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  1. Il Burleske (la Burlesca nella nostra lingua) di Richard Strauss è un NON concerto per piaforte e orchestra. Nato come Scherzo per pianoforte e orchestra in Re minore nel 1885, fu considerato subito ineseguibile e messo da parte dall'autore stesso che all'epoca, ventunenne, guidava l'orchestra di Meiningen. Nel 1889 lo poté vedere Eugene d'Albert che propose alcune modifiche alla parte pianistica. In questa occasione ricevette il titolo di Burleske (farsa o beffa), dedicato allo stesso d'Albert che lo eseguì in prima assoluta nel 1890 ad Eisenach, città natale di Bach. Von Bulow non lo capiva ne parlava in questi termini con Johannes Brahms ("il Burleske di Strauss ha decisamente del genio ma per certi versi è terrificante") dopo averlo diretto a Berlino, sempre con d'Albert come solista nel 1891. Il giudizio di Bulow ha pesato sulla considerazione di Strauss stesso sulla composizione, tanto da ritardarne la pubblicazione che avvenne nel 1894 ma senza numero d'opera. Ma nel tempo diventò una delle sue composizioni preferite, tanto da includerla nel suo concerto finale di Londra nel 1947. La beffa o farsa e appunto, probabilmente il motivo dell'incomprensione del tradizionalista Bulow, è l'essere un concerto per pianoforte e orchestra non dichiarato, in un solo movimento ma internamente in quattro tempi. I - allegro vivace II - Tranquillo III - A tempo. Sostenuto. IV - Un poco animato. Quasi cadenza mai effettivamente dichiarati. La formazione orchestra prevede, oltre al pianoforte e agli archi, il piccolo, due flauti, due oboi, due clarinetti in Sib, due fagotti, quattro corni, due trombe e timpani. il frontespizio della partitura a stampa, con la dedica a Eugene d'Albert (1894) Richard Strauss e Alfred Blumen al concerto di Londra del 1947, pubblicato in CD nella serie Testament Dunque, cos'è il Burleske di Richard Strauss ? E' un concerto per pianoforte e orchestra che si sviluppa come una parodia del secondo concerto per pianoforte e orchestra di Johannes Brahms. Un omaggio scherzoso, ovviamente, per questo definito scherzo e poi burleske. Il parallelo con il concerto di Brahms c'è tutto, sia nella tessitura che nel calore complessivo. Ma anche nel rapporto tra il pianoforte e gli altri strumenti che diventano di volta in volta solisti, come i timpani che aprono e chiudono la composizione. Il materiale tematico, la cadenza, il virtuosismo estremo ma anche l'atmosfera calma e olimpica sono genuinamente brahmsiani. La prova sta nel pudding, ovviamente, lo stesso Strauss, poi in vecchiaia critico verso Brahms, nella sua giovinezza ne era invece un grandissimo estimatore che lui esprimeva come Brahmsschwarmerei tanto da assistere alle prove del concerto della quarta sinfonia del grande amburghese. Ci stà tutto, ovviamente ma è e resta una composizione molto originale, brillantissima, ricchissima di materiale tematico e se anche lo sviluppo non è quello tipico del concerto per pianoforte romantico ha dato l'ispirazione a tutte le generazioni di successivi compositori che si sono misurati con il genere. Da Prokofiev fino a Britten. E' anche la musica del primo Strauss, iper-vigorosa, eroica, apollinea, non ancora pregna di tutta quella sovrastruttura allegorica dei poemi sinfonici e delle opere liriche. Il lirismo del Burleske va diritto al cuore e lo fa con toni riconciliatori, sebbene quella che il pianoforte intraprendere sia una battaglia totale con il resto dell'orchestra che schiera i timpani in prima battuta e poi tutti gli strumenti timbrici sostenuti dagli archi per dargli alla tastiera. Vince l'orchestra ma fino all'ultimo il pianista combatte in condizioni di parità suprema, lui da solo sovrastato da quattro corni e due trombe, oltre ai timpani, appunto e i bassi che segnano il destino. La sintesi, impossibile per loro due, tra il Brahms del secondo concerto e il Wagner della Walkiria ? Ecco, leggiamolo così. Composizione estremamente virtuosistica che non è stabilmente in repertorio oggi ma che lo è stata dei principali pianisti del nostro tempo che ne hanno dato letture, qualche volta controverse la cui misura viene immediatamente dalla durata complessiva del pezzo. Si va dai 18:30 della visione dell'ultimo Strauss (e forse nell'edizione del 1891 poteva essere anche più veloce ?) che abbiamo la fortuna di avere su disco. Ai quasi 26 minuti (!) dell'ultimo Trifonov che crede di suonare il suo Rachmaninov, passando per Glenn Gould che già mi sembrava bradipico 30 anni fa quando l'ho ascoltato la prima volta con i suoi 23:50 ai mediani 20 minuti delle tante edizioni disponibili. Nella mia collezione ne ho alcuni che vorrei commentare in chiusura di questo articolo nella speranza di aver incuriositi se non conoscevate bene questa grande composizione. Friedrich Gulda edizione SWR edito di recente Radio-Sinfonieorchester Stuttgart, diretta da Hans Muller-Kray Live del 10 gennaio 1962 durata 19:33 Friedrich Gulda, Orfeo Wiener Philarmoniker diretti da Karl Bohm 25 agosto 1957, Live dal Festival di Salisburgo durata 19:32 *** C'è poca storia, difficilissimo se non impossibile eguagliare Gulda in queste interpretazioni. L'edizione del 1962 che preferisco è un continuo fuoco d'artificio che è, credo il modo giusto di vedere una burla che si risolve nel mostrare il proprio virtuosismo sia compositivo che tecnico. Strauss qui voleva crearsi una fama duratura nonostante Brahms e d'Albert e non è un caso che sia l'ultima cosa che ha diretto in vita. Retorica l'edizione con Bohm ma solista libero di andare sopra le righe e scapicollarsi tra le ottave. La registrazione (o il riversamento) dell'edizione SWR è nettamente meglio e più si addice a valorizzare l'assoluta performance di Gulda che, io credo, è valsa il prezzo del biglietto, anche se la davano per radio ... esiste anche una edizione più anonima, con la London Symphony diretta da Anthony Collins nel 1967 che risolve il tutto in un tempo record di 18 minuti. Semplicemente incredibile se pensiamo alle letture successive. Eppure Gulda non si distoglie da una visione che va oltre la performance atletica, i temi romantici sono ben svolti e l'atmosfera complessiva mantenuta perfettamente. Insomma, non è una lettura "tirata via". Io faccio fatica a trovare di meglio di Gulda per il Burleske. Forse solo Strauss trentenne ! in un certo senso allieva di Gulda (praticamente fu l'unica allieva di Gulda), Martha Argerich credo sia l'unica che si avvicina a questa lettura. Nel concerto di capod'anno del 1992 sotto la guida di Abbado in una tutt'altro che grandiosa registrazione Sony con i Berliner, a Berlino, la strepitosa Martha ripercorre le orme di Gulda alla sua maniera. Risolve l'intero lavoro in 18:44 ma anche qui i momenti lirici sono rispettatti solo che il tratto resta forte, impetuoso, senza un attimo di tregua. C'è la maggiore dolcezza che quando vuole (è raro, lo ammetto) anche Martha sa mettere nel suo tocco. Mi piace immensamente questa lettura, tanto che ho comprato due volte questo disco, perchè il primo l'avevo perso. Risale alle gioventù l'interpretazione di Helene Grimaud del Burleske di Strauss. Con una delle orchestre minori di Berlino, originariamente per Erato, alla direzione David Zinman. A tratti un pò didascalica, molto acerba, lontana dalla semplicità di tocco proverbiali, uniche di Gulda e della Argerich ma ricca di ardore giovanile e intrisa di romanticismo genuino. L'unica edizione che mi ricordo divisa nei quattro tempi. Dura nel complesso addirittura 21:50 e si capisce quanto sia ... femminile nella lettura. Dolce eppure ardita, con un fraseggio che permette persino all'orchestra di non apparire solamente un indispensabile oggetto dello sfondo. E' un peccato che non sia stata ripresa nell'ultima fase "sperimentale" della pianista francese. Io spero sempre che si riprenda. Byron Janis era la superstar degli States e sebbene subisse la ferrea presenza di Fritz Reiner in questa edizione appare in forma. Sono 20 minuti netti di performance molto maschia dove comunque la Chicago Symphony spesso prende il sopravvento. Il pianismo di Janis è comunque molto brillante anche se un pò di maniera con accenni di virtuosismo un pò istrionico che cerca