ma la sua mano si legge nell'arrangiamento della gavotta di Gluck e nella scelta di tre pezzi da una suite per cembalo di Handel, compositore che Brahms conosceva a memoria e il cui amore condivideva certamente con Clara. Due parole in più sulla scelta dei brani che rappresentano il mondo di Clara Schumann. Un recital molto simile era stato presentato dagli Schumann nella casa berlinese di Fanny Hensel-Mendelssohn nel 1847 e questo programma "inglese" ne rappresenta la replica, nella memoria del marito. Clara cominciò lo studio del pianoforte con il padre all'età di quattro anni. Il padre era un famoso didatta e tra i suoi studenti aveva Robert Schumann. Aveva certamente il temperamento e le doti della grande solista ma era piccola e gracile. Per tutta la vita ebbe problemi fisici dovuti allo sforzo impresso nel suonare. Problemi che si acuirono dopo la morte del marito quando per sostenere i suoi sette figli riprese a pieno l'attività concertistica con impegno sovrumano (si parla di un momento nella stagione del 1854 con 22 concerti in due mesi). Sopportò il dolore con disciplina fino al culmine nel 1875 quando il solo pensiero di sedersi al pianoforte le provocava rifiuto e dovette smettere di suonare. Per superare in parte il problema accettò cure alternative basate su un approccio psicologico e su fisioterapia sperimentale che le permisero di proseguire l'attività concertistica quasi fino agli ultimi. Ma dovette anche limitare il proprio repertorio a ciò che non l'affaticava eccessivamente, escludendo, per esempio, tutta la musica di Brahms con cui suonava solamente in occasioni private, in casa, a quattro mani o a due pianoforti, perchè richiedeva troppo sforzo Anche questo spiega in parte la scelta dei brani scelti per questo lungo recital (due ore di musica). Il mio pensiero va a quella che doveva essere la vita di un concertista dell'epoca, che suonava in tour in Europa con questi ritmi. Oltre alle case malsane, i trasporti in carrozza, in nave o con i treni a carbone, lenti e scomodi. Le luci ad olio e solo più avanti i lumi a gas (ragione per cui molti concerti erano dati in matineè). Le frontiere, le guerre, i moti rivoluzionari. Le malattie tipiche del periodo, acuite dall'assenza dei medicinali che oggi sono di base. Insomma, ci voleva una volontà d'acciaio quando il fisico non reggeva e suonare doveva essere veramente una prova di stoicismo. Ragna Schirmer che presta la sua arte (e il suo volto nella copertina) in questo omaggio discografico è una appassionata studiosa dell'opera e della vita di Clara Schumann (sempre per la stessa etichetta ha pubblicato un disco che si intitola più semplicemente "Clara" in cui interpreta il Concerto per Pianoforte Op. 7 di Clara Schumann insieme al 4° concerto di Beethoven con le cadenze della stessa Clara ). Devo dire che questa passione si sente in ogni nota del disco. E se i punti più elevati sono raggiunti - a mio pensare - piuttosto nella parte cameristica del disco - nel Quartetto iniziale di Robert Schumann e poi nel Trio di Clara Schumann - che in quella solistica, la suggestione creata è tale che ad un certo punto dell'ascolto io ho cominciato ad essere convinto di ascoltare Clara Schumann e non Ragna Schirmer. Tanto che il disco scorre veloce, sebbene non si tratti di interpretazioni del tutto memorabili e il pianoforte non sia intonato con l'epoca. Ma c'è una grandissima sensibilità e un garbo ammirevoli. Probabilmente anche la volontà di offrire uno stile non del nostro tempo ma di quello di Clara, anche in quello che un pubblico comune poteva accettare in una donna al pianoforte. Insomma, un disco non fondamentale sul piano puramente interpretativo (anche se, ribadisco, la parte cameristica è di ottimo profilo) ma molto interessante su quello artistico. Confidiamo anche in altri tributi a questa grande dama della musica nell'anno del suo bicentenario.
  2. Bach : Goldberg Variationen BWV 988 trascrizione per trio d'archi del Trio Zimmermann Bis 2019, formato originale in 96/24 *** Frank Peter Zimmermann suona il violino Stradivari Lady Inchiquin del 1711 Antoine Tamestit suona la viola Stradivari "Mahler" del 1672 Christian Poltéra suona il violoncello Stradivari "Mara" del 1711 il Trio Zimmermann durante la ripresa alla Tonhalle di Dusseldorf nel 2017 i tre protagonisti del disco, Zimmermann, Poltéra e Tamestit Dopo aver approfondito la trascrizione disponibile da tempo di Dmitry Sitkovetsky per trio d'archi delle Variazioni Golberg di Bach, il Trio Zimmermann ha trovato una ricchezza così articolata di dettagli e splendori musicali che ha voluto attingere direttamente alla partitura originale per farsene la propria trascrizione. Sappiamo che l'originale è stato scritto per un cembalo a due manuali che trae la sua ragion d'essere proprio per quello strumento e con quella articolazione, tanto che nella versione per pianoforte - oramai più eseguita in assoluto - diventa "piatta" e richiede al pianista di compensare con l'espressività del piano e del forte, quello che perde in termini di ricchezza armonica. Il trio d'archi idealmente permette di recuperare l'idea originale e di renderla al meglio, anche se non sappiamo certamente come e con quali accorgimenti l'avrebbe trascritta lo stesso Bach che, come sappiamo, considerava di routine questa prassi, avendo adattato il proprio e l'altrui materiale musicale innumerevoli volte per le sue proprie necessità di esecuzione in funzione di chi e cosa avrebbero suonato i musicisti a disposizione. I tre - eccezionali - e perfettamente amalgamati strumentisti di questo trio che prende il nome dal celebre Frank Peter Zimmermann (non che gli altri due siano degli sconosciuti "carneadi" ...) si avvale di una terna di spettacolari Stradivari dal suono inconfondibilmente ricco e rugoso. Lo spirito è quello di Bach, non c'è l'idea di trasmutarlo anche temporalmente. Le dinamiche sono brillanti, molto più coinvolgenti della medie delle edizioni "Sitkovetsky", fanno pensare quasi a Vivaldi o comunque al barocco italiano nello sviluppo. La musica sensazionalmente bella (del resto, non a caso, ci siamo ispirati a questo caposaldo della letteratura musicale europea per intitolare questo sito). L'armonizzazione delle parti rende giustizia ai tre strumenti e alla polifonia della composizione. Nessuna voce è in evidenza o sovrasta le altre. Il violoncello sussurra la sua parte, senza violentare gli altri. Lo stesso fa il violino che non copre la viola. Le tre parti contrappuntistiche si integrano perfettamente. Ma comunque le tre voci sono perfettamente chiare e limpide, distinte, cantabili. Un vero trio d'archi. Metti una grande partitura, tre grandi solisti, tre grandi strumenti, una registrazione a regola d'arte (come di ... regola per Bis) ed avrai un disco di grande interesse. Ci sono altre edizioni delle Goldberg per trio d'archi ma in questo momento non me ne viene in mente una migliore di questa. BRAVI !
