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  1. M&M

    Recensioni Cuffie
    Cuffie acquistate presso HIFIMAN Europe via Amazon, pagate 629 euro spedite a casa.
    All'uscita, queste cuffie, nel 2018, costavano 1800 euro.
    Rappresentano la seconda edizione delle mitiche HIFIMAN HE6 del 2010, famose per essere voraci di corrente, tanto che parecchi appassionati le utilizzano collegate ad un amplificatore per casse, all'uscita di potenza, per il tramite di un adattatore di impedenza.
    Il diaframma delle HE6 originale è a bassa sensibilità, pesante, rigido.
    La nuova versione non è così complicata ma resta la bassa sensibilità (circa 83 dB) che sull'impedenza di circa 50 Ohm richiede almeno 2 Watt minimo. Meglio 4 ...
    Il diaframma è circolare ed è caratterizzato da armature placcate in oro (di qui il maggiore peso e costo di produzione).
    Pesano. Circa 500 grammi.
    La struttura è quella tipica delle cuffie HIFIMAN con padiglione circolare.


    archetto e marchietto

    la caratterizzazione del modello

    dall'alto

    l'oro riluccica ... attraverso la griglia di protezione

    i terminali da 3.5 mm, tipici dell'ultima produzione HIFIMAN
    Eccole al banco di prova sopra al miniDSP Ears


    dettaglio del cavo in dotazione

    con il terminale XLR Neutrik

    nella scatola, unico accessorio, un adattatore XLR->JACK da 6.3 mm

    manuali e garanzie

    la scatola

    che è simile a quelle dei modelli di fascia alta. Si apre verso l'alto con una fettuccia in similpelle marrone

    l'interno è rivestito in simil-seta

    l'esterno è identico a tutte le altre scatole HIFIMAN


     
    Le prime impressioni.
    Non sembra un modello di questa fascia di prezzo (pensando ai 1800 euro originari al lancio).
    I padiglioni sembrano presi dalle HE400, l'archetto è pari a tutti i modelli della sua generazione.
    Il cavo è decisamente cheap, e tutto stropicciaticcio ...
    Ci sono i diaframmi dorati e poco altro.
    ***
    Andiamo alle misure.
    Sulle prime l'EARS non ne voleva sentire di ... sentirle ma poi ho calibrato meglio l'uscita e ci sono riuscito.

    la risposta effettivamente è estesissima, quasi piatta a 20 Hz, non ci saranno che 2 dB di calo rispetto ai 30 Hz.
    Sopra ai 100 Hz sale di 2-3 dB verso gli 800.
    Dopo c'è un avvallamento " a dorso di mulo" sulle frequenze medio-alte fino a 3000 Hz.
    Quindi la tipica fascia travagliata con un pizzo già a 4.000 Hz e poi vari picchi più in alto.
    Un confronto con altre cuffie dimostra a colpo d'occhio la differente sensibilità.

    ho messo anche le AKG K371 per dare una idea. A questo livello sono andate in clipping ed ho dovuto abbassare il volume di 20 punti per riallinearle.
    La sensibilità di quelle cuffie - chiuse, dinamiche e decisamente economiche rispetto alle due HIFIMAN di confronto - é di 114 dB a 32 Ohm. La bellezza di 30 dB sopra le HE6 SE.
    Ma ci interessa di più il confronto con le Arya allo stesso livello di alimentazione :

    le mie Arya sono meno presenti a 20 Hz (ma c'è musica a 20 Hz ?) ma molto più lineari sopra fino a 6-7000 Hz e anche sopra, nonostante a quelle frequenze oramai non ci sia più molto segnale registrato.
    La differenza di sensibilità è evidente : 8dB ai canonici 1.000 Hz, che coincidono con i dati di targa (83 contro 92 dB).
    ***
    Ascolto
    Ma prima qualche nota autobiografica.
    Ho quasi 61 anni e certo il mio udito non è più quello dei venti anni. E' evidente.
    Ho conosciuto le prime cuffie hi-end con un contatto illuminante con un modello di base Stax nell'oramai lontanissimo 1984.
    Con i concerti di Brahms per la coppia Barenboim-ZioGianniBarbirolli. Me ne innamorai.
    Ma il mio budget di primo impiego non mi permetteva di arrivare a delle elettrostatiche vere con tanto di elevatore di tensione dedicato.
    Ripiegai sulle ibride AKG K340, elettrostatiche sulle alte e dinamiche sulle basse.
    Che il negoziante - di un negozio che non c'è più da secoli - mi assicurò di aver venduto personalmente al Maestro Giulini.
    Le pagai l'equivalente con l'inflazione di circa 600 euro di oggi (250.000 lire per l'esattezza). Ma nella realtà credo che oggi una cifra del genere sia più vicina ad un valore reale di 1.000 euro.
    Che ritengo sia la cifra massima che debbano costare delle cuffie.
    A parte questo, il suono, l'ariosità, l'apertura delle cuffie planari per me è un dato obbligatorio con tutta la musica serie. Specie nella gamma vocale.
    Cuffie che debbono essere aperte perché sia del tutto estrinsecato il funzionamento a pistone planare del grande diaframma piatto di questi sistemi.
    Dopo Stax, sono diventato un fan di HIFIMAN, marchio cinese molto attivo sia sulle magnetoplanari che sulle elettrostatiche, con intere dinastie e generazioni di cuffie.
    Ci ascolto tutto. Ma la mia passione è il barocco, con il pianoforte e la musica sinfonica/cameristica del tardo romanticismo per la restante parte.
    Jazz e rock coprono si e no il 3% del mio tempo di ascolto.
    Chiarito il mio profilo, le mie aspettative restano che l'ascolto con le cuffie deve simulare per il più possibile dei sistemi tradizionali di diffusori - per quanto possibile - con in più il dettaglio e la precisione timbrica e di suono consentita dalle cuffie grazie alla breve distanza dall'orecchio e dalla più semplice catena musicale (niente cross-over, niente pasticci, segnale+amplificazione+driver).
    Il suono attorno ai ... padiglioni auricolari dipende molto dalle riflessioni tra le nostre orecchie e i diaframmi delle cuffie. Le cuffie chiuse fanno un lavoro opposto a quelle aperte.
    E via spropositando con queste ovvietà, senza mai dimenticare che ognuno di noi ha un udito diverso, non solo un differente gusto musicale.
    Questo a mente per dire che è inutile giudicare questi apparecchi dalle recensioni degli altri. Salvo che non ci siano dei punti del tutto coincidenti con più di una recensione di modelli che noi stessi conosciamo molto bene, sarà inutile considerare il parere di un altro senza ascoltare di prima mano noi quelle cuffie.
    Di qui la curiosità per queste HE6se dopo tutto l'hype del modello originale e la grande considerazione per questa riedizione.
    Che è uscita di produzione rapidamente mentre HIFIMAN ha dato fondo agli ultimi driver dorati disponibili, prima di dare via le macchine per produrli, con una successiva versione V2, che eredita l'archetto delle Deva e la finitura del padiglione in un pessimo viola shocking.
    Ok, Mauro, ma come suonano ?
    Ecco, al netto del fatto che sono da rodare e sono piuttosto rigide e al netto anche della differente sensibilità che mi obbliga nel passaggio con le Arya a regolare il livello per avere lo stesso volume, sono una delusione completa.
    Intendiamoci, mica suonano male, e che avete capito ?
    Solo che - che ne so, prendiamo lo scherzo della Nona - il colpo di timpano con le Arya sembra più voluminoso, più sontuoso, più ampio che quello, fermo e preciso delle HE6.
    In generale il basso delle Arya sembra più interessante, mentre quello delle HE6 sembra più tecnico e composto.
    Sugli alti, le HE6 sono più secche, mentre le voci sono indietro rispetto alla piacevolezza delle Arya.
    Ma nell'immagine le HE6 non ci sono, da nessuna parte. Sembrano cuffie chiuse.
    Ma non è che si voleva con le HE6 strizzare l'occhio a chi ama le cuffie chiuse ? E poi quando HIFIMAN è riuscita a fare planari chiuse le hanno dismesse ?
    Perché la tendenza adesso è fare diaframmi sempre più leggeri (stealth, nano etc. etc.) per migliorare il dettaglio a differenza delle HE, dure e pesanti che invece dovevano favorire il volume alle basse frequenze.
    Nella sostanza sono cuffie one-off che devono trovare - secondo me - l'amatore che si ritrovi con questo tipo di suono, guadagnando in piccole nuance dove si perde in quella naturalezza e facilità di ascolto tipico delle magnetoplanari mainstream HIFIMAN.
    Con l'aggravante che queste HE6se hanno i padiglioni sovraaurali e che necessitano di essere schiacciati sulle orecchie per avere un carico adeguato (cosa verificata anche in sede di misura).
    A conseguenza di cui la fatica di ascolto si somma a quella di indossarle.
    In conclusione. Le sto restituendo. Le mie Arya (per non dimenticare le Jade II, cuffie di una fascia superiore ma non paragonabili a queste), sono per me molto più gradevoli in tutto.
    Qualche recensore dice che le HIFIMAN HE1000se e Stealth riescono a mutuare le caratteristiche delle Arya con le HE6. Può essere ma se non lo sento con le mie orecchie, sinceramente non mi fido.
  2. M&M
    Rebecca Clarke, sonata per viola, sonate per violino e pianoforte
    Judith Ingolfsson, viola e violino
    Vladimir Stoupel, pianoforte
    Oemhs Classics, 19 gennaio 2024, formato 48/24

    ***
    Ho parlato diffusamente della sonata per viola, composizione del 1919 di Rebecca Clarke, un tempo sconosciuta e adesso pienamente nel repertorio di molti violisti.
    In questo disco la violista Judith Ingolfsoon si alterna alla viola e al violino, registrando anche le due sonate per violino, quella giovanile in un solo movimento in Sol maggiore e l'altra successiva in Re maggiore.
    L'interpretazione della sonata per viola che io conosco benissimo, qui è piuttosto compassata, smussando toni un pò drammatici ed aspri che spesso rileviamo in altre letture cui io sono più abituato.
    Qui i due offrono un'intesa più morbida e dolce, con tratti del piano di taglio impressionistico.
    Ma si tratta comunque di musica brahmsiana o post-brahmsiana all'inglese, sebbene scritta in pieno '900.
    Alla fine, pur con questi clair-de-lune contemporanei, si mostrano comunque convincenti. E' bello avere un taglio così differente.
    Sono una bella scoperta le due sonata per violino che mi erano del tutto sconosciute.
    La lettura è più classica e la particolarità è l'intonazione del violino che suona con una tonalità più vicina a quella della viola.
    Ricordo che Rebecca Clarke studiò violino e solo dopo, per gli auspici del suo maestro Stanford passò, con successo alla viola che in quell'epoca godeva forse del suo primo momento di grande spolvero.
    La sonata in Re maggiore è una composizione corposa, in tre movimenti (come quella per viola) della durata complessiva di circa 25 minuti ed è ricca di belle trovate, gusto, inventiva. Merita di essere riscoperta.
    La sonata in Sol maggiore è più aulica, inizia con un assolo del violino cui si aggiunge poi il pianoforte solo, quasi cantando in stile tradizionale inglese. E' pura musica romantica.
    Questo disco è registrato con i due strumenti in primissimo piano (l'ho ascoltata con due monitor Adam Audio) e su toni prevalentemente chiari. Ma con le cuffie l'impostazione non cambia molto.
    Tanto che questa intonazione descrive del tutto il disco.
    A me è comunque piaciuto molto e ve lo raccomando.
     

  3. M&M

    Recensioni Cuffie
    Ho provato nel 2020 il modello iniziale, con giudizio molto positivo.
    Riassumo le caratteristiche.
    Cuffie planari magnetostatiche con padiglioni circumaurali, dotate di modulo DAC/Bluetooth esterno, collegato alla presa dell'eventuale cavo.
    Il modulo dispone di porta USB-C per la ricarica, per l'eventuale collegamento ad un computer ma principalmente è un ricevitore BT, un DAC e un amplificatore per cuffie specifiche per le DEVA in un contenitore tanto piccolo e tanto leggero da poter essere ... portato in testa.
    Le DEVA Pro sono l'evoluzione di quelle cuffie ed appartengono alla generazione dei diaframmi con magneti Stealth, più leggeri e trasparenti.
    Non solo, il modulo Bluemini - come si chiama l'aggiuntivo elettronico - si permette adesso di avere una conversione R2R. Il tutto in 3x6cm !

    confezione e cuffie

    Bluemini R2R e Bluetooth

    ben evidenti sulla scatola le caratteristiche del Dongle incorporato.
    Queste cuffie comunque esistono anche in versione puramente cablata ad un prezzo inferiore.
    Vale la pena pensare a quelle ? Si, per le loro caratteristiche sonore e di comodità d'uso, se non serve l'uso wireless, si risparmia qualche decina di euro.
    Ma potendo io prendere le wireless.

    Stealth Magnets Design come tutte le più recenti HIFIMAN.
     
    L'estetica non è cambiata ma sono cambiati i colori.
    E' stato abbandonato - per fortuna ! - il color cammello del modello Deva sostituito da un più sobrio nero per i cuscinetti e per l'archetto. Mentre le armature dei padiglioni e le griglie restano color argento.



    i padiglioni restano di grande dimensioni - ad occhio sono proprio gli stessi, cambiano solo i driver - e di diametro abbastanza grande da circondare le mie orecchie senza toccarle.
    Io detesto le cuffie sovraaurali e già questo per me è motivo d'acquisto.

    dettaglio di una delle griglie di protezione esterna dei driver

    ed ecco qui il Bluemini. C'è il marchietto R2R in nero su nero, nella foto si vede poco.

    pulsante di accensione e porta USB-C. C'è poi una spia che ci comunica lo stato di carica e di connessione (qui è spenta).

    il marchio del modello DEVA Pro.
     