di farsi spazio in un parterre un pò troppo veemente. Posso capirlo, non doveva essere facile essere Byron Janis quando c'erano sulla scena Horowitz e Rubinstein. Bisognava dimostrare di essere diversi. E qui Byron ce la mette tutta e ci riesce anche. Ma siamo lontani dai fuochi artificiali di cui sono capaci solo Gulda e la Argerich qui le pause servono a creare effetto ma ... fanno meno effetto dell'apparente inesauribilità del tocco dei due antagonisti. Pensando al Daniel Baremboim odierno che fatica a chiudere il colletto della camicia si fa fatica a pensare quanto sia stato brillante in gioventà anche prima di sposare la Dupré. Qui sembra che il suo grande amico Zubin Metha lo spinga e i Berliner producono un suono suadente ma preciso su cui il bravo Daniel ricama da par suo. Il disco se non vado errato è del 1987 e la durata complessiva è di 19:35 ma non si direbbe tanto è spedito nel suo incedere. Generalmente trascuro sempre Claudio Arrau nelle mie considerazioni, il bello di usare Qobuz come database principale me lo offre sempre disponibile ed eccolo qua. Molto lontano dagli ultimi anni di carriera - sono registrazioni degli anni '40 - qui è più vivace del solito. La registrazione originale viene da un nastro RCA VIctor del 1946 a Chicago e purtroppo è pessima in qualità e dinamica. Il pianoforte è in secondo piano e si sentono più che altro le frequenze medie. Questa è la storica registrazione dell'ultimo concerto di Richard Struass stesso a Londra nel 1947. Scelse nel programma il Burleske che tanto amava e scelse anche un pianista decisamente di secondo piano per assecondarlo. Il risultato probabilmente rispecchia la visione dell'autore, come è ovvio che sia, nei tempi e negli spazi (18 :30 di durata) ma con tutta la benevolenza del mondo, la registrazione viene da un nastro consumato e rumoroso con dinamica zero e il pianista sembra paperino alle prese con il pianoforte di Zio Paperone. Leggiamo comunque come Strauss avrebbe voluto dirigere ... Friedrich Gulda se lo avesse avuto sotto mano e non avesse temuto che prendesse il sopravvento. Lo prendiamo come riferimento. Recentissimo, uscito solo lo scorso autunno, questo bel disco tutto dedicato a Strauss da Chandos. Contiene tra le altre cose il Burleske per una lettura molto energica di Michael Mchale (chi era costui ?) con la BBC Symphony Orchestra diretta da Michael Collins. L'esecuzione è pienamente romantica, rotonda, sontuosa nei suoi 20:19, a tratti si vorrebbe il pianoforte un pò più in evidenza ma tant'è. Comunque tutto il disco è molto interessante e ve lo segnalo (anche per il concerto per violino con la solita splendida Tasmin Little). Chiudo con la delusione assoluta. Nel disco dedicato a Strauss da Mariss Jansons compare in chiusura Trifonov nel Burleske. La sua interpretazione richiama il Gould più pedante e nonostante tutti i suoi proverbiali sudori ... in ben 25:55 di rallentamenti nonostante l'energico intervento della Bayerischen con Jansons più in forma che mai (ascoltare lo Zarathustra se non ci credete), non infiamma, anzi. Peccato perchè è un'occasione sprecata. Ma Trifonov è un genio, probabilmente avrà ragione lui se impiega 8 minuti pieni più di Strauss stagionato. Nei commenti inserisco altre interpretazioni che non si trovano in disco. Estremamente interessante, ancorchè parziale, quella di Richter che ce lo mostra istrionico come non mi era mai capitato di vederlo. Uno spettacolo. C'è poi l'Argerich di cui abbiamo parlato, Emanuel Ax, il solito Matsuev con il suo ciuffo scolpito e infine il solito Gould versione rallenty. Spero di non avervi annoiato troppo, lo so che solo io ho il pallino di questo concertino fine secolo, che ci volete fare !
  2. Molto lento (19:30) ma "sublime" duo Tal & Groethuysen gennaio 2020 (disponibile in disco Sony del 2013 in un programma tutto Schubert).
  3. Aggiungo due interpretazioni recenti che secondo me vanno molto nel solco intimista-rassegnato iniziato nella mia rassegna dalla lettura Perahia+Lupu. Julia Fischer (al piano) e Martin Helmchen potrebbero essere i protagonisti di una storia d'amore osteggiata dai genitori (di lei, naturalmente !). visionaria ma non convincente (secondo me) la più recente edizione Erato con David Fray accompagnato dal maestro Jacques Rouvier. Troppo compassata e tragica per me. In questa composizione l'emozione si deve mediare con la lotta strenua nonostante ogni avversità e anche se destinata al fallimento. Emil Gilels fa così, trascinandosi la figlia oltre ogni ostacolo in un atto d'amore continuo per tutta la partitura. Ma onore e gloria a Franz Schubert che in queste pagine raggiunge secondo me vette magnifiche. E' una delle occasioni più brillanti di pianismo doppio, per scrittura e significato complessivo. Il vero romanticismo che, sono sicuro, avrà emozionato le sorelle Bronte.
  4. La Fantasia in fa minore per pianoforte a 4 mani, pubblicata come op. 103 da Diabelli dopo la morte di Schubert, fu scritta tra i mesi di gennaio e aprile del 1828 e dedicata alla contessa Carolina Esterhàzy, come risulta da una lettera del compositore datata il 21 febbraio 1828 e inviata all'editore Schott. Simile alla Wanderer-Phantasie, questo lavoro si articola in quattro movimenti in una libera forma di sonata. L'Allegro molto moderato inizia in tono minore, secondo l'uso ungherese, ma ben presto si arricchisce di modulazioni che slanciano il discorso melodico. Il Largo in fa diesis minore è una specie di omaggio all'arte italiana, in quanto si sa che proprio in quell'anno il musicista aveva avuto occasione di ascoltare Paganini e dopo l'Adagio del Secondo Concerto op. 7 del violinista aveva detto di aver udito cantare un angelo. Lo Scherzo brillante e il Finale rivelano uno Schubert contrappuntistico quanto mai insolito tanto che il compositore per arrivare a controllare più coscientemente questa scoperta pensò negli ultimi mesi della sua vita di prendere qualche lezione (c'è chi sostiene però che si trattò di una sola) dal teorico e didatta austriaco Simon Sechter (1788-1867), che fu tra l'altro maestro di Bruckner e di numerosi artisti importanti della Vienna musicale del suo tempo. La Fantasia in fa minore per pianoforte a quattro mani di Franz Schubert è stata composta ad inizio 1828 e pubblicata postuma come Op. 103 da Diabelli (Quel Diabelli !). Solo formalmente una "fantasia" forse per evitare critiche dai colleghi più formali, é simile come struttura alla Fantasia Wanderer e si articola in quattro movimenti di sonata. La dedica è alla Contessa Carolina Esterhàzy e questo forse giustifica l'incipit alla maniera ungherese ma non sapremo mai se la dedicaria ne sia stata informata, dato che c'è traccia solo in una lettera del 21 febbraio di Schubert all'editore Schott. Si dice ci siano anche influenze italiane - nel largo - indotte forse dall'ascolto recente del Secondo Concerto di Paganini a Vienna. Nel finale c'è anche l'insolito - per Schubert che non aveva una formazione rigorosa - accenno contrappuntistico. Si tratta comunque della sublimazione dello stile di Schubert, le ampie e continue ripetizioni, i ritornelli, i cambi di melodia repentini, si fanno perdonare dal ritmo sempre incalzante e da un accenno di melodramma. Una composizione che si presta maledettamente bene alla trascrizione sinfonica. Ricamando sul materiale melodico molto drammatico e romantico nel senso più letterario del termine si sono ricamate .... fantasie sulla fantasia. C'è chi parla di amore impossibile per questa contessina, ex-allieva, conosciuta in una vacanza del 1824. Certamente il materiale emotivo è estremamente ricco e porto su un piatto di portata. Ma come tutte le composizione di Schubert necessita di mani sapienti, capaci di distillare il succo puro dell'invenzione musicale dal mare di consuetudine a volte un pò triviale in cui il compositore era solito annegare le sue intuizioni anche le più brillanti, per dovere di allungare il brodo. Ma resta assolutamente inequivocabile già nella scelta formale - pianoforte a quattro mani - il dialogo tra due parti, una in basso e una in alto. Non c'è dubbio alcuno. Poi voi datele il senso che vi pare. E se proprio vi piace, ascoltate cantare Carolina all'alto e Franz al controcanto