  3. Johannes Brahms : Sonate per violino e pianoforte, Clara Schumann, romanza (versione per violino e pianoforte) Alina Ibragimova, violino, Cédric Tiberghien, pianoforte Hyperion 2019 *** Registrate lo scorso anno a Londra, escono adesso in un unico disco le tre sonate di Brahms, per la premiata coppia Ibragimova/Tiberghien. L'affiatamento dei sue - che suonano insieme dal 2005 - è ben testimoniato da una discografia che si fa anno dopo anno più imponente, spaziando per tutta la letteratura per violino e pianoforte. Purtuttavia, nonostante il tempo passi, resta in un certo qual modo un approccio molto accademico, strettamente aderente al testo, come peraltro confermato dal vivo in interviste recenti. Approccio rispettoso, certo, ma non propriamente adatto al Brahms che conosciamo noi e che ci è stato tramandato da una scuola che parte da Joachim e da Brahms stesso. Queste sonate sono composizioni dell'età matura di Brahms e sono assimilabili a dei lieder per soprano, confezionati in forma sonata. Però a differenza di quelle per viola/clarinetto, non c'è la tipica atmosfera autunnale dell'ultimo periodo creativo, il clima è piuttosto primaverile. Le tonalità sono tenui ma comunque con prevalenza di colori chiari. Ma soprattutto è un canto continuo, dove le espressioni, tenero, dolcemente, un pco presto e con sentimento, permangono anche nei momenti in cui la musica è più brunita perchè non diventa mai del tutto crepuscolare. E il vivace, ma non troppo va inteso come liberamente. La Ibragimova è sempre fredda e se non eccede - giustamente ! - con forti e fortissimi (assenti nel tratto di queste sonate) dove il violino NON DEVE mai diventare esageratamente protagonista, non riesce ad essere realmente presa abbastanza dalla musica da ... far cantare il suo strumento. E' probabilmente ancora più distaccato il suo collega Cédric che resta sempre asciutto e per nulla vivace. Nella concezione di Brahms queste sonate impiegano i due strumenti in un piano di piena parità (nel manoscritto della seconda sonata Johannes ha riportato di suo pugno "sonata per pianoforte e violino" e non per violino o violino accompagnato) ma Tiberghien si fa fatica a rintracciarlo in questa registrazione. Naturalmente i due musicisti hanno mezzi tecnici in abbondanza e la parte virtuosistica è pienamente ben esposta. Ma resta l'impressione di una performance di routine. Quella che si vede nella fotografia qui sopra, con loro impegnati a ... leggere la partitura più che interpretarla. Le tazze a tarre dicono più delle espressioni. Certo si tratta di musica straordinariamente bella che si ascolterà sempre volentieri. Ma a tratti in questo disco ho faticato a riconoscere Brahms con passaggi che - per composizioni che conosco a memoria - mi sono sembrati inediti. Siamo comunque fortunati abbastanza da poter scegliere tra una discografia sterminata (la mia preferita interpretazione va al Perlman accompagnato da un brillantissimo Baremboim per Sony, piuttosto che il precedente Emi con Ashkenazy. E scusate se è poco. Ma anche di recente abbiamo avuto buone prove, ad esempio Faust/Melnikov e Tetzlaff/Vogt). Un plauso incondizionato invece alla ripresa, con un equilibrio appena a favore del violino la cui leggera rugosità viene impreziosita dalla registrazione, con lo strumento perfettamente definito li a sinistra, davanti al pianoforte.
  4. Mozart : Concerti per pianoforte n. 12 e n. 13 Karin Kei Nagano, pianoforte Cecilia String Quartet Analekta 2014 *** Karin Kei Nagano è la figlia di Mari Kodama e di Kent Nagano. Nata in California si è formata qui in Europa dove ha vinto svariate competizioni. al debutto con il padre nel 2007 (a 9 anni) Il quartetto Cecilia è un gruppo canadese completamente al femminile In questo disco vengono affrontate due pagine tra le più brillanti del Mozart più in voga a Vienna. Il concerto n. 12 ha un struttura molto cameristica nel suo sviluppo e sostanzialmente lascia tutto al pianoforte lo svolgimento della parte principale. Che è brillante ma non esageratamente virtuosistico. Anche il n. 13 ben si presta a questo tipo di trasposizione perchè fa parte dello stesso trittico di concerti. All'ascolto il Quartetto sviluppa purtroppo una quantità di suono un pò flebile se rapportato al possente volume sonoro dello Steinway della Nagano. Probabilmente uno strumento di inizio '800 sarebbe stato meglio (cfr. ed. Northstar con le sorelle Kujiken e la Petite Band) Ma questo c'è nel disco e di questo dobbiamo parlare. Alla fine, apprezziamo la brillante interpretazione della pianista, che certo ha preso dalla madre il tocco ma ha di suo tanta dolcezza in più e che ci piacerebbe ascoltare con un'orchestra di dimensioni almeno mozartiane ( come nel caso dell'eccezionale edizione Brendel/Marriner/ASMF). Mentre il quartetto - che pure è ineccepibile - sembra suonare in fondo alla stanza, per conto suo. Il risultato forse sarebbe interessante dal vivo ma non in questa registrazione. Ed è un peccato. Però la ... parte di Mozart è talmente bella che si lascia ascoltare lo stesso questo ... strano quintetto.