    ***
    Funzionalmente c'è una miglioria essenziale. Nel modello precedente non si capiva bene cosa succedeva quando si premevano i vari tasti.
    Adesso all'accensione una voce femminile in un inglese con pronuncia perfetta dice in modo chiaro "Power ON". Allo spegnimento, ovviamente, "Power OFF".
    Quando il modulo Bluetooth trova il trasmettitore a cui è stato accoppiato (la procedura sulle prime è poco intuitiva ma basta seguire le istruzioni e si riesce rapidamente), la vocina dice "Connected".
    Con il mio iPhone 15 Pro è questione di decimi di secondo perché si connetta.
    Nell'uso la connessione è stabilissima. Io uso da due anni queste cuffie per le mie passeggiate sciogligrasso e non ho mai avuto un attimo di perdita di segnale. Ascolto da Qobuz in formato CD e non ho nulla di cui lamentarmi.
    L'altra novità, basilare, oltre ai nuovi magneti e al diaframma alleggerito, è il modulo R2R che è imparentato strettamente con l'Himalaya che è installato nel DAC/Amplificatore desktop EF400.
    Si tratta di un apparecchio molto efficiente, dal suono caldo e suadente, perfettamente intonato con l'impostazione delle DEVA Pro.
    ***
    Per misurarle ho usato la connessione USB-C. Avrei potuto collegarle via cavo al mio Audio-GD R28 ma così avrei perso l'elemento DAC/Amplificatore interno.
    Ho fatto la stessa cosa con le DEVA che da quando ho le DEVA Pro sono state "declassate" a cuffie da computer, permanentemente collegate in USB-C.

    la risposta in frequenza è questa, piena sostanzialmente dai 60 Hz in su con un -3 dB a circa 45 Hz. Insomma come dei monitor da scaffale.
    Il precedente modello aveva qualche irregolarità in più

    ma a parte questo, sorpresa, sovrapposte le due risposte ...

    a parità di livello di preamplificazione abbiamo una sensibilità nettamente migliorata, oppure una potenza installata superiore, il che all'atto pratico è lo stesso.
    Siamo comunque a volumi d'ascolto.
    E vi devo dire che le DEVA Pro possono suonare molto forte con un volume di 50% del mio iPhone.
    Le differenze all'ascolto sono anche più marcate di quello che dice la risposta in frequenza.
    Anche perché non si può misurare l'ariosità del suono, il suo dettaglio, la leggerezza complessiva, l'impatto, una certa ... suadenza che le rendono più "sexy", acusticamente parlando, del modello precedente.
    Resta invariata la comodità nell'indossarle che riduce la fatica di ascolto praticamente a zero. Con il rischio di affaticare le orecchie per il troppo uso non perché siano fastidiose.
    ***
    Vale la pena di passare da un modello all'altro se uno ha già le Deva.
    Non saprei dire. Per me la differenza c'è, si vede, si sente, si tocca.
    Anche come cuffie da ascolto generico non itinerante sono fantastiche, sembrano di una categoria superiore (il prezzo su Amazon al momento è di € 259 mentre la versione senza Dongle viene "solo" € 179).
    E per me sono un best-buy assoluto di categoria e un affarone in termini reali.
    Le Ananda BT suonano meglio ? E' facile di si. Ma io non so se andrei in giro con le Ananda in testa ...
    Buon ascolto !

  4. M&M
    Saint-Saens : sonate per pianoforte e violino 1 e 2, fantasia in la maggiore Op. 124, berceuse in sib per violino e arpa
    Cecilia Zilliacus, violino
    Christian Ihle Hadland, pianoforte
    Stephen Fitzpatrick, arpa
    Bis, 3 febbraio 2023, formato 96/24
    ***
    Fino all'ultimo quarto del XIX secolo, la Francia non aveva alcuna tradizione di sonata classica, di alcun genere.
    Si faceva riferimento generico a quella tedesca o a quella italiana.
    Peraltro era proprio tutta la tradizione strumentale che mancava nella musica francese, tutta concentrata sulla Gran Opera e sulla sinfonia.
    In un certo modo, l'infausto esito della Guerra Franco-Prussiana e il sentimento anti-tedesco scaturitone, facilitò i musicisti francofoni desiderosi di creare una scuola nazionale antitetica a quella germanica (oltre che ovviamente alla detestata scuola italiana ... ma qui era storia vecchia, risalente ai secoli prima).
    Saint-Saens lamentava questa situazione e insieme ad altri colleghi - compreso il belga Franck - e più avanti Fauré, Debussy e Ravel, approfittò della nuova tendenza per dedicarsi alla musica strumentale.
    Non è un caso se, in relativa tarda età, si vedranno quasi tutte le sue composizioni di questo genere, sia cameristiche che concertistiche.
    Siamo nel 1871 e l'ultimo pezzo in programma in questo disco è del 1907. Camille era del 1833 ed era da tempo un compositore affermato.
    Il modello della prima sonata, Op. 75, in Re Minore (come la 9a di Beethoven) è un pezzo fortemente virtuosistico, praticamente nella forma in quattro movimenti, ma anche nella durata nel suo complesso, è di fatto una sinfonia a due strumenti.
    In questo momento, complice il vecchio Brahms, si scriveva sonata per pianoforte e violino, ma il violino è l'assoluto protagonista.
    In questa sonata ci sono fugati, cambi di ritmo e di tempo.
    I primi due movimenti sono due adagi, come nella 3a Sinfonia di Saint-Saens.
    La composizione è brillante come i concerti per violino e per pianoforte. In una parola, bellissima ed orecchiabile al primo ascolto.
    La seconda sonata, Op. 102 invece è l'opposto.
    Intima, graziosa, più mozartiana che brahmsiana, senza melodie troppo orecchiabili, sempre in quattro movimenti.
    Come diceva lo stesso Camille, richiede ... almeno otto ascolti per entrare nell'orecchio.
    Non è vero, naturalmente. Ma non è così immediata.
    Le due sonata ebbero successo sin dalla prima. Con l'autore al pianoforte, e due violinisti di gran fama, Martin-Pierre Marsick per la prima, nel 1886, e Pablo Sarasate per la seconda, nel 1896.
    La seconda sonata venne eseguita la stessa sera della prima del 5° concerto per pianoforte, detto l'Egiziano perché composto durante un soggiorno a Luxos.
    Come la sonata.
    Completano il disco due composizioni particolari, una fantasia per violino e arpa che dura la bellezza di quasi 15 minuti e che è veramente difficile da decifrare e una Berceuse del 1871, pensata per pianoforte e violino ma qui trascritta "tale e quale" per violino e arpa.
    Quest'ultima è di facile ascolto, è una canzoncina ben strutturata.
    La fantasia è del 1907 ed è stata composta a Bordighera ed è dedicata a due sorelle, entrambe raffinate musiciste, appassionate della musica di Saint-Saens che la eseguirono in pubblico scrivendone all'amico del grande successo ottenuto.
    Ma in fondo, seppure l'ispirazione sia italiana, si tratta di musica tipicamente francese.
    L'esecuzione della Zilliacus, è stupefacente, coadiuvata dal suo violino napoletano di Nicolò Gagliano.
    E' indubbio che sia la protagonista del disco.
    Sebbene anche i suoi partner (in particolare l'arpista britannico Fitzpatrick) siano all'altezza.
    Come è all'altezza la registrazione Bis, in linea con la sua splendida tradizione.
    In breve, un disco che può diventare un riferimento per queste sonata di Saint-Saens, con pochi rivali.
    Il che per una specialista di compositori nordici (peraltro è da qualche mese professore di violino all'Accademia Sibelius di Helsinki) sembrerebbe strano.
    Ma poi non così tanto, se consideriamo l'assonanza tra i compositori tardo-romantici come Sibelius/Nielse/Stenhammar e il nostro caro Camille.


     
  5. M&M
    Rebecca Clarke, chi era costei ?
    Violista e compositrice inglese nata nel 1886 a Londra. Studiò composizione al Royal College of Music con Stanford che le suggerì di dedicarsi alla viola per impadronirsi delle tecniche solistiche.
    Tra le prime musiciste professioniste sia in Inghilterra che negli Stati Uniti dove si trasferì 1916 restandovi bloccata per lo scoppio della Grande Guerra.
    E qui che comincia a comporre, firmando i suoi brani con uno pseudonimo maschile per non incorrere nel pregiudizio.
    Il suo impegno come compositrice prosegue grazie al mecenatismo di Elizabeth Sprague Coolidge

    Elizabeth Sprague Coolidge in un ritratto di Sargent del 1913
    La Clarke fu l'unica donna sovvenzionata dalla Coolidge che oltre ai concorsi per musica da camera, commissionava musica dalle firme più promettenti (segnalo che Malipiero vinse il concorso nel 1923).
    Negli anni '20 riprese l'attività concertistica in giro per il mondo e in Inghilterra, partecipando anche a programmi radiofonici della BBC e a qualche registrazione, riducendo l'attività compositiva che riprese limitatamente negli anni '40 negli Stati Uniti dove ancora era bloccata dalla nuova guerra.
    Pur essendo vissuta a lungo (morirà a New York nel 1979), le sue composizioni sono relativamente poche e il periodo più fecondo è quello appena successivo alla Grande Guerra. Per tutta la sua attività, pur avendo successo come musicista, soffrì del giudizio degli altri e in generale di disistima che per tratti era vera e propria depressione.
    Ha lasciato musica da camera e canzoni.
    La scoperta della sua musica è avvenuta dopo la sua morte, sostanzialmente alla fine del secolo ed è proseguita con la fondazione della Rebecca Clarke Society, nata per sostenere la registrazione e lo studio - comprese prime esecuzioni mondiali - della sua musica.
    Ma soltanto nel nuovo secolo, a 100 anni dal suo debutto la Clarke sta ricevendo il giusto tributo.
    Ascoltando la sua musica, si capisce quale passione l'animava, la stessa che ha portato i musicisti (uomini) della sua era, come Frank Bridge, Stanford, Vaughan WIlliams fino a Britten a dare un contributo fondamentale all'arte del '900.
     

    La sonata per viola e pianoforte
    La Sonata per viola e pianoforte di Rebecca Clarke stata presentata nel 1919, questa volta senza pseudonimo ma firmata dall'autrice, al concorso annuale di Elizabeth Sprague Coolidge.
    Su 72 brani presentati si guadagnò grande considerazione ma alla fine vinse la composizione di Ernest Bloch, probabilmente per evitare fraintendimenti visto che la sponsor del concorso manifestava una forte propensione per la composizione della Clarke e si volevano evitare favoritismi.
    Qualcuno arrivò anche a credere che Rebecca Clarke fosse uno pseudonimo di un compositore uomo in cerca di considerazione, forse perchè non si credeva - all'epoca - che una donna fosse capace di scrivere musica di quella potenza.
    Il brano ebbe comunque successo di pubblico e contribuì insieme al trio per pianoforte e alla rapsodia per violoncello degli anni successivi ad una certa notorietà per l'autrice. Si tratta dell'apice della carriera di Rebecca Clarke.
    La pubblicazione a stampa della sonata avverrà nel 1921, sempre negli Stati Uniti, certamente più aperti alla musica al femminile dell'Inghilterra.
    Il frontespizio reca una citazione della pesia Clarke ci dà un incipit sulla prima pagina della sonata, una citazione da La Nuit de mai (1835) del poeta francese Alfred de Musset:
    Poète, prona ton luth; il vino della jeunesse
    Fermente cette nuit in the veines de Dieu.
    La sonata si compone di tre movimenti :
    - I - impetuoso
    - II - vivace
    - III - adagio
    Il primo movimento è realmente impetuoso con una apertura veemente della viola cui fa seguito poi un dialogo con il pianoforte dall'atmosfera debussyana che ritroviamo anche nell'adagio finale.
    Diciamo che tutta la composizione ha cromie in stile Debussy ma l'aurea transnaturale tipica del francese è sostenuta da una concretezza tutta britannica. Nella forza la sonata ricorda quella coeva della sonata per violoncello e pianoforte di Frank Bridge, amico della Clarke.
    Il finale si libera in forma brillante, con fuochi d'artificio che si staccano completamente dall'inizio del pensoso adagio.
    La sonata si conclude quindi con la stessa forza che caratterizza l'inizio, riprendendo lo stesso materiale melodico con il pianoforte che incalza l'ossessiva tessitura della viola.
    Le due parti hanno infatti pari impegno e difficoltà, il linguaggio nell'insieme è molto originale, vive dell'humus in cui l'autrice si è formata ma con tratti decisamente originali e il carattere della sonata è realmente di grande intensità.
    Tanto che, finalmente, si è imposta nel repertorio dei migliori violisti del nostro tempo cui vengono richiesti al contempo carattere, virtuosismo e tecnica.
    Esiste una versione orchestrata di questa sonata, commissionata nel 2007 dalla Rebecca Clarke Society a testimonianza di una dignità ultra-cameristica ma non ho avuto modo di ascoltarla.

    Rebecca Clarke agli anni del debutto negli Stati Uniti.
    Edizioni
    Ho la fortuna di possedere svariate edizioni di questa sonata.
    La più anziana è quella del pregevole disco del 1993

    dedicato alle sonate per viola e pianoforte del 1919, eseguito splendidamente da Yishak Schotten con la moglie Katherine Collier
    Segue un disco altrettanto particolare del 2001, edito da Helios ed eseguito da Paul Coletti e Leslie Howard, una compagine britannica alle prese con musica puramente british per viola e pianoforte (Bax, oltre ovviamente a Frank Bridge e Britten, con Grainger e Vaughan Williams)

    Il disco Naxos del 2004 ha il pregio di comprendere altra musica da camera di Rebecca Clarke

    quasi una integrale che spazia per i decenni di attività compositiva
    Il disco della solita imperdibile proposta di Somm è del 2014 e contiene la sonata per viola suonata con il violoncello

    insieme a musica di Bridge, di Delius e di Ireland.
    La sonata già di pugno della Clarke è alternativamente eseguibile per viola o violoncello.
    Con quest'ultimo acquista toni più scuri che si traducono in un tono più "maschio" ancora, con una atmosfera decisamente calda e romantica, ben assecondata dall'intonazione dello strumento che suona Alexander Baillie.
    Arriviamo alle ultime due proposte per l'anniversario, che riprende le tre celebri sonate del 1919 (Clarke, Bloch, Hindemith) (2019)
     
    in una edizione molto decisa e brillante
    e quella estremamente passionale e viscerale data dalla coppia Marina Thibeault/Marie-Evé Scarfone che sotto al titolo "Elles", include anche musiche per viola e pianoforte (originali o trascritte) di altre musiciste come Clara Schumann, Fanny Mendelssohn, Nadia Boulanger con un intento chiarissimo (2018)

    aggiungo, non disponibili in disco ma liberamente fruibili sul web l'interpretazione di due dei migliori violisti in attività :
    Gérard Caussé

    e Antoine Tamestit

    due visioni differenti per impostazione e sviluppo, come è corretto che sia.
    Non dò preferenze di scelta lasciandone a voi la scoperta.
    Vi segnalo che i tempi variano dal più breve di poco più di 21 minuti al più lungo dei oltre 26 minuti (la versione per violoncello).
    Probabilmente per il mio gusto e per quello che credo sia il senso della composizione l'esibizione tutta al femminile che trovate anche qui tra i filmati di Youtube sia quella che idealmente leggo di più all'idea che ho io di Rebecca Clarke.
    Quella più equilibrata, la lettura di Tamestit.
    La più romantica al gusto di Earl Grey, quella al violoncello.
    La più impetuosa e maschile, quella di Coletti con Leslie Howard, a tratti al calor bianco.
    Ma soprattutto, datevi il tempo di esplorare una delle più affascinanti composizioni britanniche del XX secolo, per me al pari della sonata di Frank Bridge e capace di confrontarsi con il meglio della produzione inglese da Stanford a Britten.