in basso. La soluzione è un fa minore molto intimo, con i quattro movimenti collegati che consentono una distribuzione delle tonalità - fa minore il primo e l'ultimo, con il finale che è il doppio del primo movimento - i due movimenti centrali invece sono in fa diesis minore, ci fosse stato bisogno ancora di aumentare il pathos della scena. Colori e tonalità stanno perfettamente vicini al Winterreise sebbene la composizione sia stata terminata a primavera. Ma siamo negli ultimi mesi della vita di Schubert e quindi tutto ci stà. L'intera stesura è anche intrisa di inquietudine ed instabilità, anche solo a mantenere il tema per la coda. Il tema principale del primo movimento che compare dopo una breve preparazione del basso. lascia improvvisamente spazio ad un "duetto d'amore" come lo definirebbero i frequentatori dei salotti dei coevi romanzi di Jane Austen. Il secondo motivo è se vogliamo ancora più irrequieto e il basso e tutt'altro che comprimario della melodia. Primo e secondo tema vengono rielaborati più volte su luci diversi. Schubert qui manifesta appieno le sue doti pittoriche. Segue il largo, come si diceva in fa diesis minore ma non aspettatevi un preavviso. Anzi, se volete trovare le tracce separate nei dischi che segnalo, andate direttamente nella versione secondo Sviatoslav e Benjamin perchè le altre non lasciano respiro tra un movimento e l'altro. Alla faccia del largo abbiamo una serie di accordi percussivi e di trilli infiniti che aprono un dialogo tra l'alto e il basso che lascia in sospeso. Ripresa quasi sottovoce con un accenno da opera all'italiana che porta al successivo allegro. Questo non consente affatto di prendere fiato perchè è vitale e brillante, con tratti popolari, anche qui con riprese continue di ritornelli e con accompagnamento martellante, pieno, forte. Le voci non cessano di accavallarsi. E provatevi a seguirle separatamente se ci riuscite. Qui Franz mi perde un pò perchè i cinguettii durano per circa un terzo dell'intera composizione e alla terza ripetizione io sinceramente cercherei il telecomando per cambiare canale. Ma per fortuna che arriviamo magicamente alla ripresa, con una modulazione che ci riporta al tempo Primo e alla tonalità iniziale. E' un nuovo inizio che prelude ad un epilogo non troppo allegro. C'è un palpito tutto operistico. Questo è un lieder doppio, modulato dal tremolo, quasi, l'agitazione lascia posto all'inquietudine con sprazzi di speranza. L'appoggio del basso è meno esasperato, quasi rassegnato nel seguire la voce principale. Un fugato, una cosa più che rara per Schubert che forse vi ricorreva solo quando il padrone di casa chiedeva la pigione ma credo che Ludwig ne sarebbe stato felice se l'avesse potuto leggere, se non proprio ascoltare. I trilli della voce di destra elevano strilli reali, il basso diventa più concitato, aumentano pathos e agitazione. SIlenzio. Ripresa magica del tema iniziale, sottovoce, senza accelerare, forzando l'ultima frase in una conclusione a rintocchi che tutto lasciano significare (scrivete voi il finale). Applausi meritati per un chiusura di carriera che desidererei anche io. Allegro molto moderato (fa minore) Largo (fa diesis minore) Allegro vivace (fa diesis minore) Con delicatezza (re maggiore) *** La discografia di questa composizione non è straripante, perchè non ci sono tantissimi duo in attività e perchè l'intesa tra i due deve essere assoluta con la necessità di lunghe sessioni di prove, cosa sempre meno possibile. Nella disponibilità di edizione ne ho scelte cinque le più diverse che però, quasi tutte, identificano un legame quasi amoroso tra il duo. Abbiamo marito e moglie, padre e figlia, allievo e maestra, e due coppie di sodali di provata amicizia. Vediamole insieme. *** Schubert : Fantasia per pianoforte a quattro mani Op. 103 - D940 Avanticlassic 2010 Durata 16:30 *** Questo disco contiene solamente la Fantasia. Ed è sufficiente. Si tratta forse della interpretazione più intensa disponibile in disco. A tratti largamente commovente, forse un filo sopra le righe, mai, nemmeno in un istante, banale. Intensità emotiva ed affiatamento dell'allievo insieme alla maestra. Io rispondo con i brividi alla base della nuca. Non mi importa se sembra che Zia Martha avesse fretta di andare dal parrucchiere (una cosa che credo faccia solo ad ogni anno bisestile). Vince a mio parere per visione, per tensione, per tono, per la drammatica narrazione. Martha dà il ritmo e Sergio ricama sopra. Bellissima. Schubert : Fantasia per pianoforte a quattro mani Op. 103 - D940 Sviatoslav Richeter e Benjamin Britten Decca Durata 17:47 *** Festival di Aldenburgh, ma quanto saranno stati fortunati quelli che al tempo hanno potuto assistere ai duetti tra Benjamin Britten e i suoi amici, Sviatoslav Richter, Slava Rostropovich e Peter Pears ? Qui abbiamo un disco straordinario, ripreso dal vivo che mostra un'intesa virile di rara chiarezza. Le due voci sono perfettamente fuse in un'unica intensa frazione di un momento. L'unico momento di perdita di tensione è nell'allegro dello scherzo del terzo movimento. Ma qui Schubert ha seminato la partitura di trappole cui nessuno - o quasi - può opporsi. Il resto è tutto urla e forza di chi vuole fermamente opporsi al destino proclamando il suo diritto, almeno, all'autodeterminazione. I momenti di struggimento ci sono tutti ma sono attenuati da una inesorabile volontà di giungere all'epilogo. Intendiamoci, non è una versione da record di velocità, l'incedere è marziale, virile appunto. Ciò che c'è da dire viene detto, sempre e con veemente potenza. Ma si sente che manca una donna. Il risultato, appunto sorvolando sul terzo movimento, lascia senza fiato. A tratti violento, collerico, potente. Beethoveniano. Schubert : Fantasia per pianoforte a quattro mani Op. 103 - D940 Radu Lupu e Murray Perahia Decca Durata 19:19 *** Silenzio, delicata presenza. Qui lo spasimante sembra già certo dell'esito della vicenda e la sua è più una supplica rispettosa. Quasi a giustificare la differenza di ceto e di casta (sto celiando, ovviamente). Ma la rassegnazione è più forte dello struggimento e le due voci non si sovrastano, dialoga su toni omogenei. Il senso complessivo è drammatico, teso, nonostante la durata sia quasi biblica rispetto a quella dettata dalla Argerich. Non mi piace, lo devo ammettere, ma ha fatto scuola (vedi recenti edizioni Fischer+Helmchen e Fray+Rouvier) Un modo alternativo, rassegnato, romanticamente più "tedesco" che non mi si addice per indole nemmeno in una frase. Schubert : Fantasia per pianoforte a quattro mani Op. 103 - D940 Robert e Gaby Casadesus Columbia Durata 16:54 Una coppia formidabile i due coniugi Casedus che mostrano un'intesa assolutamente ferrea. Probabilmente il ruolo guida resta Robert perchè la visione è certamente maschile, molto veemente, veloce. O alla veloce, se vogliamo. Lo si capisce sin dal primo accordo della sonata per due pianoforti K448 con cui incomincia il disco. Sia come sia, importa poco capire le dinamiche di coppia in questo contesto visto che valutiamo il risultato. Che è sensazionale, quanto se non meglio di quello dell'eccezionale coppia Britten+Richter, e scusate se è poco. Schubert : Fantasia per pianoforte a quattro mani Op. 103 - D940 Emil ed Elena Gilels Deutsche Grammophon Durata 19:19 Questa coppia forse è la più debole tecnicamente. Adatta al concerto KV365 di Mozart ma Elena, pur bravissima, poco può contro il padre Emil. Che impone alla fine un tempo lagnoso di una lunghezza sproposita. Beninteso, non necessariamente la velocità è da considerare una debolezza ma se sommiamo la tendenza alla ripetizione pertinace di Schubert con un andamento lento come questo il risultato non può che essere un pò sonnecchioso. E' la meno interessante, per la mia opinione delle interpretazioni che ho scelto. Ma si riscatta su quella altrettanto compassata dei due Perahia+Lupu per gli scatti veeementi di Emil quando può prendere il volo. C'è tutta la sua forza e la sua voglia di vincere ad ogni costo con la sola forza delle sue dita. Solo che qui vince il suo amore paterno, non me ne voglia la graziosa Elena. C'è tutto Emil in ogni nota. Finale travolgente che da solo vale, ogni nota, di tutta l'interpretazione.
