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Mauro Maratta

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Blog Entries posted by Mauro Maratta

  1. Sibelius e Prokofiev : Jansen/Oslo Philarmonic/Makela - Decca

    Sibelius : concerto per violino e orchestra
    Prokofiev : concerto per violino e orchestra n. 1
    Janine Jansen, violino (Stradivari Shumsky-Rode 1715)
    Oslo Philarmonic diretta da Klaus Makela
    Decca, 6 giugno 2024, 96/24
    ***

     


     
    Dream Team ?
    Il concerto di Sibelius è il preferito di Janine Jansen.
    Questo è il primo disco in cui registra un concerto da nove anni.
    L'intesa con Makela e l'orchestra di Oslo sembra sensuale. Anzi, lo è, guardando le foto delle prove e della registrazione.
    Il nuovo Stradivari (non suona più il "suo" Baron del 1709) ha un timbro più aperto, meno gutturale.
    La registrazione è oltre l'immaginabile con bassi ultradinamici, alti chiari, medi setosi, potenza "setosa" che chiama a gran voce di alzare il volume.
    La musica
    Come altre cose di Sibelius il concerto per violino ha avuto una stesura travagliata. Nella versione finale è una composizione che vive di silenzi e sussurri all'inizio che via via lasciano il posto al dialogo tra le forze, alla gioia, ad una straordinaria vitalità.
    Più giovane di 20 anni, il primo di Prokofiev, scritto praticamente in viaggio e terminato nell'arrivare in Spagna. Vicino alla Cenerentola e comunque al periodo d'oro della musica dell'esule lontano dalla Russia Bolscevica (il perché poi ritornerà in patria per farsi angariare da Beria e gli altri sgherri di Stalin non lo capiremo mai, perché non siamo russi).
    Come quello di Prokofiev parte quasi sottovoce e poi cresce con il violino che letteralmente balla e volteggia sugli accordi degli archi dell'orchestra.
    Per entrambi i compositori il ruolo del violino è straordinariamente importante ma non è di quelli che relegano per questo l'orchestra sullo sfondo.
    Il dialogo è profondo, non solo tra gli archi, i fiati hanno momenti solistici e in generale ricamano sulle note del violino.

    Entrambi orchestratori straordinari e profondi conoscitori di ogni sonorità dell'orchestra.
    La scelta di abbinarli in questo programma è assolutamente condivisibile.
    I protagonisti
    Makela è un astro nascente. Giovanissimo eppure già disinvolto, dotato di una personalità straripante, con l'Orchestra di Oslo che lo segue con grande ardimento.
    E' di formazione violoncellista e quindi il rapporto con gli archi è connaturato nel suo modo di essere. E si sente.
    Se avete in mente l'integrale di Sibelius emesse sempre da Decca, pensate all'inizio della Terza Sinfonia. E' una lettura unica, tra le tantissime disponibili.
    Qui è uguale, con l'aggiunta che le atmosfere create in ogni scena è a seconda delle necessità, fiabesca (Prokofiev) o epica (Sibelius) con l'inserimento dei fiati su un tessuto setoso che sembra il ricreare della vita celata del sottobosco, dove si nascondo migliaia di creature invisibili, all'imbrunire.
    Janine Jansen è la migliore violinista della nostra epoca. Dà il meglio di se in concerto. E per Sibelius segnalo sempre l'interpretazione Jarvi (da legare alla loro prova del concerto di Britten).
    Se la guardate sul palco sembra danzare, mai ferma, lanciando sguardi di intesa e di approvazione a tutti quelli che suonano con lei.
    Guardarla è un piacere.
    Ma è un piacere ancora più coinvolgente, ascoltarla.
    Il suo suono si è dovuto adattare al nuovo Stradivari, quello di prima già le aveva concesso di raggiungere vette elevatissime. Forse ha avuto bisogno di un pò di più per sentire del tutto questo nuovo strumento che ha una voce più chiara e un pò più "impertinente".
    Le sue doti tecniche sono indescrivibili ma dove stacca praticamente ogni altro interprete della nostra epoca in questo repertorio concertistico è nell'emozionarsi e nell'emozionare.
    Non sono in grado di trasmettere le sensazioni che provo mentre la ascolto, credo che chi non è capace di provarle a sua volta non lo capirebbe.
    Le due prove qui sono del tutto personali. Quasi scontata la lettura di Sibelius.
    Il Primo di Prokofiev da lei non l'avevo mai ascoltato. Ho l'abitudine a letture più fredde (per esempio quella mitica di Mintz con Abbado per la DG di trenta anni fa).
     

    Ma già dalle foto del libretto, in un bellissimo bianco e nero, trasmette vita, vitalità, amore, passione.
    Come non innamorarsi di Lei e della Sua musica ?
    Per me, impossibile.

    insomma, io piango quando la ascolto nel Secondo di Prokofiev.
    Qui ci sono momenti poco "canonici", probabilmente. A momenti sembra Chaikovsky, a momenti sembra Britten.
    Ma io sento Jansen. E mi piace ancora di più che nel secondo.
    La registrazione
    L'ho già anticipato per spoiler, lo confermo. Over the top.
    La dinamica pretende un impianto di prova.
    Il violino è terso ma ogni strumento ha il giusto rilievo.
    I bassi sono eccezionali.
    La tonalità è calda.
    I miei complimenti a Jorn Pedersen e Arne Akselberg (Oslo, 5-7 giugno 2023).
    Disco che fila in cima di diritto a qualsiasi classifica, senza confronti.
    Un bonus disponibile solo in streaming, il duetto (con Makela al cello) non citato nelle note di copertina.
    Quarantesette secondi di pizzicati.

    la foto da noi ricavata da Facebook ai tempi della registrazione lo scorso giugno (Sibelius si intuiva, Prokofiev si rilevava dalla copertina della partitura in mano a Klaus)

    Janine insegna in Norvegia (se non si è già stancata), Klaus è sempre da quelle parti.
    Speriamo che questa non sia la loro ultima registrazione insieme. Con tutto il rispetto per Pappano e Jarvi. Ci vuole anche sangue fresco ...
     
  2. Yuja Wang : The Vienna Recital

    Yuja Wang : The Vienna Recital
    musiche di Albeniz, Beethoven, Scriabin, Kapustin, Ligeti
    DG 96/24, 3 maggio 2024
    ***
    Avevo deciso di non recensire questo disco.Come per quello di Rachmaninov pubblicato lo scorso settembre insieme all'altro "fenomeno" DG Gustavo Dudamel.
    Ma Giovanni mi ha segnalato un video su YT di un noto discografico italiano, che conosco personalmente e sulle cui posizioni sono in larga parte concorde (non sempre e non su tutte).
    Non discuterò di quel video in questa recensione, mi limiterò a dire la mia opinione schietta e spassionata.
    Io non sono un professionista, scrivere di musica non mi costa niente e soprattutto non mi fa venire nulla in tasca. Ascolto musica per piacere, per svago, per passione. La musica è la mia vita.
    Non credo affatto che i pianisti che vengono dall'oriente non capiscano nulla della nostra cultura.
    Ci sono musicisti cinesi, coreani, giapponesi che suonano Bach come se fossero nati e cresciuti in Sassonia e prendessero la Comunione in rito luterano ad ogni Santa ricorrenza.
    Però c'è lo show business e ci sono discografici che per vendere in un mercato che è ampiamente dissolto, puntano allo spettacolo.
    Che Yuja goda nel farsi vedere mezza nuda sul palco ricoperta di applausi ci sta, è ancora molto giovane. Se le piacciono le scarpe francesi col tacco da 14 cm e le minigonne ascellari, fa bene ad indossarle e a collezionarle.
    Però culturalmente non è a lei che tocca produrre una proposta discografica. Ci sono etichette che senza scritturare super-star come Wang o Lang Lang, offrono ai loro musicisti sotto contratto esclusivo ampia libertà anche di proporre cose complicate, strane, qualche volta bizzarre o inascoltabili.
    Abbiamo esempi innumerevoli già sulle nostre limitate e modeste pagine.
    Se DG volesse, potrebbe tornare oggi a fare la Walkiria di Karajan, il Mahler di Sinopoli, lo Strawinsky di Ozawa e il Berlioz di Bernstein (se non fosse, incidentalmente, che tutti quegli interpreti adesso suonano insieme ai loro compositori preferiti).
    Mentre preferisce cercare di scalare le classifiche di vendita con dischi programmatici tipo Ora Blu o Ora Dorata e altre amenità simili.

    Per un pubblico che beve di questa musica e per una etichetta che cerca la coscia bombata e l'effettone per quel pubblico, una pianista dovrebbe metterci del suo ?
    Non lo so.
    Ma io ho visto modestia e arte e ascoltato passione dalla Wang al Festival di Verbier. Per questo credo che abbia ben più di quanto sia disposta a dare adesso. Ci sia in quegli occhi - non in quelle cosce - un'anima musicale raffinata e struggente.
    Detto questo, il disco, si sarà capito, non mi ha detto proprio nulla.
    Anche nei momenti più eccezionali non si discosta dalla superficie. Il programma è malamente organizzato, certe scelte non significano nulla. Quel Beethoven è quasi "scolastico", messo li per raggiungere i 78 minuti massimi di capienza del CD (ammesso che qualcuno ancora compri i CD).
    Come il Rach di settembre si apprezza per poco, in quel caso è stata la Rapsodia, qui forse i bis. Nei bis Yuja dà sempre il massimo di se, perché si libera, forse, dall'onere del concerto e si lascia trasportare (ascoltare la trascrizione di Sgambati da Gluck o anche Brahms).
    Che la registrazione sia di elevata risoluzione non mi interessa. Alla fine il suono è secco e non aiuta il trasferimento della musica. Ma io non cerco un disco perché la registrazione è di livello elevato.
    Non faccio il discografico. Il mio mestiere è amare la musica.
  3. HIFIMAN HE6se - prova di ascolto

    Cuffie acquistate presso HIFIMAN Europe via Amazon, pagate 629 euro spedite a casa.
    All'uscita, queste cuffie, nel 2018, costavano 1800 euro.
    Rappresentano la seconda edizione delle mitiche HIFIMAN HE6 del 2010, famose per essere voraci di corrente, tanto che parecchi appassionati le utilizzano collegate ad un amplificatore per casse, all'uscita di potenza, per il tramite di un adattatore di impedenza.
    Il diaframma delle HE6 originale è a bassa sensibilità, pesante, rigido.
    La nuova versione non è così complicata ma resta la bassa sensibilità (circa 83 dB) che sull'impedenza di circa 50 Ohm richiede almeno 2 Watt minimo. Meglio 4 ...
    Il diaframma è circolare ed è caratterizzato da armature placcate in oro (di qui il maggiore peso e costo di produzione).
    Pesano. Circa 500 grammi.
    La struttura è quella tipica delle cuffie HIFIMAN con padiglione circolare.


    archetto e marchietto

    la caratterizzazione del modello

    dall'alto

    l'oro riluccica ... attraverso la griglia di protezione

    i terminali da 3.5 mm, tipici dell'ultima produzione HIFIMAN
    Eccole al banco di prova sopra al miniDSP Ears


    dettaglio del cavo in dotazione

    con il terminale XLR Neutrik

    nella scatola, unico accessorio, un adattatore XLR->JACK da 6.3 mm

    manuali e garanzie

    la scatola

    che è simile a quelle dei modelli di fascia alta. Si apre verso l'alto con una fettuccia in similpelle marrone

    l'interno è rivestito in simil-seta

    l'esterno è identico a tutte le altre scatole HIFIMAN


     
    Le prime impressioni.
    Non sembra un modello di questa fascia di prezzo (pensando ai 1800 euro originari al lancio).
    I padiglioni sembrano presi dalle HE400, l'archetto è pari a tutti i modelli della sua generazione.
    Il cavo è decisamente cheap, e tutto stropicciaticcio ...
    Ci sono i diaframmi dorati e poco altro.
    ***
    Andiamo alle misure.
    Sulle prime l'EARS non ne voleva sentire di ... sentirle ma poi ho calibrato meglio l'uscita e ci sono riuscito.

    la risposta effettivamente è estesissima, quasi piatta a 20 Hz, non ci saranno che 2 dB di calo rispetto ai 30 Hz.
    Sopra ai 100 Hz sale di 2-3 dB verso gli 800.
    Dopo c'è un avvallamento " a dorso di mulo" sulle frequenze medio-alte fino a 3000 Hz.
    Quindi la tipica fascia travagliata con un pizzo già a 4.000 Hz e poi vari picchi più in alto.
    Un confronto con altre cuffie dimostra a colpo d'occhio la differente sensibilità.

    ho messo anche le AKG K371 per dare una idea. A questo livello sono andate in clipping ed ho dovuto abbassare il volume di 20 punti per riallinearle.
    La sensibilità di quelle cuffie - chiuse, dinamiche e decisamente economiche rispetto alle due HIFIMAN di confronto - é di 114 dB a 32 Ohm. La bellezza di 30 dB sopra le HE6 SE.
    Ma ci interessa di più il confronto con le Arya allo stesso livello di alimentazione :