  5. Histoires d'un Ange, musiche per viola da gamba sola ed acocmpagnata di Marin Marais, Robert de Vissé, Francois Couperin e JEan-Philippe Rameau Johanna Rose, viola da gamba, Josep Maria Martì Duran, tiorba, Javier Nunez, clavicembalo Rubicon 2019, 96/24 *** i tre musicisti di questo disco un'ltra rappresentazione artistica dell'angelo. Non è un'algida bionda "l'angelo" di questo disco ma Marin Marais, di cui si diceva che suonasse come un angelo. La scelta dei brani è abbastanza varia ed inframmezzata da parentesi di suoi contemporanei. Nel resto d'Europa la viola da gamba stava lasciando rapidamente il passo al più "facile" violoncello. Ma mentre in Italia e, di riflesso in Germania che leggeva ed assorbiva rapidamente le invenzioni italiane (sono tante e tante le radici italiane del Bach violista e violoncellista), si sperimentavano nuove soluzioni e si aprivano nuove strade, in Francia si tramandavano gli insegnamenti degli antichi per tradizione diretta. Sono celebri le lezioni di Marain Marais dal suo Maestro Sainte-Colombe e benchè non manchi di originalità, l'opera di Marin Marais non se ne discosta moltissimo. L'impostazione meditativa e seriosa, di questa musica - bellissima se presa a dosi non troppo massive - ne dà la misura ad ogni battuta. Marais però ha aggiunto, prendendolo dai contemporanei quel tanto di gusto ad imitazione, da rendere la sua musica ben riconoscibile. E' il caso del "Cloches ou Carillon" del II Libro dei Pièces de Viole che con l'aiuto del cembalo va a ricordare un carillon meccanico. Meno brillante ma melodico il Rondea "Le Bijou", molto elegante e con un fraseggio a volte interminabile. Brillanti e leggere le Chaconne e le Passacaille (nulla di bachiano, qui siamo nella semplice danza), anche quelle dei compositori "ospiti". Ma questa è la musica per la corte del Re Sole, immutabile, solenne ed a volte un pò immota. I tre bravi musicisti danno una buona prova e rendono scorrevoli i 60 minuti dell'intero programma, registrato in modo molto vivo con presa diretta degli strumenti che sono come davanti a noi, sebbene un pò a scapito dell'ambienza. Ma ci sta, era ed è musica da camera da ascoltare da molto vicino. Come dite, probabilmente senza quella copertina questo disco venderebbe meno ? Forse però è un pò creare false aspettative, la musica barocca francese comunque è questa, prendere o lasciare e non sarà una bionda con le ali d'angelo a renderla diversa. Ma ascoltate la BRAVA! Johanna Rose per confermare come in fondo non le manchi nessuna dote tanto da non meritarsi una copertina come questa ...
  6. Beh, l'hai fatta fucsia, che altro volere di più ?
  7. Il programma di controllo genera uno sweep di "rumore bianco" (o meglio, una sventolata da 20HZ a 20.000 HZ a potenza costante che i miei cani detestano) il cui effetto viene misurato dal microfono. A quel punto la risposta misurata viene approssimata ad una curva di riferimento applicando il numero necessario di filtri parametrici. Ma io poi posso regolarla ... secondo le mie orecchie e misurare il risultato finale Ovviamente entro i limiti fisici della stanza e degli altoparlanti.
  8. disco del 2013 pubblicato da Sony che vi segnalo per comprendere meglio le qualità di un pianista da tenere certamente d'occhio.
  9. William Byrd e John Bull al pianoforte Kit Armstrong, pianoforte Deutsche Grammophon 9 luglio 2021 , formato 96/24, acquistato *** Il titolo " i visionari della musica pianistica " mi aveva in un certo qual modo allarmato all'inizio ma poi ascoltando il disco ho capito. Conosciamo Byrd e Bull come i due titani della musica tardo-rinascimentale inglese vissuti contemporaneamente al lungo regno di Elisabetta I, hanno rappresentato l'anello di congiunzione tra la scuola Tudor che con musicisti come Thomas Tallis ha elaborato le proposte italiane e franco-fiamminghe portandole a livelli inauditi per l'Europa continentale, e la musica madrigalistica, più "leggera" che ha visto John Dowland come epigono (altro quasi contemporaneo di Bull e Byrd). Non parliamo in questa sede di Orlando Gibbons e di Thomas Morley, il primo tanto caro ad esempio a Glenn Gould che ne ha riscoperto molte pagine. Nel libretto del disco si fa questo parallelo, spingendo la scrittura di Bulle Byrd verso la scuola clavicembalistica tedesca e francese ma io sinceramente se leggo il raffinato contrappunto dei due, ne sento ancora più chiaramente gli echi nella musica della generazione di compositori inglesi del primo '900, quindi ben tre secoli oltre. Dopo Bull e Byrd in Inghilterra ebbero il momento felice di Purcell, compositore eminentemente "britannico" e poi praticamente più nulla, una colonia italiana anche per mezzo del sassone Handel fino a tutto il periodo romantico. Ma non è un caso se con Elgar, Vaughan Williams e Britten vengono riprese le radici inglesi della musica saltando il romanticismo tedesco - anche per ragioni storiche - e persino un celebre direttore formatosi con Elgar abbia usato temi di Byrd per la sua meravigliosa Suite Elisabettiana. Quelle che suona Kit Armostrong in questo disco doppio di ben 2 ore e 14 minuti è una sequenza di danze, pavane, gagliarde, e musica di circostanza come marce e ground, ma le variazioni contrappuntistiche con cui sono elaborate hanno una raffinatezza elevata, degna di Frescobaldi se non di Pachelbel e Buztehude che sarebbe come dire Bach. Io non ho idea se nell'isola ideale assediata dai cattolici con le loro armate, leggessero l'italiano, si dice che Shakespeare - chiunque egli fosse nella realtà - leggesse Dante in italiano, e se Frescobaldi abbia fatto sentire la sua influenza fin lassù. E' possibile, Roma era comunque il centro del mondo, altrimenti Enrico VIII non se la sarebbe presa col Papa e con il Re di Spagna altrimenti. Ma comunque il livello è quello, la raffinatezza pur con lo stile cortigiano tipico di questa musica, è la stessa se non superiore. La scrittura, densa ed estremamente impegnativa, da virtuosi per virtuosi, come si può chiaramente vedere sin dal manoscritto : una pagina autografa di William Byrd, estratto di Parthenia, è un preludio. la scrittura cromatica di John Bull, da un estratto del Fitwilliam Virginal Book conservato all'Università di Oxford, culla artistica oltre che culturale del tempo. Composizioni originariamente pensate per il virginale, strumento leggero e capace di dinamiche molto limitate, probabilmente travalicavano le capacità tecniche di quegli strumenti, tanto da risultare - ammettiamolo - noioso