  6. M&M

    Beginners Guide
    Quasi coetaneo di Brahms ma vissuto per due decenni anche nel nuovo secolo, Camille Saint-Saens è passato attraverso tutte le fasi del romanticismo maturo e tardo e oltre.
    In gioventù prodigio, in età avanzata reazionario. E per questo in qualche modo ostracizzato ed emarginato.
    Tanto che il suo successo è stato in larga parte dimenticato fino a che in repertorio resistevano pochissime cose, praticamente solo il Carnevale degli Animali e la Terza Sinfonia, spesso utilizzata per dare sfoggio della potenza organistica o per provare gli impianti audio.
    Eppure, appassionato, colto, conoscente di tutti gli strumenti musicali sia a livello tecnico che compositivo, maestro del colore, virtuoso egli stesso di organo, pianoforte.
    E dilettante astronomo e archeologo. Oltre che formidabile linguista. Per tacere della passione per matematica e filosofia.
    In gioventù strenuo sostenitore delle avanguardie musicali (oltre all'amato Schumann, anche Liszt e Wagner le cui opere, senza influenzarlo, erano da lui considerate il riferimento musicale dell'epoca).
    In vecchiaia grande oppositore dell'impressionismo francese e per questo detestato da Debussy (uno lo considerava atroce, l'altro maniaco sentimentale).
    Grande protagonista della scena internazionale, con amicizie vaste con i suoi contemporanei (celebri i duetti e i trii con Chaikowsky, Rubinstein, Bruch, Stanford). Affermato e vivace solista.
    A ottantasei anni era ancora capace di affascinare il pubblico sul palco al pianoforte.
    Amante dell'Africa, per turismo, con lunghi e felici soggiorni.
    A dispetto di un certo snobismo che lo taccia - appunto, vedi Debussy - di un certo sentimentalismo "fracassone", la sua musica è varia e in larga parte eccellente, sia sul piano tematico - dove non teme confronti - che su quello tecnico e in tema di sviluppo.
    Il contrappunto per lui non aveva segreti e per il colore non aveva bisogno di andare ad Arlès o osservare giardini di ninfee, possedeva una palette sconfinata.
    Questo il mio amore per Camille Saint-Saens musicista, uomo per il resto molto controverso nella sfera personale.
    In questo articolo ci tengo a scegliere alcuni dischi proprio per approfondire il suo sterminato catalogo musicale. Escludendo proprio Le Carnival, le opere (io detesto l'opera francese, di tutti i tempi : sono italiano !) e il complesso di composizioni a tema, poemi sinfonici e simili.
    Ma bastano i concerti e la musica da camera per apprezzare la statura di uno dei più importanti compositori romantici.
    1)

    cominciamo con i tre concerti per violino e orchestra.
    Il terzo è straordinario ma anche gli altri due sono semplicemente molto belli.
    Le integrali sono poche ed io conosco bene solo questa, con uno splendido Andrew Wan accompagnato a Montréal da Kent Nagano.
    La registrazione è aperta ma col violino ci sta.
    2)
    Le sinfonie sono molto interessanti ma non del tutto facili da digerire al primo colpo.
    Ma la terza effettivamente è di statura mahleriana, mantenendo quella forza, quel vigore e quell'ottimismo viscerale tipico di tutta la musica del francese.
    Le edizioni sono tante, quella che scelgo è la versione "francese" con l'Orchestre National de France diretta da Cristian Macelaru con l'eccezionale Olivier Latry all'organo (Latry è il titolare di Notre Dame de Paris).

    per la terza, come alternativa con una coppia inedita ed irripetibile, questa di BR Klassik

    con Mariss Jansons in una delle sue ultime interpretazioni che accompagna la splendida Iveta Apkalna
    3)
    con Saint-Saens ci accomuna la passione per lo straordinario timbro caldo del violoncello

    in questo disco Emmanuelle Bertrand avvicina il precoce - e straordinario - primo concerto con le due ultime sonate per violoncello e pianoforte.
    E' virtuosismo estroverso. Singolare come il concerto abbia tono minore mentre le due sonate siano rispettivamente in Fa e Re maggiore.

    il 2° concerto è roboante e cavalleresco ma qui in questo disco Chandos c?è Truls Mork ad ammorbidirlo.
    E anche se dopo il 1° concerto da una impressione un pò sconcertante ... dopo arriva, si lo so, avevo detto che l'avrei escluso ... il Carnevale con Louis Lortie ed Hélène Mercier.
    E il disco si chiude con due splendidi "capricci" a tema, con un Lortie veramente in grande forma.
    Africa è semplicemente ... mozzafiato.
    4)
    e questo non può che introdurre i miei amati concerti per pianoforte.
    Una volta trovare i concerti di Saint-Saens in disco era un'impresa, c'erano alcune edizioni di riferimento e basta.
    Ma ultimamente la scelta è arrivata a livelli di eccezionalità.
    Grazie all'ultima generazione di pianisti francesi, Chamayou, Kantorow e, appunto Lortie.



    ma c'è anche una lettura particolarmente maschia dell'inglese Grosvenor

    ma farei torto a tutta la Francia (Mai sia !) se non citassi l'edizione di rifermento con Pascal Roge al piano e Charles Duoit sul podio

    i concerti per pianoforte di Saint-Saens per me stanno al pari di quelli di Brahms, sovrastano tutti quelli degli altri romantici e possono andare a paragone per varietà e peso, con quelli di Beethoven (lo so, sono un eccentrico !).
    5)
    il disco che segue di Chandos, contiene le prime due sonate (quelle complete) per violoncello e pianoforte

    che potrebbero bastare per la passione che Christian Poltéra mette nel suo archetto.
    Tra i "bis" c'è un bellissimo "Cigno" dal Carnevale
    6)
    composizione giovanile (Op. 14) e piuttosto cupa nel suo incipit "maestoso" è in realtà un laboratorio di armonia e di contrappunto che pone le basi per le successive composizioni di Saint-Saens, con una parte pianistica estremamente complessa e virtuosistica (siamo a livelli di Brahms o di Shostakovich)

    tra le edizioni scelgo questa del Quartetto di Cremona con Andrea Lucchesini, molto solida.
    Che contiene il più matura quartetto n.1 Op. 112 (il primo quartetto nel 1899, cioé ad oltre 60 anni di età), in Mi minore che fa fede nella tessitura alla chiave particolare.
    Non vi sembra l'ultimo Beethoven ? Ascoltatelo bene ...
    7)
    i tre amici Capucon, Chamayou e Moreau ci consegnano per Erato un disco straordinario

    che contiene tre gemme, la sonata per violino e pianoforte n.1, la sonata n.1 per violoncello e pianoforte e, insieme, il trio n. 2 che potrebbe stare al pari di una sinfonia di altri autori romantici.
    Disco da 5 Diapason !
    8)

    disco straordinariamente vario questo di hyperion con il Nash Ensemble che contiene tra le altre cose, la sonata per fagotto, quella per oboe e quella per clarinetto.
    Composizioni molto delicate dell'ultima maturità (1921).
    Nello stesso disco quartetto e quintetto con pianoforte.
    Gran bel disco, registrato splendidamente.
    9)
    disco raro che incorpora tutte le composizioni con violino e violoncello solista in un volume solo

    dai solisti e dell'orchestra reale belga.
    Aggiungo lo straordinario Introduzione e rondò capriccioso per violino ed orchestra, in questo caso dell'altrettanto straordinario Perlman

    nel volume dedicato alla musica francese dalla Emi Classics (c'è anche la Havainese : meravigliosa).
    Non dimentichiamoci del Saint-Saens di Perlman con Barenboim sul podio :

    10)
    chiudo con una alternativa

    in questo disco giovanile di Yuja Wang c'è la trascrizione per pianoforte solo della Danse Macabre di Saint-Saens scritta da Horowitz.
    La registrazione è orribile ma la lettura è straordinaria.
    Ne esiste una versione, forse ancora più originale (con lo zampino di Franz Liszt e di Sudbim stesso)

    Ovviamente non si può dimenticare l'originale :

    qui inserita in una serie di ouverture, marce e composizioni varie per orchestra, scritte in chiave spettacolare
    o trascritta più regolarmente per violino e pianoforte

     
    Ma per me Saint-Saens è una scoperta continua, quindi non è detto che la lista non continui nei prossimi mesi o anni, con nuove proposte oltre queste ideali "10".
    Il mio consiglio è di esplorarlo, andando oltre la superficie e fuochi artificiali. Troverete autentiche trovate geniali di un grandissimo compositore.
  7. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Wagner : Siegfried Idyll, versione originale con orchestra da camera
    Wagner : Wesendonck-Lieder, versione arrangiata per voce e orchestra da Andreas N. Tarkmann
    Camilla Nylund, soprano
    Bayreuther Festpiele (13 solisti) diretti da Christian Thielemann
    ***
    Cosima Wagner si svegliò la mattina del 25 dicembre 1870 sentendo una musica nuova.
    Una serenata mattutina organizzata dal marito, con 15 solisti sistemati lungo le scale che portavano alla camera della sposa, durante le vacanze sul Lago di Lucerna dei Wagner.
    Era la versione originale per quintetto d'archi e fiati, arrangiata dal marito partendo da idee abbozzate per un mai completato quartetto d'archi.
    E' restata come una lettera d'amore di Richard a Cosima per gli anni a venire, con un cerimoniale identico, sempre la mattina di Natale, davanti alla porta della camera di Cosima, nella villa dei Wagner, Wahnfried a Bayreuth.
    Una cosa tutta loro finchè, attanagliati dai debiti come sempre, Wagner non si sentì costretto a venderla al suo editore che la pubblicò, rendendola disponibile a tutti.
     

    il salone di Wahnfried, foto dell'epoca di Wagner

    riunione di famiglia, con Cosima, Richard, Liszt (non conosco il personaggio con i baffi a destra, forse un direttore d'orchestra ?)

    il giardino di Wahnfried ad inizio del 900. Sigfried Wagner sulla destra, suo figlio Wolfgang  a sinistra, con la mamma e le sorelle

    la prima generazione dei Wagner sui gradini di ingresso di Wahnfried

    la villa in questi anni, sempre di proprietà della famiglia (costruita con i fondi del Re Ludwig II del quale c'è il busto nel giardino dove sono sepolti Richard e Cosima)

    Katharina Wagner, figlia di Wolfgang, nipote di Siegfried, bisnipote di Richard e di Franz, direttrice del Festival di Bayreuth dal 2010, sorridente di fianco al marito, Christian Thielemann
    ***
    In epoca Covid è difficile pensare a qualche cosa di grande, quando devi annullare eventi che sono stati mantenuti anche sotto le bombe come il Festival di Bayreuth.
    Christian Thielemann si è impegnato in prima persona, la moglie malata gravemente a primavera si è rimessa solo in settembre, per offrire comunque il massimo possibile, dando in diretta streaming dei concerti tenuti al chiuso con tutte le precauzioni anticontagio possibili.
    Questo disco è stato registrato dentro alla villa Wahnfried con una formazione cameristica di 13 solisti del Festivalspiele, distanziati tra loro come da norma e con il pubblico in giardino o davanti agli schermi.
    Il programma è la sintesi perfetta dell'intimità familiare wagneriana.
    L'Idillio di Sigfrido, diviso in tre parti nella registrazione per comodità d'ascolto e poi i 5 meravigliosi lieder Weswndock arrangiati dal compositore Andreas Tarkman per la stessa compagine che ha eseguito l'Idillio.
    Non sappiamo se c'è altro oltre nell'idea di Thielemann (Ma Katharina è nata il 21 maggio, mentre nonna Cosima il 24 dicembre, per questo il dono di Richard la mattina di Natale). Non indaghiamo non sono affari nostri.
    Andiamo alla musica.
    Ammetto senza troppa indulgenza che trovo la direzione di Thielemann - SEMPRE - piuttosto fredda e distaccata. L'idea che ha della musica si discosta dalla mia. Ma temo, spesso, anche da quella dei compositore cui si accosta.
    La familiarità con i Wagner dovrebbe aiutarlo ma sinceramente anche qui io non mi ritrovo.

    Wolfgang Wagner - la maschera dei Wagner inconfondibile - con il genero Thielemann

    Christian che applaude il direttore del Festival, Wolfgang Wagner che cede l'impegno alle due figlie Katharina ed Eva
    Insomma, restando all'Idillio, e restando alla forma cameristica - giustamente - scelta, rispetto a quella, con la stessa compagine, di Klemperer del 1961, sembra una prima lettura.
    Le idee ci sono tutte ma manca l'amore con cui certamente Richard vi si è accostato.
    Mentre se pensiamo ad una edizione per orchestra piena come quella di Cantelli, beh, c'è da impallidire.
    Ma si tratta di approccio, so chè Thielemann ha i suoi estimatori in Wagner e in Strauss.
    Andiamo invece al vero motivo per cui io mi sono accostato a questo disco.
    I 5 lieder che io non avevo mai ascoltati, con la voce meravigliosamente delicata ed intensa di Camilla Nylund, soprano finlandese consumata interprete di Walkyrie, Tanhauser, Arabelle e Dame senza Ombra e Cavalieri con la Rosa, me ne ha fatto innamorare.
    Tanto che li ascolto ipnotizzato in continuazione. L'effetto che dovrebbe dare a tutti Wagner.

    Eppure anche la Nylund passa per una creatura gelida e distaccata.
    Ma dietro a lei Thielemann incede con garbo, classe, mai una nota fuori posto.
    Bellissimo e se mai vi foste sognati di ascoltare questo disco di 38 minuti, andate direttamente ai lieder e lasciate Siegfrid al suo glorioso destino.
    Registrazione perfetta, con linee di basso non troppo evidenti - i volumi sono quelli possibile con questa formazione - suono caldo, voce chiara ma non esagerata.
    Insomma, con questa interpretazione, mi sono innamorato (anche) di Camilla.
  8. M&M
    Mendelssohn : Lieder ohne Worte, Igor Levit pianoforte
    Sony Classical, 15 dicembre 2023, formato 96/24
    ***
    Sulle prime non ho capito questo disco.
    Molto crudo, anche nella registrazione.
    Per non parlare della copertina.
     