    le mie Arya sono meno presenti a 20 Hz (ma c'è musica a 20 Hz ?) ma molto più lineari sopra fino a 6-7000 Hz e anche sopra, nonostante a quelle frequenze oramai non ci sia più molto segnale registrato.
    La differenza di sensibilità è evidente : 8dB ai canonici 1.000 Hz, che coincidono con i dati di targa (83 contro 92 dB).
    ***
    Ascolto
    Ma prima qualche nota autobiografica.
    Ho quasi 61 anni e certo il mio udito non è più quello dei venti anni. E' evidente.
    Ho conosciuto le prime cuffie hi-end con un contatto illuminante con un modello di base Stax nell'oramai lontanissimo 1984.
    Con i concerti di Brahms per la coppia Barenboim-ZioGianniBarbirolli. Me ne innamorai.
    Ma il mio budget di primo impiego non mi permetteva di arrivare a delle elettrostatiche vere con tanto di elevatore di tensione dedicato.
    Ripiegai sulle ibride AKG K340, elettrostatiche sulle alte e dinamiche sulle basse.
    Che il negoziante - di un negozio che non c'è più da secoli - mi assicurò di aver venduto personalmente al Maestro Giulini.
    Le pagai l'equivalente con l'inflazione di circa 600 euro di oggi (250.000 lire per l'esattezza). Ma nella realtà credo che oggi una cifra del genere sia più vicina ad un valore reale di 1.000 euro.
    Che ritengo sia la cifra massima che debbano costare delle cuffie.
    A parte questo, il suono, l'ariosità, l'apertura delle cuffie planari per me è un dato obbligatorio con tutta la musica serie. Specie nella gamma vocale.
    Cuffie che debbono essere aperte perché sia del tutto estrinsecato il funzionamento a pistone planare del grande diaframma piatto di questi sistemi.
    Dopo Stax, sono diventato un fan di HIFIMAN, marchio cinese molto attivo sia sulle magnetoplanari che sulle elettrostatiche, con intere dinastie e generazioni di cuffie.
    Ci ascolto tutto. Ma la mia passione è il barocco, con il pianoforte e la musica sinfonica/cameristica del tardo romanticismo per la restante parte.
    Jazz e rock coprono si e no il 3% del mio tempo di ascolto.
    Chiarito il mio profilo, le mie aspettative restano che l'ascolto con le cuffie deve simulare per il più possibile dei sistemi tradizionali di diffusori - per quanto possibile - con in più il dettaglio e la precisione timbrica e di suono consentita dalle cuffie grazie alla breve distanza dall'orecchio e dalla più semplice catena musicale (niente cross-over, niente pasticci, segnale+amplificazione+driver).
    Il suono attorno ai ... padiglioni auricolari dipende molto dalle riflessioni tra le nostre orecchie e i diaframmi delle cuffie. Le cuffie chiuse fanno un lavoro opposto a quelle aperte.
    E via spropositando con queste ovvietà, senza mai dimenticare che ognuno di noi ha un udito diverso, non solo un differente gusto musicale.
    Questo a mente per dire che è inutile giudicare questi apparecchi dalle recensioni degli altri. Salvo che non ci siano dei punti del tutto coincidenti con più di una recensione di modelli che noi stessi conosciamo molto bene, sarà inutile considerare il parere di un altro senza ascoltare di prima mano noi quelle cuffie.
    Di qui la curiosità per queste HE6se dopo tutto l'hype del modello originale e la grande considerazione per questa riedizione.
    Che è uscita di produzione rapidamente mentre HIFIMAN ha dato fondo agli ultimi driver dorati disponibili, prima di dare via le macchine per produrli, con una successiva versione V2, che eredita l'archetto delle Deva e la finitura del padiglione in un pessimo viola shocking.
    Ok, Mauro, ma come suonano ?
    Ecco, al netto del fatto che sono da rodare e sono piuttosto rigide e al netto anche della differente sensibilità che mi obbliga nel passaggio con le Arya a regolare il livello per avere lo stesso volume, sono una delusione completa.
    Intendiamoci, mica suonano male, e che avete capito ?
    Solo che - che ne so, prendiamo lo scherzo della Nona - il colpo di timpano con le Arya sembra più voluminoso, più sontuoso, più ampio che quello, fermo e preciso delle HE6.
    In generale il basso delle Arya sembra più interessante, mentre quello delle HE6 sembra più tecnico e composto.
    Sugli alti, le HE6 sono più secche, mentre le voci sono indietro rispetto alla piacevolezza delle Arya.
    Ma nell'immagine le HE6 non ci sono, da nessuna parte. Sembrano cuffie chiuse.
    Ma non è che si voleva con le HE6 strizzare l'occhio a chi ama le cuffie chiuse ? E poi quando HIFIMAN è riuscita a fare planari chiuse le hanno dismesse ?
    Perché la tendenza adesso è fare diaframmi sempre più leggeri (stealth, nano etc. etc.) per migliorare il dettaglio a differenza delle HE, dure e pesanti che invece dovevano favorire il volume alle basse frequenze.
    Nella sostanza sono cuffie one-off che devono trovare - secondo me - l'amatore che si ritrovi con questo tipo di suono, guadagnando in piccole nuance dove si perde in quella naturalezza e facilità di ascolto tipico delle magnetoplanari mainstream HIFIMAN.
    Con l'aggravante che queste HE6se hanno i padiglioni sovraaurali e che necessitano di essere schiacciati sulle orecchie per avere un carico adeguato (cosa verificata anche in sede di misura).
    A conseguenza di cui la fatica di ascolto si somma a quella di indossarle.
    In conclusione. Le sto restituendo. Le mie Arya (per non dimenticare le Jade II, cuffie di una fascia superiore ma non paragonabili a queste), sono per me molto più gradevoli in tutto.
    Qualche recensore dice che le HIFIMAN HE1000se e Stealth riescono a mutuare le caratteristiche delle Arya con le HE6. Può essere ma se non lo sento con le mie orecchie, sinceramente non mi fido.
  4. Bach BWV 21 - Ich hatte viel Bekümmernis

    Cantata monumentale - circa 40-44 minuti - complessa e complicata.
    Composta a Waimar nel 1713 ma rivista poi a Lipsia in più occasioni.
    Ha un organico ampio ed è sostanzialmente divisa in due parti, la prima caratterizzata da profondo sofferenza (lutto) mentre la seconda è più leggera e termina in un coro di grande gioia e speranza.
    Si compone di 10 brani dopo una iniziale sinfonia che dura circa 3 minuti.
    La prima fonte autografe la classifica come "Concerto" "Per ogni tempo" e pare che nella sua prima veste di Weimar sia stata composta per le esequie di una donna della corte, celebrate l'8 ottobre 1713 nella chiesa di San Pietro e Paolo.
    Questa prima versione era probabilmente composta dai soli cinque numeri vocali (coro iniziale, due arie intervallate da due recitativi, coro finale).
    Ampliata l'anno successivo e riproposta il 17 giugno 1714 per la Terza domenica dopo la Santa Trinità (nel ciclo di cantate mensili sottoscritto da Bach), con i recitativo-duetto e l'aria e coro finali.
    Durante gli anni di Cothen probabilmente fu ulteriormente rivista e ridata in occasione di una visita di Bach ad Amburgo quello stesso novembre (occasione infausta, venendo a quattro mesi dalla scomparsa della prima moglie di Bach ma intonata all'occasione della prima stesura e al tono commiseratorio della prima parte della cantata stessa).
    Quindi rivista definitivamente a Lipsia dopo alcune ulteriori riprese a Cothen a conferma dell'amore dell'autore per questo lavoro.
    La revisione comunemente rappresentata oggi è quest'ultima di Lipsia con l'aggiunta della sinfonia iniziale.
    In questa versione (1723) abbiamo soprano, tenore e basso, coro a quattro voci complete e un organico che comprende  tre trombe e timpani per il movimento finale, quattro tromboni  ( solo nel Movimento 9 e solo nella 5a versione a doppie voci nella quinta strofa del corale), oboe, due violini, viola, e basso continuo con fagotto e organo esplicitamente prescritto.
    L’influenza italiana poteva essere immediatamente percepita nella musica di Bach durante la sua permanenza a Weimar. Nel coro di apertura di questa cantata, "Ich hatte viel Bekümmernis", si possono sentire chiari echi di uno dei concerti di Vivaldi.
    Ma se nella prima parte i toni sono particolarmente drammatici, nella seconda si sentono spesso tratti quasi operistici.
    La sinfonia altro non è che un adagio da un concerto per oboe e violino, forse perduto, dell'epoca.
    Il duetto tra primo violino e oboe concertanti è ripetuto nel corso della composizione.
    Il primo coro é un movimento fugale impostato sulla parola "Ich" ripetuta dalle quattro voci che poi si perde in una polifonia libera.
    Anche il coro finale inizia con un mottetto polifonico che poi sfocia in una fuga fatta di permutazioni con la prima tromba.
    Le entrate sono 14 - il nome J.S.Bach in notazione musicale - doppio di sette, secondo la cabala della vittoria pasquale di Cristo dell'Apocalisse.
    Quindi composizione grandiosa, vicina agli oratori e al Magnificat, di cui esistono decine di interpretazioni di pregio.
    Citiamo al solito quella di Gardiner (secondo Volume del ciclo del Pellegrinaggio, SDG del 2010), oltre a quella pregevole di Suzuki (vol. 2 del ciclo BIS del 2000).
    Immanente e solenne quella di Herreweghe per harmonia mundi del 1990.
    Ma ce ne sono sia di più recenti e filologicamente informate che meno, più antiche, come la classicissima di Karl Richter del suo ciclo di Monaco.
    Ma dovendone preferire una su tutte, citeremmo quella di Shunske Sato nella celebrata edizione in corso della benemerita Netherlands Bach Society, disponibile su Youtube.
    Brillante, a tratti effervescente, severa ma non troppo, con momenti di pura elevazione concertistica, praticamente con tutte le parti inappuntabili.
  5. Mendelssohn : le sinfonie - Paavo Jarvi/Tonhalle

    Mendelssohn : le sinfonie - Paavo Jarvi alla testa della Tonhalle-Orchester di Zurigo
    Alpha Classics 15 marzo 2024, formato 96/24
    ***
    Paavo non è nuovo ad operazioni di rivalutazione e rilettura come questa.
    L'ha fatto con Schumann a Brema e lo ha fatto benissimo.
    Non gli è riuscito allo stesso modo in altre occasioni ma ci ha sempre provato.
    E non è che un grande direttore possa fare da solo se l'insieme non lo aiuta.
    Qui la Tonhalle-Orchester lo asseconda perfettamente nel suo lavoro di alleggerimento di sovrastrutture aggiunte in epoca moderna.
    Mendelssohn va visto come il Mozart del primo romanticismo che, quando è drammatico, comunque ha una carica di umano ottimismo che fa scommettere sul lieto fine (con la sola, naturale, eccezione dell'ultima composizione pensata dopo la morte dell'adorata sorella e poco prima della sua).
    Però un conto è farlo con una orchestra settecentesca con strumenti d'epoca e parti reali, un altro con una articolata compagine moderna da 70 e più elementi.
    I tempi sono rapidi e i musicisti lo seguono senza problemi. Ma non manca la tensione giusta.
    In particolare nella quinta sinfonia, con momenti di pura emozione.
    Proprio mozartiana la prima sinfonia che qualcuno ha visto come un pò sbrigativa. Ma no, è il manifesto di questa edizione.
    Che si conferma poi nella terza, che spesso tende ad essere resa un pò troppo sdolcinata (non è questo il caso, le atmosfere sono fantastiche e si vedono le luci delle Highlands e delle Shetland).
    E, ovviamente, nella quarta, la più facile con tutti i suoi allegri e saltarelli.
    Ma la vera sorpresa è la seconda.
    Che anche nella recente edizione di Gardiner - la mia preferita prima di questa - restava un mattone.
    Qui è più una messa laica e sebbene i momenti solenni non manchino per niente, l'equilibrio tra voci soliste, coro e orchestra é tanto brillante che alla fine fila via.
    La prima volta l'ho ascoltata tutta mentre guidavo in autostrada verso Verona e ne sono rimasto impressionato.
    Ma riascoltandola se ne apprezzano sia la visione complessiva che il dettaglio e la cura per ogni parte, il cui impasto è dosato in modo eccellente.
    Credo sia, onestamente, il pezzo forte di questo cofanetto.
    Ma persino le musiche del "Sogno di una notte di mezza estate" di cui, lo confesso, non sono mai stato un grande fan, sono eccezionali.
    Tanto che lo riascolto volentieri ! E questo è il mio miglior complimento.
    La registrazione è chiarissima sebbene nelle note si dica che la sala non è stata la scelta migliore per assecondare il progetto di "rivalutazione" di Mendelssohn che Jarvi aveva in mente.
    Le dinamiche sono eccellenti e i bassi possenti. Da ascoltare con goduria da front-end di livello.
    In sintesi, Paavo Jarvi qui si conferma un grande direttore, all'altezza del padre (ma non è sempre così) e questa è la mia prima scelta per queste sinfonie (prima di Gardiner e di edizioni più storiche come quelle di Abbado e di Karajan).
  6. Benjamin Britten quarantenne ritratto dal grandissimo Yousuf Karsh nel 1954.
    Si può amare oppure detestare. 
    Credo sia difficile mettersi su posizioni mediane, oppure semplicemente trascurarlo.
    La sua importanza musicale è indubbia, di fondo è il più grande compositore inglese dopo Purcell (ma forse più grande di Purcell, con le dovute, evidenti differenze).
    Con buona pace dei tanti Elgar, Vaughan Williams, Walton & co. che hanno popolato il "rinascimento" musicale britannico di inizio XX secolo.
    I suoi lavori sono di indole introversa ma caratterizzati da episodiche esplosioni di pura potenza, simili a tempeste o deflagrazioni cosmiche.
    Eclettico, profondissimo - tra i massimi - conoscitori delle qualità cromatiche e coloristiche di ogni singolo strumento musicale, maestro dell'orchestrazione, del colore, degli accostamenti tonali ma al limite dell'atonale.
    Sarebbe potuto essere anche un grande stilista o un pittore ma sempre in bilico tra realismo assoluto ed accennato surrealismo.
    Estremo interprete delle pulsioni del secolo breve, senza indugiare troppo nello stucchevole narcisismo del linguaggio fuori dal mondo proposto dalla Seconda Scuola di Vienna ma nemmeno nell'eccessiva zuccherosa e autoindulgente nostalgia del perduto impero dei tardo-romantici compositori britannici della sua era.

    Benjamin e Peter, legati per tutta la vita
    Io non conosco e non amo particolarmente le sue composizioni operistiche e trovo ostiche certe sue pagine che però sono comunque somme in termini di pura scrittura musicale.
    Il suo travaglio personale traspare spesso, anche al di là delle influenze storiche (in primo luogo l'orrore per la guerra e i totalitarismi).
    Ancora di più le grandi amicizie musicali e di vita, oltre a Peter Pears, con Rostropovich, con Richter, grazie ad una naturale affabilità e bonarietà d'animo.
    Ottimo pianista, specie come accompagnatore, fine direttore d'orchestra, coltissimo. In vita inviso da molti colleghi e critici per le sue qualità compositive senza pari e perché troppo disinvolto cosmopolita, poco "inglese".
    In età matura scrisse musica complicata e abbastanza indigesta, io tendo a preferire le composizioni giovanili.
    Dichiarò più avanti che avrebbe potuto usare un linguaggio più difficile ma che questo avrebbe reso la sua musica non fruibile dalla maggior parte degli appassionati di musica mentre il suo obiettivo era farsi ascoltare.
    1
    Confesso che come tanti altri, l'ho conosciuto grazie alle proposte del grande Leonard Bernstein, specie nella bellissima "The young person's guide to the orchestra", ascoltata già alle scuole medie, insieme al solito "Pierino e il lupo".
    Al di là della sua destinazione "culturale" per giovani ascoltatori, le qualità di questa composizione sono inarrivabili.
    Per la profondità delle variazioni al servizio dell'orchestrazione che mette in luce tutti gli strumenti.

    la troviamo in questo sensazionale disco del 1961 con Bernstein anche nella sua felice e normale vita a New York, con la NY Philarmonic.
    Dal primo tema di Purcell alla fuga finale qui abbiamo la voce di un ragazzino che spiega l'ingresso degli strumenti ma sotto c'è tutta la consumata abilità di Bernstein che certo aveva grande ammirazione per il collega inglese.
    Ogni sezione dell'orchestra è valorizzata, anche negli strumenti più inusuali. Ma traspare l'amore per l'arpa e per le percussioni.
    Il bello dell'interpretazione è la doppia lettura, compositiva - e qui si sente tutto il Bernstein - nelle variazioni organizzate in prima lettura, fino alla fuga. E quindi nella versione divulgativa con lo speaker.
    Ma questo disco contiene anche una prima versione - molto tersa e diretta -dei fantastici Four Sea Interludes dal Peter Grimes.
    Bernstein li riprenderà a fine carriera, nel suo lancinante ultimo concerto con la Boston Symphony del 1991

    con un accostamento coloristico estremo con la 7a di Beethoven.
    Altrettanto immancabile è la Passacaglia, sempre dal Peter Grimes.
    Insomma, un primo disco imperdibile che associa pagine orecchiabili ad altre meno dirette ma non meno interessanti.
    La registrazione è eccezionale con livelli di bassi e dinamiche straordinarie.