  5. Gli ultimi pezzi per pianoforte di Brahms non sono le ultime composizioni di un uomo rassegnato, stanco e solo come qualche volta si vorrebbe credere. Anzi, non sono nemmeno gli ultimi pezzi di Brahms che dopo aver pubblicato le raccolte dei numeri di opera 116-119 - in larga parte opere delle decadi precedenti - si rimetterà a comporre, per clarinetto, per basso, per organo. Il laico Brahms concluderà la sua opera con testi della Bibbia e in forma corale all'organo. Mi perdonerà Rattalino, ma non credo affatto che queste raccolte siano "il testamento di chi ripercorre il passato guardando avanti con impassibile disperazione", perché allora non so cosa dovremmo pensare delle opere corali composte o impostate sin dall'età dei 25-30 anni. Del resto basta ascoltarli per ritrovare semplicemente tutto Brahms. C'è la solita melanconia, c'è la solita rutilante forza "dell'aquila del Nord". C'è la tenerezza della madre che canta per coccolare il suo bambino. C'è la volontà di fare doni alla sua amica di una vita, come è vero che Clara Schumann scriverà nel suo diario dopo aver ricevuto i pezzi dell'Op. 116-117 «Grazie a questi brani ho sentito ancora una volta la mia anima attraversata dalla vita. Posso suonare ancora con sincero abbandono, e ho ripreso la musica pianistica di Robert con più entusiasmo [...]. Per quanto riguarda la tecnica digitale, i pezzi di Brahms non sono difficili, tranne che per alcuni passaggi; tuttavia, la loro tecnica intellettuale richiede una comprensione profonda, e bisogna avere familiarità con Brahms per poterli suonare come lui li ha concepiti». Per avere questo effetto la sua musica NON poteva essere scaturita da impassibile disperazione. Brahms la vita la vedeva così già a venti anni. E la sua musica è tutta così. E in fondo, l'intera serie non comincia con un capriccio veemente che riverbera l'inizio della 4a sinfonia o dell'introduzione sinfonica del primo concerto per pianoforte ? E come termina ? Con una marcia degna del Robert sognatore, nascosta dentro ad una rapsodia. In mezzo ci sono ballate, ninnananne, intermezzi, fantasie. Insomma, seguiamo le parole di Clara che Johannes lo conosceva bene. Bisogna avere familiarità con Brahms per frequentarlo, altrimenti si finisce per giudicarlo superficialmente. Senza offese per nessuno, naturalmente. Ma Johannes Brahms non è Sergei Rachmaninov. Le raccolte sono state tutte pubblicate negli anni 1892-1893. I precedenti brani per pianoforte solo risalivano alle Op. 76 e 79 del 1878-1879. Brahms non ha improvvisamente smesso di comporre per pianoforte ma abbozzava, annotava, schizzava. Certamente l'Op. 119 contiene musica del 1893 come da questa lettera del maggio a Clara : "Sono tentato di copiare un piccolo pezzo di pianoforte per te, perché vorrei sapere se sei d'accordo. È pieno di dissonanze! Queste possono [bene] essere corretti e [possono] essere spiegate - ma forse possono accordarsi con il tuo gusto, anzi avrei voluto che fossero anche meno corretti, ma più appetitosi e gradevoli per i tuoi gusti. Il piccolo pezzo è eccezionalmente malinconico e 'essere suonato molto lentamente' non è un eufemismo. Ogni battuta e ogni nota deve sembrare un ritardato, come se si volesse risucchiare la malinconia da ognuno, lussuriosamente e con piacere da queste stesse dissonanze ! Buon Dio, questa descrizione [sicuramente] risveglierà il tuo desiderio! Chiusa questa parentesi, andiamo alla musica. Op. 116 : sette fantasie per pianoforte capriccio in re minore intermezzo in la minore capriccio in sol minore intermezzo in mi maggiore intermezzo in mi minore intermezzo in mi maggiore capriccio in re minore Il primo capriccio è un allegro energico che con ondate investe l'ascoltatore per poi ripiegare su un tema più appassionato. Due minuti senza pause, nemmeno per prendere fiato. Segue un andante molto raccolto, anche esso con un fraseggio ampio e dei chiaroscuri dipinti dal basso. Intimo ma del tutto privo di rassegnazione. L'allegro appassionato torna impetuoso e senza pause, ancora con una costruzione ad onde. Fino ad un momento di raccoglimento con uno dei temi più romantici che lo stesso autore può provare. Niente altro che amore, in musica. Chiusura con ripresa del tema iniziale ma con solo un pò meno veemenza. Il quarto è un adagio tenero e sognante, che potrebbe aver scritto Schumann. Riflessi sull'acqua in una giornata di fine inverno. Le note sono scandite con forza pur nel rispetto della metrica. Poi un'andante che è una danza stilizzata con passi quasi da altalena. "Andantino teneramente" dice l'ultimo intermezzo, ancora con il basso che scandisce il passo. Dopo la prima frase però la lirica assume forza, si ferma, riprende da dove aveva cominciato. Il capriccio finale é assolutamente agitato come impone l'annotazione ma il tema che segue continua ad essere melanconico e al contempo tenero fino ad essere portato con forza. Op. 117 : tre intermezzi per pianoforte intermezzo in mi bemolle maggiore intermezzo in si bemolle minore intermezzo in do diesis minore Il primo di questi intermezzi è una ninna-nanna, la tonalità in maggiore lascia comunque spazio ad un filo di nostalgia pur in un quadro comunque lieto. L'andante seguente segue e non può essere che suonato di seguito per portare all'andante con moto finale che sale di tono, di ritmo e di forza mano a mano che la melodia assume corpo. Le note sono scandite in modo fermo sia dalla destra che dalla sinistra. E' una romanza senza parole con frasi lungamente ripetute per tutti i ritornelli. Op. 118 : sei Klavierstucke per pianoforte intermezzo in la minore intermezzo in la maggiore ballata in sol minore intermezzo in fa minore romanza in fa maggiore intermezzo in mi bemolle maggiore Il primo intermezzo è una ouverture che introduce ad uno dei più struggenti momenti di tenerezza di tutta la musica di Brahms che è il secondo intermezzo in la maggiore. La parte centrale di quest'ultimo è un ricordo, ancora vivo e presente, e per questo ancora più caro. Ma c'è tutto Brahms in questi sei pezzi per pianoforte, perchè senza intervalli la ballata successiva è piena di forza, coraggio, decisa, speranzosa come sottolinea il momento centrale. L'allegretto successivo (il n.4, intermezzo) resta agitato ma in punta di dita, senza momenti urlati, anzi, anche qui c'è un rallentamento centrale. La costruzione dei brani di tutte queste raccolte mantiene questa forma sostanzialmente ABA ripetuta in stili differenti. E anche qui c'è la ripresa iniziale, più forte. La romanza è tranquilla, un incedere nobile e cadenzato. Con frasi molto lunghe. Sincopato, con lunghe pause ed arpeggi, "l'andante largo e mesto" finale che riprende l'aurea dell'intermezzo n.2 ma senza raggiungerne il tenero abbandono tanto che la musica prende forza mano a mano che procedono le ellissi che la compongono. Op. 119 : quattro Klavierstucke per pianoforte intermezzo in si minore intermezzo in mi minore intermezzo in do maggiore rapsodia in mi bemolle maggiore un adagio senza fine ma non senza ritmo, giocato sulle frasi e il dialogo tra le mani che alternano la musica. Un valzer, magari non proprio ballabile ma amabile ed energico. Si prosegue con un ritmato agitato che si chiude nel successivo grazioso che gioca sul ritmo delle ribattute, variandone l'intensita. La musica per pianoforte di Brahms si conclude con una rapsodia in mi bemolle maggiore che una marcia di uomini liberi che proseguono a passo deciso verso una meta che vogliono raggiungere, non senza sforzo ma nemmeno con tutta questa fretta. C'è tutto il tempo anche per riflettere ma senza abbandono e sicuramente senza alcuna rassegnazione. Anzi, c'è speranza, mite, lieta. In fondo queste raccolte sono composte tutte da musica cantabile, ballabile, giocate di ritmo e di materiale tematico articolato tra il basso e doppie melodie con strutture simili. Nel complesso molto semplici, ripetute, ma non per questo prive di originalità o di spirito. Anzi. Dalla prima all'ultima nota viene voglia di fare musica, di cantare, di concentrarsi sull'oggi e sulle cose belle di ieri. Queste pagine sono state registrate innumerevoli volte ma non ci sono tantissime registrazioni che le contengano tutte. Ho voluto qui proporre quattro alternative molto differenti, una appena uscita che mi ha dato l'idea per questo articolo, altre di epoche differenti. Vediamole insieme. Brahms : gli ultimi pezzi per pianoforte Stephen Hough Hyperion 2020 durata complessiva 1 ora e 9 minuti Ultima uscita in ordine cronologico. Stephen Hough ha 59 anni, circa l'età di Brahms quando ha pubblicato queste "compilation". A tratti suona come un quarantenne ma un quarantenne compassato, molto british. Intendiamoci, è una visione di prim'ordine ma manca di trasporto per passare di categoria. Alla fine mi sembra un pò asciutta. Brahms : 3 intermezzi op. 117, 6 klavierstucke op. 118, 4 klavierstucke op. 119 Wilhelm Kempff DG 1964 durata complessiva 1 ora e 11 minuti Kempff aveva 69 anni quando ha registrato questo disco ma non importa, Kempff per come lo conosco io ha sempre suonato così. Va avanti a passo di marcia, quasi ci fosse Alte Fritz in testa ai prussiani che sfilano davanti alle posizioni austriache a Praga. Con distacco e in barba ad ogni sentimentalismo. Brahms : pezzi per pianoforte opp. 116-119 Helene Grimaud Erato 1995 durata complessiva 1 ora 14 minuti e 30 secondi Helene Grimaud aveva 26 anni nel 1995. E c'è tutto l'ardore giovanile che si può avere in queste opere ... senili. Non ineccepibile, né il tocco né la visione in diversi pezzi. Forse un pò acerba ma ci piacerebbe risentire la Grimaud adesso, appena sarà di nuovo ispirata. Brahms : tre intermezzi Op. 117, pezzi per pianoforte op. 118 e 119 Julius Katchen Decca 1965 durata complessiva 1 ora 14 minuti e 43 secondi Julius Katchen aveva meno di trenta anni quando ha registrato l'integrale di Brahms. Tutta l'opera è affrontata con un piglio epico, senza risparmiarsi. Come si vede è tutt'altro che veloce eppure si percepisce più forza, più anima, più coraggio e anche più vicinanza con lo scritto. Sarà un caso per cui questa lettura resta, a distanza di 55 anni, la più preziosa testimonianza omogenea dell'opera pianistica di Brahms ? *** Solo poche note perchè certamente ogni appassionato di Brahms avrà la sua opinione, in fondo ciò che volevo era solo puntualizzare i fatti e togliere un pò di mito. Di Brahms si è troppo parlato in termini distanti dalla vera personalità. Quella di un uomo che ha fatto di tutto perchè di lui ci restasse per lo più ciò per cui ha vissuto : la musica.