    Sony ha la pessima abitudine di pubblicare i suoi dischi senza il libretto. Mortacci .... !
    Quindi mi sono andato a cercare qualche cosa sul web. Ed ho trovato questi brani di intervista a Levit che riporto qui per spiegare questo disco.
    Che è una registrazione parziale - lungi dall'essere una integrale - delle Canzoni senza Parole di Mendelssohn:
    Una selezione dettata dallo stato d'animo del pianista e che termina con un preludio di Alkan ("La chanson de la folle de la mer").
    "Il pianista Igor Levit ha pubblicato un nuovo album come sua personale reazione artistica agli attacchi del 7 ottobre contro Israele e all'attuale aumento dell'antisemitismo in tutto il mondo.
    L'album contiene una selezione del ciclo per pianoforte solo di Felix Mendelssohn "Canzoni senza parole" e si conclude con un preludio del compositore romantico francese Charles-Valentin Alkan . Il ricavato dell'album sarà donato a due organizzazioni tedesche che combattono l'antisemitismo: il Centro di consulenza OFEK per la violenza e la discriminazione antisemita e l'Iniziativa di Kreuzberg contro l'antisemitismo. 
    Igor Levit spiega: 'Ho realizzato questa registrazione per una necessità interiore molto, molto forte. Ho trascorso le prime quattro o cinque settimane dopo l'attacco del 7 ottobre in un misto di ammutolimento e paralisi totale.
    'E ad un certo punto, è diventato chiaro che non avevo altri strumenti se non quello di reagire come artista. Ho il pianoforte. Ho la mia musica. E così mi è venuta l'idea di registrare questi lavori, le 'Songs without Words' e di donare i proventi di questa registrazione a due meravigliose organizzazioni che lavorano nella mia città natale qui a Berlino per aiutare le persone che sperimentano l'antisemitismo e per aiutare i giovani evitano di cadere nelle grinfie dell’antisemitismo.
    "È la mia reazione artistica, come persona, come musicista, come ebreo, a ciò che ho provato nelle ultime settimane e mesi. O per essere più precisi, è una delle tante reazioni che mi sono venute in mente.'
    Igor Levit ha recentemente parlato dell'aumento dell'antisemitismo nei media tedeschi e ha discusso del suo impatto sugli ebrei oggi con il vicecancelliere tedesco Robert Habeck, in occasione dell'85 °  anniversario della Notte dei Pogrom ( Notte dei cristalli ).
    A novembre Levit si è recato anche a Tel Aviv per suonare per le famiglie degli ostaggi israeliani e più recentemente ha organizzato un concerto di solidarietà con molti importanti musicisti, autori e presentatori tedeschi, nonché con la sopravvissuta all'Olocausto Margot Friedländer.  
    La scelta del repertorio per l'album è sembrata giusta per Levit, che ha suonato privatamente molte delle "Canzoni senza parole" di Mendelssohn e afferma che una "certa malinconia" nei lavori gli ha dato un po' di conforto negli ultimi tempi. Considera il Prélude Op.31: No. 8 di Alkan 'La chanson de la folle au bord de la mer' come una sorta di 'Canzone senza parole' e una conclusione intuitiva alla registrazione.  
    La sorprendente immagine di copertina è stata scattata dal fotografo Markus Hurek e mostra la collana regalata a Igor Levit alcuni anni fa, con una rappresentazione originale della Stella di David. "
    Non aggiungo altro se non l'ammirazione per il coraggio (la sensibilità di questo pianista la conosciamo già), di questi tempi, quando anche insospettabili progressisti di tutto il mondo non nascondono invece la propria vicinanza alla parte ... sbagliata di questa storia sbagliata.
    Se non che, nel mio immaginario, i Lieder ohne Worte di Mendelssohn, sebbene "senza parole", sono romanze che descrivono un mondo sognante e delicato, anche nei momenti meno "sussurrati".
    Composizioni scritte tra il 1829 e il 1845 e si avvicinano di più all'universo schumanniano di quanto si potrebbe pensare in generale della musica di Felix.
    In questo senso, l'interpretazione, mirabile oltre che integrale, del 1974, di Daniel Barenboim per DG per me resta insuperabile.
  9. M&M

    I Confronti
    Handel : il Messia, The English Concert & Choir, Trevor Pinnock
    Archiv, 1988
    Arleen Auger, Anne Sofie von Otter, Michael Chance, Howard Crook, John Tomlinson
    ***
    Siamo agli albori del digitale, il CD è già uscito ma molti album si comprano ancora in vinile.
    Io questo l'ho preso in cofanetto CD della Archiv.
    Ed è immediatamente diventato il mio riferimento ... anche per il test dei diffusori.
    Ricordo vivissamente l'impressone di freschezza, avendo in mente certe rappresentazioni del Messia alla .... Klemperer.
    Siamo ancora agli albori delle riletture filologiche, con il testo originale, oltre che con strumenti originali ed organici compatibili con il 1741.
    Il cast è eccezionale. La Auger canta sempre come un angelo, la von Otter - io sono un grandissimo fan - ha quella tonalità androgina particolarissima.
    Ma in generale l'intonazione, l'inflessione, è sensazionale.
    Non mi appassiona tantissimo il coro con grande presenza di bambini. Ma passi, l'English Concert del 1988 è meraviglioso.
    Sono passati 35 anni, si sono succedute tante altre edizioni.
    Ne arriva un'altra. Con la stessa compagine orchestrale, lo stesso coro.
    Un altro cast d'eccezione.

    Handel : il Messia, The English Concert & Choir, John Nelson
    Erato, 2023
    Lucy Crowe, Alex Potter, Michael Spyres, Matthew Brook
     
    John Nelson è un artista accurato. Già parte dalla scelta della location, la cattedrale di Coventry per la sua acustica.
    Recupera tante varianti, aggiunte da Handel dopo la prima del 1741 e fino al 1750.
    Arie scritte per castrato o per mezzosoprano.
    Nelson le include tutte in appendice, ma opta per il controtenore, all'epoca, l'italiano Gaetano Guadagni (famoso per l'interpretazione dell'Orfeo di Gluck) era un contraltista.
    L'impostazione è teatrale, praticamente operistica.
    Ricordo che il Messiah è un'oratorio, praticamente una recita da concerto, che in qualche occasione, un registra estroso ha cercato di trasformare in opera lirica con dubbia riuscita.
    Ma è ovvia la parentela con l'opera.
    Del resto Handel dovette convertirsi all'oratorio in inglese, una volta terminata la moda londinese per l'opera lirica in italiano, causata più che altro dagli eccessi di impresari e prime-donne italiane.
    Sinceramente sulle prime ho trovato questa lettura un pò immanente, meno frizzante dell'originale del 1988.
    Ma poi mi ha preso, lentamente ma profondamente.
    Il cast è all'altezza del precedente, Lucy Crow è splendida ma anche tutti gli uomini sono all'altezza, anzi.
    E il coro mi sembra superiore a quelli dei tempi. Certamente più abituato ad andare un pò oltre i confini del seminato abituale degli ultimi decenni del secolo scorso.
    E' una sensazione bellissima quando una partitura che sai a memoria riesce ancora a sorprenderti. E splendida la selezione di brani opzionali o aggiuntivi che spesso vengono trascurati.
    In pratica una sintesi di tutte e sette le versioni originali rappresentate da Handel in vita a Londra.
    Nelson ha più esperienza di Pinnock nel lavorare con i cori, e lo dimostra la maestria nel modo in cui ha schierato le sue truppe a Coventry, il coro del The English Concert é chiaramente in splendida forma, con i soprani che affrontano brillantemente le elevate esigenze di Händel in "And the gloria of the Lord" e il tutto genera l'energia necessaria per contrastare anche le trombe quando è necessario.
    Ovviamente la prova sta bel pudding. E se ascoltando il coro dell'Hallelujah di questo Messiah non vi si rizzano i capelli, vuol dire che siete già nel mondo dei più.
    Splendida prova, nuovo riferimento ? Credo di si. Ed era ora. Ma onore a Pinnock e al suo, di English Concert.
     
     
  10. M&M

    Interpreti
    Schubert, Siszt : Excursions
    Teo Gheorghie, pianoforte
    Musikkollegium Winterthur, diretto da Douglas Boyd
    Sony Classical, 2015, via Qobuz
    ***
    La recensione di questo disco è incidentale.
    Si tratta di un disco del 2015 che comprende "il solito" collegamento Schubert-Liszt.
    In questo caso i 4 Imprompus D 899, la Vallée d'Obermann e infine la Fantasia Wanderer S.366 trascritta da Liszt per pianoforte e orchestra.
    I quattro Impromptus sono condotti con grande disinvoltura e anche una certa audacia. Tempi rapidi, ritmo giocoso, grande lirismo. Tutto quanto fa questi piccoli pezzi delle vere gemme della letteratura pianistica.
    Nulla che possa far impensierire Schiff o Sokoloff.
    Ma ricordiamoci che Teo Gheorghiu nel 2015 aveva 23 anni. Anche se suonava da quando ne aveva 5 e già a 12 anni aveva esordito con l'orchestra (e il concerto di Schumann).
    Ma poi arriva una strepitosa e matura Vallée d'Obermann. Intensa per tutti i suoi 12:21 minuti, con momenti di passione elevatissima che raramente ricordo in pianisti di questa età.
    E per finire la brillante esibizione con l'estroversa Wanderer, resa, ovviamente, roboante e trombonosa dal nostro Liszt.
    Un bel disco. Degno di darvene nota.
    Perciò mi viene voglia di guardare che altro ci sia online.
    Non trovo tantissimo. L'ultimo disco è Roots, che richiama le radici culturali del pianista (nato a Zurigo ma chiaramente di famiglia rumena)

    un interessante disco Claves che però contiene più che altro musica spagnola (non proprio la mia passione) di cui l'interprete parla allegramente, raccontandoci che ha preso ispirazione dal pedalare in bicicletta per Francia e Spagna per "letteralmente" migliaia di chilometri (2020)

    un Dvorak da camera col Carmina Quartet

    e niente più.
    Ma me lo ha segnalato mia madre dopo averlo ascoltato alla Radio Svizzera in un programma con Scriabin, Schumann e Chopin.
    E dove sarà mai quella musica ?
    Cazzo, questo fa un concerto ogni 10 giorni e non ci sono tracce discografiche a disposizione.
    E anche Youtube è poverissimo.
    Trovo questo disco, esaurito, di quando aveva 14 anni

    ma questo è Vitus !
    Vitus è un film svizzero tedesco che racconta degli esordi di un bambino prodigio dotato di intelligenza superiore che si finge malato per togliere pressione da parte della famiglia e intanto giovare col nonno (uno straordinario Bruno Ganz).
    Capace di salvare il padre dal tracollo finanziario giocando in borsa con una società di facciata sul mercato dei future.
    E di incantare la ragazza - molto più grande di lui - di cui si è innamorato.
    Il protagonista, della parte oltre che, ovviamente, di tutta la colonna sonora è proprio Teo Gheorghiu.
    Vincitore di premi internazionali, incontrato dal Principe di Galles insieme a pochi altri allievi di una prestigiosa scuola londinese.
    Capace di suonare praticamente qualsiasi cosa con un equilibrio perfetto tra chiarezza di dizione - anche nei passaggi più difficili - e di pura passione musicale.
    Un poeta. Ma potente !
    E mentre risuona con potenza la sua - sensazionale - lettura della Vallèe d'Obermann, mi chiedo che cosa ci stiamo perdendo.
    Cosa si sta perdendo questa generazione di musicisti - almeno quelli che se lo meritano - senza il tempo di pensare e di registrare, lasciando un segno della loro arte.

    la colonna sonora del film Vitus del 2006
    la locandina del film

    e l'attuale Teo, mezzo santone indiano e mezzo funambolo della tastiera

    incantatore alle prese con qualsiasi repertorio


     
    Speriamo trovi il tempo di fermarsi e di lasciarci qualche cosa, almeno per noi che non possiamo andare a sentirlo in sala da concerto ...
    Perché veramente, ascoltatelo in questi pochi dischi che abbiamo, a 30 anni è strepitoso.
    Ma lo era già a 12 e a 22.
    Chissà cosa sarà tra 10 o 20 anni !
  11. M&M

    Recensioni Audio
    Qualche tempo fa abbiamo parlato della versione software del sistema di correzione ambientale Dirac :
     
     
    si tratta di una soluzione che il più delle volte risiede su di un processore dedicato mentre nella descrizione ci riverivamo specificatamente alla versione desktop per computer (sia Windows che Mac).
    Alcuni grandi marchi la adottano (Nad, Focal, Arcam, Emotiva, Lexicon, Emotiva, BMW, Bentley, Rolls Royce, Volvo, miniDSP) nei loro dispositivi sia desktop che embedded nei loro sistemi (anche automotive).
    L'uso di un processore dedicato - un DSP adeguatamente potente - permette una soluzione separata che non richiede necessariamente un computer, più accettabile per una certa fascia d'utenza "audiofila", offre possibilità aggiuntive rispetto al tutto software.
    In particolare una messa a punto che rimane stabile nell'uso, non avendo il processore altro da fare mentre "suona" (a differenza del computer che invece é per se multi-tasking), potendo dedicare tutta la sua capacità al lavoro specifico per cui viene utilizzato.
    Parliamo nella buona sostanza di apparecchi di tipo tradizionale, formato rack o anche molto più compatti, che integrano funzionalità da preamplificatore/controllo di volume, spesso anche equalizzazione, in alcuni casi anche crossover o uscite multi-canale, presa cuffia e tutto ciò che è possibile integrare in un apparecchio che può fungere o meno anche da DAC.
    Dopo qualche anno di uso della suite software, che qualche volta andava in tilt per altre operazioni fatte al computer e non volendo acquistare ex-novo la licenza per la versione 3 di Dirac, ho deciso anche io di provare un processore dedicato.
    Ne esistono di tante fasce di prezzo. Nel caso specifico ho selezionato un componente cinese di un marchio specializzato in DSP, che si chiama miniDSP.
    L'apparecchio è lo Studio SHD.
     