    Di ascolto più complicato, la tarda Suite on English Folk Tunes, Op. 90 che completa il disco.
    2

    anche se in questo cofanetto Britten è direttore e pianista, non è possibile arrivare a capirne la maestria, senza conoscerlo.
    Ci sono pagine sensazionali in queste 31 ore di grande musica.
    A cominciare da una umanistica e dolora Johannes Passion tradotta in inglese da Imogen Holst e Peter Pears (1972).
    C'è l'amatissimo NH Mr. Henry Purcell con The Fairy Queen (anche qui con l'intervento culturale della figlia di Holst e di Peter Pears).
    C'é il meraviglioso Mozart, con lui solista, con Richter e quello indimenticabile con Clifford Curzon.
    La Fantasia D940 di Schubert, con Richter.
    L'Arpeggione con Slava Rostropovich. E sempre con Slava, la sonata di Shostakovich.

    Benjamin, Peter e Dimitri ad Aldenburgh per il festival musical patrocinato da Britten (1966)
     
    3

    Tornando al compositore Britten, adoro questo disco Chandos anche se contiene solo le Variazioni su un tema di Frank Bridge, composizione giovanile dedicata al suo professore e mentore, morto durante il suo viaggio negli Stati Uniti sullo scoppiare della guerra.
    E' musica per archi ma qui il compositore dimostra già una consumata abilità di orchestrazione e riesce con le sole voci delle sezioni di archi a costruire architetture contrappuntistiche complesse, come dimostrato nella Fuga Finale.
    Attenzione, la scrittura di Britten non ha nulla a che vedere con il modello Mozart, non c'è niente di classico. Le radici arrivano piuttosto da Tallis e Purcell - in questo c'è una inglesità simile a quella mostrata da Debussy per i compositori francesi classici - fusa con le strutture moderne di Mahler e Berg e i colori di Strawinsky.
    Un impasto originale, difficile da decifrare ma onestamente affascinante, a mio gusto.
     
     
    4

    ma naturalmente tutta la musica di Britten si trova, con l'autore sul podio in una serie di cofanetti editi da Decca.
    Il Vol. 4, per esempio, comincia con il concerto per pianoforte Op. 10 interpretato da Richter con Britten che dirige, per l'appunto, la English Chamber Orchestra.
    Sono registrazioni effettuate tra il 1954 - inizio dell'era stereofonica - fino al 1976, morte di Britten.
    Possono essere considerate le edizioni "autentiche" ma non per questo sempre esaustive.
    Segnalo tra le cose curiose, le Diversioni per pianoforte (mano sinistra) Op. 21 con il grande Julius Katchen

    questo singolo contiene la celebre registrazione dei due concerti di Britten (mi ricordo quando lo comprai, tanti anni fa

    e altrettanto questo, appena passato in digitale sul "nuovo" CD (nuovo per gli anni '80)

    come questo, con le edizioni di riferimento delle suite per violoncello con Rostropovich

    5

    i quartetti di Britten compongono un mondo tutto loro. Aggiungerei anche il fanciullesco e schubertiano primo lavoro, senza numero d'opera, ma i 3 catalogati coprono tutta la parabola compositiva dalla giovinezza all'ultimo periodo, con il 3° composto pochi mesi prima di morire.
    Ascoltarli e come fare un viaggio per il novecento, dagli anni della speranza fino a quelli dell'oscurità della guerra fredda.
    Qui ho scelto l'edizione del Takacs Quartet per la registrazione bellissima di hyperìon. Ma amo molto anche quella più fredda e apollinea del Belcea

    che oltre ai quartetti contiene anche i 3 divertimenti.
    Sono composizioni che oscillano a tratti tra Purcell e Haydn e la frase dopo, volano verso Bartok e Shostakovich.
    Trascurando tutto quello che c'è stato in mezzo.

    6

    ritengo il concerto per violino di Britten tra le pagine più belle scritte in questa struttura, non solo nel XX secolo.
    Tra le tante edizioni disponibili, quella che mi appassiona di più è l'edizione con Paavo Jarvi alla testa della LSO che accompagna la straordinaria Janine Jansen.
    Ma ci sono tante altre versioni interessanti, da quella di Vilde Frang alla recentissima di Isabelle Faust.
    E non escluderei quella all-british con Tasmin Little e la BBC Philarmonic diretta da Edward Gardner, pratocinata da BBC Radio e con Howard Shelley che suona il concerto per pianoforte

     
    il suono Chandos vale sempre il prezzo del "biglietto".
    7
    Ho citato il disco per violoncello DECCA con Rostropovich ma ci sono tanti dischi moderni molto interessanti.
    Questo del grande Truls Mork ci regala una registrazione "lavish" della sonata per violoncello op. 65 unendola a letture bellissime delle sonate di Debussy e di Frank Bridge
     

     

    mentre un altro disco magistrale e molto british è l'integrale delle suites con Jamie Walton per Signum Records.
    La registrazione è eccezionale, l'interpretazione chiarissima, tersa, essenziale. Bellissima (anche se la musica è complicatissima da seguire).
    8

    non vorrei assolutamente dimentica questo disco, altrettanto british, ancora Chandos, che qui cito per la bellissima e leggera Simple Symphony.
    E' l'Op. 4 del catalogo e questo ce le dichiara come giovanile, giustamente inserita insieme ad una bella e chiara versione delle variazioni coeve su un tema di Frank Bridge.
    Completa il disco un oscuro preludio e fuga Op. 29. Nove minuti e mezzo di assonanze e dissonanze a metà tra il tonale e l'atonale, contrappuntisticamente però ineccepibili.
     
    9

    le radici tardo rinascimentali inglesi (e quindi italiane) nella musica vocale di Britten sono fuse con la visione coloristica contemporanea anche quando hanno tematiche religiose.
    A Ceremony of Carlos unisce virtuosismi corali al suono delicato dell'arpa. L'impasto è bellissimo, specie in questa edizione dei The Sixteen.
     
    10

    Io credo che la sonorità particolare della voce e la sensibilità di Ian Bostridge sarebbero piaciute a Sir Benjamin Britten.
    In questo disco che contiene la serenata per Tenore, corno e archi, è accompagnato da Sir Simon Rattle.
    Il disco EMI/Warner è completato dalla più giovanile Les Illuminations e dal notturno crepuscolare Op. 60 e ci offre il modo di uscire da un circolo che sarebbe potuto continuare ancora più a lungo con altre letture ed interpretazioni di musica raffinata, colta, originale, irripetibile.
    Non per tutti i palati. Non era questo lo scopo di Britten, ma per chi lo riuscisse ad intendere, si.
     

  7. Harpa Romana - arie e cantate dei virtuosi del XVII secolo - Riccardo Pisani/La Smisuranza
    Arcana, 19 aprile 2024, formato 96/24
    ***
    Gli inizi del '600 segnano un periodo d'oro irripetibile per la musica di corte a Roma.
    I principi-vescovi mecenati, spesso in contatto con Parigi, forniscono l'occasione per un fiorire di virtuosi, compositori, operisti, cantori, solisti che si protrarrà fino agli inizi del secolo successivo quando ne beneficerà anche il giovane Handel.
    In questo disco abbiamo una performance che non esito a definire eccezionale da parte del tenore Riccardo Pisani, formatosi proprio come cantore pontificio ed oggi specializzato nel repertorio barocco e tardo-rinascimentale.
    La Smisuranza è un ensemble di tre arpiste (Chiara Granata, Marta Graziolino ed Elena Spotti) che suonano strumenti doppi, copie moderne della famosa arpa Barberini del 1633, celebre per il suo timbro chiarissimo

    Smisuranza è un neologismo che fa riferimento alla liberalità fantasiosa d'estro interpretativo.
     
    Il programma prevede brani di anonimi e di celebri musicisti vissuti a cavallo di '500 e '600, protagonisti della scena artistica romana, tra cui i più celebri sono certo Orazio Michi e Giovan Carlo Rossi (fratello di Luigi).
    Non manca una toccata per spinetta o liuto, qui portata ad arpa, di Girolamo Frescobaldi, in quel tempo titolare organista prima in Santa Maria in Trastevere e poi nella Cappella Giulia in Vaticano.
    Ma in fondo non ce n'era bisogno, le altre firme sono di veri virtuosi dell'arpa che musicano canzoni d'amore, liete e leggera.
    Possiamo immaginare l'evoluzione della musica sempre con lo scopo di intrattenere i principi, dalla semplice rima fino alla cantata profana.
    Espressività e virtuosismo, con strutture a due e tre voci, con basso melodia e basso.
    Siamo comunque ai confini con il teatro che in quegli anni si andava creando e che, nella forma italiana, romana e veneta, avrebbe "colonizzato" l'Europa per secoli nello stile del "bel canto" ornato.
    L'arpa era uno strumento antico, già in mano alle divinità greche e romane che vive in questo periodo un processo di ringiovanimento che si spegnerà circa un secolo dopo con l'affermarsi dello strumento demoniaco da sonare alla spalla (il violino).
    Difficile da trasportare e che richiede studio lungo ed approfondito e virtuosismo delicato, l'arpa si lega all'opulenza di quella società ricca ed esclusiva.
    In questo disco, arpe e voce si fondono insieme con liberalità di abbellimenti, trilli ed imitazioni, con una polifonia garbata ed elegante.
    Restando in tema papale, il disco si chiude, giustamente, dopo sospiri amorosi e struggimenti, peccati e infelicità e pene, con una laude dedicata alla Madre del Redentore, che rende definitivamente giustizia alle qualità eccezionali di Riccardo Pisani, avvolto nella suadenza delle arpe che tessono una trama di nostalgia e struggimento attorno al testo.
    Registrazione di un nitore e una chiarezza abbagliante. Da ascoltare con cuffie planari di fascia alta coadiuvate da elettroniche di classe. Oppure con diffusori aperti, senza inutili casse dietro ai driver, per una esperienza "dal vivo" che ci riporta alla meraviglia del primo barocco italiano.
     

  8. Benjiamin Britten :
    concerto per violino e orchestra Reveille Suite per violino e pianoforte, op. 6 due pezzi per violino, viola e pianoforte (prima registrazione mondiale) Isabelle Faust, violino
    Alexander Melnikov, pianoforte
    Boris Faust, viola
    BR Klassik (harmonia mundi), 12 aprile 2024, formato 96/24, via Qobuz
    ***
    Il concerto è una registrazione dal vivo da Monaco di Baviera, sede dell'orchestra della Bayerischen Rundfunks, del 28-29 ottobre 2021.
    Due parole sulle composizioni di questo programma, metà dal vivo e metà in studio (Berlino, agosto 2022).
    Il concerto, celeberrimo, pensato sul finire del 1938 e già del tutto abbozzato nel 1939 durante il viaggio di Britten in America.
    Orchestrato in settembre, durante l'invasione della Polonia, presentato in anteprima mondiale a New York il 29 marzo 1940 con il violinista spagnolo Antonio Brosa - dedicatario del concerto - e Sir John Barbirolli alla guida della NY Phil.
    Rivisto moderatamente negli anni '50, ha la classica forma in tre movimenti che però non hanno nulla in comune con il concerto classico/romantico.
    Tolte le reminiscenze beethoveniane degli echi dei timpani iniziali, la forma è contemporanea, simile al concerto per viola di Walton [1923], e al primo di Shostakovich [1948] (che a sua volta deve molto al primo di Prokofiev, 1923).
    Britten in età matura confessò che avrebbe potuto scrivere pagine molto più complesse di quelle che consegnò alla storia ma desiderava che potesse essere ascoltata con piacere dalla maggior parte degli appassionati di musica.
    E per fortuna, perché molta della sua musica è ostica, difficile, da eseguire ed ascoltare.
    Ma è di una raffinatezza e di un gusto straordinari.
    Prendiamo questo concerto che presenta difficoltà per l'esecutore elevatissime, al limite fisico in determinati passaggi, con un confronto solista->orchestra a tratti tesissimo, cambi di ritmo improvvisi, asperità e dolcezze che si susseguono senza apparente respiro.
    Momenti realmente "feroci" sebbene definiti come "animati" nel manoscritto, colori caldi, settembrini, opposti a tonalità invernali.
    Forse comuni, in parte, alle seguente Sinfonia da Requiem (1940), pensata sulle impressioni della guerra in atto ma ispirata ai macelli di quella precedente.
    Tutta un'altra faccenda il "Risveglio" [Reveille], "for Toni Brosa" del 1937 che segue il concerto. Probabilmente perché l'amico Toni non era solito alzarsi presto al mattino, e Beniamino gli indicava nella partitura, in italiano, "Andante - rubato e pigro".
    Nella realtà alla morbidezza del risveglio fa subito largo un incalzare ostinato e continuo di figure rapide e altamente virtuosistiche del violinista. Che doveva essere già ben sveglio in quel momento !
    I due brani finali, di rarissima esecuzione e qui registrati per la prima volta, sono opere giovanili dello studente sedicenne e con l'influenza del maestro Frank Bridge, violista appassionato.
    La suite invece, anche essa giovanile (1936) ha influenze che vengono da linguaggi moderni differenti. Possiamo richiamare sia Berg che Stravinsky ma ci sono anche influenze francese (sia Ravel che Debussy).
    Pur scritta a soli 21 anni, è un'opera colta, complessa, matura, strutturata e con tutti i connotati del Britten di successo.
    Anzi, se vogliamo, più pura di alcune, elaborate e faticose partiture del dopo guerra.
    I due strumenti giocano e dialogano prendendosi anzi, guadagnandosi, ognuno il suo proprio spazio.
    ***

    Ma veniamo al disco.
    Il concerto di Britten è uno dei miei preferiti e lo conosco profondamente. Credo che sia tra le pagine di riferimento per la letteratura di quello strumento, non solo per il XX secolo.
    Britten, a mio parere, richiede un preciso equilibrio tra razionalità astratta e passione viscerale.
    L'eleganza di Isabelle Fausta ci va a nozze ma nei momenti più estremi sembra che la celebralità un pò tutta teutonica la porti a frenare gli eccessi.
    Ne viene un pò attutita la forza esagerata che, nella esecuzione dal vivo, Janine Jansen con Paavo Jarvi mi coinvolge letteralmente.
    Per Isabelle sembra più una cosa di tutti i giorni (ma non l'ho potuta vedere dal vivo, quindi non lo posso dire).
    Il che non significa che la sua esecuzione non sia esemplare, come lo è sempre in assoluto in tutte le sue performance.
    Vorrei un pizzico in più di calore e di passione.
    Bellissimo il Reveille, che segue alla lettera le indicazioni dell'autore. Sensazionale invece la Suite, con Melnikov che conferma l'intesa perfetta con la sua compagna di tante performance.
    Dei due pezzi finali sono resi, con trasporto puramente viennese [seconda scuola], con echi di Hindemith e di Reger, insomma, un viaggio mitteleuropeo, il primo.
    Parigino e raveliano il secondo, con il violino petulante che evita di sovrastare la lamentosa viola (qui suonata dal fratello Boris Faust, non nuovo ad incisioni con Isabelle).
    Il disco si chiude con un'atmosfera di sogno (con tinte da incubo notturno) [con molto moto] che si contrappongono ai toni olimpici del [Moderato con moto] del primo movimento del concerto.
    La registrazione è magistrale, il tono del violino è chiaramente distinguibile (so che Isabelle ha suonato lo Stradivari Bella Addormentata del 1704, mi sembra quello ma nel disco non è indicato).
    Nel complesso un disco bellissimo che rende giustizia ad un compositore complesso ma straordinario, con musicisti assolutamente eccellenti (lo stesso direttore Hrusa è tra i più promettenti della sua generazione, sull'orchestra non c'è molto da aggiungere, è tra le migliori al mondo).
  9. HIFIMAN HE1000 Stealth