  6. Giulio Cesare in Egitto, l'opera di Handel che più di altre rese l'autore una superstar internazionale dell'epoca. Eh, se ci fossero stati i Grammy Awards ... A parte gli scherzi l'impegno grandioso vide altrettanto grandioso successo con repliche su repliche tra il 1724 e il 1737. Un caso più unico che raro dato che spesso in quei tempi la popolarità di un'opera lirica non durava una stagione, tano era ricca la produzione, per lo più italiana, in tutta Europa in quegli anni. Ma Handel ci credeva e pur avendo "riciclato" di fatto un libretto molto più vecchio (quello di Giacomo Francesco Bussani del 1677), scrisse musica tanto ispirata da richiedere due prime parti di rilievo assoluto, la prima diva, Francesca Cuzzoni nella parte di Cleopatra - la protagonista vera dell'opera, nominalmente dedicata nella storia a Cesare - e al contraltista Francesco Bernardi, detto il Senesino nella parte di Cesare. Le parti del canto sono otto in totale, alla prima c'erano almeno sei cantanti italiani madrelingua. L'orchestra non è leggera, con violini e viole, basso continuo, legni completi (due flauti dolci, traverso, due oboi, due fagotti), quattro corni e tromba, con parti sulla scena anche per arpa, viola da gamba e tiorba. l'opera ripresa nella prima metà del secolo scorso dopo duecento anni di abbandono conta numerose registrazioni, probabilmente quella di Handel che ne conta di più al giorno d'oggi. E naturalmente tutte le primedonne - soprani e semmosoprani - di oggi si sono cimentate o nell'opera completa o nelle arie principali che la caratterizzano. La fortuna dell'opera risiede certamente nella ricchezza melodrammatica della trama, tessuta con grande perizia da Handel con una maestosa orchestrazione inframmezzata da arie magistrali. Il risultato, consegnato alla storia, è senza pari secondo il mio punto di vista. Tra le arie più belle e fortunate dell'opera, dedicate alla parte di Cleopatra ci sono certamente la celeberrima "Piangerò la sorte mia" e "Se pietà di me non senti". Due arie in forma A-B-A col da capo che lascia all'interprete libertà espressiva con ornamenti e fioriture, richiedendone al contempo estensione, forza, cambio di registro, ora pianissimo, ora fortissimo, ora lirico, ora drammatico. In un primo momento stavo scegliendo solo la seconda ma poi riascoltandole entrambe ho deciso di usare entrambe queste due arie per un confronto tra primedonne di oggi, cantanti di grande temperamento e con voci realmente barocche per quanto ne possa capire io. Dicevo che sono innumerevoli le registrazioni di queste arie, e si capisce bene il perchè. Senza voler fare torto a nessuna cantante contemporanea, ho scelto le quattro che preferisco e in ordine rigorosamente alfabetico : Natalie Dessay Simone Kermes Magdalena Kozena Roberta Invernizzi Due parole su Francesca Cuzzoni, una delle prime dive e certamente la primadonna per Handel a Londra dove la convinse a trasferirsi per le sue stagioni teatrali in qualità di autore ed impresario con un ricchissimo contratto di 2.000 sterline, una cifra stratosferica se consideriamo che con poco più di 20.000 sterline si armava una nave di linea da battaglia della flotta inglese a metà del '700. Francesca Cuzzoni aveva 29 anni alla prima del Giulio Cesare. Viene descritta come tozza e piccola, tutt'altro che avvenente, senza grandi qualità sceniche ma con una grande estensione vocale e una voce d'angelo o da usignolo. Non particolarmente tecnica ma in grado di incantare l'uditorio. Una donna difficile da trattare dentro e fuori dal palco, passata alla notorietà anche per eventi scellerati e morta in povertà dopo che la voce le sfiorì verso i 50 anni. Per tutta la sua carrierà dovette misurarsi con i più celebri castrati (Senesino e Farinelli per esempio) e le loro straordinarie capacità tecniche. Ma anche con una rivale più attrezzata di lei sia sul piano della pura tecnica, Faustina Bordoni, un soprano capace di mettere in difficoltà gli stessi castrati, sia su quello della presenza scenica, capacità teatrali, semplice bellezza. Sono celebri due aneddoti che la riguardano - oltre alla precipitosa fuga dopo la misteriosa morte del marito a Londra - uno nel quale Handel stesso, la minacciò "fisicamente" di defenestrarla sollevandola per i fianchi verso la finestra se non avesse cantato un'aria come lui l'aveva scritta e un altro si lasciò andare in insulti scurrili sull'onorabilità della rivale (contraccambiata, ovviamente) per poi passare alle mani durante una rappresentazione in cui cantava con la Bordoni, presente una principessa della famiglia reale. Non una Cleopatra nel senso in cui la immaginiamo dopo che Elizabeth Taylor l'ha rappresentata al cinema nell'aspetto, ma certo una donna dotata di grande temperamento fuori dalle scene. Un demonio, come la epitetò Handel. E due parole sulle due arie. "Se pietà di me non senti", atto secondo, scena ottava e preceduta da un recitativo con orchestra "Che sento? Oh Dio!" che carica l'aria drammatica dell'aria che segue. Recitativo : Che sento? Oh dio! Morrà Cleopatra ancora. Anima vil, che parli mai? Deh taci! Avrò, per vendicarmi, in bellicosa parte, di Bellona in sembianza un cor di Marte. Intanto, oh Numi, voi che il ciel reggete, difendete il mio bene! Ch'egli è del seno mio conforto e speme. aria : Se pietà di me non senti, giusto ciel, io morirò. Tu da pace a' miei tormenti, o quest'alma spirerò. archi, fagotto, soprano, continuo il recitativo è attaccato all'aria e ne è il drammatico preambolo. Cesare è fuori con i soldati per rintuzzare la minaccia di Tolomeo mentre Cleopatra nel palazzo si scopre realmente innamorato di Cesare e cessa di fingere. "Piangerò la sorte mia", atto terzo, scena terza Piangerò la sorte mia, sì crudele e tanto ria, finché vita in petto avrò. Ma poi morta d'ogn'intorno il tiranno e notte e giorno fatta spettro agiterò. testo appena più articolato e di forma opposta a quella dell'aria precedente. L'aria è nella classica forma A-B-A con il B molto vivace (ultime tre versi) e i due A adagi, il da capo prevede fioriture e abbellimenti sui primi tre versi. *** Le nostre quattro primedonne ci consegnano le loro interpretazioni in età certamente più matura (a parte la più giovane, la Kozena che quando ha registrato Cleopatra aveva la stessa età della Cuzzoni) ma sicuramente nel pieno della maturità artistica. Certamente sono quattro interpreti di grande temperamento e di evidente presenza scenica. Per il confronto ho scelto registrazioni recenti o molto recenti e in particolare secondo il gusto odierno. L'opera come ho scritto è stata riscoperta solo negli anni '30 del secolo scorso ma è negli ultimi decenni a cavallo del nuovo secolo che ha rivisto nascere l'antico splendore. Il mio intento non è comunque quello di valutare una mera riproduzione immaginaria ma fedele di quella che poteva essere la performance della nostra Cuzzoni ma leggere l'interpretazione di quattro cantanti in fondo molto differenti già a partire dalla scuola e dalle origini. Due latine e due mitteleuropee, tutte con differente curriculum, carriera, ranking internazionale. Tutte legate a grandi ruoli di primo piano nella musica barocca nelle rispettive scuole interpretative - generalmente filologiche - dell'ultimo periodo. Simone Kermes : La Diva, Handel arie per Cuzzoni, 2009 "Se pietà" : 09:47 "Piangerò" : 07:21 Natalie Dessay : Cleopatra, arie dal Giulio Cesare, 2011 "Se pietà" : 09:08 "Piangerò" : 06:21 Roberta Invernizzi : Queens, arie di Handel, 2017 "Se pietà" : 10:10 compreso il recitativo "Piangerò" : 06:17 Magdalena Kozena : Giulio Cesare in Egitto, 2002 "Se pietà" : 09:21 "Piangerò" : 06:04 La Kermes idealmente per me rassomiglia di più alla Cuzzoni. E' fredda e immobile, il canto e leggero ma la voce bellissima, canta apparentemente senza sforzo. Le due arie vengono dalla registrazione in singolo e non dalle opere e questo potrebbe influire. Ma parliamo di una cantante d'esperienza consumata