all'originale, diventano vive, palpitanti, emozionanti, profonde e complessissime con il moderno pianoforte impiegato con eccellenza da Kit Armstrong. un virginale inglese dell'epoca. Strumento dal suono argentino e flessibile, con estensione abbastanza contenuta e nessuna capacità di dinamica bassi-acuti. Ne viene uno splendido affresco di musica colta e raffinata dove viene mantenuto lo spirito dell'epoca probabilmente sublimandone le intenzioni originali, un ponte ideale verso la musica del futuro. In questo senso è confermato lo spirito del sottotitolo del disco (I visionari della musica pianistica, qualche cosa che i due non potevano nemmeno immaginare se non in sogno). Io mi sono letteralmente innamorato della straordinaria simmetria della Pavan Chromatic della Regina Elisabetta di Bull. Ma il massimo sono le 30 variazioni di Bull, che stanno al pari del meglio di Handel secondo me, scritto nella stessa isola cento anni dopo. E naturalmente la struggente Pavan del Conte di Salisbury, Ma tutto questo disco sin dal primo preludio all'ultima parte (una fantasia ... su una Fuga di Sweelinck e una serie di canoni di Bull) è secondo me sensazionale. Non conoscevo molto bene Kit Armstrong, avendo appena ascoltato il suo disco del 2013 in cui accosta Bach con il Ligeti della Musica Ricercata. Musicista colto e molto sensibile, come potrete accertare voi stessi se ascolterete questi dischi. Registro del pianoforte chiaro, senza eccessi. Bella proposta di DG che vi consiglio senza riserve.
  10. M&M

    Prossime Nikon : facciamo chiarezza

    Aggiornamento sintetico del 20 luglio 2021. Nikon ha l'abitudine di fare dei check alla propria strategia periodicamente per adattarla alle condizioni di mercato, alla concorrenza, alle richieste della clientela, per cui ci sono e ci saranno sempre adattamenti fintanto che i vari prodotti non vanno in produzione. I fatti : la Nikon Z9 è là fuori da qualche parte che attende il collaudo per compilare il firmware definitivo. La data di presentazione sarà tra settembre e novembre 2021 e la commercializzazione a seguire. Il sensore sarà da 45 megapixel ma non ha nulla a che vedere con quello di D850/Z7 e soprattutto NULLA A CHE VEDERE con Sony. Sensore stacked a due strati il cui secondo strato non sappiamo se utilizzato solo per velocizzare le operazioni di lettura o se ci sarà l'elettronica necessaria per aumentare la dinamica della risposta e per simulare un funzionamento in global shutter. Quasi certamente il sensore verrà stampato da Tower Semiconductor su progetto, sviluppo e stepper Nikon. I 30 scatti al secondo sono confermati ed è confermato un autofocus completamente rivoluzionato rispetto alle attuali Z. Ci sarà anche una nuova interfaccia utente. Personalmente io credo che Nikon farà di tutto per consegnare le prime entro Natale 2021, insieme al 400 e al 600. Una riedizione della Nikon D3 (Sant'Ambrogio 2007) consegnata insieme a 400/500/600 la Nikon Z30 è pronta ed è stata certificata dai vari enti governativi preposti alle emissioni radio Si tratta sostanzialmente di una Z50 con gli upgrade introdotti nella Z fc ma senza mirino. Rappresenterà l'entry-point per il mondo DX di Nikon, il prezzo più basso ed andrà a fare concorrenza alla Canon EOS M50. Andrà in produzione appena finirà quella della Z fc e appena ci saranno i pezzi necessari per costruirne una valanga. Io penso appena in tempo per venderle a Natale 2021. Fin qui i fatti assodati o praticamente certi. Ciò che segue è l'elaborazione di sentito dire e di probabilità più o meno confermate. Ma che potrebbero cambiare nel corso del tempo. I rumors : la Zf - versione full frame della Z fc - sembra più di un rumor. Potrebbe facilmente vedere la luce nel 2022 e "sarebbe" una sorta di Z5/Z6 travestita da FM2/F3 anche la Z90 - versione Z della D500 con il sensore da 20 megapixel stacked derivato da quello della Z9 - rappresenterebbe la baby- Z9, ovvero la Z9 "per il resto di noi". Sembra che la fase progettuale sia finita e che sia entrata in quella di sviluppo, ma l'effettiva commercializzazione non sia stata decisa ancora. la Z6 III avrà un upgrade del sensore verso i 30-32 megapixel NON stacked. Non è chiaro se userà il sensore Sony che verrà installato sulla Sony A7 IV di cui si parla già da inizio 2021. Io credo di si perché un sensore tutto Nikon costerebbe di più e renderebbe la macchina meno competitiva in un segmento dove tutti i marchi si confrontano anche con il prezzo e dove Nikon è vincente in questo momento verso Canon. Ricadute tecnologiche derivate dalla Z9 per quanto possibile con un sensore a singolo strato. Quando ? Probabilmente a fine 2022/inizio 2023. la Z7 III avrà anche essa un upgrade del sensore, probabilmente a risoluzione ultra-alta ~80 megapixel e sarà l'offerta di punta per lo studio/macro etc. di Nikon. Ricadute tecnologiche derivate dalla Z9 per quanto possibile con un sensore a singolo strato. Quando ? Probabilmente a fine 2022/inizio 2023. la Z50 II sarà un aggiornamento della Z50 necessario per riprendere la produzione della piccola. Probabilmente nel 2023 quando l'effetto di Z fc e Z30 sulle vendite si starà attenuando. Della Z8 non si parla più per niente. Probabilmente perchè oggi è impossibile per Nikon produrre una macchina con la stessa tecnologia della Z9 ad un prezzo tanto più basso da renderla appetibile per il grande pubblico. Se la Z9 costerà ~7000 euro, la Z8 dovrebbe situarsi tra quella e la Z7 per questioni di marketing. Ma probabilmente a 4500/5000 euro sarebbe difficile da produrre adesso. Motivo per cui probabilmente la Z8 verrà commercialmente sostituita da un tris di macchine, ovvero Z90 + Z6 III + Z7 III, che ognuno doserà a seconda delle necessità della sua fotografia. Ma queste sono mie ipotesi. Non si parla nemmeno di una ipotetica Z5 II che potrebbe semplicemente adottare i sensori residuali della Z6 e pochi altri aggiornamenti per restare in linea. Nemmeno si parla di una Z70, DX intermedia tra Z50 e Z90. Comunque per il momento noi restiamo ai fatti, i rumors sono per aria ma verranno aggiornati nel tempo a seconda di come si muove il vento. [Ad esempio si dice che Canon sia pronta a lanciare una RF tipo la D500 e la mancanza di un prodotto del genere nel pacchetto Z sarebbe una grave debolezza. R6 e R5 possono essere controbattute da Z6 III e Z7 III, mentre la Z9 se la vedrà con la R3. Il mix di Z30+Z50+Z fc è più che sufficiente a sbaragliare le Canon M e una ipotetica Zf non avrebbe rivali sul mercato. Che altro vorreste di più ?]