    Articolo
    Descrizione
    Processore di segnali digitali
    Dispositivi analogici a virgola mobile a 32 bit SHARC ADSP21489 / 450 MHz
    Frequenza di campionamento interna: 96kHz
    Controllo
    Interfaccia di controllo USB 2.0 senza driver per ambienti Windows.
    Un computer è necessario solo per la configurazione iniziale e per lo streaming audio USB
    Streamer audio di rete
    Processore Quad Core ARM, Gb Ethernet, USB 2.0 per disco rigido esterno
    Lettore audiofilo Volumio,
    Audio USB bidirezionale
    Audio USB asincrono XMOS fino a 192 kHz, compatibile con USB Audio Classe 2
    Driver ASIO per Windows
    Senza driver per Mac OS X
    Audio bidirezionale/riproduzione a 2 canali (da PC a SHD), post-elaborazione registrazione a 4 canali (da SHD a PC)
    Ingressi audio digitali
    Sorgente audio digitale selezionabile dal telecomando IR o dal pannello frontale, frequenza di campionamento fino a 216 kHz:
    AES/EBU su XLR femmina Neutrik a 3 pin / Isolato con trasformatore audio digitale
    SPDIF su connettore RCA / Isolato con trasformatore audio digitale
    TOSLINK su connettore ottico
    Uscite audio digitali
    Quattro canali di uscita digitale.
    2 x SPDIF su connettore RCA / Isolato con trasformatore audio digitale.
    2 x AES-EBU su connettore XLR Uscita amplificatore per cuffie CS43130 Amplificatore per cuffie/L'uscita cuffie stereo segue i canali 1 e 2.
    Jack da 6,35 mm
    Risposta in frequenza: da 20 Hz a 20 kHz +/- 0,2 dB.
    Rapporto segnale/rumore: 112 dB (carico 32 Ω, 1 kHz, ponderato A, ingresso digitale 0 dB)
    THD+N: 0,001% (32 Ω, 1 kHz, 65 mW + 65 mW, guadagno medio)
    Cuffie supportate impedenza: 16 – 600 Ω)
    elaborazione DSP miniDSP
    Volume, banchi equalizzatore parametrico, crossover, mixer a matrice, compressore/limitatore, mute
    Correzione della sala dal vivo di Dirac Controllo e configurazione Plug&Play dall'applicazione Dirac Live, elaborazione stereo full-range Filtrare lo spazio di archiviazione
    Fino a 4 filtri di configurazione del filtro memorizzati sull'unità
    porta USB
    Porta USB tipo B per streaming audio, controllo in tempo reale e aggiornamento firmware
    Alimentazione elettrica
    Alimentazione esterna 12 V CC, adattatori per spina EU/US/AU/UK forniti
    Dimensioni (A x L x P) mm
    41,5 x 214,5 x 206 mm / 1U di mezza misura / Disponibile adattatore opzionale per montaggio su rack completo
     
     

    le dimensioni sono contenute, qui è illustrato con sopra l'unità di ricezione USB di Gustard che lo alimenta sul piano del segnale audio e sopra una Nikon Zf, per capirci riferimento.

    dal menù LCD si capisce già qualche cosa dell'impostazione.
    Il volume è indicato in -dB (decibel a diminuire rispetto allo ZERO che è convenzionalmente il tutto volume), l'ingresso AES/EBU, il Preset Dirac 1.

    ingresso e uscita sono digitali.
    In questo caso è impiegato uno specifico cavo XLR con connettore Cannon dorato, ad impedenza costante per metro, specifico per trasportare il segnale digitale in standard AES (norme professionali) anche per decine di metri.
    L'unità di conversione Gustard prende il segnale via USB-A/B da un computer sui gira Qobuz, lo converte e lo consegna al miniDSP in digitale.
    Il miniDSP applica la correzione Dirac Live precedentemente impostata e misurata con il microfono, sempre di miniDSP UMIK-1 (secondo la procedura già illustrata nell'articolo sul Dirac), poi interviene sul volume.
    Il segnale, sempre digitale, così corretto, va con il cavo XLR (quello più lungo azzurro), al DAC che è situato tra i diffusori, insieme agli amplificatori, a svariati metri di distanza.
    Quindi ricevitore/preamplificatore/correttore ambientale a portata di mano, DAC (crossover elettronico e amplificatori per 8 canali complessivi) a distanza.
    Tutto in dominio digitale senza conversione se non a livello del DAC finale.
    Nella realtà il miniDSP SHD è in grado di fare più cose insieme ma finora io non le ho sfruttate.

    la vista delle uscite posteriori e lo schema a blocchi di una possibile soluzione di impiego.
    Il processore può essere connesso in rete Ethernet ma ha anche un'antenna wi-fi. E' compatibile con ROON e con Volumio (due oggetti per me ancora misteriosi).
    Il DSP interno può essere usato anche come cross-over a due canali. Come equalizzatore parametrico digitale. 
    Il tutto tramite una comoda app desktop :

     
    il taglio delle soluzioni è di tipo professionale. Lo si capisce dall'uso dei canali al posto dei classici RIGHT e LEFT cari agli appassionati di hi-fi.
    Molte delle funzionalità sono meglio spiegate alla pagina del prodotto (qui).
    ***
    Francamente da quando lo uso, ho dismesso i preamplificatori (ne ho molti in casa) che oggi uso solo per le cuffie.
    La correzione Dirac Live non smette di sorprendermi.
    Pur intrinsecamente sbilanciato, il mio sistema è molto complesso sul piano sonoro e l'uso o meno della correzione è come la differenza che c'è tra il giorno e la notte.
    Il suono è corretto, pulito, coerente, in fase, senza rimbombi, senza code. Chiaro.
    Quello di una catena di un ordine di grandezza superiore.
    Lo so che per molti anche solo l'ingresso della parola "processore" sa di "informatica" applicato all'audio.
    Ma è quello che si diceva anche quando è arrivata il digitale e quando il digitale è arrivato in fotografia ed ha soppiantato per lo più la pellicola.
    Naturalmente c'è chi ascolta ancora esclusivamente vinili con giradischi a cinghia, amplificatori a valvole e diffusori pesanti e complessi da pilotare.
    Poi ci sono i professionisti che sonorizzano stadi, auditorium e palchi con sistemi compositi, utilizzando ogni accorgimento che renda loro il lavoro più semplice e il risultato, nonostante le centinaia di metri di cavo steso e le decine di speaker sistemati a volte anche appesi ad una torre, all'altezza delle aspettative delle star che si esibiscono.
    L'audio adulto oggi va in quella direzione.
     
  12. M&M
    la copertina nel vostro articolo è un segno distintivo. Anticipa cosa contiene al di là delle parole.
    Dovrebbe essere sempre inserita quando si scrive un nuovo articolo.
    Dovrebbe (questo lo dimentico anche io) avere un taglio compatibile con il formato orizzontale e non semplicemente una foto del servizio scelta a caso.
    Fatelo, ricordatevene. Influenzerà la qualità complessiva della vostra proposta editoriale.
     
  13. M&M
    frontespizio del manoscritto del preludio e fuga BWV 552 in Mib di Bach
    Si tratta di una delle composizioni per organo più lunghe e complesse di Bach e dell'intera letteratura classica.
    Il preludio, maestoso, è in tre parti.
    L'inizio è in stile francese, come un'ouverture

    prosegue con un secondo soggetto, estroverso, all'italiana, e si chiude addirittura con una fuga doppia in cinque parti.
    Non bastasse, si prosegue con una tripla fuga, anche questa in cinque parti, con movimenti variati, stretti continui, sviluppi, con il materiale tematico che si richiama a se stesso.
    Della complessità dei suoi circa 15-16 minuti si potrebbe scrivere un libro, e non è qui il caso. E questo limitandoci alla versione originale del 1731/1739 e della coeva fuga in Mib del Clavicembalo ben Temperato.

    Ma Ferruccio Busoni, non contento, nella sua stesura delle opere di Bach, è voluto intervenire, trascrivendo la composizione per pianoforte.
    Se già il povero cristiano con due mani e due piedi, tre manuali e pedaliera completa ha il suo bel daffare ad avere ragione di questo monumento del contrappunto bachiano, il pianista si deve adattare a rendere su uno strumento più espressivo ma certo meno potente le stesse dinamiche.
    E qui ci vuole un Bosendorfer Imperial oppure un Fazioli 308.
    Come sia, Busoni con la sua arte, destruttura completamente l'architettura bachiana e la riedifica rispettandone ogni fondamento ma dando maggiore evidenza ad ogni voce, fraseggio, accordo.
    Non sono tanti i pianisti capaci di rendere a pieno queste pagine, così come sono pochi gli organisti che si salvano dalla tentazione di schiacciare gli ascoltatori seduti nelle panche della chiesa con tutta quella musica sparata con una registrazione impetuosa.
    Se possibile, in questo confronto ho voluto scegliere due pianisti che in comune hanno solo l'amore per la complessità dei misteri musicali e l'uso del pianoforte per proporli ad un pubblico se possibile altrettanto diverso.
    Raffinato, colto, mite, lo svizzero Francesco Piemontesi, è tra gli interpreti più raffinati dell'attuale panorama musicale mondiale.
    Complicato, spesso al limite della follia, impetuoso, sanguigno, estremo, bipolare, il grandissimo John Ogdon, scomparso nel 1989 e sommo interprete - tra le altre cose - delle trascrizioni di Busoni di Bach.

    John Ogdon, a sinistra, Francesco Piemontesi, a destra

    ho già recensito su queste pagine il "Bach Nostalghia" di Piemontesi, pubblicato il 25 settembre 2020 da Pentatone
    mentre ho forse solo accennato al disco tutto dedicato da Ogdon la Bach/Busoni pubblicato da Altarus Records

    e a queste due letture che mi riferisco
    ***
    Il disco di Piemontesi si apre con il preludio del BWV 552, prosegue con altra musica, tra cui la Toccata BV 287 di Busoni e si chiude con la Fuga del BWV 552.
    Questo di Ogdon è meno "programmatico", inizia con la Toccata Adagio e Fuga BWV 564, prosegue per alcuni corali, per poi passare al Preludio e Fuga 552 prima di concludere con la Toccata e Fuga in Re-, la Ciaccona e chiudere con la Fantasia Contrappuntistica di Busoni.
    Come dicevo, esattamente come i due interpreti, le due edizioni non potrebbero essere più diverse, già dalla durata :
    Ogdon : 13:50
    Piemontesi : 15:32
     
    L'ouverture in stile francese del preludio, per Ogdon è un pezzo possente, ricco di momenti brillanti e con un ampia gamma di dinamica.
    La fuga finale è concitata, le due mani si imitano più che contrapporsi. I tempi, come é da intuirsi sono veloci ed è un crescendo verso il finale che avviene al minuto 07:44
    Ma soprattutto ci sono ottave piene che sfruttano tutto lo strumento.
    La tripla fuga comincia in sordina e la musica riprende senza interruzione da un altro punto. Anche qui il contrappunto non è barocco ma - giustamente - romantico, con le due mani totalmente libere di impostare il canto in modo diverso.
    La prima fuga è molto dolce ma con il basso ossessivo che cresce verso il finale, sia di volume che di ampiezza.
    La seconda è più chiara, le due mani sono in perfetta parità sonora, anche nell'espansione dinamica che ne segue.
    Nel finale volumi e dinamiche crescono a livelli tridimensionali e l'ascoltatore non ha ... scampo, schiacciato dal pianista che copre l'intero arco dinamico con ottave gigantische.
    Ma mai, in nessun momento la trama manca di chiarezza e la dizione resta precisa. C'è solo molta libertà nell'accentuare passaggi, note, accordi.
    L'articolazione di questo capolavoro, reso ancora più monumentale da Busoni permette con Ogdon una lettura perfettamente chiara che all'organo è spesso difficile per la saturazione evidente che quello strumento riesce rapidamente a portare.
     
    Anche per Piemontesi il preludio è sontuoso ma con tempi più dilatati, dinamiche meno estreme e soprattutto un andamento che sa quasi di danza, con movimenti a salire e a scendere.
    L'effetto è quasi orchestrale, come se si alternassero il tutti e i soli, come nei Concerti Brandeburghesi, per intenderci, mantenendo però questo andamento a scalini, appunto, come di danza in parata.
    Improvvisamente cambia la velocità ma non il volume, direi che lo stile qui è più clavicembalistico e in questo è aiutato dallo strumento che ha una intonazione - e anche una registrazione - più chiara di quello di Ogdon.
    Il basso non scende così in fondo con lo stesso volume ma è deciso e legato e staccato si fondono perfettamente. Il preludio finisce diminuendo.
    La scelta di mettere la fuga staccata e in fondo al disco, a conclusione di un discorso più ampio che passa per il concerto in Stile Italiano e la Toccata di Busoni, rende la composizione del tutto slegata dal preludio.
    Questa scelta è accentuata da un tempo iniziale estremamente riflessivo ed una intonazione graziosa, che sulle prime non ho riconosciuto come efficace ma che è del tutto funzionale al discorso di fondo, supportato da un basso sommesso ma molto deciso e da una ripresa dei tempi con la seconda fuga che dinamicamente cresce di velocità, pur mantenendo un approccio estremamente umanistico.
    Le parti si alternano con grande nobiltà e ad ognuno viene resa giustizia, senza eccessi anche quando è previsto che si stagli ben deciso il forte.
    Sul finale i bassi non sono effetti del martello di Thor come con Ogdon ma strutturati senza andare oltre lo spirito del disco.
    Per confronto con una edizione all'organo "canonica" come quella di Simon Preston la lettura di Piemontesi è più vicina all'originale, nonostante la cura mefistofelica di Busoni. In altre letture - per esempio con l'organo Silbermann di Freiberg - più attiguo ai borgi di Bach - si può trovare maggiore solennità e una certa monotonicità di dinamica. Questo per sottolineare quanto sia fondamentale l'impatto dello strumento, sia per l'organo che per il pianoforte.
    L'organo ha naturalmente una scelta di registri di ben altra ricchezza rispetto al pianoforte. Ma non dimentichiamoci che qui stiamo parlando di una trascrizione e che lo scopo di Busoni era specificamente rileggere - dopo aver riedito l'opera omnia di Bach - le composizioni originali per renderle più vicine al gusto post-lisztiano della sua epoca.
    Le due interpretazioni di questo articolo si distinguono proprio per questo, senza che esca una proposta necessariamente migliore.
    Per Ogdon lo sforzo va oltre quello di Busoni, portando le pagine di Bach più vicine all'ascoltatore del nostro di tempo, non di quello di Busoni.
    Mentre Piemontesi ha nostalgia di Bach, nonostante la trascrizione. E il suo Bach/Busoni, non è quello di oggi, non è quello di Busoni, è il suo.
  14. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Chaikovsky : Quinta sinfonia
    Schulhoff : cinque pezzi per quartetto trascritti per grande orchestra
    Manfred Honeck alla testa della Pittsburgh Symphony Orchestra
    Reference Recordings 28 luglio 2023, formato SACD multicanale e 96/24 stereo, via Qobuz
    ***
    A Manfred piace vincere facile.
    Nel 2006 si è presentato in America con la sua interpretazione passionale della Quinta di Chaikovsky e sull'effetto suscitato è stato invitato a diventare il direttore musicale e artistico dell'Orchestra di Pittsburgh, fresca orfana di Sir Andrew Davis.
    Dopo 16 anni l'orchestra è - se possibile - sua quanto lo era la Filarmonica di Leningrado per Mravinsky.
    Quindi si ripresenta in disco con quella quinta, coadiuvato da una registrazione dal palcoscenico immenso e dinamica eccezionale apparecchiata da RR !