ed avendola ascoltata in altri dischi e in altro repertorio, sempre per lo più barocco, posso intuire che il suo sia proprio uno stile distaccata. Purtroppo non l'aiuta una dizione che spesso incespica in scivoloni tipicamente mitteleuropei. La Dessay è la più vivace sulla scena e in questo non tradisce il suo esordio come attrice. La sua Cleopatra usa gli artifici propri del suo ruolo, tanto da andare in scena con un busto che riproduce il seno nudo. La voce è più sottile delle altre ma più modulata. In generale tende ad eccedere con le fioriture, c'è molta libertà nella sua interpretazione in questo allineata ed assecondata dalla sua partner alla direzione d'orchestra, la vivace Emmanuelle Haim. Anche qui siamo in riprese dell'opera portata in scena, e questo certamente aiuta. Ma ho visto video di questa cantante che anche durante le prove, mentre legge con gli occhiali la partitura, la canta allo stesso modo e mostra temperamento ed esuberanza. La Kozena è l'unico mezzosoprano del gruppo, certamente un mezzo leggero, tanto che per lo più esegue repertorio per soprano, come in questo caso. Il suo taglio è drammatico, con una voce più di gola rispetto alle altre. L'orchestra, di scena, è possente con piena preponderanza di bassi. Canta impostato, va sugli acuti portando la melodia col tremolo. Cambia velocità e piglio nella "cadenza" con l'orchestra che la incalza e il tremolo diventa più coloratura sulle vocali finali. Ripresa ancora più in sordina della prima strofa con abbellimenti contenuti. Resta il tono molto drammatico e di grande efficacia. La Invernizzi è l'unica madrelingua del novero dizione perfetta e modula a piacere ogni sillaba, comprendendone perfettamente il significato. Ha grazia, eleganza, non ha una voce perfetta ma la sua è una passione vera quando anche una regina ritiene di non doversi contenere. *** Conclusioni. E' difficile seguire il filo di quattro - comunque notevoli - interpretazioni di arie che sono capolavori assoluti della storia dell'Opera Lirica senza ascoltarle insieme. Mentre vi invito - se volete - ad ascoltarle per conto vostro (se non avete i dischi le trovate - credo tutte - su Youtube) e non volendo assolutamente voler fare una graduatoria o esprimere giudizi di merito, concludo confermando le mie impressioni già annotate mentalmente durante i primi ascolti. Simone Kermes è regale, con una voce cristallina, ma tanto distaccata da non rendere credibile la sua parte nella regina del Mediterraneo, donna di tanta passione capace di far innamorare ogni uomo al suo cospetto. Sembra dire, dando per scontato, io son bella, e tanto ti basti. Non c'è tragedia, più delusione, non c'è indignazione, più forse un contenuto disprezzo. Natalie Dessay cerca di ammaliarci come avrebbe fatto Cleopatra, più con le sue arti che con la bellezza. E ammicca dicendo, son brava, son brava, son brava. Lo è, lo sappiamo. Forse in certi momenti lo mette anche sin troppo in mostra, però. Magdalena Kozena ... sembra effettivamente sempre una Maddalena Penitente, super-drammatica, sebbene non a livelli di isteria come quando più recentemente ha interpretato ... effettivamente la Maddalena nella Passione di Bach con il marito alla direzione. Tocca, certamente. Sembra che da un momento all'altro ci possa penetrare il petto con un pugnale, più che uno stiletto. Ammetto che 10 anni fa mi ha molto colpito. Adesso un pò meno, però. Roberta Invernizzi è una Cleopatra molto personale. Dignitosa come una regina ma appassionata come una donna. Capace di avvolgere la musica con le sue parole, portando la musica di Handel ad un livello superiore di comprensione. Non è una tragedia consumata, c'è la rassegnazione di chi ha dovuto giocare un ruolo datole dal destino, ed ha perso. Certamente é una donna che ha vissuto, amato, sofferto. Non è la perfezione, non ci può essere perfezione nell'interpretazione personale, guai ci fosse, ci sarà sempre qualche cosa da dire in futuro. Ma è quanto di più toccante io possa dire di aver sentito sinora, senza al contempo indulgere in autocompiacimento o voglia di apparire. Però qui mi fermo e lascio a voi ulteriori argomentazioni.
  7. Il Concerto per violino e orchestra Op. 35 di Chaikovsky è donna ? Si direbbe di si a vedere le ultime interpretazioni disponibili sul mercato. A quelle "storiche" della Mutter, della Mullova e della Kyung Wha Chung, aggiungiamo : Patrizia Kopatchinskaya, 2016 Lisa Batiashvili, 2017 Julia Fischer, 2007 Nicola Benedetti, 2011 Vilde Frang, 2012 Baiba Skride, 2008 Janine Jansen, 2008 Hilary Hahn, 2011 Arabella Steinbacher, 2015 Susanna Yoko Henkel, 2012 Akiko Sawanai, 2001 e sicuramente qualche altra edizione mi è sfuggita (considerando solo questo secolo !). Una bella scelta di cui magari approfondiremo altre interpretazioni in futuro e per non restare ai classici, tipo Heifetz-Barbirolli 1937 Modificato 7 Dicembre 2017 da Hannes
  8. Una premessa a carattere personale. Non amo particolarmente il violino. E' troppo piccolo e suona in una gamma di frequenze cui io sono sensibilissimo. In più, per le sue caratteristiche, chi lo suona, per trarne il meglio, deve avere caratteri che io in genere non apprezzo. Poi, penso la stessa cosa dell'oboe, del sax soprano e ... dei soprani in genere. Dipenderà dalla gamma di frequenze. In ogni caso, ovviamente apprezzo molta musica per violino e in particolar modo i grandi concerti per Violino e Orchestra, a cominciare da quello di Beethoven per finire con quello di Britten passando per quello di Sibelius. Giusto per mettere le cose in chiaro, questo non è il mio terreno ideale. In questa occasione metterò a confronto l'interpretazione recente del grande Concerto per Violino e Orchestra di Chaikovsky che è certamente tra le mie composizioni preferite (per violino e dell'autore). Sarebbe facile (ma inutile, non trovate ?) parlare di Heifetz o di Oistrakh. E invece, no, due giovani interpreti dell'ultima generazione in piena carriera concertistica. Solo due parole su questo concerto. Petja lo ha scritto appena dopo la tragica esperienza del matrimonio. Una esperienza che probabilmente sottovalutò e che lo segnò profondamente. Il concerto è stato scritto dopo la separazione (formale) dalla moglie e durante un soggiorno in Svizzera. Il compositore non conosceva lo strumento e il concerto sin da subito si è rivelato piuttosto ostico per i violinisti contemporanei che ne rifiutarono l'esecuzione. Evidentemente con il tempo le cose sono cambiate. La tecnica, l'insegnamento e gli strumenti sono progrediti e adesso è normalmente in cartellone anche e soprattutto da parte delle agguerrite violiniste dell'ultima generazione. Tutta la composizione sembra scritta sulla lama di una sciabola che delimita i confini dell'amarezza e della gioia liberatoria. Confini che restano labili per tutta la durata dei 35 minuti circa dei tre movimenti che è in tonalità Re maggiore ma spesso tutt'altro che trionfale come pretenderebbe tale tonalità. A tratti il solista suona sopra il pieno dell'orchestra ("fa strillare lo strumento" come ebbe modo di scrivere la critica dell'epoca) e comunque non ci sono momenti di pausa (pensiamo al rapporto invece tra orchestra e violino dei concerti di Beethoven o di Brahms) o di relax. Il movimento centrale è un delicato cantabile con il violino che danza e ricama, sopra gli arpeggi di legni ed archi, quasi pattinasse. Il finale è esplosivo improvviso - non c'è pausa con il movimento lento - e liberatorio. Amarezza e malinconia (quasi) scomparse. Nel concerto ci sono due cadenze molto impegnative. E sia nel primo che nell'ultimo movimento svariati assoli del solista. Patrizia, l'elfo con il violino Patrizia Kopatchinskaja MUSICAETERNA Teodor Currentzis Patrizia Kopatchinskaja e Chaikovsky dalle foto dell'album, un servizio fotografico sul "matrimonio" tra i protagonisti del disco in puro stile della russia zarista un momento dell'interpretazione del concerto dal vivo nel 2014. Come