  11. E' un processore di segnale digitale. Quindi un elaboratore in questo caso applicato all'audio. Il suo compito è fare determinate operazioni sul segnale in ingresso e restituirlo elaborato in uscita. Da solo serve a poco ma in una catena completa può fare diverse cose. in particolare può fungere da cross-over elettronico, equalizzatore parametrico, può applicare i filtri di correzione ambientale elaborati con Dirac Live (è il motivo per cui l'ho comprato). Secondariamente è un dispositivo di rete in grado fare render di musica da sorgenti diverse ed ha anche un attenuatore digitale (volume) fisico e una uscita cuffia. io sostanzialmente entrerò via porta USB o via RJ45 con il segnale audio prodotto da uno dei miei computer connessi ed uscirà con un segnale digitale su quel cavo XLR verso il mio DAC. Da li al cross-over e dal cross-over agli amplificatori a 8 canali che pilotano i diffusori grandi. Lo scopo è quello di elaborare una curva filtrata che tenga conto dell'intervento ambientale sul suono dei miei diffusori (che al naturale non sono corretti ma solo tagliati ed attenuati per banda via per via). L'operazione si fa con un microfono calibrato e un programma che si incarica di misurare la risposta in ambiente "delle casse" e poi applicare una serie di filtri che rendano la loro risposta secondo le mie aspettative, allineandone anche la fase e il ritardo esattamente nel punto di ascolto. Divertente da fare ma maledettamente importante per avere un ascolto ottimale con un sistema complesso come il mio.
  12. No, dai, è un buon cavo ma comunque abbordabile, compresi i Neutrik di ottima qualità e contatti dorati e il cavo Mogami originale, viene 10 euro al metro.
  13. Carina l'idea della foto evocativa di Saverio, come dire che quando non c'è l'occasione, il fotografo se la crea Direi di archiviare, che ne pensate ?
  14. É fuori discussione, tutti i tele da 300/2.8 a 800/5.6 verranno portati su Z, ci sono i brevetti. Per ora in roadmap ci sono solo i due citati. Ma é un fatto temporaneo. Di Pf Z per ora non ci sono tracce mentre l'unico TC integrato é in un 200/4 non micro.
  15. Si, attenti che qui parliamo della prima tendina, non della seconda.
  16. John Rutter : Suite Antique Philip Glass : Concerto per Clavicembalo e orchestra da camera Jean Francaix : Concerto per calvicembalo e ensemble strumentale Christopher D. Lewis : clavicembalo, Jack McMurtery, flauto traverso West Side Chamber Orchestra diretta da Kevin Mallon Naxos 2013, formato CD registrato a New York nel settembre del 2012 *** Disco molto particolare che ho ascoltato un innumerevole quantità di volte perchè unisce tre composizioni di autori molto diversi tra loro, attratti dalla possibilità di "ricreare" con sonorità contemporanee l'eredità del concerto per clavicembalo in stile barocco (o bachiano se vogliamo), mantenendone il gusto leggero e godibile. La "Suite Antique" di John Rutter apre il disco. Si tratta di una composizione in sei movimenti. John Rutter è uno specialista di musica sacra. Britannico, nato nel 1945, ha ricevuto la commissione per questa suite nel 1979 e l'ha risolta come omaggio al Bach dei concerti brandeburghesi. Nella realtà il clavicembalo è un comprimario del flauto che porta le melodie principali e la composizione stessa è un sorta di pastiche che richiama tanti stili differenti, alcuni da colonna sonora o jazz. La chiusura ricorda un rondeau ma i ritmi sono certamente moderni. Segue il concerto in tre movimenti di Philip Glass che è del 2002. Qui il clavicembalo è protagonista incontrastato, sia sul piano sonoro che su quello tematico e con accenni di vero virtuosismo. Le sonorità sono morbide ed intonate con il timbro del cembalo usato in questa registrazione. Glass si sforza di creare il classico confronto tra soli e tutti, comprendendo in questo gioco (non propriamente contrappuntistico) anche i fiati nel loro insieme. Nel complesso si sente lo stile di Glass ma non ossessivamente ... ossessivo come in composizioni più tipiche. L'ultimo concerto è del più anziano dei tre compositori rappresentati e la sua carriera internazionale gli ha dato una certa notorietà già negli anni '30 del secolo scorso. Due toccate in stile francese, o addirittura nello stile francese di un Bach del 20° secolo. Un minuetto, molto melodico e un finale molto veloce e contrappuntistico. Nel complesso la suite di Rutter è un brano un pò "nazional-popolare" (come altra sua musica), molto melodico, il concerto di Glass è di un Glass che gioca a non fare il Glass. E in parte ci riesce. Il Concerto di Francaix è certamente la composizione più interessante sul piano compositivo e stilistico che non manca dello spirito francese dei suoi contemporanei come ad esempio Poulenc (che non a caso ha scritto musica per clavicembalo), con momenti di vero umorismo. Il clavicembalista Christopher Lequis è un gallese che vive negli USA e che ben si disimpegna in questo repertorio un pò borderline, ben coadiuvato dall'irlandese Kevin Mallon e dalla vivace orchestra di New York. Una compagine molto eterogenea ma affiatata alle prese con un repertorio di facile accesso che dovrebbe destare una sana curiosità. Registrazione pulita, in stile Naxos, famosa per i suoi prodotti di qualità, molto coraggiosi nelle scelte anche di repertorio generalmente trascurato dalle major e proposto sempre a prezzo accessibilissimo.