    la precedente prova, uscita all'epoca, registrazione monobit in DSD, introvabile.
    Il disco del 2020 con la quarta di Petya, da RR

    di cui ho parlato su queste pagine con un giudizio un pò misto :
     
     
     
    nelle note del disco, molto estese e dettagliate, Honeck parla delle peculiarità della sinfonia, "quasi" battuta per battuta, aggiungendo aneddoti personali e del difficile rapporto tra Chaikovsky e la sua nuova creatura, composta solo 11 anni dopo la quarta sinfonia.
    Piuttosto singolare l'aver riportato una lettera dell'autore in cui parla del parere espressogli dall'amico Johannes Brahms dopo la prima del 1888 ad Amburgo.
    A Brahms la sinfonia piacque molto (come piace a me) tranne l'ultimo movimento (a me piace soprattutto l'ultimo movimento).
    Per Chaikovsky la sinfonia era a giorni orribile e a giorni magnifica. Ma con il crescere delle critiche positive aumentò la sua autostima e di conseguenza anche la valutazione della nuova sinfonia, il cui carattere parte dalla declamazione del fato che si presenta alla porta (un richiamo della ... quinta di Beethoven) e si chiude in trionfo (esattamente come la quinta di Beethoven) con fanfare che molti direttori fracassoni hanno nel tempo trasformato in cacofonie inascoltabili.
    Per questa sinfonia ci vuole polso, gusto, moderazione ma anche smodata passione per la musica ispirata dall'anima.
    Dall'"andante con anima" al "tumultuoso" e più che fortissimo "energico" finale passando per più che pianissimo continui, sussurrati che diventano "prestissimo con fuoco", c'è tutta l'anima del Brahms russo (Piotr e Johannes sono nati nello stesso giorno di anni differenti).
    Honeck sente tutta questa lava, la filtra con la sua "tranquilla" visione alpina (è nato e vive in un villaggio delle alpi austriache) ma ne rappresenta puntigliosamente tutte le dinamiche.
    L'orchestra di Pittsburgh con la sua guida ha veramente raggiunto livelli straordinari, la sua capacità di dialogo tra le sezioni è eccezionale.
    In particolare i bassi sono chiarissimi e gli ottoni superlativi ma è l'insieme a suscitare meraviglia, tanto che una composizione che conosco a memoria, nota per nota, mi ha offerto momento "inauditi" e frammento del tutto nuovi.
    Pazienza, passione e capacità di distaccarsi dalle vicende extramusicali, sopra e fuori dal podio hanno permesso al Maestro di raggiungere questi risultati, tanto che la Sua orchestra è di fatto la migliore del Nord America e l'unica inclusa nella classifica ideale per il 2022.
    Complessivamente questa quinta è la migliore che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi decenni.
    E se non raggiunge i livelli irraggiungibili delle tante esibizioni di Mravinsky non importa, questa è diversa ma trasuda della stessa passione viscerale, sostituisce l'incedere inesorabile imposto dal russo, con un punto di vista più luminoso e piacevole, tagliando via una parte dell'angoscia che penso sia bene lasciare da parte per la sesta.
    Della registrazione ho già detto, prima classe assoluta.
    Versione alternativa di riferimento, questa del 1982 :

    per nulla casualmente unita alla quarta di Brahms del 1961
  15. M&M

    Recensioni : Musica da Camera
    C.P.E. Bach: sonate per tastiere e violino
    Rachel Podger, violino
    Kristian Bezuidenhout, clavicembalo e fortepiano
    Channel Classics, 28 aprile 2023, formato 192/24
    ***
    Forse a torto considero Emanuel Bach tra i più importanti ed influenti musicisti della sua epoca.
    Un'epoca di mezzo, disunita, caratterizzata dal rapido mutare del gusto musicale europeo e senza il dominio dei titani appena precedenti (Bach, Handel) e seguenti (Mozart, Beethoven).
    Lo stesso Mozart, peraltro, considerava suo padre spirituale il Bach di Berlino (nella realtà non ebbe modo di frequentarlo ma il valore musicale della sua opera era indubbio).
    Già grande quando il padre era nel pieno della maturità musicale, si formò a Lipsia alla Thomaskirche e all'Università di Lipsia e giovanissimo componeva già sotto la guida del padre.
    Più tardi il suo effettivo sviluppo alla corte del Re di Prussia, il colto Federico.
    Il repertorio presente in questo bel disco lo rappresenta perfettamente.
    La sonata in Sol minore iniziale, potrebbe (e in effetti lo è stata) essere scambiata per un'opera del padre, tanto è brillante ed eloquente.
    Mentre la seguente, in do minore, col fortepiano al posto del cembalo, è più intimista e personale ma anche allo stesso tempo più "galante" ma piena di stile proprio.
    L'adagio centrale, lunghissimo, potrebbe sembrare di Mozart (Amadeus aveva composto praticamente tutte le sue sonate per violino e pianoforte con Emanuel in vita).
    Mentre la danza finale, vivace ha un carattere imitativo tra i due strumenti che fa un salto all'indietro nel tempo in un batter d'occhio.
    L'arioso con variazioni è delizia salottiera, probabilmente composto per dilettanti di alto livello, musicisti che non mancavano nelle case aristocratiche della Germania Centrale.
    La seguente sonata in Si minore ricorda i tanti concerti per strumento solista dell'autore con le due parti che si intersecano in modo molto raffinato.
    Qui lo stile galante è più presente, con ritmi e tempi e tempi variati. Scherzo il finale alla Siciliana.
    L'ultima sonata, in quattro movimenti, torna ancora indietro nel tempo nel suono ma lo stile è già quello di metà del '700.
    Insomma, disco analitico, splendidamente eseguito e con una scelta del repertorio perfettamente rappresentativo di uno dei compositori forse troppo sottovalutato probabilmente a causa del chiamarsi Bach ma non Sebastian.

  16. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Schumann e Brahms : Benjamin Grosvenor, pianoforte
    Decca, 17 marzo 2023, formato 192/24, acquistato
    ***
    Robert Schumann (per Clara Schumann) : Kreisleriana, terzo movimento sonata n.3, 3 Romanzen Op. 28 (n.2), Abendlied n.12, Blumenstuck
    Clara Schumann (per Robert Schumann) : variazioni su un tema di Robert Schumann op. 20
    Johannes Brahms (per Clara Schumann) : tre intermezzi Op. 117
    "Programma" purtroppo stratrito nei termini, il triangolo a tre tra Robert, Clara e Johannes, qui con Johannes studente, discepolo del marito, e poi sostegno della vedova, Robert e Clara eterni innamorati.
    La Kleisleriana, opera folle in cui Florestan ed Eusebius più che dialogare farneticano uno sull'altro, spariglia però completamente le carte.
    Non è la lettura forte che mi aspetto io ma è piena e possente e getta la luce in chiaroscuro sul resto del disco.
    Come nelle marmoree ma sempre meravigliose variazioni sull'andantino di Clara.
    Benjamin prende spazio a se stesso con il suo meraviglioso rubato, leggero come un pane ben lievitato e pieno di bolle, così ogni arpeggio si chiude con un accordo morbido.
    Le due mani che danzano lievi ma l'intera atmosfera è quella triste, non tragica, delle maschere del carnevale.
    La follia di Robert è lucidissima e ci vuole grande sensibilità per non scivolare tra i due lati della lama sui cui Florestan si dimena.
    Ah, ma questo non è il carnival, già, ma c'è tutta l'aria impregnata di quegli anni 1835-1836, con la giovane Clara, fresca di studi di Beethoven e Bach, che cerca di capire di cosa le scriva il futuro marito.
    Cosa ci avrà capito il giovane Johannes, tutto pane e contrappunto, capitato nella loro casa molti anni dopo, quando Eusebius aveva preso il temporaneo controllo della situazione ?
    Sarà forse più sconcertato dagli Abendlied che dalle sinfonie di Robert.
    Le variazioni di Clara sono virili nel tratto ma danzanti come farfalle, hanno una struttura circolare, ripetutamente ossessiva. L'abilità con cui Grosvenor le porta al limite è impressionante.
    Chiudono i tre intermezzi che Johannes mandò a Clara, vecchia e rassegnata per distrarla.
    C'è tutta la tenerezza delle ninna nanne nei primi due, e una sorta di ramanzina bonaria nel terzo.
    Che qui Grosvenor ha scelto per chiudere il suo disco. E' un pezzo di grande apertura, brillante, che fa meno della voce ma in cui la melodia fa il canto mentre il basso accompagna, senza mai essere invadente.
    Intonato con tutto il resto.
    85 minuti di grandissima musica, finalmente un disco importante in questo 2023 che partito bene si stava rivelando deludente.
    Registrazione piena e dinamica, altissima risoluzione, basso importante.
    Decca che come al solito risparmia sul libretto (ma tanto che avrebbero avuto di originale da scrivere ?).
  17. M&M

    Recensioni : violoncello
    Anastasia Kobekina : Ellipses
    Violoncello, violoncello barocco
    Mirare 10 giugno 2022, 96/24, via Qobuz
    ***

     

     
    Disco di virtuosismo estremo, per gli amanti del violoncello.
    Folle dalla prima all'ultima nota tranne forse ... la "semplice" sonata di Debussy, eseguita alla perfezione ma senza tutta l'effervescenza del resto del programma.
    In parte ricercato, in parte studiato. Persino nel make-up di Anastasia.

    Come la Gagliarda alla francese finale, scritta da papà Vladimir Kobekin per la figlia Anastasia.
    Ma già il fandango di Giovanni Sollima su Boccherini che inizia il disco e la Follia (maraisienne) per violoncello solo ... bastano per amare il disco.
    Ellissi è una personalissima storia della musica per violoncello, dalle origini moderne fino a ... ieri.
    Registrazione perfetta. Comprimari e comparse di primissimo livello, musica eccezionale.
    Non solo per gli amanti dello strumento.
     
    Ascoltatelo.

  18. M&M

    Composizioni
    Il Burleske (la Burlesca nella nostra lingua) di Richard Strauss è un NON concerto per piaforte e orchestra.
    Nato come Scherzo per pianoforte e orchestra in Re minore nel 1885, fu considerato subito ineseguibile e messo da parte dall'autore stesso che all'epoca, ventunenne, guidava l'orchestra di Meiningen.
    Nel 1889 lo poté vedere Eugene d'Albert che propose alcune modifiche alla parte pianistica. In questa occasione ricevette il titolo di Burleske (farsa o beffa), dedicato allo stesso d'Albert che lo eseguì in prima assoluta nel 1890 ad Eisenach, città natale di Bach.
    Von Bulow non lo capiva ne parlava in questi termini con Johannes Brahms ("il Burleske di Strauss ha decisamente del genio ma per certi versi è terrificante") dopo averlo diretto a Berlino, sempre con d'Albert come solista nel 1891.
    Il giudizio di Bulow ha pesato sulla considerazione di Strauss stesso sulla composizione, tanto da ritardarne la pubblicazione che avvenne nel 1894 ma senza numero d'opera.
    Ma nel tempo diventò una delle sue composizioni preferite, tanto da includerla nel suo concerto finale di Londra nel 1947.
    La beffa o farsa e appunto, probabilmente il motivo dell'incomprensione del tradizionalista Bulow, è l'essere un concerto per pianoforte e orchestra non dichiarato, in un solo movimento ma internamente in quattro tempi.
    I - allegro vivace
    II - Tranquillo
    III - A tempo. Sostenuto.
    IV - Un poco animato. Quasi cadenza
    mai effettivamente dichiarati.
    La formazione orchestra prevede, oltre al pianoforte e agli archi, il piccolo, due flauti, due oboi, due clarinetti in Sib, due fagotti, quattro corni, due trombe e timpani.

    il frontespizio della partitura a stampa, con la dedica a Eugene d'Albert (1894)

    Richard Strauss e Alfred Blumen al concerto di Londra del 1947, pubblicato in CD nella serie Testament
    Dunque, cos'è il Burleske di Richard Strauss ?
    E' un concerto per pianoforte e orchestra che si sviluppa come una parodia del secondo concerto per pianoforte e orchestra di Johannes Brahms.
    Un omaggio scherzoso, ovviamente, per questo definito scherzo e poi burleske.
    Il parallelo con il concerto di Brahms c'è tutto, sia nella tessitura che nel calore complessivo. Ma anche nel rapporto tra il pianoforte e gli altri strumenti che diventano di volta in volta solisti, come i timpani che aprono e chiudono la composizione.
    Il materiale tematico, la cadenza, il virtuosismo estremo ma anche l'atmosfera calma e olimpica sono genuinamente brahmsiani.
    La prova sta nel pudding, ovviamente, lo stesso Strauss, poi in vecchiaia critico verso Brahms, nella sua giovinezza ne era invece un grandissimo estimatore che lui esprimeva come  Brahmsschwarmerei tanto da assistere alle prove del concerto della quarta sinfonia del grande amburghese.
    Ci stà tutto, ovviamente ma è e resta una composizione molto originale, brillantissima, ricchissima di materiale tematico e se anche lo sviluppo non è quello tipico del concerto per pianoforte romantico ha dato l'ispirazione a tutte le generazioni di successivi compositori che si sono misurati con il genere. Da Prokofiev fino a Britten.
    E' anche la musica del primo Strauss, iper-vigorosa, eroica, apollinea, non ancora pregna di tutta quella sovrastruttura allegorica dei poemi sinfonici e delle opere liriche.
    Il lirismo del Burleske va diritto al cuore e lo fa con toni riconciliatori, sebbene quella che il pianoforte intraprendere sia una battaglia totale con il resto dell'orchestra che schiera i timpani in prima battuta e poi tutti gli strumenti timbrici sostenuti dagli archi per dargli alla tastiera.
    Vince l'orchestra ma fino all'ultimo il pianista combatte in condizioni di parità suprema, lui da solo sovrastato da quattro corni e due trombe, oltre ai timpani, appunto e i bassi che segnano il destino.
    La sintesi, impossibile per loro due, tra il Brahms del secondo concerto e il Wagner della Walkiria ? Ecco, leggiamolo così.
    Composizione estremamente virtuosistica che non è stabilmente in repertorio oggi ma che lo è stata dei principali pianisti del nostro tempo che ne hanno dato letture, qualche volta controverse la cui misura viene immediatamente dalla durata complessiva del pezzo.
    Si va dai 18:30 della visione dell'ultimo Strauss (e forse nell'edizione del 1891 poteva essere anche più veloce ?) che abbiamo la fortuna di avere su disco.
    Ai quasi 26 minuti (!) dell'ultimo Trifonov che crede di suonare il suo Rachmaninov, passando per Glenn Gould che già mi sembrava bradipico 30 anni fa quando l'ho ascoltato la prima volta con i suoi 23:50 ai mediani 20 minuti delle tante edizioni disponibili.
    Nella mia collezione ne ho alcuni che vorrei commentare in chiusura di questo articolo nella speranza di aver incuriositi se non conoscevate bene questa grande composizione.