    Dapprincipio le cuffie HIFIMAN avevano solo padiglioni tondi sovraaurali.
    Poi, fedeli alla tradizione Stax, da cui volente o nolente anche il Dr. Fang è influenzato, sono arrivate quelle a padiglione ovali circumaurale.
    Nulla di nuovo, appunto, c'erano le Stax serie Sigma e le Lambda. Io ho sempre preferito le Lambda, nonostante le Sigma fossero più rinomate (e costose).
    Le Sigma si diceva che avessero bassi più potenti ma fossero più scomode da indossare. Le Lambda più rilassanti in tutto, le puoi tenere una giornata in testa e ad un certo punto ti dimentichi dove le hai messe.
    Stessa cosa delle HIFIMAN. Si mitizza delle Susvara, le ammiraglie "circolari" da € 6.000. Io credo che le troverei sgradevoli come ho trovato sgradevoli le Sundara e le HE6 SE.
    Riesco a farmi piacere le HE400 perché sono tutto sommato comode e perché, per 125 euro, suonano veramente bene. Ma mai per più di un'ora in testa.
    Fortuna che le Deva, circolari anche loro, per essere comode le hanno fatto circumaurali con il padiglione bello grande e nessuna pressione sulle pareti della testa.
    Ma sto divagando, torniamo alle nostre.
    Le HIFIMAN HE1000 sono sempre state tradizionalmente le ammiraglie di questa serie. Caratterizzata per l'appunto da un grande padiglione a forma di uovo con la griglia metallica esterna a protezione.
    All'origine costavano oltre € 3.500 ed erano sinceramente inarrivabili. Per questo HIFIMAN fece le Edition X, cercando di portare quel suono e quella struttura su cuffie da € 1.800.
    Ma la vera popolarizzazione del concetto è arrivata con le Arya (€ 1.800) e le Ananda (€ 900). I prezzi che indico sono quelli del lancio, non quelli correnti.
    Le Arya offrivano quel tipo di suono a metà prezzo.
    Per me fu una tentazione irresistibile acquistarle al volo. E da allora le uso e le apprezzo (nonostante l'arrivo più avanti delle Jade II, le elettrostatiche che hanno sostituito le mie vecchie Stax SR-404 Lambda Signature ...).
    Ma HIFIMAN non sta ferma e delle HE1000 hanno fatto prima le V2 e poi adesso le Stealth, approfittando dell'introduzione prima dei diaframmi ultraleggeri "nano" e poi l'arrivo dei magneti "invisibili" che danno il nome alla serie Stealth, cui fanno parte queste cuffie in prova.
    Così oggi abbiamo che le HE1000 Stealth in pratica costano come le Arya Organic che non sono altro che le Arya Stealth con il fianchetto in similvinile tipo legno. Come le HE1000 Stealth.
    E le Ananda costano la metà e anche meno.
    E poi ci sono anche le Edition XS che costano la metà della metà.
    Chi siano adesso le ammiraglie non è più chiaro. Cosa comprare ? Chissà.
    Delle Arya Organic (io non le conosco come non conosco le Stealth) si dice che siano come le HE1000 ma più brillanti.
    E dire che a me sembrano già piuttosto brillanti le HE1000 Stealth.
    ***
    Finito questo panegirico che serviva non a confondere le acque e le idee di chi si ripromette di acquistare ... le cuffie giuste e tenendo a mente che secondo me ogni magnetoplanare suona meglio a prescindere e che per avere il meglio non si deve necessariamente spendere oltre 3000 euro (specie se non si ha una catena a monte all'altezza ....), andiamo al nostro bene.
    Che arriva in una scatola di cartonaccio nobilitato da una sola fascia stampata, segno di contenimento dei prezzi

    in fondo non importa, le scatole delle mie cuffie non suonano e poi, finiscono subito in mansarda a prendere polvere.
    Però una volta la presentazione di cuffie costose era molto più sontuosa ...


    le mie arrivano dall'eccellente negozio Playstereo di Pescara, spedite al volo (sono un esemplare b-stock, ovvero una scatola aperta per demo, inusate, come testimoniato dalla necessità di fare il rodaggio pieno di almeno 150 ore).
    Giustamente nella scatola c'è un pieghevole che implora il proprietario delle cuffie di evitare inutili supplizi alle cuffie, tipo mettere in loop un giro di batteria sintetica al massimo del volume.
    Il rodaggio va fatto semplicemente usandole con programmi musicabili ascoltabili. Le cuffie maturano in testa. Come le orecchie che le ascoltano.

    dentro alla scatola, una scatoletta che contiene i cavi e sotto, tra la schiuma, le cuffie.

    ecco qua l'intero contenuto della scatola.

    il cavo bilanciato è di buona qualità. Io non sono un fan dei cavi costosi ma il fatto che sia incluso (anche se non è il modello crystal-plus) è un vantaggio.
    Nelle Arya ho trovato solo il cavo sbilanciato e mi sono dovuto far costruire appositamente un cavo speciale da un artigiano londinese per la modica cifra di un paio di centinaia di euro.
    Che questa volta ho risparmiato. Al costo di € 1.320 ho sia le cuffie che i cavi. Un bel risparmio rispetto ai € 1.840 complessivi delle belle Arya.

    pin dorati, ovviamente

    le griglie esterne in argento brillante

    anche l'archetto ripete lo stesso motivo.
    Unica concessione la scritta HE1000 in nero.

    I cuscinetti sembrano di qualità migliore di quelli delle Arya che si sono sbriciolati costringendomi a cercare un ricambio (subito seguiti da quelli delle Jade II).
    Però la pacchianeria del finto legno stampato in vinile era proprio necessaria ? Si, per distinguere questa versione dalle precedenti due !

    dettaglio del marchio, dell'articolazione e del meccanismo di regolazione della dimensione dell'archetto.

    la banda sotto all'archetto ricorda un misto tra sughero e cuoio. Speriamo che duri ...


    dettaglio dell'interno del padiglione, molto sobrio. Quelle zebre dovrebbero proteggere i diaframmi da polvere ed intrusioni (è così, ho smontato le Arya e per danneggiarle bisogna penetrare con una lama)

    viste artistiche

     


    indubbiamente rispetto alla sobrietà austera delle mie Arya fanno la loro figura.
    Andiamo alle specifiche.
    cuffie aperte circumaurali altoparlante magnetoplanare impedenza 32 Ohm sensibilità 93 dB risposta in frequenza 8Hz-65KHz. peso: 458g. la risposta in frequenza che ho misurato con il mio sistema miniDSP Ears :

    mostra una estensione notevole lato basse frequenze, ben sotto l'udibile (ho tagliato il grafico sotto ai 20 Hertz ma è lineare effettivamente a partire dai 10 Hertz), e fino a circa 1250 Hertz.
    Dopo di che ha il classico avvallamento sulle medio-alte fino a circa 3.000 Hertz per poi livellarsi di nuovo e proseguire sugli acuti in salita.

    confrontate con le mie Arya mostrano una evidente maggiore sensibilità - confermata all'ascolto.
    Le Arya sono più lineari fino all'estremo ed hanno la stessa estensione sulle basse.
    Sono meno squillanti sugli acuti.
     

    alle Arya ho poi cambiato i cuscinetti - quelli vecchi si erano consumati : il vinile cinese si era letteralmente sbriciolato - e il suono è cambiato diventando più potente sulle basse e sui medi ma restando comunque più lineare di quello delle HE1000 Stealth.
    E' possibile che col tempo anche le HE1000 si linearizzino. Alla prova originale le Arya somigliavano decisamente di più a queste HE1000 che a ... quello che sono adesso.
    Quindi mai trarre conclusioni guardando la risposta in frequenza di un esemplare di cuffie nuove.
    ***
    Mi fermo qui con questa anteprima.
    Nei prossimi giorni la prova di ascolto comparata.
    Che ovviamente dovrete prendere con le pinze in quanto del tutto soggettiva.
    Vi anticipo che ad un certo punto, visto che facevo fatica a capire, ho cambiato il motore.
    E al tradizionale Audio-GD R28 ho avvicendato il più muscoloso Audio-GD R27 HE, avendo finalmente un responso credibile.
    Ma dovrete attendere ancora qualche giorno perché ve lo confidi ...
    Rimanete in ascolto !
  10. una delle ultime registrazioni di Seiji con l'inossidabile Martha
     
    ***








     
    ***
    Con pochi anni meno di mio padre e gli stessi più di mia madre, ho sempre considerato una specie di zio esotico, il "giapponese" ma di fatto bostoniano, Seiji Ozawa.
    Praticamente appena diplomato, dopo una carriera da pianista interrotta da un incidente in una partita di rugby, vola negli USA con Charles Munch, diventa assistente di Bernstein a Boston, cui succederà alla guida della famosa Boston Symphony ininterrottamente dal 1973 al 2003.
    Autore di prime assolute, vincitore di una interminabile serie di premi, in contatto con i grandi e grandissimi, come Bernstein, per l'appunto, Karajan (Ozawa era membro onorario dei Berliner), Abbado che sostituirà alla guida della Wiener Staatsoper, eclettico, viscerale, appassionato, vitale, coinvolgente trascinatore di grandi orchestre.
    Mi è difficile immaginarlo come negli ultimi tempi, ridotto a muoversi a fatica, minuto e quasi filiforme.
    Per nostra fortuna lascia una sconfinata eredità discografica. E' un punto su cui dovrebbero riflettere le superstar della classica di oggi, troppo impegnate a fare tourné e workshop per fermarsi a registrare.
    Non si fa un CD per fare soldi oggi, si fa per permettere a chi non può raggiungerti in teatro di ascoltarti.
    Oggi, domani, per sempre.
    Una cosa che tutti gli allievi di Karajan hanno imparato frequentandolo.

    Non a caso la discografia di Ozawa è impossibile da riassumere.
    Dirò solo che comprende tutto e che ogni lettura è degna di nota.
    Ma soprattutto dove il colore, la passione e l'emozione, allora troviamo Seiji Ozawa, il piccolo, grande, trascinatore di orchestre in concerti leggendari.
     


     
  11. Bach für alle : 10 dischi per avvicinarsi a Bach

    La famiglia Bach fa musica, la domenica pomeriggio prima delle funzioni e dopo il pranzo.

    Bach è la musica, è sinceramente molto difficile consigliare la sua musica in soli dieci proposte.
    Ma si può provare.
    L'idea è di avvicinarla a chi è digiuno di Bach ma magari adora Chopin, Schubert, Mendelssohn, Liszt e Muzio Clementi.
    Scherzo, è una proposta per non specialisti. Senza offese per nessuno, evitando quanto potrebbe risultare indigesto a chi non è almeno preparato sul piano dell'ascolto.
    Ditemi che ne pensate, magari 
    ***
    1

    Six Concert avec plusieurs Instruments
    Ensemble Zefiro, Alfredo Bernardini
    Arcana 2018
    ***
    I sei concerti "brandeburghesi", perché dedicati a Sua Altezza Reale l'Elettore di Brandeburgo rappresentano il compendio della musica strumentale con più strumenti solisti dell'epoca di Bach, almeno secondo le partiture che passavano per le mani di Bach all'epoca.
    Bach non era come alcuni suoi contemporanei un viaggiatore. Non aveva la cultura cosmopolita di Handel e non era un celebrato musicista di corte come Telemann.
    Anzi, tra Dresda e Lipsia viveva alla periferia di quelle che erano le capitali della musica del suo tempo.
    Però ascoltando questi concerti, ricchi, vivaci, scritti per il tutti e per i soli, sentiamo la musica di Albinoni, dei Marcello, di Vivaldi.
    Musica condita in salsa francese, a cominciare dalla dedica e dai tempi alla francese - Polonaise, Menuet - ma strutturata con il contrappunto tedesco.
    Come dire la sintesi e la summa della musica strumentale per "orchestra" del tempo. Con formazioni da puramente cameristiche fino a comprendere trombe, corni, e tutti i fiati.
    Il cembalo per il basso continuo, nel quinto concerto produce uno dei primi esempi di concerto per clavicembalo e orchestra nella forma moderna che diventerà poi, attraverso i figli di Bach, il concerto per pianoforte e orchestra che abbiamo conosciuto poi.
    Ci sono cadenze, ci sono ritornelli. C'è sempre grandissima musica.
    Le interpretazioni disponibili sono innumerevoli. Quelle canoniche, quelle eretiche (ricordo persino quella di un giovanissimo Abbado più che altro impegnato tra Nono e Mahler, assolutamente lontano dalle scelte filologiche che iniziavano in quell'epoca).
    Ho scelto questa perché ad una compagine di musicisti eccezionali si unisce la lettura ortodossa all'italiana : con fioriture, abbellimenti, improvvisazioni, che, mi perdoneranno, ai molti musicisti del nord, non vengono altrettanto naturali, scaturendo così letture aspre, monocordi, troppo povere di invenzione per essere vere.
    I Sei concerti sono una prova straordinaria di conoscenza, di umanità, di virtuosismo (Bach stesso e i suoi figli potevano coprire la gran parte degli strumenti, esclusi i fiati) di inventiva autenticamente settecentesca ma che si presenta viva e ricca anche alle nostre orecchie.
    A differenza della maggior parte dei concerti grossi dell'epoca.
    ***
    2

    Sonate e partite per violino solo
    Christian Tetzlaff
    Ondine 2017
    ***
    Ho ancora vive le emozioni che la terza lettura del più assoluto tributo all'arte di toccare il violino mai scritto ha dato Christian Tetzlaff.
    Tetzlaff è normalmente freddo nella sua interpretazione. E il suono del suo violino non lo aiuta.
    Ma qui è entrato tanto intimamente dentro alle partiture da diventarne strumento.
    Una lettura personale, con accenti e tempi molto personali, anche discutibili sul piano formale.
    Ma anche senza chiamare in causa la solita, celeberrima Ciaccona (Bach usava il termine in italiano e non quello originale francese di chaconne), che certo ballabile non è, è veramente difficile staccarsene una volta cominciato ad ascoltare.
    Se fossero in vinile, quegli LP io li avrei già consumati.
    Anche qui le edizioni a disposizione sono un numero sconfinato. Ogni grande violinista ed ogni violinista che si crede grande si è cimentato o ha sognato di farlo con questo monumento.
    La multivocalità contrappuntistica ricreata con uno strumento monodico per concezione. Richiede all'esecutore - e all'ascoltare - capacità di concentrazione, di tenuta, di ... respiro, esagerate.
    Ma c'è poca musica in questo mondo che avvicina a ciò che c'è nell'altro come questa.
    Non l'ho messo al primo posto perchè, appunto, rispetto ai Sei Concerti, l'impegno richiesto all'ascoltatore può per molti risultare trascendente quanto lo sono le qualità che deve avere il solista per non darne una lettura banale.
    Con tutto il dovuto rispetto, non è pane per Joshua Bell (che per dare lettura della Ciaccona ha chiesto supporto  all'Accademy di San Martin in the Fields e ne è venuta fuori una tisana alle erbe).
    ***
    3

    Concerti per violino e orchestra
    Kati Debretzeni, violino
    English Baroque Soloists diretti da John Eliot Gardiner
    SDG 2019
    ***
    I concerti per violino e anche quelli ricostruiti per violino ma in origine scritti per uno strumento diverso (oboe, ad esempio) sono concerti all'italiana nei tempi, nella struttura e nello sviluppo.
    Ma intrinsecamente musica di Bach, non certo di Vivaldi.