  17. Bach, Concerti per Violino e orchestra BWV 1041, 1042, 1052R, 1053 Kati Debretzeni, violino English Baroque Soloists diretti da John Eliot Gardiner SDG 2019, formato 96/24 *** Disco in uscita a metà novembre 2019, offerto agli "amici" in anteprima, con uno sconto friends. Per sole £6,40 ci si porta a casa il Bach umano degli amici inglesi del complesso English Baroque Soloists, di cui John Eliot Gardiner è solo il socio fondatore ma di cui ogni componente ha ruolo paritario. Lo mostrano le foto lo mostrano i sorrisi durante le prove. Lo prova la loro musica. Se facciamo un confronto con l'edizione di inizio anno, degli "specialisti" tedeschi della Akademie fur Alte Musik Berlin guidati da Isabelle Faust che certo Bach lo masticano a colazione fin da bambini, lo stacco è netto sin dalla prima nota del celeberrimo 1052 finale. Ma ancora di più nel 1042, dove il tono soave e schietto, genuino di Kati Debretzeni si limita a portare la melodia sopra gli altri archi. I tempi sono tranquilli, senza forzare. Non è una maratona. Del resto la solista è il primo violino del complesso dal 2000. Tanti anni di frequentazione con tutte le Cantate di Bach e i Concerti Brandeburghesi (altra grande registrazione SDG) che non le hanno impedito di crearsi anche una solida fama di solista con altre compagini. Lo spirito è quello solito di Gardiner, il gusto di fare musica insieme. L'amore per Bach, non per l'apparire. Suono un pò secco, immagine costretta al centro (ma guardando il video si capisce il perchè). Il violino solista si perde un pò nel suono complessivo del tutti ma anche questo ci sta. Ultima nota, il concerto BWV 1053 qui viene eseguito nell'arrangiamento della stessa Kati Debretzeni, dall'originale per clavicembalo. Aggiungo le note scritte di pugno dalla solista e da Gardiner per ora non disponibili nel CD : A personal letter from Kati Debretzeni soloist and leader Recording this album of Bach violin concertos with John Eliot Gardiner and my colleagues and friends from the English Baroque Soloists was a special experience. I have spent the last 22 years playing Bach with John Eliot. On the one hand I ‘grew up’ (musically speaking) with the strong dance element in this music, and on the other, the Monteverdi Choir’s singing just behind me or around me. Alongside the two mainstream violin concertos (A Minor and E Major) I chose to record two ‘borrowed’ ones. The first is a reconstruction based on the popular D minor harpsichord concerto which might (or might not, depending on which eminent musicologist you believe) have started life as a violin concerto. The second one is my own arrangement of another harpsichord concerto, that in E major, in keeping with Bach’s own custom of arranging and re-arranging his own works. Both these concertos have counterparts in Bach’s cantatas, where he uses the very same musical material (with the organ instead of harpsichord shining through), but superimposes the most glorious choral textures above the concerto material, with poignant texts sung - a ready-made source of inspiration for playing them in their concerto form, and one I was intimately familiar with from my time in that unforgettable, unique experience, the Bach Cantata Pilgrimage. John Eliot was not willing to conduct the recording sessions at first - historically, the violinist (or harpsichordist) would have directed a Baroque orchestra in this repertoire. I ended up asking him to do so during the sessions, as I felt his presence and his fine-tuned ‘Bachian’ instincts gave a huge amount of extra energy for the orchestra to tap into, leaving me free to engage with them all with the greatest freedom. The many years of leading and playing Bach with him at the helm paid dividends galore - this meant speeds and characters were readily agreed upon, and I felt supported by him (both musically and personally) every inch of the way. Doing all this with the dedication, skill and support of all my long-time friends and colleagues within the EBS was an extra bonus - and a huge one at that. We danced and sang our way through 5 wonderful days last December, engaging close-up with this throughly life-enhancing music. I hope you enjoy the fruits of this labour of love. Kati Debretzeni --- Bach’s violin concertos reveal an ebullient sense of invention and rhythmic exuberance in their dance-based outer movements and a hushed intimacy in the sublime slow movements. It is rather as if one is overhearing a passionate conversation between friends. Yet to maintain the conversation’s flow the soloist needs not just to master the different technical demands of each concerto and to capture moods that range from the playful to the profound, but also to locate the spirit of each individual movement and, as a result, to touch your soul. To me that is exactly how it felt when we recorded these four miraculous concertos with Kati Debretzeni and members of the EBS last December - with everyone sharing a palpable delight in the music-making. John Eliot Gardiner
  18. Gustav Mahler, Sinfonia n. 6 MusicAeterna Teodor Currentzis Sony Classical 2018, formato 96/24 *** Si pone nel mezzo della tradizione per durata, questa interpretazione di Currentzis della 6a di Mahler. E se vogliamo molto meno provocatoria o affatto, rispetto ad altre scelte della stessa formazione nel recente passato (ho sempre in mente "l'assurdo" concerto per violino di Chaikovsky con l'istrionica Kopatchinskaja). Questa edizione è viva, palpitante, viscerale fin dalla prima nota. I bassi giungono cavernosi con un senso di urgenza, più che di immanenza. Ma senza che questo influenzi sui tempi di esecuzioni che restano "normali". In fondo però non c'è sensazionalismo, solo musica nel senso pieno del termine. Forse - ma questo sarà un male - Currentzis screma questa finestra sulla musica di Mahler da buona parte di quella sovrastruttura decadente da finis-Germaniae che spesso nel passato ha condito più del necessario un sinfonismo troppo biografico. Vista sul piano del segno e senza troppo indugiare sugli aneddoti personali di Gustav (e famiglia) o sulle vicende degli imperi centrali a cavallo della Grande Guerra - che Mahler non vedrà e che forse nemmeno immaginava - la 6a è un affresco formale, pieno di dinamiche interne, a volte difficili da seguire e discernere per l'ascoltatore se il direttore indugia sulla spettacolarità delle pagine più che sul filo del discorso. Currentzis ne fa più una questione di nitore, affidandosi per il ritmo e il suono alla sua compagine, perfettamente affiatata ed allineata con le sue visioni, e ai tecnici del suono per la ripresa del fragore della matassa sonora. Non sarebbe piaciuta anche a Brahms questo modo di porgere questa musica che solo ai giorni nostri è diventata così ... nazional-popolare ? Forse no ma è piaciuta a me che pure non vivo di Mahler e metto questo disco tra le migliori proposte del 2018, per spessore musicale e per qualità del suono. Insomma, non è Bernstein, non è Kondrashin, non è nemmeno Scherchen, (e chi potrebbe esserlo ?), forse è un pò Boulez ma non troppo : è Currentzis ! E ci va bene così.