    Friedrich Gulda edizione SWR edito di recente
    Radio-Sinfonieorchester Stuttgart, diretta da Hans Muller-Kray
    Live del 10 gennaio 1962
    durata 19:33

    Friedrich Gulda, Orfeo 
    Wiener Philarmoniker diretti da Karl Bohm
    25 agosto 1957, Live dal Festival di Salisburgo
    durata 19:32
    ***
    C'è poca storia, difficilissimo se non impossibile eguagliare Gulda in queste interpretazioni.
    L'edizione del 1962 che preferisco è un continuo fuoco d'artificio che è, credo il modo giusto di vedere una burla che si risolve nel mostrare il proprio virtuosismo sia compositivo che tecnico.
    Strauss qui voleva crearsi una fama duratura nonostante Brahms e d'Albert e non è un caso che sia l'ultima cosa che ha diretto in vita.
    Retorica l'edizione con Bohm ma solista libero di andare sopra le righe e scapicollarsi tra le ottave.
    La registrazione (o il riversamento) dell'edizione SWR è nettamente meglio e più si addice a valorizzare l'assoluta performance di Gulda che, io credo, è valsa il prezzo del biglietto, anche se la davano per radio ... 

    esiste anche una edizione più anonima, con la London Symphony diretta da Anthony Collins nel 1967 che risolve il tutto in un tempo record di 18 minuti.
    Semplicemente incredibile se pensiamo alle letture successive.
    Eppure Gulda non si distoglie da una visione che va oltre la performance atletica, i temi romantici sono ben svolti e l'atmosfera complessiva mantenuta perfettamente.
    Insomma, non è una lettura "tirata via".
    Io faccio fatica a trovare di meglio di Gulda per il Burleske. Forse solo Strauss trentenne !

    in un certo senso allieva di Gulda (praticamente fu l'unica allieva di Gulda), Martha Argerich credo sia l'unica che si avvicina a questa lettura.
    Nel concerto di capod'anno del 1992 sotto la guida di Abbado in una tutt'altro che grandiosa registrazione Sony con i Berliner, a Berlino, la strepitosa Martha ripercorre le orme di Gulda alla sua maniera.
    Risolve l'intero lavoro in 18:44 ma anche qui i momenti lirici sono rispettatti solo che il tratto resta forte, impetuoso, senza un attimo di tregua.
    C'è la maggiore dolcezza che quando vuole (è raro, lo ammetto) anche Martha sa mettere nel suo tocco.
    Mi piace immensamente questa lettura, tanto che ho comprato due volte questo disco, perchè il primo l'avevo perso.
     
    Risale alle gioventù l'interpretazione di Helene Grimaud del Burleske di Strauss.
    Con una delle orchestre minori di Berlino, originariamente per Erato, alla direzione David Zinman.
    A tratti un pò didascalica, molto acerba, lontana dalla semplicità di tocco proverbiali, uniche di Gulda e della Argerich ma ricca di ardore giovanile e intrisa di romanticismo genuino.
    L'unica edizione che mi ricordo divisa nei quattro tempi. Dura nel complesso addirittura 21:50 e si capisce quanto sia ... femminile nella lettura.
    Dolce eppure ardita, con un fraseggio che permette persino all'orchestra di non apparire solamente un indispensabile oggetto dello sfondo.
    E' un peccato che non sia stata ripresa nell'ultima fase "sperimentale" della pianista francese. Io spero sempre che si riprenda.

    Byron Janis era la superstar degli States e sebbene subisse la ferrea presenza di Fritz Reiner in questa edizione appare in forma.
    Sono 20 minuti netti di performance molto maschia dove comunque la Chicago Symphony spesso prende il sopravvento.
    Il pianismo di Janis è comunque molto brillante anche se un pò di maniera con accenni di virtuosismo un pò istrionico che cerca di farsi spazio in un parterre un pò troppo veemente.
    Posso capirlo, non doveva essere facile essere Byron Janis quando c'erano sulla scena Horowitz e Rubinstein. Bisognava dimostrare di essere diversi.
    E qui Byron ce la mette tutta e ci riesce anche.
    Ma siamo lontani dai fuochi artificiali di cui sono capaci solo Gulda e la Argerich qui le pause servono a creare effetto ma ... fanno meno effetto dell'apparente inesauribilità del tocco dei due antagonisti.

    Pensando al Daniel Baremboim odierno che fatica a chiudere il colletto della camicia si fa fatica a pensare quanto sia stato brillante in gioventà anche prima di sposare la Dupré.
    Qui sembra che il suo grande amico Zubin Metha lo spinga e i Berliner producono un suono suadente ma preciso su cui il bravo Daniel ricama da par suo.
    Il disco se non vado errato è del 1987 e la durata complessiva è di 19:35 ma non si direbbe tanto è spedito nel suo incedere.

    Generalmente trascuro sempre Claudio Arrau nelle mie considerazioni, il bello di usare Qobuz come database principale me lo offre sempre disponibile ed eccolo qua.
    Molto lontano dagli ultimi anni di carriera - sono registrazioni degli anni '40 - qui è più vivace del solito.
    La registrazione originale viene da un nastro RCA VIctor del 1946 a Chicago e purtroppo è pessima in qualità e dinamica.
    Il pianoforte è in secondo piano e si sentono più che altro le frequenze medie.
     


    Questa è la storica registrazione dell'ultimo concerto di Richard Struass stesso a Londra nel 1947.
    Scelse nel programma il Burleske che tanto amava e scelse anche un pianista decisamente di secondo piano per assecondarlo.
    Il risultato probabilmente rispecchia la visione dell'autore, come è ovvio che sia, nei tempi e negli spazi (18 :30 di durata) ma con tutta la benevolenza del mondo, la registrazione viene da un nastro consumato e rumoroso con dinamica zero e il pianista sembra paperino alle prese con il pianoforte di Zio Paperone.
    Leggiamo comunque come Strauss avrebbe voluto dirigere ... Friedrich Gulda se lo avesse avuto sotto mano e non avesse temuto che prendesse il sopravvento.
    Lo prendiamo come riferimento.

    Recentissimo, uscito solo lo scorso autunno, questo bel disco tutto dedicato a Strauss da Chandos.
    Contiene tra le altre cose il Burleske per una lettura molto energica di Michael Mchale (chi era costui ?) con la BBC Symphony Orchestra diretta da Michael Collins.
    L'esecuzione è pienamente romantica, rotonda, sontuosa nei suoi 20:19, a tratti si vorrebbe il pianoforte un pò più in evidenza ma tant'è.
    Comunque tutto il disco è molto interessante e ve lo segnalo (anche per il concerto per violino con la solita splendida Tasmin Little).

    Chiudo con la delusione assoluta. Nel disco dedicato a Strauss da Mariss Jansons compare in chiusura Trifonov nel Burleske.
    La sua interpretazione richiama il Gould più pedante e nonostante tutti i suoi proverbiali sudori ... in ben 25:55 di rallentamenti nonostante l'energico intervento della Bayerischen con Jansons più in forma che mai (ascoltare lo Zarathustra se non ci credete), non infiamma, anzi.
    Peccato perchè è un'occasione sprecata. Ma Trifonov è un genio, probabilmente avrà ragione lui se impiega 8 minuti pieni più di Strauss stagionato.
    Nei commenti inserisco altre interpretazioni che non si trovano in disco.
    Estremamente interessante, ancorchè parziale, quella di Richter che ce lo mostra istrionico come non mi era mai capitato di vederlo. Uno spettacolo.
    C'è poi l'Argerich di cui abbiamo parlato, Emanuel Ax, il solito Matsuev con il suo ciuffo scolpito e infine il solito Gould versione rallenty.
    Spero di non avervi annoiato troppo, lo so che solo io ho il pallino di questo concertino fine secolo, che ci volete fare !
  19. M&M
    Monteverdi : Vespro della Beata Vergine - Pygmalion/Pichon
    harmonia mundi, 1 settembre 2023 - 1:42:34 - formato 96/24 via Qobuz
    ***

    il ragazzino Pichon e i suoi amici del consort Pygmalion ci hanno abituati a letture molto personali e di carattere di composizioni sia famose che meno, del repertorio barocco europeo.
    Ricordiamo una eccezionale raccolta di cantate di Bach, i Mottetti, la Matheus Passion. E poi Mozart, Scarlatti, Rameau.
    Qualche breve incursione verso l'800.

    Ma questa interpretazione del Vespro di Monteverdi sconcerta. Giustamente disco del mese per Gramophon.

    ma dell'anno per noi. Ed è poco.
    Cercare il proprio cammino è una forma mentale, oltre che un impegno quotidiano.
    Lo sappiamo bene noi su queste pagine.
    La mente va ai riferimenti, Gardiner (1994) e Alessandrini (2014). Eccellenti edizioni in tutto.
    Ma qui al primo ascolto arriviamo subito alla sublimazione dell'arte musicale. La musica - eccezionale di Monteverdi - sale ad un livello superiore.
    C'è possanza, solennità, immanenza. Ma anche spirito operistico, virtuosismo vocale, gusto per suscitare sorpresa, emozione, interesse.
    Tutto l'insieme dell'arte di Monteverdi che non si rivolgeva con questa composizione solamente alla comunità sacra ma anche all'aristocrazia già abituata alle prime rappresentazioni operistiche all'italiana.

     
    in fondo sembra facile detto così : è una ricetta antica.
    Ma far quadrare i conti tra un testo sacro affrontato con tutti i sacri crismi "dell'autenticità" con una esecuzione vivida, palpitante e coinvolgente, richiede arte.
    E se ascoltandola non vi emozionerete nei passaggi più impressionanti e non vi resterà un formicolio all'epidermide, sarete voi da esaminare. In senso critico.
    Naturalmente non è musica per tutti. Ma diventa rapidamente ipnotica a qualsiasi livello.
    L'approccio non è operistico, lo è in modo spudorato. Ed è giusto così, anche per dar lustro ai cantanti.
    Il contrasto è importante, ben tenuto dalle parti con il solo accompagnamento della tiorba.
    Ma quando prende il pieno - che pure - come vedete nell'immagine d'insieme del complesso Pygmalion - non è mahleriano, e il volume sale, ogni componente si amalgama perfettamente.
    Leggibilissima ogni voce, non solo dei solisti.
    Legni ed ottoni superlativi.
    Come anche l'acustica della cappella e la ripresa sonora, superlative, senza un'ombra di coda o di rimbombo.
    Insomma, disco dell'anno senza tanti contendenti.
    Quando ti viene da esclamare "Magnificat anima mea dominun" non c'è molto altro spazio per gli altri (magari, per lo strumentale, per il magnifico Frescobaldi di Corti, così restiamo nella stessa epoca, stessa nostra cara Italia, madre della musica occidentale).
  20. M&M
    Calendario eventi.
    Mi sfuggisse qualche cosa e qualcuno ne è al corrente, sarò grato di ogni segnalazione.
    Grazie.
    ***
    PROVVISORIO
    ***
    Febbraio
    25 – 26 Test Curbstone (GT, Prototipi)
    Marzo
    2 – 3 Speer Racing test
    16 – 17 Test Kateyama (GT, TCR, Prototipi)
    19 Trackday Pistenclub
    23 Coppa Milano Sanremo
    28 – 29 Test Kateyama (GT, TCR, Prototipi, Formula)
    Aprile
    1 – 2 FX Racing Series
    4 – 5 Test Kateyama (GT, TCR, Prototipi)
    14 Test Porsche Carrera Cup Italia
    16 ACI Storico Festival
    22 – 23 Fanatec GT World Challenge Europe
    24 Curbstone Sports club
    29 – 30 Festival dello Sport
    Maggio
    2 Test Kuno Schaer
    5 – 6 Niki Hasler Trackday
    16 – 17 Speer Racing test
    24 – 25 Ferrari F1 Clienti – Programma Ferrari FXX
    30 – 31 Test Kateyama (GT, TCR, Prototipi)
    Sulla nostra pagina Eventi a breve il calendario da scaricare sul tuo cellulare
    Giugno
    5 – 6 Test Kateyama (Formula)
    10 – 11 Monza 12H Creventic
    13 – 14 Test Gedlich Racing (GT, Formula)
    16 – 18 Milano Monza Motor Show
    23 – 25 ACI Racing Weekend 1
    Luglio
    1 – 2 Time Attack Italia
    7 – 9 WEC 6h Monza
    14 – 16 Porsche Sportsclub Suisse
    22 Monza Power Run
    Agosto
    3 – 4 Test Kateyama (GT, TCR, Prototipi)
    Settembre
    1 – 3 Gran Premio d’Italia
    16 – 17 ACI Racing Weekend 2
    22 – 23 – 24 GT Open (TCR Europe, Euroformula Open, Boss GP)
    Ottobre
    15 Trackday Pistenclub
    16 – 17 Guidare Pilotare
    Novembre
    2 – 3 Test Kateyama (Formula)
    Dicembre
    1 – 3 ACI Rally Monza
  21. M&M
    Se puoi sognarlo puoi farlo.
    Oggi, 18 febbraio (1898) si ricorda il compleanno del Drake.
    L'uomo che ha vissuto nel mito ogni giorno della sua vita.
    Tanto che a distanza di 35 anni dalla sua dipartita da questo mondo, l'ultima nata di Maranello non può che tributargli l'onore di compiere i suoi primi giri di pista nel circuito di casa il giorno della sua di nascita.

    Il piccolo Charles Leclerc avrebbe convinto Ferrari con il suo spirito, degno di rappresentare la casa dei sogni, come il mai troppo compianto Villeneuve.
    L'auto, presentata ieri ma che oggi ha fatto il suo debutto simbolico tra le nebbie padane, è indubbiamente brutta.
    Ma audace.
    Diventerà bella perchè vincente ? Si dovranno attendere 5 settimane per saperlo. Le chiacchiere del nipote di Agnelli per ora stanno a zero.