se Patrizia avesse bisogno di essere incitata da Teodor ! Patrizia è del 1977. Viene dalla Moldavia e la sua famiglia è abituata a suonare in gruppo musica popolare. Viene sul palco a piedi nudi con i suoi camicioni e la sua personalità straripante si riversa sull'orchestra e sul pubblico. Non si ferma un istante, con l'espressione del volto rafforza quello che sta suonando e parla, parla, parla anche quando non può parlare. Allora lo fa con gli occhi. Parla con il direttore, parla con gli altri musicisti (sovente si volta dalla loro parte, quasi a chiamarli e incitarli), parla con il pubblico. Queste sue qualità istrioniche si riflettono nella sua musica. Il suo modo di suonare è libero e cerca per quanto possibile di scegliersi partner con le stesse qualità. Di recente ha collaborato con la Saint Paul Chamber Orchestra, dove tutti, chi più chi meno, improvvisano, suonando in piedi. L'unione con personalità forti e ricche come Fazil Say o, in questo caso, Teodor Currentzis mette sull'avviso l'ascoltatore. Currentzis e il suo complesso hanno come programma quello di rinnovare l'interpretazione di musiche un pò sopite - a loro modo di pensare - coinvolgendo il pubblico ed emozionandolo. Nessuna combinazione potrebbe essere più esplosiva di quanto si sente in questo concerto. Per confronto, la stessa Kopatchinskaja nello stesso concerto e con la direzione di un musicista molto ortodosso come Fedoseyev e un'orchestra russa dedicata all'autore, sembra mordere il freno. Tempi lenti, senza accelerazioni, il direttore che la guarda quasi ad ammonirla. Non combinare guai come tuo solito. Ma con Currentzis le cose vanno all'opposto. Altro che freni, dacci dentro. E si sentono le scintille. Il suono è modulato in ogni nota, i tempi cambiano dentro ogni frase. Gli accenti, ora i sussurri, ora gli strilli. Scene da un matrimonio ? Fatto sta che la prima volta che ho ascoltato questa interpretazione ho esclamato : ma questa mi sta a pigliare per il culo ! Accelera, decelera, a tratti non la si sente e un momento dopo esplode. E quello là - il direttore - che la fa correre ancora di più. E la cadenza ? Arcate e pause. Pause, arcate e pause. Accenni. Riprese. Sibili. Pause e sincopi. Ma quale Chaikovsky ? Denso di passione fino all'impossibile, all'ultimo viene da alzarsi in piedi per ... ? Applaudire o lanciare broccoli e pomodori ? Perciò l'ho lasciato sedimentare per un pò di mesi. L'ho riascoltato dopo aver risentito tutte le versioni che ho. Milstein, Heifetz, Perlman, Vengerov, Jansen, Fischer ... Niente, non ce un'altra interpretazione come questa. Estremo, eppure una boccata d'aria. Di forza, di vita. Di gioia di vivere e di fare musica insieme. Non vi piacerà, lo so. Ma io adoro Patrizia e ve lo raccomando comunque. Solo ascoltatelo con lo spirito ironico e appassionato con cui lo hanno inciso loro. Poi mettetelo via. Prendete la vostra versione di riferimento. Ascoltate quella. Prendete l'ultima incisione disponibile sul mercato. Ascoltate anche quella. Poi risentite Patrizia. E ditemi che sarebbe successo se l'avesse conosciuta Chaikovsky Nicola, la danzatrice sull'acqua Nicola Benedetti Czech Philarmonic Orchestra Jakub Hrusa Decca Nicola Benedetti (per noi italiani è difficile immaginare che non sia un violinista maschio, pugliese con quel nome proprio) è figlia di un italiano e di una scozzese. E' cresciuta in Scozia, ha studiato in Inghilterra, nelle migliori scuole (Menuhin School ma con una maestra di scuola moscovita che ha preparato anche Alina Imbragimova e Corina Belcea, quindi una GRANDE maestra). E' del 1987 e per i suoi meriti musicali ha ricevuto la medaglia dalla Regina Elisabetta II. In generale ascolto con preconcetto i dischi che recano in copertina belle ragazze sorridenti. E' facile che il contenuto sia differente. Ma è un preconcetto che in questo caso non vale. La violista ha mezzi notevoli e suona con piglio, personalità e con grazia. Durante il concerto - accompagnata da una delle più belle orchestre del mondo e con una guida all'altezza - è padrona della scena in ogni momento. Sembra che danzi senza mai forzare. L'interpretazione - a giudizio di uno che di violino (lo dicevo) ne capisce poco - è semplicemente perfetta. In perfetta scuola russa. E per dominare un testo come questo, di personalità e carattere ce ne vogliono tanti. Non chiediamole di aggiungere altro che buon gusto, grazia e tecnica sopraffina. E ricordiamoci che c'è anche sangue italiano nel cuore di quel suono terso e appassionante. Conclusioni Naturalmente ci sono le grandi interpretazioni del passato. Ogni grande violinisti di ogni epoca ha in repertorio questo concerto da 120 anni e più. Accantoniamole e concentriamoci su queste. Oggi il concerto per violino di Chaikovsky è donna. E qui abbiamo due delle interpretazioni più interessanti, appassionanti e vivaci disponibili. Patrizia mi affascina in ogni nota, mi sorprende, mi coinvolge, mi incuriosisce. Ma Nicola, nel pieno rispetto della tradizione, riesce a trovare sonorità che a tratti mi commuovono. Avendole entrambe, perchè non ascoltarle a seconda dei momenti ? Pareggio meritato, con merito per entrambe
  9. Metto le mani avanti, non vorrei che sparaste su di me, anzichè sul tradizionale pianista, non sono qui per farvi perdere tempo ma questo "Confronto" non è esattamente sulle due interpretazioni del celeberrimo e hollywoodiano secondo concerto di Rachmaninov ma su due prodotti confezionati per il mercato discografico del 2017. Leggevo ieri un editoriale di un quotidiano nazionale in cui si esamina lo stato dell'andamento degli incassi al botteghino del cinema americano. Il prodotto perdente è quello che invece è stato tradizionalmente quello vincente, il maschio bianco indipendente e sicuro di se. Mentre è vincente il prodotto al femminile con Wonder Woman- Gal Gadot e l'ultima Jedi - Daisy Ridley a farla da padrone. Due belle, giovani, forti e vincenti, non americane, donne. E così pare che continuerà per il 2018, con una larga messe di vittorie ai Golden Globe e agli Oscar. E pensavo quanto non sia dissimile il panorama discografico dove l'elemento visuale si scontra con una fruzione che per lo più é audio. Ma sanno bene Universal (marchio cinematogravico che possiede tra gli altri Decca) e Sony (attigua a Sony Picture e Columbia) come si debba fare per raggiungere determinati target di vendite. Non che si debba tirare sul pianista bianco e maschio (però non mi vengono in mente in questo momento pianisti neri noti al grande pubblico in campo classico) perchè lo fa già da se. Il panorama è ancora dominato da attempati vecchioni, che si ostinano ad occupare spazio discografico che potrebbe essere liberato per chi abbia qualche cosa di nuovo da dire (non fatemi dire i nomi, li avete li sulla punta della lingua) mentre i giovanotti si rivelano spesso fuochi di paglia e false promesse. Non sono di primissimo pelo le due protagoniste di questa sfida ma se possiamo considerare a tutto titolo una superstar, la mitica Kathia Buniatishvili, è praticamente una recluta la "nostra" Vanessa Benelli Mosell. Che il prodotto discografico sia improntato sulle due giovani più che sul programma, lo dimostrano anche le seconde copertine (vi risparmio le foto interne, alcune veramente oltre misura) dove Kathia per una volta lascia gli sgargianti abiti con cui fascia le sue prosperose forme, generosamente concesse al pubblico nei suoi concerti, per vestirsi di mistero con un trench nero, in una atmosfera ferroviaria, che richiama alla mente fughe notturne lontane dai bolscevichi. più semplici quelle che evidenziano i tratti di Vanessa, in bianco e nero sul lato B in contrasto con il colore glamorous della copertina aggiungiamo un programma differente ma incentrato sul compositore dei pianisti, Rachmaninov, con due dei suoi concerti più proposti nella storia. Voi lo sapete, non è necessario che ve lo ricordi, ci sono due tipi di concerto per pianoforte. Quelli