    Ne abbiamo decine di raccolte, in stile filologico e non. Persino Oistrakh ne ha registrati.
    L'edizione che suggerisco è una visione parziale e contiene anche un concerto ricostruito (il BWV 1052 che c'è anche per clavicembalo) ma interpretata con tanta umanità sia dalla violinista che è il primo violino della compagine che la accompagna, sia dagli English Baroque Soloists diretti da John Eliot Gardiner che per Bach ha una malattia benigna.
    4
     

    Suite Francesi
    Murray Perahia, pianoforte
    Deutsche Grammophon 2016, formato CD
    ***
    Al pianoforte o al clavicembalo ?
    Poco importa purchè l'interpretazione abbia la carica umana e sensibile che ci mette l'eccellente Perahia nella sua recente lettura.
    Un doppio disco che si ascolta in un soffio, senza mai perdere una nota.
    Non c'è la cura maniacale nel tocco e nella diteggiatura di altre edizioni, né la lucida follia di Glenn Gould, ci sono invece fioriture, abbellimenti e arcate di ampio respiro.
    Ma soprattutto, una umanità rara.

    cercando lo stesso tipo di lettura, tranquilla, umana, sensibile, senza che sembri una corsa verso l'ultima nota, suggerisco al clavicembalo, questa volta, la lettura per la Bis di Masaaki Suzuki pubblicata nel 2003 nello sforzo ciclopico del giapponese di erigere una monumentale integrale-integrale di Bach sostanzialmente da solo e con il suo Ensemble.
    Anche solo per questo merita la considerazione che gli tributiamo.
    Le sei suite francesi sono un compendio dell'arte di toccare il clavicembalo secondo lo stile d'oltre Reno, secondo la visione di Bach nei suoi anni migliori.
    Brillanti, meno austere di quelle "all'inglese", sono un pezzo forte della formazione musicale tastieristica di tutti i tempi.
    Ma nelle innumerevoli edizioni, non mancano i casi di appropriazioni da parte di altri strumenti, come questa edizione particolare edita dalla Bottega Discantica di Milano, con l'arpista Cristiana Passerini che vi suggerisco se già, al pianoforte, le conoscete a memoria.

    ***
    5
    Senza voler far torto a Perahia, a Gould, a Leonardt, per le Suite Inglesi ricorro alla più bella edizione delle integrali di Bach - secondo il mio modesto avviso - edita dall'interprete stesso una ventina di anni fa.
    Infatti l'olandese Ivo Janssen ama così tanto Bach che non trovando chi gli stampasse i CD della sua integrale, se li è finanziati da se (ed io li ho comprati tra i primi).

    le sei suite inglesi qui sono prese con lo stesso feeling morbido, sensibile, deciso ma senza andare mai sopra le righe, di Perahia. Ma sono forse ancora più personali, sembra che ogni nota esca da una profonda meditazione personale.
    Non che manchino altre opinioni al riguardo, tutt'altro, ma se potete farlo, ascoltatevi l'integrale :

    e provate a scartare qualche cosa ...

    volendo restare controcorrente, per la versione clavicembalistica segnalo quella pubblicata nell'aprile 2020 da Musica Ficta con l'italianissimo Paolo Zanzu che nella foto che segue viene premiato dal Maestro Gustav Leonardt al Concorso Internazionale di Bruges

    ***
    6

    L'Oratorio di Natale
    Coro della Radio Svizzera, I Barocchisti, diretti da Diego Fasolis
    Brilliant Classics
    ***
    Io metterei SEMPRE questo disco al primo posto di qualsiasi classifica.
    E anche in questa proposta di dischi di Bach andrebbe al primo posto.
    Se non fosse che la disanima recita "fur alle" - "per tutti" e le Cantate non sono sempre per tutti.
    Ma se vogliamo affrontare Bach non possiamo escludere le cantate, almeno quelle sacre.
    E l'Oratorio di Natale è una raccolta di 6 cantate pensate per la settimana che va da Natale all'Epifania.
    Sono cantate differenti tra loro, alcuni raccolte e bucoliche, altre puramente celebrative con tre trombe e timpani.
    Tra le centomila edizione differenti che ci sono - e che io credo di possedere interamente ma me ne mancasse una ... c'è sempre Qobuz - quella che mi appassiona di più (io l'Oratorio di Natale l'ho fotografato durante le prove e poi durante il concerto in chiesa, cliccando sui timpani) è quella dei Barocchisti di Diego Fasolis.
    E' fresca, lucida, veloce, totalmente priva di ogni forma di retorica ma ... con l'inventiva e l'estro di chi conosce profondamente la musica italiana.
    La registrazione è un filo fredda con gli acuti in evidenza ma non si può avere tutto nella vita.
    ***
    7

    PSALM 51 BWV 1083 sullo Stabat Mater di Pergolesi
    Nancy Argenta e Guillemmette Laurens, Coro della Radio Svizzera, i Barocchisti, Diego Fasolis
    Arts
    ***
    Sempre andando controcorrente, propongo subito dopo l'Oratorio di Natale il Salmo 51, ovvero la versione tedesca di Bach dello strepitoso Stabat Mater di Pergolesi.
    Non è un plagio ma un tributo del più grande compositore tedesco (e di tutti i tempi) alla grandissima musica italiana che evidentemente gli capitava in mano.
    Se vi piace l'originale di Pergolesi questo è ancora più immanente, importante ... luterano.
    I Baorcchisti e Fasolis sempre molto limpidi eppure ricchi di inventiva. Voci assolutamente senza possibilità di critica IMHO.
    8

    Concerti per clavicembalo e orchestra BWV 1054, 1055, 1058, 1063, 1064
    Ton Koopman e The Amsterdam Baroque Orchestra
    Erato
    ***
    Torniamo allo strumentale con i meravigliosi concerti per clavicembalo e orchestra.
    Sono concerti virtuosistici che anticipano il concerto per pianoforte e orchestra che imporranno i figli di Bach al mondo musicale europeo.
    La contrapposizione tra il solista e il tutti lascia piano piano spazio all'unico strumento qui in evidenza - rispetto al modello del concerto grosso all'italiana o alla francese - con uno svolgimento ampio.
    Non c'è ancora la contrapposizione tra due temi antitetici ma lo sviluppo c'è tutto. Anche con accenni di cadenze.
    Per i due o tre li fuori che considerano ancora il clavicembalo uno strumento da gente incipriata e imparruccata e che non possono fare a meno di assopirsi appena lo ascoltano, ci sono evidentemente decine di versioni anche con il pianoforte al posto del cembalo.
    Io li considero un pò eretici ma si trova del buono anche in quello strumento, se lo strumento è buono e lo è altrettanto la mano di chi la suona (parafrasando le parole del vecchio Bach al giovane Fritz nella sua visita a Potsdam per salutare il figlio Emanuel).
    In questo caso vi suggerisco il garbo assoluto di David Fray sia nei concerti per un solo clavicembalo che in quelli - meravigliosi - per 2-3-4 da Vivaldi :


    che sono impagabili e strepitosi (anche per la presenza del Maestro Rouvier)
    9

    Orgelwerke (opere per organo) Vol. 1
    Peter Kofler, organo di San Michele a Monaco di Baviera
    Farao
    ***
    Accettato il clavicembalo, possiamo anche cercare di digerire l'organo.
    A me affascina l'idea dell'organista cattolico che suona un organo costruito da un cattolico nella chiesa delle più cattoliche città della Germania, la musica di un assoluto luterano.
    Questo disco è il primo volume di quella che credo diventerà l'edizione di riferimento per le opere organistiche di Bach.
    L'interpretazione è canonica e libera allo stesso tempo, l'organo sontuoso, la registrazione oltre i limiti fisici del supporto.
    Il programma è di quelli classici, senza troppa componente di corali da messa, quindi godibile anche per il profano.
    Naturalmente ci sono diecimilioni di altre edizioni disponibili. Voi fidatevi di me per questa.
     
    10

    Variazioni Goldberg
    Murray Perahia
    Sony 2000
    ***
    Escludiamo dal novero opere celebrali come l'Arte della Fuga o l'Offerta Musicale.
    Le messe, i mottetti, altre cantate, variazioni e trascrizioni di musiche altrui (come il meraviglioso concerto di Alessandro Marcello).
    Le partite, le toccate ... etc. etc.
    Un sito che si chiama Variazioni Goldberg in omaggio al fondamento della musica occidentale, non può che chiudere con queste.
    Anche qui abbiamo un milione di edizione, al cembalo, al piano, all'arpa, all'organo, all'orchestra d'archi, il quartetto, lo xilofono e il vibrafono.
     
    Io scelgo ancora l'umanità di Murray Perahia nell'edizione del 2000.
    Ma naturalmente non si può prescindere dall'aver almeno ascoltato una volta nella vita le variazioni di Glenn Gould edizione 1955 ...


  12. Busoni : Quartetti per Archi - Pellegrini Quartett

    Ferruccio Busoni  Quartetti per Archi n.1 Op. 19 in Do maggiore, n.2 Op. 26 in Re minore - Pellegrini Quartett
    CPO, settembre 1994, formato 44.1/16

    ***
    “L'idea popolare secondo cui i suoi sforzi creativi fossero semplicemente il risultato dell'ambizione ultima di un virtuoso, quando non rimanevano più allori da conquistare nella sua sfera personale, è del tutto errata. Non ci sono dubbi che se fosse stato un musicista meno brillante, la sua musica avrebbe ricevuto maggiore attenzione. Questa è la grande tragedia della carriera di Busoni... Il significato di Busoni come compositore è stato spesso gravemente sottovalutato. Era riccamente dotato di talenti naturali, e possedeva poteri fenomenali in termini di padronanza tecnica e versatilità di risultati."
    Al conservatorio di Lipsia dove è andato su raccomandazione scritta al suo collega Carl Reinecke, Busoni studia il contrappunto e si perfeziona.
    Ha occasione di conoscere Chaikovsky, Mahler, Grieg e Delius.
    E' il 1886, il suo genio inquieto non gli permette di stare più di un anno a lezione ma si ferma tre anni in quella città.
    Sono di quegli anni (lui è intorno ai venti di età) questi due quartetti, composizioni giovanili per qualsiasi altro musicista meno dotato ma se tutta la sua opera giovanile fosse catalogata in senso cronologico questi sarebbero l'Opp. 208~221.
    Ci siamo capiti.
    Già nel 1890, a 24 anni, riceve l'incarico di insegnare al Conservatorio di Helsinki dove conosce Sibelius. Poi vince il premio Rubinstein ma rinuncia alla carica a Mosca per intraprendere la carriera di concertista in giro per il mondo, America per lo più.
    Quando torna in Europa si ferma a Berlino. Non ha trenta anni ma è più che maturo artisticamente.
    Se il primo quartetto è una composizione in tono maggiore che deve molto a Schubert e a Mendelssohn anche se l'intreccio contrappuntistico è chiaramente bachiano, il secondo ha un debito nei confronti di Brahms.
    Il Quartetto per archi n.2 in re op.26 risale al 1889, l'ultimo anno trascorso da Busoni a Lipsia, momento in cui non studiava più al Conservatorio. Il Quartetto inizia con un Allegro energico massiccio e molto potente . Dopo 3 accordi all'unisono, il violoncello produce un tema minaccioso che viene suonato su una nota di pedale bassa e lunga nel 2° violino e una serie di crome frettolose della stessa altezza nella viola. C'è un immediato senso di urgenza. La tensione cresce man mano che questo tema viene sviluppato. All'improvviso, un secondo tema furioso ed eroico di potenti crome esplode mentre la viola e il 2° violino ne presentano ciascuno una misura e mezza in un passaggio virtuosistico. Troviamo tonalità tradizionali sapientemente intervallate dalla modernità e la musica è praticamente irta di idee originali e insolite. Il secondo movimento é un beethoviano, Andante con moto , è molto più tradizionale. Inizia come un duetto adorabile e malinconico tra il violoncello e il primo violino. Segue un Vivace assai . È uno scherzo che potrebbe essere la musica perfetta per un inseguimento frenetico lungo un passaggio buio ma illuminato da torce sotto un castello medievale. Busoni apre il finale con un'introduzione, Andantino . È pensieroso anche se non minaccioso e non ha alcuna relazione con lo stato d'animo del movimento principale, Allegro con brio (mitt Humor) . Il primo tema è affidato al solo violoncello e lo sviluppo inizia con una breve fuga che viene progressivamente dilaniata da un processo di disintegrazione cromatica. Per essere il 1889, qui si possono trovare molte tonalità avanzate e nuove idee ritmiche che preludono al primo quarto del secolo seguente.
     
    Non stento a definirlo un capolavoro, molto originale e perfettamente riuscito. Dovrebbe essere nel repertorio stabilmente, almeno quanto i quartetti di Britten o di Bartòk.
    Ma è il salto tra i due quartetti, distanti cronologicamente di un triennio che mostra una maturazione sorprendente.
    Ovviamente queste composizioni non sono affatto frequentate.
    Questa del Pellegrini Quartett è a mio avviso la migliore scelta, quella del Quartetto Italiano è disponibile ma a me sembra mancare della normale profondità di quella straordinaria compagine.
    Esiste anche un altro disco del The Busoni String Quartet che non mi sembra di questo livello.
    Qui c'è coesione, tensione, rispetto, inventiva, ritmo.
    Tutto quello che serve per rendere un servizio a quello straordinario compositore.
    Registrazione eccellente anche se in normale formato CD.
     