  19. "American Rapture" Jennifer Higdon : concerto per arpa e orchestra (prima assoluta, dedicato a Yolanda Kondossis)Samuel Barber : Sinfonia n. 1 Op. 9 in un movimentoPatrick Harlin : Rapture (versione per orchestra)Yolanda Kondonassis - Arpa The Rochester Philharmonic Orchestra Ward Stare - Direttore Azica Records 2019, 96/24 *** L'arpista Yolanda Kondossis, interprete del concerto per arpa e orchestra di Jennifer Hogdon La musica contemporanea oggi si divide in diversi filoni. C'è quella celebrale - tipo le composizioni di Esa-Pekka Salonen - che io non riesco a capire e sinceramente nemmeno ad ascoltare. C'è quella in stile cross-over che cerca di legare uno spirito classico con uno un pò più pop, per così dire. E c'è quella che cerca di esprime lo spirito del nostro tempo mantenendo la musica vicina - per quanto possibile - agli ascoltatori. E' certamente di questo filone la musica americana e in particolar modo quella di questo disco molto interessante, che contiene peraltro due prime assolute. Veniamo innanzitutto al titolo. Rapture sarebbe la sensazione che provano gli speleologi quando trascorrono periodi molto lunghi sotto terra nelle grotte o nelle caverne. Io naturalmente non ho mai provato queste situazione ed essendo piuttosto claustrofobo mi auguro sinceramente di non provarla mai. Il brano - qui eseguito per orchestra per la prima volta - va in crescendo fino ad un finale veramente impegnativo, che vede praticamente la disgregazione del linguaggio sonoro. Non sono convinto di averlo ben compreso, probabilmente bisognerebbe avere una buona introduzione dall'autore (qui il suo sito). Stiamo comunque parlando di avanguardia (Harlin ha conseguito il dottorato nel 2016 e la sua musica tratta sostanzialmente di soundscape, se intendiamo quello che lui intende). Un brano recentissimo, non mi cattura particolarmente ma certamente c'è sia originalità che innovazione. Il pezzo forte del disco probabilmente doveva essere la prima sinfonia di Samuel Barber inserita tra le due composizioni in prima assoluta probabilmente per rassicurare l'ascoltatore e l'acquirente, essendo del 1936. E' una composizione pienamente sinfonica in un solo movimento che dura circa 22 minuti. Si ispira nella struttura alla settima di Sibelius e certamente ne ha la modulazione (di fatto ci sono i tradizionali 4 tempi, condensati in un unico movimento). ma senza la ricchezza inventiva e la passionalità tipica del finlandese. Appare di tutta evidenza che dal punto formale ed intellettuale sia qualcosa che sta certamente su un piano ben differente rispetto al resto del disco. Non ci sono dubbi che la compagine di Rochester (siamo nella Kodak Hall, nata sotto il patrocinio della fu la fondazione Kodak) dia il meglio di se in questa sinfonia. Ma è comunque una composizione ostica, decisamente meno immediata di quanto pensiamo usualmente di Barber (che è un compositore, lo confesso, che non frequento quotidianamente). Invece mi ha attratto di questo disco il concerto per arpa e orchestra di Jennifer Higdon (classe 1962) che secondo me fa il paio col suo bel concerto per violino. Quello dedicato a Hillary Hanh nel 2009 e pluripremiato e celebrato, questo dedicato all'arpista Kondossis, solista in questa prima assoluta. E' una composizione in quattro movimenti estremamente frizzanti già a partire dai titoli (First Light, Joy Ride, Lullaby, Rap Knock). La stesura della trama orchestrale è abbastanza tradizionale per il 2018 e l'ingresso dell'arpa perfettamente strutturato, così come il fraseggio con gli archi e i legni, il tutto sottolineato dalle ricchissime percussioni. La cavalcata del secondo movimento ha un chè di bartokiano ma senza alcuna asperità meccanica, diciamo che ci sono gli echi del compositore ungherese ma nel mood complessivo del concerto in cui si legge la firma della Higdon, oramai abbastanza riconoscibile. La parte dell'arpa è tutt'altro che semplice e non deve essere stato nemmeno uno schermo durante le prove mettere a punto quei ritmi e quegli interventi a tempo. Lullaby è l'adagio seguente che inizia con l'arpa sola. Più che una ninnananna diciamo che è un momento di intimità. L'intervento del violoncello e del flauto si intrecciano con l'arpa che mantiene però il dominio della melodia. Probabilmente è il più tradizionale dei concerti della Higdon ma non vi immaginate di essere all'interno della strutturazione sonatistica di Haydn. Ci sono intuizioni sonore che si susseguono e questa lullaby è piuttosto una danza di esserini fatati più piccoli di un ditale che lasciano una scia di stelline per una stanza assolata. Il Rap percussivo finale stravolge completamente tutta la composizione e la porta ad un livello di originalità abbastanza inaspettato. Ci sono accenni di temi di danze latine insieme a passaggi jazzistici, l'orchestra e le sue parti tendono all'anarchia con l'arpa che cerca di ricucire la struttura. Le percussioni sono aumentate di numero e di importanza e l'arpista qualche volta deve alzare la voce anche bussando sulla tavola in legno. Sul finale, quando la coesione sembra venire meno e l'arpa non ce la fa più a tenere a freno il resto della compagnia, si sente qualche cosa che ricorda un pò il Barber che segue. E probabilmente da qui è venuta la scelta