scritti da un pianista per mettere in evidenze le sue doti di pianista (è il caso di gran parte di quelli di Mozart, ad esempio, dei primi tre di Beethoven, di quelli di Chopin e di Liszt e, appunto di quelli di Rachmaninov) e quelli scritti da un compositore che sa sfrutturare il contrasto tra pianoforte e orchestra per andare oltre il lato puramente sinfonico, estetico o quello semplicemente solistico (è il caso dei due concerti di Brahms, di quello di Schumann, di quelli di Shostakovich e di Prokofiev, tra gli altri). Quindi non c'è niente di meglio per confezionare il prodotto da vendere delle due majors che inserire dentro a copertine stuzzicanti un programma semplicente pianistico come è questo caso che possa raggiungere anche i palati meno raffinati. Mi fermo qui in questo lungo preambolo, mi scuserete, concluderò il mio pensiero dopo la recensione delle due prove. Rachmaninov Concerto per Pianoforte e Orchestra No. 2 in Do minore, Op. 18 Variazioni "Corelli" Vanessa Benelli Mosell accompagnata dalla London Philarmonic Orchestra diretta da Kirilli Karabits. Decca 2017 Vanessa Benelli Mosell è una pianista italiana che si è perfezionata all'estero. Le sue performance con le musiche di Stockhausen hanno suscitato l'interesse dell'autore stesso che l'ha chiamata a se per perfezionarne l'interpretazione prima di morire. Ha già diversi dischi all'attivo, uno dei quali dedicato ad uno strano incrocio tra Stockhaseun e Skriabin e uno recentissimo dedicato a Debussy, sempre di Decca. Ho ascoltato il primo e devo dire che la tecnica - precoce, possiamo considerarla certamente una enfant-prodige che suona in pubblico dall'infanzia e che a 30 anni sul piano tecnico non ha più nulla da imparare - é sopraffina. Ma mentre non posso dire nulla sui lavori di Stockhausen che per me potrebbero essere il sottoprodotto della messa a punto di un programma di calcolo basato su predizioni casuali, il suo Skriabin manca completamente di coinvolgimento e di profondità. Il disco di cui ci occupiamo, sostanzialmente ben suonato (ma pessimante registrato, neanche fosse autoprodotto in economia o subappaltato per risparmiare e non il progetto di un marchio storico come Decca) conferma il mio primo pensiero. E' una pianista che certamente si farà se avrà modo e tempo di dedicarsi a quello che le piace di più e se l'inserimento nello star-system cui pare la vogliano ficcare a forza, non le farà mancare gli stimoli necessari. A differenza della Buniatishvili non è qui per stupirci con tempi e ottave sensazionali, ha il giusto approccio a partiture che fino a pochi anni fa erano alla portata di pochissime donne e di pochi uomini ben sviluppati sul piano fisico. Sembra preparare i passaggi con la giusta enfasi ma poi manca nel dunque. Lo stesso nelle Variazioni "Corelli", lavoro che potrebbe mettere in luce qualità differenti in un pianista ma che Vanessa sembra esegua più che altro per impegni contrattuali. La vedremo, spero, prossimamente, con un repertorio tedesco magari a lei (e a me) più congeniale. Rachmaninov Concerto per Pianoforte e Orchestra No. 2 in Do minore, Op. 18 Concerto per Pianoforte e Orchestra No. 3 in Re minore, Op. 30 Khatia Buniatishvili accompagnata dalla Orchestra Filarmonica Ceca, diretta da Paavo Järvi. Sony Classical 2017 La pianista georgiana ritorna alla registrazione con l'orchestra dopo quattro anni di emissioni puramente solistiche. L'ultimo che mi ricordo - terribile - Motherland, non mi ha lasciato un ricordo indelebilmente positivo. Ma naturalmente non è stata assente dalle scene, facendosi accompagnare da grandi direttori d'orchestra sui palchi di tutto il mondo. In questa prova c'è l'eccellente Paavo Jarvi con la grande orchestra Filarmonica Ceca nel compito di tenere a freno la forza della nostra protagonista. Sui mezzi di Kathia non c'è molto da dire, la tecnica è eccezionale tanto da poter mettere ottave degne di Horowitz in cavalli di battaglia come questi. Purtroppo - e questa è una conferma alla regola - la sua forza e "prepotenza" è sempre tale da considerare ogni sua esibizione - dal vivo, video, come in disco - come se fosse una battaglia, una corsa in cui conta solo arrivare in fondo senza fare errori. I tempi quindi vanno al servizio della capacità di non steccare mai ma senza andare a fondo di una trama che, purtroppo, in questi due concerti è anche difficile da trovare, sebbene si possano trovare grandi interpretazioni altrove. Riesce a salvare dal disastro il consumato valore di Jarvi che in alcune circostanze impedisce alla pianista di sollecitare l'orchestra ad un parossismo che avrebbe conseguenze difficili da recuperare. Ne viene fuori comunque una performance di carattere, che risulterà godibile per chi non conosce molto a fondo questa musica o per chi ama questa pianista. Sentire come disbriga i passaggi più impegnativi la Buniatishvili è sempre uno spasso. E ovviamente lei sceglie le cadenze più difficili e mentre chiude un passaggio si volta soddisfatta dalla parte dell'orchestra e del direttore (cfr. video con Zubin Metha al festival della Georgia dove si è esibita di recente). Il confronto che mi viene spontaneo - e restiamo quindi nel tema di queste tigri della tastiera - è con la coetanea cino-americana Yuja Wang, che esibisce la stessa forza e la stessa veemenza - pur con leve decisamente meno potenti - ma che alla prova del nove, dove conta il calore e l'espressione, riesce a trovare cose che probabilmente la georgiana non sa nemmeno che esistono. Sarebbe stata una splendida decatleta, è un peccato che in fondo tutta questa forza sia difficile da incanalare per avere risultati duraturi nel mondo della musica. Parafrasando il Professor Rattalino - ai tempi lo scrisse della ben più elevata Martha Argerich che mi pare di ricordare abbia in simpatia la Buniatishvili - speriamo che in futuro perda un pò di questa energia e riesca a trovare spazio nella propria agenda di impegni in giro per i palcoscenici per farci sentire della vera musica. Finora io l'ho trovata interessante solo - guarda caso - in una esibizione a quattro mani con la più raffinata Wang In estrema sintesi, un disco per i veri fan di questa pianista che credo vinca alla grande e con distacco il confronto con l'italiana cui questo repertorio credo non dica molto sul piano personale. *** Che dire per concludere ? Nella sfida - ti piace vincere facile ? - ha la meglio, e facilmente, la Buniatishvili. Ma la sua è secondo me, una vittoria di Pirro. La Benelli Mosell avrebbe ben altro da serbarci, nel suo repertorio, se trovasse la grinta e la forza che un'altra pianista nostrana - Beatriche Rana - sta mostrando, con prove più personali e con un carattere che la differenza di età apparentemente dovrebbe far prevalere al contrario. Chi perde è il panorama discografico, con prodotti sostanzialmente superflui come questi, come si troverà spazio per altro, di meglio ? Per fortuna l'esperimento similare, portato a termine con l'ultima generazione di belle e vivaci violinista, ha la fortuna di poter contare su una qualità di offerta superiore, perchè ci sono molte violiniste di carattere e con una sensibilità raffinata (cito a caso Jansen, Faust, Kopatchisnkaya, Fischer, Ibragimova, Frang per non dimenticare Lisa Batiashvili che pur georgiana, non è nemmeno cugina di Kathia) che già senza timore di sembrare blasfemi, producono prove all'altezza delle migliori interpretazioni del passato. E tutto questo A DISPETTO di patinate copertine. Il pianoforte evidentemente richiede più tempo. Speriamo.
  10. M&M

    Nuova Nikon Z fc

    Ricordiamoci che in settembre verrà distribuito anche questo "necessorio" : Nikon GR-1 che io ho già ordinato.
  11. M&M

    Prossime Nikon : facciamo chiarezza

    La N2014 ha il GNSS integrato
  12. Tokyo, Pallanuoto, Jeff Cable, USA Canon EOS R3 + Canon 200-400/4 TC
  13. E potendo scegliere ? Sabi, Dorka, Edit, Mia ?
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