    Antonio Pellegrini- Thomas Hofer – violino Fabio Marano - viola - Helmut Menzler violoncello
    [questa è l'attuale formazione del quartetto Pellegrini, diversa da quella della registrazione]
  13. Wagner/Lugansky

    Richard Wagner, trascrizioni per pianoforte dall'Oro del Reno, La Valchiria, La Caduta degli Dei, Parsifal, Tristano
    Di Louis Brassin, Felix Mottl, Franz Liszt, Zoltan Kocsis e Nikolai Lugansky
    Harmonia Mundi, 8 marzo 2024, formato 96/24, via Qobuz
    ***
    Che Nikolai Lugansky sia uno dei più straordinari pianisti del nostro tempo, non lo dico solo io.
    Con il tempo ha perso un pò dell'ardore giovanile ma ha guadagnato enormemente in profondità.
    L'ho capito con il disco dedicato a Cesar Frank del 2020 e mi scuso di averlo fatto in ritardo.
    Qui abbiamo una prova che però va oltre, perché qui il pianista si appropria personalmente di pagine complicate già in originale, difficilissime da rendere al pianoforte.
    Perché tolto Liszt, che era innamorato del genero Richard e che lo faceva apparire quasi una sorta di semidio della scena musicale del suo tempo - con grande scorno del vecchio Brahms che detestava tutta questa sceneggiata - gli altri trascrittori di Wagner hanno più che altro popolarizzato le partiture per renderle potabili ad amatori e pianisti accompagnatori di cantanti in cerca di un futuro wagneriano quando le audizioni con l'orchestra erano rare.
    Ma qui abbiamo ben altro, queste sono prove d'amore che accentuano ancora di più la curiosità che - almeno in questa vita - non potrò soddisfare, di sentire l'altro appassionato interprete di Wagner che però ha lasciato quasi nulla di registrato (mentre sappiamo che passava notti intere alle prese con Tanhauser e Siegfried), ovvero l'ineffabile Glenn Gould.
    La selezione qui è facile, dal prologo dell'oro/anello del Reno si arriva dritti alla morte di Sigfrido e la cadute degli dei. L'amore dell'algida Brunilde per l'unico eroe capace di suscitarle vera passione, l'amore di Isotta per il suo traghettatore Tristano.
    L'amore ascetico dell'eroe puro Parsifal, scevro da ogni carnalità.
    Il pianismo di Lugansky trascende ogni considerazione tecnica, permea l'anima, scolpisce la forma sonora e la offre, dono supremo, a chi è capace di ascoltarlo.
    Non è musica per tutti, già nella sua forma originale, dove il suono puro e viscerale di Wagner è preludio al canto rivelatore della trama. Qui siamo oltre, è comunicazione non verbale. Lo scopo ultimo della musica.
    Lugansky non ci arriva, va ben oltre.
    L'unico rammarico è che abbia usato l'arrangiamento di Liszt per l'idillio dei due amanti maledetti di Cornovaglia. Sono sicuro che lui é capace di fare altrettanto.
    Ma certo, dalle lacrime che mi bagnano entrambi gli occhi, posso confermare che si tratta di un trio inarrivabile : Richard, Ferenc e Nikolai.
     
    Ma prima di indugiare oltre nel meloframmatico, facciamo parlare l'amico Nikolai Levic (lo considero praticamente un cugino moscovita, nato, qualche anno e solo qualche giorno dopo di me e Prokofiev) [traduzione automatica]
    "Alcune persone potrebbero essere sorprese nel vedermi dedicare un album a Wagner. Ma mi ha affascinato per lungo termine. Ricordo ancora il primo grande impatto che Wagner ebbe su di me: avevo appena compiuto diciotto anni o più diciannove ed erano gli albori dei compact disc.
    Con i pochi soldi che avevo mi comprai un CD di estratti The Ring con la Cleveland Orchestra diretta da George Szell in uno dei miei primi viaggi all'estero. È stata una rivelazione, e da allora Wagner non ha mai smesso di affascinarmi. Anche la sua personalità è sorprendente: non ne conosco nessun altro artista della storia che aveva una tale forza creativa, un'energia così sconfinata. Al punto da non permettere mai alcuna critica – e chissà quanto di ciò ha ricevuto da lui durante la sua vita – rimane senza risposta, punto per punto. È come se tutto ogni ostacolo, ogni tragedia personale, gli dava una forza ancora maggiore. Come artista – e come uomo – era così sicuro di sé, dell'importanza di ciò che aveva da offrire al mondo!
    Ho tre opinioni diverse sulla sua musica, a seconda di quando l'ha composta. C'è stato il primo periodo, quando scriveva la sua Sinfonia in do maggiore e numerose opere per pianoforte; e se ci limitiamo a guardare oltre questi pezzi, non vedo come c'era qualcosa di promettente in loro. Poi sono arrivati Rienzi, Der fliegende Holländer, Tannhäuser: ecco la musica oscilla tra il buono e l'ispirato. Infine, tutto ciò che ha scritto da Lohengrin in poi è puro genio.

    Questo è molto insolito per un compositore: nella maggior parte dei casi si possono individuare i semi del genio nelle primissime opere di lui. Lo so è in questo periodo finale della sua produzione, e in particolare nelle scene del ciclo monumentale Der Ring des Nibelungen, che mi hanno scelto di presentare qui.
    Mi è difficile riassumere in poche righe tutto ciò che accade nelle quattro opere che compongono l'Anello.
    Dobbiamo ricordare che, con lui, le cose sono spesso molto binarie: hai l'energia nera da un lato e l'energia bianca dall'altra. È così che funzionano i miti: ci sono eroi e personaggi oscuri; buono e cattivo. Per me, la nozione chiave di l'Anello è l'antagonismo tra il potere associato alla ricchezza da un lato, e l'amore dall'altro.
    L'anello può esercitare il suo immenso potere solo se la persona che lo possiede ha rinunciato all'amore. Questo è molto profondo idea, valida oggi come lo era nel Medioevo! Per Wagner non c'è differenza tra ideale, amore platonico e carnale. Das Rheingold inizia con Alberich che rinuncia all'amore per mettere le mani sull'oro.
    Il primo brano che suono, "Entry of the Gods into Valhalla", costituisce la sezione conclusiva di Das Rheingold. È una scena del trionfo: Wotan, il sovrano degli dei, prende possesso del palazzo che si è fatto costruire dai giganti Fasolt e Fafner, due fratelli che si uccideranno a vicenda per ottenere l'anello d'oro, che Wotan dona loro dopo aver rubato ad Alberich. Ma Alberich ha lanciato una maledizione sull'anello. Per questo passaggio ho combinato quello di Louis Brassin trascrizione con la mia versione delle ultime grida delle Figlie del Reno, che lamentano la perdita del loro oro. Il secondo il pezzo, questa volta interamente di mano di Brassin, è la 'Magic Fire Music', che chiude Die Walküre. Qui Wotan punisce la sua amata figlia Brünnhilde per avergli disobbedito. La addormenta e la circonda di un fuoco invalicabile:
    solo chi oserà penetrare in questo cerchio magico potrà risvegliarla. Questo è ciò che dice il giovane Siegfried, l'impavido eroe, andrà bene. (Per inciso, vale la pena notare che l'anello sembra aver perso il suo potere quando Siegfried ne prende possesso di esso. Naturalmente è vero che Siegfried e Brünnhilde sono appassionatamente innamorati – il loro amore sembra aver trionfato sulla maledizione.)

    Poi passo direttamente alla fine dell'Anello, con quattro estratti dal Götterdämmerung. La prima scena è tratta da il Prologo dell'opera: 'Alba'. Siegfried e Brünnhilde si risvegliano dopo una notte d'amore. Questo è un numero splendido, luminoso e pieno di energia. Corrisponde alla forza vitale dell'eroe, che sente il bisogno di cercare il suo destino altrove – gli eroi sono viaggiatori, hanno bisogno di esplorare il mondo. Il che ci porta al secondo brano che interpreto: "Il Reno di Siegfried".

    Viaggio'. Dopo questo interludio incredibilmente brillante arriva la “Marcia funebre di Siegfried”, un pezzo grandioso. Il mondo ha perde l'eroe più radioso della storia, viene assassinato vigliaccamente, e sua moglie Brünnhilde chiede vendetta. IL la scena finale dell'opera la mostra mentre si uccide su una pira, trascinando con sé il vecchio mondo contaminato. E l'anello potrà finalmente ritornare al suo posto in fondo al Reno. . . 
    Questa scena illustra una meravigliosa redenzione attraverso l’amore. Spesso vengono tracciati parallelismi con la vita di Wagner, e sappiamo che egli attribuiva grande importanza al successo sociale, il denaro e il potere che il denaro fornisce. Ma l'essenziale per lui era l'amore: amore umano, amore per la musica, amore per
    arte. Questi numeri mi perseguitano da tempo: ho concepito queste trascrizioni più di venti anni fa, e le ho messe gli ultimi ritocchi solo pochi giorni prima delle sessioni di registrazione.
    Successivamente ascolto due trascrizioni del Parsifal. La "Musica della trasformazione" del primo atto, che mostra i cavalieri preparandosi a svelare il Graal, la coppa da cui Gesù Cristo bevve il vino e lo condivise con i suoi discepoli nell'Ultima Cena. Ogni volta che i cavalieri desiderano celebrare questa cerimonia, il loro condottiero Amfortas soffre un dolore atroce come il suo la ferita si riapre. La ferita gli ricorda anche il suo peccato: fu colpito perché desiderava il bello Kundry! Segue qui il finale dell’opera: Parsifal è divenuto un valoroso cavaliere, e un saggio, sant’uomo, ora capace di curare Amfortas dalla sua ferita e il mondo dai suoi peccati. Qui ho utilizzato la meravigliosa trascrizione del grande pianista ungherese Zoltán Kocsis. Per la “Transformation Music”, invece, ho basato la mia performance su una partitura del direttore d'orchestra Felix Mottl, caro amico del compositore che partecipò alla realizzazione del primo Ring completo
    a Bayreuth nel 1876.

    Quando si parla della musica di Wagner, viene spontaneo pensare alla sua ispirata gestione dei timbri orchestrali. Ma è fantastico le opere vanno ben oltre questo singolo aspetto, per raggiungere l'universalità. Ecco perché l'idea di presentarne alcuni dei suoi più momenti affascinanti al pianoforte, farli miei, per così dire, mi sembra del tutto legittimo. È vero esistono almeno due concezioni di trascrizione: o si rimane fedeli all'originale con lo scopo di farne a conosciuto il proprio lavoro e diffondendolo al più vasto pubblico possibile, come avveniva quando non esistevano registrazioni o trasmissioni radiofoniche; oppure c’è un modo più libero e più aperto di lasciare che il pianoforte prenda il sopravvento su questi straordinari narrativa con le proprie risorse. Idealmente, per me, una trascrizione per pianoforte dovrebbe essere un'opera a sé stante. . . Nel caso di Wagner, quindi, l'ideale non è mantenere assolutamente tutte le voci orchestrali presenti nella partitura originale, ma per fare delle scelte e trovare un equilibrio che preservi la forza emotiva della musica. Liszt ne è un perfetto esempio ambivalenza: la maggior parte delle sue trascrizioni avevano essenzialmente lo scopo di promuovere i compositori che ammirava. Ma alcuni di essi si tratta di veri e propri capolavori pianistici, come Isoldens Liebestod, che è un vertice assoluto! È la fine di uno
    delle più grandi opere della storia, e probabilmente uno dei pezzi più belli mai scritti sull'amore e la passione. L'amore è presentato come ciò che conta di più, un’emozione che si eleva al di sopra di ogni moralità, “al di là del bene e del male”. L'amore che lega
    i nostri due protagonisti, simboleggiati dal filtro d'amore che bevono all'inizio dell'opera, li superano. Anche dopo la morte di Tristano, quell’amore non si spegne. Isotta non ha altra scelta che seguirlo, in una sorta di sacrificio d'amore. . . "
    NIKOLAI LUGANSKY
    ***
    Non ho molto altro da aggiungere.
    Immodestamente sono anche io caduto nelle maglie di Wagner più o meno all'età di Nikolai (ma una decina di anni prima), già in vinile e grazie a Von Karajan, prima con Rienzi e Tanhauser, poi con l'Anello. E infine con Parsifal che però resta lontano dalla mia indole (come i Maestri Cantori e Lohengrin). Per Tristano, la colpa é di Kleiber !
    Nonostante quello che dice Johannes, credo non sia disputabile la potenza della sua musica e il livello della passione umana che c'è dentro.
    Questo disco è su quel piano, anche in quello puramente tecnico. E' un monumento che Lugansky ha eretto per se stesso e per noi.
  14. Handel : HWV 34 Alcina - Minkowski/Pentatone

    Marc Minkowski e Les Musiciens du Louvre tornano a Händel con una registrazione integrale dell'opera Alcina del 1735.
    Il ruolo della protagonista è interpretato da Magdalena Kožená, che ritorna con Les Musiciens e il maestro Minkowski a vent'anni dal debutto con il Giulio Cesare dello stesso Handel.
    A lei si unisce un'eccellente cast di solisti, composto da Erin Morley (Morgana), Anna Bonitatibus (Ruggiero), Elizabeth De Shong (Bradamante), Alois Mühlbacher (Oberto), Valerio Contaldo (Oronte) e Alex Rosen (Melisso). 
    Pentatone 2 febbraio 2024, formato 96/24, via Qobuz
    ***




    Erin Morley al culmine della sua straordinaria interpretazione di "Tornami a vagheggiar"

    l'elenco dei cantanti al debutto alla Scala lo scorso giovedì 8 febbraio, unica data della tourné in corso di questa opera, in contemporanea con il lancio del disco, come si conviene, non solo per i tour delle rockstar.
    Il ritorno di Magdalena Kožená nel frattempo diventata una star mondiale alle origini che la lanciarono, splendida Cleopatra, proprio con Minkowski e i suoi musicisti nel 2003 nel più splendido dei Giulio Cesare disponibili su disco.

    cd Archiv che ho letteralmente consumato, con una compagine di voci semplicemente inarrivabile