     
    Intanto, buon compleanno Ingegnere, con questa (bella) rossa da 1000 CV.

  22. M&M
    I due quartetti per pianoforte e archi di Mozart sono autentiche perle.
    Il n. 1 in Sol minore, K. 478 è del 1785.
    Fa parte di una commissione dell'editore Hoffmeister per tre composizioni da destinare al pubblico amatoriale.
    Nei fatti, Mozart andò troppo oltre, proponendo una composizione in cui quattro dilettanti difficilmente riuscivano a mantenere l'insieme.
    Mozart lo pensava per il fortepiano, il pubblico lo avrebbe affrontato al clavicembalo.
    Oggi si esegue esclusivamente o quasi al pianoforte, ottenendo così l'ampia gamma espressiva richiesta.
    E' una composizione di oltre 30 minuti - e già qua i dilettanti - con un primo allegro che è nella realtà piuttosto drammatico, anzi quasi sconvolgente, operistico sarebbe più appropriato definirlo.
    I cui toni si distendono gradatamente per sfociare poi in un andante molto grazioso e pacifico.
    Il rondò finale è un gioiello di leggerezza, molto frizzante e pieno di gioia.
    Pur liberato dalla commissione, Mozart completò un secondo quartetto qualche mese dopo, catalogato al K. 493, che è in mib maggiore.
    Questo resta impegnativo nelle parti ma è tutto molto grazioso, dalla prima all'ultima nota.
    Però raggiunge i 38 minuti e dispari.
    Molto più della durata di una sinfonia mozartiana standard.
    Con Mozart in vita probabilmente non furono nemmeno eseguiti. E come altri capolavori destinati al pubblico dilettante, le stampe - comunque effettuate per entrambe le composizioni - restarono invendute in negozio.
    Eppure si tratta di composizioni rivoluzionarie che arrivano insieme a due concerti importanti come il K 466 e il K 467 e poco prima della prima stesura delle Nozze di Figaro e dell'altro straordinario concerto K. 491.
    Mozart non si limita al compitino di allestire una sorta di sonata per pianoforte accompagnato dagli archi ma costruisce due veri e propri concerti per pianoforte e gruppo d'archi, con una dicotomia di fraseggio contrappuntistico impegnativa.
    Fondando di fatto la musica da camera moderna per pianoforte e archi.
    Ovviamente si comprende quanto la parte pianistica sia fondamentale, complessa, preminente.
    ***
    Questo confronto mi è stato suggerito dall'uscita ravvicinata di due edizioni diverse. Sono Quartetti che non godono di grande successo discografico recente e questo mi ha un pò sorpreso.
    In agosto è uscito un disco con una compagine abituata a suonare in pubblico :

    edita da Chandos
    mentre pochi giorni fa è stata la volta di una formazione più improvvisata, capeggiata da Renaud Capucon

    per Deutsche Grammophon.
    Mi perdonerà il simpatico Renaud ma io lo trovo spesso un pò troppo leggero e superficiale, tendo a preferirgli il più passionale fratello Gautier che qui non si prestato all'esperimento.
    E non credo avrebbe fatto la differenza.
    Nei due dischi la parte del pianoforte è fondamentale, come dicevamo.
    E Federico Colli nel disco Chandos ha decisamente centrato il suo ruolo, offrendo precisione, tempi e ritmi ma al contempo rendendo ogni ripetizione diversa, con abbellimenti e ornamenti liberali, di gran gusto.
    Nel complesso l'esecuzione è più bella e densa, per entrambe le composizioni.
    Probabilmente ha giovato il fatto che questo gruppo ha portato in concerto questi due quartetti e quindi è andato oltre le prove.
    La formazione "francese" sembra che invece si sia intrattenuta giusto per le prove (mi sbaglierò, magari) e questo si sente.
    Ma Guillaume Bellom, il pianista, mi sembra un pò troppo rococò e pedante, facendo perdere brillantezza a tutto l'insieme che poi si perde anche nella costruzione complessiva.
    Pur giovandosi di tempi più veloci dell'altra compagine che, viceversa, sembra più rilassata.
    Insomma, grazie a Federico Colli - perché i pur bravi Capucon e Dego poco possono aggiungere in queste composizione, non essendo pensate per evidenziare il violino - per me vince Chandos.
    ***
    Ma sarei disonesto se omettessi di dire che il mio riferimento, che mi accompagna dal primo ascolto nell'ormai lontano 1984 è quello dell'inossidabile Beaux Arts Trio con Bruno Giuranna alla viola.

    con la registrazione tersa e brillante dell'ineguagliata Philips di quegli anni.
    Perché ?
    Perché Menahem Pressler è ... Mozart quando suona Mozart.
    E' vivace, intelligente, leggero e conciso, fantasioso, brillante.
    Leporello con l'esperienza del Conte.
    Inarrivabile. E i suoi tre amici inappuntabili in ogni nota.
    Difficile andare oltre. Per quanto ne sappia io.
  23. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    The Muse : Nino Gvetadze, pianoforte
    musiche di Johannes Brahms e Clara Wieck
    Challenge Classics, 3 novembre 2023, 48/24, via Qobuz
    ***
    Non c'è libretto allegato a questo album, ho cercato sul sito dell'etichetta ed ho trovato il riferimento ad Elisabeth von Herzogenberg oltre ovviamente a Clara Schumann.
    Amiche, confidenti, critiche, capaci di recensire le partiture che Johannes mandava loro in anteprima rispetto alla pubblicazione.
    Entrambe morte prima del povero Hannes.
    Elisabeth, per un paio di lezioni anche allieva di Brahms che però rinunciò subito perché "non aveva nulla da insegnarle".
    Nel programma, le variazioni Handel che sono state in qualche modo ispirate da Clara, le due rapsodie Op. 79, dedicate ad Elisabeth, i tre intermezzi Op. 117, ispirate a Brahms dalla morte di Elisabeth, la romanza Op.21/1 di Clara a chiudere il disco.
    Insomma, d'accordo sul programma, sul nome, sul tema.
    L'interpretazione però non mi pare che si inserirà nella discografia di riferimento per queste opere.
    Se le variazioni sono piacevoli, le due rapsodie mancano un pò di mordente, stentano a decollare e diventano subito ripetitive.
    Le tre ninna nanne (questo sono gli intermezzi Op. 117) a me sembrano soporifere, e solo per questo conciliano il sonno.
    La romanza, non pervenuta.
    Quindi il disco è spiacevole ? No, almeno per la prima parte.
    Per questo ho esplorato la discografia, indiscutibilmente vasta di questa pianista georgiana. Ed ho trovato alcune cose interessanti.
    Però al di là dell'apprezzabile sensibilità di tocco, molto femminile, non mi ritrovo generalmente con i tempi rilassati scelti.
    Per carità, non è che sia sempre necessario fare certe prove di forza dei virtuosi di oggi, però alcune cose pretendono una verve che qui non trovo.
    Certamente è colpa mia.
  24. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    WAVES : Music by Rameau, Ravel, Alkan - Bruce Liu, pianoforte
    Deutsche Grammophon, 3 novembre 2023, 96/24, via Qobuz
    ***
    E' un disco di esordio ed andrebbe valutato con indulgenza.
    Ma è anche una compilation di musica che lega tre autori che più slegati non ce ne sono.
    Che sono accomunati tra loro solo dalla lingua comune.
    Nei fatti il Rameau è poco naturale. Suonarlo al pianoforte  come fa Sokolov, estraendone tutta la leggerezza del barocco più effettistico, ha un senso, ma qui il risultato non convince.
    Nemmeno Ravel, piuttosto intellettuale, che perde molta della sua natura ipnoticamente impressionistica.
    Restano gli studi di Alkan, compositore cui io non sono particolarmente legato ma che invece vanno al punto con umorismo e bravura.
    Probabilmente Liu dovrebbe decidere, nel prossimo disco - non sappiamo che cosa abbia in repertorio nei recital - di essere un pò meno audace nel programma (ma magari la responsabilità è dei discografici), per mostrarci cosa ha veramente nelle sue corde.
    Tecnicamente non abbiamo dubbi che sappia dominare un pianoforte importante (forse un Fazioli).
    Registrazione tesa e vivace, nel complesso, buona.
  25. M&M
    frontespizio a stampa dell'edizione commerciale delle variazioni su un tema di Haydn di Brahms (4 marchi e mezzo, all'epoca), edita da Simrock a Berlino e già catalogato come Op. 56b
    Dal Divertimento (Feld-Parthie St. Antonius n. 6) in si bemolle maggiore, Hob 46, composizione in quattro movimenti per 2 oboi, 2 fagotti obbligati, fagotto continuo, serpentone (controfagotto), 2 corni (data di composizione sconosciuta e compositore sconosciuti ma attribuita all'epoca a Joseph Haydn) il cui secondo movimento é il corale di Sant'Antonio che ha dato origine alle celebri variazioni di Brahms.

    parti orchestrali in una edizione stampata francese
     

    autografo originale di Johannes Brahms, versione per due pianoforti (di pugno in italiano : pianoforte I e pianoforte II sulle quattro righe in parentesi graffa a sinistra), il tema andante iniziale.

    “ A volte rifletto sulla forma della variazione e mi sembra che dovrebbe essere più contenuta, più pura. I compositori dei vecchi tempi erano soliti attenersi strettamente alla base del tema, come il loro vero soggetto. Beethoven varia la melodia, l'armonia e i ritmi in modo così bello. Ma mi sembra che moltissimi moderni (compresi noi stessi) siano più inclini - non so come dirlo - ad agitarsi sul tema. Ci aggrappiamo nervosamente alla melodia, ma non la gestiamo liberamente, non ne facciamo davvero nulla di nuovo, la sovraccarichiamo semplicemente. E così la melodia diventa del tutto irriconoscibile. "

    Brahms, lettera a Joseph Joachim, Dusseldorf, giugno 1856
        
    Questa è l'ultima opera per pianoforte su larga scala di Brahms, composta durante un ritiro estivo a Tutzing, 1873. CF Pohl, biografo di Haydn e bibliotecario della Società Filarmonica di Vienna, fornì a Brahms il tema - "Corale di Sant'Antoni" - all'epoca erroneamente attribuito a Haydn. Sebbene non si sappia con certezza se la versione per pianoforte (op.56b) precedesse la versione orchestrata (op.56a), è noto che per primo rivelò la versione a 2 pianoforti a Clara Schumann, e due mesi dopo presentò la versione per orchestra al suo editore. 
     
    Tema. Andante (si bemolle maggiore)
    Variazione I. Poco piu animato (si bemolle maggiore) Variazione II. Piu vivace (si bemolle minore) Variazione III. Con moto (si bemolle maggiore) Variazione IV. Andante con moto (si bemolle minore) Variazione V. Poco presto (si bemolle maggiore) Variazione VI. Vivace (si bemolle maggiore) Variazione VII. Grazioso (si bemolle maggiore) Variazione VIII. Presto non troppo (si bemolle minore) Finale. Andante (si bemolle maggiore) Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 2 trombe, timpani, triangolo, archi
    Composizione: 1873
    Prima esecuzione: Vienna, Großer Musikvereinsaal, 2 novembre 1873
    Edizione: Simrock, Berlino, 1874
    ***
    L'attribuzione della corale è dubbia, non è certo di Haydn, probabilmente di Ignace Pleyel che era stato allievo di Haydn. Non si trovano nemmeno altre allusioni alla Corale in onore di Sant'Antonio in Austria.
    Fatto sta che deve aver colpito Brahms per la sua forma pulita in 10 battute, seguite da altre due frasi di 5 battute l'una. Struttura che Brahms mantiene per tutte le successive variazioni, dopo aver citato fedelmente la Corale all'inizio della composizione.
    Nella realtà oggi sappiamo che in tutto il pezzo solo una breve allusione alla sinfonia "dell'orologio" richiama realmente ad Haydn, ma poco importa.
    Non importa nemmeno se la prima stesura - suonata con Clara Schumann su due pianoforti - sia la versione originale o una riduzione di quella orchestrale.
    Come le due serenate per orchestra le variazioni per orchestra rappresentano la prova generale verso la sinfonia per Brahms, passo lungamente meditato fin da quando Schumann aveva letto nelle sonate giovanili per pianoforte elementi sinfonici, non semplicemente pianistici.
    Sappiamo che Brahms aveva una profonda frequentazione con la musica antica, non solo Bach e l'amatissimo Handel ma anche Schutz e molti compositori rinascimentali italiani.
    La chiave per queste variazioni e l'apertura finale verso il mondo sinfonico, è infatti il contrappunto classico, basato sulla linea di basso e la variazione.
    Si aggiunge in questo caso un finale che anzichè una fuga, come avrebbe fatto Beethoven e come farà Brahms nelle variazioni Handel, è una passacaglia.
    ***
    Credo che la versione per due pianoforti mostri più chiaramente la struttura delle variazioni, liberando un pianista dall'articolazione completa - realmente sinfonica - che lo avrebbe schiacciato alla tastiera.
    Quella orchestrale è più pastorale nella scelta degli strumenti e nel tono.
    Infatti generalmente differiscono di gran lunga nell'interpretazione.
    Per la versione a due pianoforti ne segnalo due opposte, una classica con Emanuel Ax e Yefim Bronfman

    che è accoppiata alla fantastica sonata in Fa minore Op. 34b (ovvero la versione per due pianoforti del meraviglioso quintetto con pianoforte nella stessa tonalità op. 34a)
    Mentre più veemente e forzata, in qualche momento anche sopra le righe ma assolutamente vibrante, quella del duo Yordanova e Kyurkchiev che ho scoperto oggi.
    Ascoltatela e non vi annoierà di certo.

    Sono decine e decine invece quelle orchestrali, praticamente contenute in ogni integrale sinfonica.
    Potete scegliere la vostra, io ne prendo due italiane.

    quella di Toscanini alla testa della sua NBC Orchestra, contenuta nella integrale RCA e quella straordinariamente tersa, accoppiata alla quarta sinfonia di Claudio Abbado nel suo momento magico con i Berliner

    più lenta e lirica, fatta di grandi arcate magniloquenti.
    Ma, ripeto, ne troverete a decine, più o meno interessanti.
    ***
    Che dire nel complesso ? Non mi permetto certo di dare un giudizio di merito a Brahms che il mio compositore di riferimento dopo Bach.
    Ma questo è stato solo il primo passo nel contrappunto sinfonico e probabilmente anche la prima grande composizione per orchestra nella forma delle variazioni della storia.
    Nei venti anni successivi verrà molto altro.
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