del programma di questo disco. Tenendo a mente che stiamo parlando di un concerto in prima assoluta, composto nel 2018 (e che comunque non parliamo di capolavori assoluti) credo che Jennifer Higdon sia un compositore estremamente interessante nel panorama odierno, capace di produrre musica vivace, originale, che riesce a raggiungere l'ascoltatore. In America le sue rappresentazioni hanno successo e non stento ad immaginare che anche questa sua nuova prova ne avrà. La registrazione è di buon livello, forse un filino secca ma nel complesso l'orchestra ne viene fuori bene. Arpa e solisti in buona evidenza senza apparire 10 metri davanti agli altri. Un disco che vi suggerisco, anche per cambiare musica, al posto dell'ennesimo quartetto di ultime sinfonie di Mozart o di concerti a programma di Vivaldi
  20. Bach Concerti per Violino e Orchestra BWV 1041, 1042, 1043, 1056R e 1052R Giuliano Carmignola (Mayuki Hirasaki primo violino nel concerto doppio 1043) Concerto Koln Archiv 2014, registrazione fatta a Colonia nel 2013 Disponibile in formato CD *** Una scelta classica di concerti per violino e orchestra di Bach, incluso il celeberrimo in Re minore per due violini BVW 1043, con il più italiano dei violinisti barocchi contemporanei che guida anche l'ottimo Concerto Koln, specialista del repertorio bachiano. Non è una scelta insolita in quanto è notorio quanto Bach si sia rifatto al modello italiano nella gran parte dei suoi concerti. E' rimarcato anche nel libretto della Archiv che riporta il titolo "Bach all'italiana" (in italiano nel testo originale) ed è normale, dato il background di Carmignola, cresciuto in terra veneta con Corelli, Vivaldi e i fratelli Marcello come base culturale. Se ne giova l'interpretazione e anche l'ascolto. Carmignola ammette che i suoi riferimenti per questi concerti sono stati fin dalla gioventù Stern e Oistrakh. Ma non c'è traccia della solennità e della drammaturgia del suono di Oistrakh (famosa l'edizione con il figlio del concerto doppio) né del pieno rispetto del segno di Stern. Se ne giova anche l'ascoltatore che vede tolte molte delle stratificazioni storiche di queste pagine che, proprio per rifarsi al concerto italiano che imperava in tutte le corti d'Europa nel primo settecento, hanno tutti allegri assai e adagi sì lirici ma non "troppo" bachiani. Il tocco leggero, veloce, estroso di Carmignola aggiunge spezie e vivacità al ritmo, riuscendo a farsi seguire anche dal complesso di Koln, spesso un pò ingessato e teutonicamente compassato. Vedi ad esempio i raddoppi del terzo movimento del BWV 1042 che sembrano veramente crescendo vivaldiani. Ha un suono "veneziano" anche il BWV 1043, nonostante la prima voce sia giapponese, segno di quanto sia contagioso il nostro spirito. E appunto, il secondo movimento, privo dei toni enfatici di russi e in generale dei musicisti di chiave romantica. Il terzo movimento è addirittura "troppo" liberatorio con tempi veramente svelti, quasi come a scusarsi di quel momento di autocompiacimento del largo (ma non tanto) del concerto. Questo bel disco finisce con due concerti "ricostruiti" da Marco Serino, dai due concerti per cembalo di pari numero di catalogo, che Carmignola interpreta se vogliamo ancora più all'italiana, visto che qui la tessitura è ancora più leggera e il suono del suo Guarnieri si ritrova più libero dai bassi. Non c'è eccesso di fioriture, giusto il necessario. Anche l'ultimo, il 1052 che è il mo concerto per cembalo preferito del genio bachiano, è alleggerito dalla monodia del violino che chiaramente suona più in alto del resto del complesso (vedere per confronto la recente interpretazione molto brunita di Bonizzoni dell'originale per cembalo). Se non capite cosa sto scrivendo provate ad ascoltare per confronto l'ultimo movimento della Ibragimova (Hyperion 2014) alla ripresa del solo, verso il minuto 2:13) lei non fraseggia, suona, Carmignola da respiro alla musica, sussurrando la seconda frase su un volume più basso e leggermente rallentando. Il risultato è di tutta ovvietà per chi conosce il nostro repertorio, molto meno per chi pensa al Bach luterano officiato da musicisti romantici. Non che la Ibragimova abbia una visione incoerente ma è tanto diversa da rendere i due dischi, peraltro coevi, del tutto giustificati per quanto diversi. Insomma, se Bach fosse venuto nel trevigiano per una settimana di vacanza, oltre ad ascoltare la nostra musica in originale e non ripresa da complessi tedeschi ossequiosi del loro principe, avrebbe potuto ascoltare la sua musica così come ce la porge oggi Carmignola. Ovviamente di dischi come questo ne abbiamo già a decine, ognuno di noi ne avrà più scelte a seconda dei momenti ma questo si aggiunge volentieri per un tocco molto personale e più disteso sel solito. Registrazione con un buon registro complessivo, senza quelle secchezze tipiche di certe prove Archiv, basso non troppo lungo e violino (il Guarneri di Carmignola) non esageratamente in evidenza come è giusto che sia in generale ma specialmente in questo repertorio dove il solista è semplicemente un primo violino più esperto degli altri.
  21. Perdonami ma a me questi tuoi sfondi un pò granulosi non piacciono molto due pennellate a proprio gusto e le cose cambiano.
×
×
  • Crea Nuovo...