    Minkowski davanti al sipario scaligero.
    Intanto Alcina è diventata un'opera di cartellone con molteplici incisioni, l'ultima che ricordo con Joyce Di Donato e Sonia Prina con Alan Curtis sempre per Archiv del 2009, oltre al video, lo stesso Minkowski con Anja Harteros e poi Rousset nel 2015 e Andrea Marcon, ancora nel 2015 con Patricia Petibon e Philippe Jaroussky.
    Nel ruolo di Alcina storicamente ci sono state, la prima in tempi contemporanei, Joan Sutherland, e poi Arleen Auger e Reneé Fleming più recentemente.
    L'opera, del 1734-1735, è l'estremo sforzo di Handel alla crisi della moda londinese per l'opera all'italiana con prime donne italiane.
    Le mode passano ma soprattutto gli eccessi delle primedonne (compresi i castrati) italiani che, dopo averne fatto la fortuna, abbandonarono l'impresario Handel al suo destino, tornando in continente, chi verso Parigi, chi verso Vienna o le corti tedesche.
    Al nostro caro sassone restò la sola Anna Maria Strada, da lui "scoperta" a Pisa in quegli anni e sulla cui voce ricamò Alcina.
    Della Strada dal Pò si dice che aveva la voce della Faustina in un corpo da porco. E movenze sceniche modeste.
    Ma probabilmente la voce bastava, insieme alla presenza del castrato Giovanni Canestini (Ruggiero), alla prima del 16 aprile 1735 al Covent Garden di Londra.
    La trama è poca cosa, ripresa da un episodio dell'Orlando Furioso di Ariosto, la maga Alcina incanta con un filtro d'amore Ruggiero che diviene pazzo per lei. Bradamante va in suo soccorso etc. etc. Alla fine la maga resta sola quando Ruggiero si riprende ed eroicamente rovina la fonte magica di Alcina.
    L'opera è un classico dell'epoca, di durata ipergalattica, includendo balletti ed intermezzi musicali.
    Questa registrazione dura nel complesso per 3 CD, ovvero 3 ore e 11 minuti per 86 tracce complessive.
    ***
    Andando al sodo, Minkowski si dimostra ancora più inappuntabile e i suoi musicisti sono ineffabili, specie nelle parti di accompagnamento solistiche che in questa composizioni sono ricchissime.
    Flauti, violoncello, liuto, semplicemente perfetti.
    Come il cast vocale, almeno nella parte femminile, una più brava delle altre. Gli uomini mi hanno lasciato una impressione un pò controversa. Specie il controtenore Muhlbacher (che ha la peggiore dizione italiana : gli altri sembrano tutti madrelingua a dispetto che invece i soli Anna Bonitatibus e Valerio Contaldo lo siano veramente).
    Nella realtà, se la Kozena è una Alcina matura e straordinariamente espressiva (un filo meno "isterica" di certe sue interpretazioni degli anni passati, probabilmente ben influenzata dalle altre cantanti) che sviluppa il personaggio in profondità quasi psicanalitiche (cfr. "Ah, mio cor") che si fa ascoltare fino all'ultima nota, dove ho alzato il volume è nelle entrate delle altre cantanti.
    Erin Morley è da capogiro, il suo "Tornami a vagheggiar" l'ho ascoltato decine di volte. Il suo repertorio di virtuosismi è veramente da primadonna.
    Ma sono tutt'altro che seconde scelte Elizabeth De Shong (Bradamante) che tocca emotivamente ( 'Vorrei vendicarmi') ed altrettanto espressiva è Anna Bonitatibus (Ruggiero).
    Sinceramente io applaudo la scelta dell'impiego di contralti e mezzosoprano al posto di contraltisti e controtenori. Ma è questione di gusti, naturalmente.
    Ma è un'opera tanto ricca di arie straordinarie e di momenti di grandissima musica che già una selezione sarebbe chilometrica.
    Edizione di riferimento ?
    Si, lo ammetto con fiducia, sebbene la registrazione mi sembra un filo al di sotto degli standard di Pentatone o forse perché la scelta di valorizzare l'insieme rende meno focalizzate le voci.
    Con il risultato che Magdalena riempie da lontano la scena e spacca l'aria mentre le altre, probabilmente più "tascabili" in termini di volume, si perdono un pò anche nell'ascolto in cuffia, non solo a monitor.
    Certo si tratta di un ascolto impegnativo ma sarebbe un peccato perderselo. Se amate Handel.
  15. Sanzionami questo !

    La vedrei al contrario, francamente.
    Avete voluto uscire dal mercato comune, cari inglesi, bene.
    Richiamando la canzonetta del 1934 a seguito delle famose sanzioni :
    Tutto quel che fai
    lo fai per gelosia,
    ex amica mia...
    Perché vorresti vivere anche tu
    quest'ora di eroismi e di virtù...
    Ma non lo puoi ed io lo so
    perciò mia cara canterò:
    Sanzionami questo
    amica tenace
    lo so che ti piace
    ma non te ne do!
    ma con davanti agli occhi l'atteggiamento sprezzante, egoista e sinceramente ... autarchico a discapito di tutto il resto del continente di cui volenti o nolenti fanno parte anche loro, gli inglesi dovrebbero essere lasciati al loro destino.
    E il tanto spettacolare vaccino studiato ad Oxford, probabilmente sperimentando sui topi fossili di epoca Tudor, per quanto mi riguarda, se lo dovrebbero tenere loro per sciacquarsi i piedi.
    Con le notizie che arrivano, moltissimi di quelli che fanno quel vaccino stanno veramente male (due giorni di febbre alta) e la percentuale di persone che sta benissimo ed improvvisamente muore di colpo, sarà anche marginale sui milioni di punture fatte ma al giorno d'oggi si comincia a non credere più a niente.
    Se Danimarca, Olanda e Germania stanno vietando o consigliando di evitare quel vaccino ai giovani virgulti di età inferiore ai 60 anni di cui a stento faccio ancora parte, io che sto bene e non ho contatti con nessuno, perché dovrei correre a prenotarmi per fare la coda e farmi inoculare la candeggina ?
    Sinceramente, cari inglesi, potete anche tenervelo. E in caso vi servisse qualche prodotto italiano, tipo il parmigiano o il Brunello di Montalcino, provate a venirvelo a prendere a piedi pagandolo in euro.
    Siete extracomunitari, mettetevelo in testa.
    Sanzionami questo ... 
  16. Yoav Levanon : Rachmaninov Etudes-tableaux 39

    Yoav Levanon : Rachmaninov Etudes-tableaux 39
    Warner Classics, 9 febbraio 2023, formato 96/24, via Qobuz
    ***
    Anticipato da settimane con l'emissione di assaggi, secondo la prassi per i dischi delle rockstar, somiglia ad uno di quelli anche per la durata, del tutto libera dall'idea di disco/cd "classico", vista la durata contenuta in soli 39 minuti.
    C'è chi suggerisce che avrebbero dovuto aggiungere anche gli altri studi op.33, come la gran parte delle altre registrazioni.
    Ma forse c'era impellenza di lanciare il ragazzo per le tourné del 2024.
    Yoav Levanon viene descritto come astro nascente del pianismo internazionale e se ne sta cercando di montare un fenomeno.
    Che poggia, per carità, su solide basi, l'altro disco già disponibile (stessa etichetta, del 6 maggio 2022 è veramente un "Monument for Beethoven").
    Yoav ha cominciato a studiare pianoforte all'età di Mozart ed ha adesso 19 anni.
    Ha già suonato con tanti partner importanti, tra cui Sergey Babayan.
    Studia ancora, ovviamente e negli ultimi anni si è perfezionato con due soggetti del calibro di Murray Perahia e Andras Schiff.
    Ha temperamento, mani d'acciaio (certe ottave ricordano quelle di Horowitz), tecnica sopraffina ma soprattutto una maturità e una delicatezza di lettura inusuali per un ragazzo.
    Se penso ai suoi coetanei nostrani, alla sottocultura in cui si abbeverano (la manifestazione canora nazionale della settimana scorsa è purtroppo una bandierina rivelatrice al riguardo) e all'assenza di un futuro sbocco di elevazione, dovrei essere disperatamente pessimista.
    Ma l'esistenza stessa di un personaggio come Levanon mi strappa un pensiero di speranza.
    Detto questo, andiamo ai nostri 38:52 di puro distillato di tecnica pianistica misticamente forgiata da Rachmaninov su fonti di ispirazione rimaste largamente sconosciute.
    Volutamente, perchè lo stesso Rachmaninov ha dichiarato di aver nascosto le chiavi di interpretazione dei suoi studi dietro ad una cortina di complicazioni tecniche perché ogni pianista le trovasse da se.

     
    Fin dal primo studio Levanon dimostra una proprietà di linguaggio disarmante cui associa ritmo, elasticità, dinamica da concertista consumato.
    Nel terzo aumenta ancora di più la dinamica, forzando qualche passaggio ma mantenendo l'atmosfera libera e sognante, da corsa all'aria aperta.
    L'appassionato #5, sempre teso e intriso di disperante senso di perdita è più contenuto di altre letture, quasi che il pianista tenesse a freno le mani che solo in alcuni accenti e passaggi pestano come zappe sui bassi.
    Il #6 è lugubre nell'introduzione e rubato nell'evoluzione. Un crescendo di dinamica.
    Martellante il #9, secco, come di una danza di cavalli bardati in una giostra o nelle scuderie imperiali coperte d'inverno.
    Nei movimenti lenti (ogni composizione di questa raccolta è in tono minore, tranne il finale in Re maggiore) l'atmosfera descritta è sognate.
    In particolare nel #2 e nel #7 (la e do minore).
    Il 7 non mi sembra all'altezza del resto, preferisco il #8, sempre delicato, sognante, portato.
     
    Complessivamente è una prova di elevatissimo livello che dimostra la maturità di questo giovanissimo il cui futuro credo sia assicurato.
    Sarà bello risentirlo tra venti anni (ma non confido di esserci ancora).
    Certo è che se continuerà a crescere così, lo ascolteremo ancora in prove sempre più sfidanti.

     
    registrazione ricca di dinamica con bassi pieni che ho apprezzato di più in cuffia
    [capigliatura da novello Liszt e atteggiamenti da Mago Silvan ? Possiamo anche farne a meno ...]
  17. L'uscita (9 febbraio 2024) del tanto anticipato minidisco dell'israeliano diciannovenne Yoav Levanon, mi ha dato l'estro per tentare una impresa impossibile.
    Discorrere di alcune delle interpretazioni di cui siamo in possesso oggi di questa composizione raffinata e colta del quarantaquattrenne Rachmaninov.
    Gli Etudes-Tableaux Op-39.
    Ultima composizione russa, scritta a Mosca durante il periodo appena precedente la rivoluzione di ottobre e quindi la fuga attraverso il lago ghiacciato verso Finlandia e Svezia. E poi l'America per ricostruire la, una nuova vita.
    La struttura è libera, il termine Etudes-Tableaux è originale di Rachmaninov, un tributo a Chopin.
    Sono miniature, microcosmi separati tra loro, ognuno ispirato da qualche cosa che non conosciamo.
    In una lettera, Sergei Vasilievic confidò al solo Respighi l'origine di cinque di queste composizioni che poté così orchestrarle con la tavolozza più articolata della grande orchestra.
    Ma resta musica pensata per lo strumento d'elezione del russo, la cui arte nel 1917 non era seconda a nessuno al mondo.
    La ricchezza ritmica, inventiva, emotiva, la varietà compositiva, il virtuosismo esecutivo e le necessità interpretative sono del massimo livello.
    Non alla portata di ogni pianista.
    Sebbene di questi e dei cugini dell'Op. 33 esistano moltissime incisioni.
    Ci sono letture tempestose di Sviatoslav Richter, appassionate di Gilels, telluriche di Horowitz che però non mi risulta abbiano registrato l'integrale.
    C'è il confanettone di Ogdon per la EMI che le contiene tutti (merita un ascolto a prescindere).
    Yuja, al posto di altri "american project" dovrebbe fare il piacere di registrarli prima che sia tardi, perché il suo 39/1 del 2018 è notevolissimo.
    E ne abbiamo altri, recenti e meno, di cui cercheremo di parlare qui, in questa pagina. Senza voler eleggere un vincitore ma limitandoci a cogliere qualche differenza, quando è possibile.
     

     
     






  18. Carlo Rizzi : Puccini Suite sinfoniche

    Carlo Rizzi : Puccini, Suite sinfoniche
    Welsh National Opera Orchestra, direttore Carlo Rizzi
    Signum Classics, 9 febbraio 2024, formato 96/24, via Qobuz
    Nell'anno dell'anniversario di Puccini, il direttore principale della Welsh National Opera Carlo Rizzi ha creato nuove versioni puramente orchestrali di alcune delle sue opere più conosciute e amate. Rimanendo puro e fedele all'orchestrazione originale di Puccini senza nulla aggiungere per "coprire" qualsiasi percepibile mancanza di linea vocale, la brillantezza di Madama Butterfly, Tosca e altre opere di Puccini risplende in questo album di registrazioni in prima mondiale.
    ***
    Per gli amanti di Puccini (come il sottoscritto) può essere un sacrilegio (non è il mio caso) ma usando le parole dello stesso Carlo Rizzi (classe 1960, direttore d'orchestra cresciuto con Vladimir Delman al Conservatorio di Milano ma adesso gallese d'adozione) :
    “Spero che coloro che già amano Tosca e Butterfly possano godere dell’opportunità di concentrarsi interamente sull’orchestra mentre ascoltano, e che le persone che di solito sono più attratte dalla sala da concerto che dal teatro dell’opera siano ricompensate esplorando qualcosa di nuovo. Alla fine il mio unico obiettivo è condividere e celebrare Puccini con tutti loro” – Carlo Rizzi

    L'opera totale come l'ha concepita Puccini, estrema spettacolarizzazione degli stilemi wagneriani, pre-cinema e pre-Sanremo (!), fa passare in secondo piano la straordinaria maestria dell'autore in termini puramente sinfonici.
    Verrebbe naturale ascoltare semplicemente la musica, senza le parole. Viene sempre prima la musica delle parole. Le parole sono un'invenzione umana, per rendere la comunicazione univoca ma la musica è un linguaggio universale.
    Di qui questo esperimento, riuscito secondo me, di creare dalla musica di Butterfly e di Tosca due suite sinfoniche corrispondente, scritte ed interpretate qui da Carlo Rizzi.
    Naturalmente manca la linea vocale che però è molto libera in Puccini, semplicemente "uno strumento in più", non necessariamente "il solista".
    Sono 17 e 20 minuti, rispettivamente, cui si aggiungono due preludi sinfonici e un capriccio aggiuntivi.
    L'immaginazione di Rizzi è perfettamente coadiuvata dall'orchestra operistica del Galles, sconosciuta o quasi dalle nostre parti che esprime bene il carattere di questa musica.
    Registrazione ricca di dinamica sui miei monitor Adam Audio A77H pilotati dal mio nuovo Audio-GD R27 HE.

     
    è un disco che vi segnalo come curiosità, magari trascuratelo se siete puristi. Ma se vi piace veramente Puccini pensate che sarebbe piaciuto anche a lui !
  19. Peter Kofler - Bach : Opere per organo Vol. 1

    Bach : Opere per organo Vol. 1
    [Präludien & Fugen 536, 539, 541, 543, 545, 548, 550, 552; Choralpartita BWV 768; Pastorale BWV 590; Toccata & Fuge BWV 565; Choräle BWV 645-650, 654, 657 658 659-661, 699 704 711 714 715 717 722 729 730 731 738 740, 741 1112-1117-1120; Choräle BWV 639-644 (Orgelbüchlein); Kanonische Veränderungen BWV 749; Allabreve BWV 589; Triosonate BWV 528; Fugen BWV 575 577 579; Canzona BWV 588; Trio BWV 583; Fantasie & Fuge BWV 537;
    Concerti BWV 594 & 596; Fantasien BWV 570 572 573]
    Peter Kofler all'organo della chiesa di San Michele a Monaco di Baviera
    5 CD
    Farao Classics 2019, formato 96/24
    ***
    Bach all'organo non rappresenta semplicemente la tradizione musicale occidentale, ma oggi, di fronte ad un imbarbarimento globale, la conferma dello spirito della cristianità che ha creato e saldato insieme l'Europa, non importa la confessione di ciascuno.
    Accostarsi alla musica organistica, sia quella liturgica che quella più liberamente da "intrattenimento" del dopo messa, suscita lo stupore precipuo della musica barocca. Scopo primo ed ultimo di indirizzare l'ascoltatore nella contemplazione di qualche cosa di superiore.
    Anche quando non si è credenti.
    Peter Kofler, l'organista titolare della chiesa gesuitica di San Michele a Monaco, nella cattolica Baviera, al suo organo Riegler rappresenta a pieno tutto questo.
    Perdonatemi la retorica ma è stato un periodo di dischi veramente poco stimolanti e trovare questo cofanetto con sei ore sei di musica bachiana che nulla hanno da invidiare a Walcha o alla Alain è una boccata d'aria.
    L'organo è spettacolare senza essere eccessivo. Il tocco lieve senza eccesso di dramma o pathos. Come deve essere anche quando si suona la musica di un luterano in una chiesa cattolica romana.
    Ma soprattutto c'è il vero Bach. Quello che mette d'accordo tutti i credenti di ogni rito.
    Registrazione sensazionale (2017-2019). Applausi e consigliato senza riserve attendendo con tanta trepidazione i successivi volumi !
     
    Modificato 24 Ottobre 2019 da Florestan




  20. Giulia Nuti - clavicembalo

    La clavicembalista Giulia Nuti ha insegnato alla Scuola di Musica di Fiesole, si è esibita come solista e in ensemble e ha registrato per diverse importanti etichette. È anche autrice di un importante libro sulla tecnica del continuo all'italiana.
    E' nata a Cambridge, in Inghilterra, nel 1976 ma è cresciuta a Firenze, mantenendo legami fortissimi con la Gran Bretagna. Ha iniziato a suonare il clavicembalo all'età di dieci anni.
    Ha studiato alla Scuola di Musica di Fiesole e poi alla Royal Academy of Music di Londra. Ha frequentato il Royal College of Music e poi il King's College di Cambridge, studiando organo, fortepiano e clavicembalo.
    Alla King's, ha completato un master, scrivendo una tesi sulla pratica esecutiva italiana nella musica antica per tastiera e ottenendo poi una posizione come insegnante del Queens' College, Cambridge.
    Ha trasformato la sua tesi in un libro, The Performance of Italian Basso Continuo, che è considerato un testo importante nel campo.
    Nel 1999 ha debuttato discograficamente con l'ensemble Modo Antiquo, suonando il clavicembalo nell'album di concerti grossi di Corelli.
    Dal 2007 al 2010, ha lavorato con il progetto Listening Gallery del Royal College of Music, fornendo musica appropriata per mostre storiche.
    Nel 2007 è entrata a far parte del corpo docente della sua alma mater, la Scuola di Musica di Fiesole, dove è rimasta dall'inizio degli anni '20.
    Modo Antiquo é solo uno dei principali complessi di musica antica con cui si é esibita frequentemente; ha suonato anche con Il Pomo d'Oro, Orfeo 55 e l'Accademia di Musica Antica. 
    Nel 2014,  ha pubblicato il suo album di debutto da solista per l'etichetta Harmonia Mundi; Les Sauvages: Clavicembali nella Parigi pre-rivoluzionaria ha ricevuto il Diapason d'Or in Francia.
    Ha ottenuto un altro importante riconoscimento nel settore discografico, il Preis der Deutschen Schallplattenkritik, per il suo album del 2017 Le Cœur & l'Oreille: Manuscript Bauyn, apparso sull'etichetta Arcana.
    Quindi ancora con Arcana nel 2022 con The Fall of the Leaf: English Keyboard Music on the Rucellai Virginal.

    il nuovo disco uscito il 19 gennaio 2024 per Arcana con le partite per cembalo di Bach

    il prezioso disco di musica inglese sul virginale Rucellai del 1575, Arcana del 15 aprile 2022
    Celebrando l'età d'oro della musica per tastiera inglese tra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo, questa antologia personale presenta opere dei più grandi compositori dell'epoca.
    Le accattivanti Pavane e Galliard di John Dowland, trascritte da Martin Peerson e William Byrd, sono punteggiate dalle abbaglianti variazioni di canzoni di John Tomkins, dalle danze vorticose di Thomas Morley e William Tisdall e dagli incantevoli madrigali ambientati da Peter Philips e altri.
    Il magistrale O Lord, in Thee is all my trust di John Amner contrasta con le evocative e tintinnanti variazioni di The Bells di William Byrd, che mettono in mostra i diversi stili di questi compositori.
    Questa registrazione estende l’opera di Giulia Nuti di registrazioni acclamate dalla critica su clavicembali storici; il suo recital solista "Le Cœur et l’oreille" (Arcana, 2017), registrato sul clavicembalo costruito da Louis Denis nel 1658, è stato insignito del "Preis der Deutschen Schallplattenkritik".
    In questa registrazione Giulia suona uno squisito virginale italiano del c. 1575.
     

    Le Cœur et l’oreille" (Arcana, 2017)
    Il Manoscritto Bauyn, una raccolta chiave di clavicembalo e altra musica del XVII secolo, mostra l'influenza di varie scuole di composizione sulla scrittura e sull'esecuzione dei grandi clavicembalisti della metà del XVII secolo.
    La registrazione comprende opere di Chambonnières e Louis Couperin, che mostrano i loro diversi stili che portarono Le Gallois (1680) a scrivere che "uno toccava il cuore e l'altro toccava l'orecchio", così come altri compositori contemporanei come Hardel e d'Anglebert .
    Il clavicembalo Denis del 1658 è lo straordinario protagonista di questa registrazione, in cui Giulia Nuti esplora le capacità espressive di uno dei primi clavicembali francesi a doppia manuale esistenti, mostrando come la raffinatezza strumentale consenta scelte esecutive.
    L'approccio è quello della pluripremiata prima registrazione solista di Giulia Nuti di musica per clavicembalo francese del XVIII secolo, Les Sauvages, registrata sul Taskin del 1788, che ha ricevuto un Diapason d'Or.
    Ascoltando questa musica attraverso la voce del clavicembalo Denis si accede al mondo sonoro a cui questi brani appartengono e dovrebbero essere compresi.

    Les Sauvage (DHM 2014), dedicato ai clavicembalisti francesi pre-rivoluzionari, prendere il titolo dalle variazioni di Jean-Francois Tapray sul celeberrimo brano di Rameaus (Les indes galantes).
     

    filologica nell'insieme la lettura delle sonate per cembalo e violino solo, senza basso, in cui Giulia Nuti accompagna Chiara Zanisi.
    Arcana, ancora 2017
    ***

    la copertina della tesi - trasformata in libro di testo e guida alla prassi esecutiva del Basso Continuo all'italiana - pubblicato da Giulia Nuti in Inghilterra.
     
    Artista estremamente raffinata, interprete coltissima e sensibile, dal tocco leggero e sempre intonato con il testo, didatta apprezzata.
    Una delle più interessanti musiciste italiane specializzate nel barocco internazionale.
    Mi sembrava giusto dedicarle una nostra pagina.

     
  21. Anastasia Kobekina : Venice

    Anastasia Kobekina : Venice
    Sony, 2 febbraio 2024, formato 96/24
    ***
    Viaggio ideale a Venezia, con musiche di tutti i tempi e di svariati autori. Semplicemente un pretesto, non è un disco descrittivo.
    Ma la ragazza che compirà 30 anni il prossimo 26 agosto e che è fresca di contratto esclusivo con Sony é a mio parere (e non solo, ci sono firme più autorevoli disposte a sbilanciarsi) potenzialmente la migliore violoncellista della sua generazione e in grado di prendere il testimone dai vecchi in via di pensionamento.
    Tanto che la Fondazione Stradivari le ha prestato in comodato uno strumento meraviglioso del 1698 ( ma prima suonava un Giovanni Guadagnini del 1743)
    Ci sono momenti di poesia autentica in questo disco, secondo me il meglio è agli estremi (rinascimento e contemporanea), il suo suono è divino e con il suo talento può fare letteralmente qualsiasi cosa.
    Ho perso la testa per questa violoncellista ? Per la sua arte, si.
    L'avevo già notata in un'altra recensione, disco strepitoso del 2022
    Ma per restare più a terra vi segnalo anche il primo concerto di Dmtri e un Arpeggione dal vivo veramente vivo e palpabile (in entrambe le soliste).
    Speriamo che il contratto con Sony non presenti solo dischi "pseuo-a-tema" tipo quelli di Sol Gabetta & Co. ma vera musica strutturata.
     
     
  22. Rebecca Clarke, Sonate per violino, viola e pianoforte

    Rebecca Clarke, sonata per viola, sonate per violino e pianoforte
    Judith Ingolfsson, viola e violino
    Vladimir Stoupel, pianoforte
    Oemhs Classics, 19 gennaio 2024, formato 48/24

    ***
    Ho parlato diffusamente della sonata per viola, composizione del 1919 di Rebecca Clarke, un tempo sconosciuta e adesso pienamente nel repertorio di molti violisti.
    In questo disco la violista Judith Ingolfsoon si alterna alla viola e al violino, registrando anche le due sonate per violino, quella giovanile in un solo movimento in Sol maggiore e l'altra successiva in Re maggiore.
    L'interpretazione della sonata per viola che io conosco benissimo, qui è piuttosto compassata, smussando toni un pò drammatici ed aspri che spesso rileviamo in altre letture cui io sono più abituato.
    Qui i due offrono un'intesa più morbida e dolce, con tratti del piano di taglio impressionistico.
    Ma si tratta comunque di musica brahmsiana o post-brahmsiana all'inglese, sebbene scritta in pieno '900.
    Alla fine, pur con questi clair-de-lune contemporanei, si mostrano comunque convincenti. E' bello avere un taglio così differente.
    Sono una bella scoperta le due sonata per violino che mi erano del tutto sconosciute.
    La lettura è più classica e la particolarità è l'intonazione del violino che suona con una tonalità più vicina a quella della viola.
    Ricordo che Rebecca Clarke studiò violino e solo dopo, per gli auspici del suo maestro Stanford passò, con successo alla viola che in quell'epoca godeva forse del suo primo momento di grande spolvero.
    La sonata in Re maggiore è una composizione corposa, in tre movimenti (come quella per viola) della durata complessiva di circa 25 minuti ed è ricca di belle trovate, gusto, inventiva. Merita di essere riscoperta.
    La sonata in Sol maggiore è più aulica, inizia con un assolo del violino cui si aggiunge poi il pianoforte solo, quasi cantando in stile tradizionale inglese. E' pura musica romantica.
    Questo disco è registrato con i due strumenti in primissimo piano (l'ho ascoltata con due monitor Adam Audio) e su toni prevalentemente chiari. Ma con le cuffie l'impostazione non cambia molto.
    Tanto che questa intonazione descrive del tutto il disco.
    A me è comunque piaciuto molto e ve lo raccomando.
     

  23. Saint-Saens : sonate per pianoforte e violino 1 e 2, fantasia in la maggiore Op. 124, berceuse in sib per violino e arpa
    Cecilia Zilliacus, violino
    Christian Ihle Hadland, pianoforte
    Stephen Fitzpatrick, arpa
    Bis, 3 febbraio 2023, formato 96/24
    ***
    Fino all'ultimo quarto del XIX secolo, la Francia non aveva alcuna tradizione di sonata classica, di alcun genere.
    Si faceva riferimento generico a quella tedesca o a quella italiana.
    Peraltro era proprio tutta la tradizione strumentale che mancava nella musica francese, tutta concentrata sulla Gran Opera e sulla sinfonia.
    In un certo modo, l'infausto esito della Guerra Franco-Prussiana e il sentimento anti-tedesco scaturitone, facilitò i musicisti francofoni desiderosi di creare una scuola nazionale antitetica a quella germanica (oltre che ovviamente alla detestata scuola italiana ... ma qui era storia vecchia, risalente ai secoli prima).
    Saint-Saens lamentava questa situazione e insieme ad altri colleghi - compreso il belga Franck - e più avanti Fauré, Debussy e Ravel, approfittò della nuova tendenza per dedicarsi alla musica strumentale.
    Non è un caso se, in relativa tarda età, si vedranno quasi tutte le sue composizioni di questo genere, sia cameristiche che concertistiche.
    Siamo nel 1871 e l'ultimo pezzo in programma in questo disco è del 1907. Camille era del 1833 ed era da tempo un compositore affermato.
    Il modello della prima sonata, Op. 75, in Re Minore (come la 9a di Beethoven) è un pezzo fortemente virtuosistico, praticamente nella forma in quattro movimenti, ma anche nella durata nel suo complesso, è di fatto una sinfonia a due strumenti.
    In questo momento, complice il vecchio Brahms, si scriveva sonata per pianoforte e violino, ma il violino è l'assoluto protagonista.
    In questa sonata ci sono fugati, cambi di ritmo e di tempo.
    I primi due movimenti sono due adagi, come nella 3a Sinfonia di Saint-Saens.
    La composizione è brillante come i concerti per violino e per pianoforte. In una parola, bellissima ed orecchiabile al primo ascolto.
    La seconda sonata, Op. 102 invece è l'opposto.
    Intima, graziosa, più mozartiana che brahmsiana, senza melodie troppo orecchiabili, sempre in quattro movimenti.
    Come diceva lo stesso Camille, richiede ... almeno otto ascolti per entrare nell'orecchio.
    Non è vero, naturalmente. Ma non è così immediata.
    Le due sonata ebbero successo sin dalla prima. Con l'autore al pianoforte, e due violinisti di gran fama, Martin-Pierre Marsick per la prima, nel 1886, e Pablo Sarasate per la seconda, nel 1896.
    La seconda sonata venne eseguita la stessa sera della prima del 5° concerto per pianoforte, detto l'Egiziano perché composto durante un soggiorno a Luxos.
    Come la sonata.
    Completano il disco due composizioni particolari, una fantasia per violino e arpa che dura la bellezza di quasi 15 minuti e che è veramente difficile da decifrare e una Berceuse del 1871, pensata per pianoforte e violino ma qui trascritta "tale e quale" per violino e arpa.
    Quest'ultima è di facile ascolto, è una canzoncina ben strutturata.
    La fantasia è del 1907 ed è stata composta a Bordighera ed è dedicata a due sorelle, entrambe raffinate musiciste, appassionate della musica di Saint-Saens che la eseguirono in pubblico scrivendone all'amico del grande successo ottenuto.
    Ma in fondo, seppure l'ispirazione sia italiana, si tratta di musica tipicamente francese.
    L'esecuzione della Zilliacus, è stupefacente, coadiuvata dal suo violino napoletano di Nicolò Gagliano.
    E' indubbio che sia la protagonista del disco.
    Sebbene anche i suoi partner (in particolare l'arpista britannico Fitzpatrick) siano all'altezza.
    Come è all'altezza la registrazione Bis, in linea con la sua splendida tradizione.
    In breve, un disco che può diventare un riferimento per queste sonata di Saint-Saens, con pochi rivali.
    Il che per una specialista di compositori nordici (peraltro è da qualche mese professore di violino all'Accademia Sibelius di Helsinki) sembrerebbe strano.
    Ma poi non così tanto, se consideriamo l'assonanza tra i compositori tardo-romantici come Sibelius/Nielse/Stenhammar e il nostro caro Camille.


     

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