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Mauro Maratta

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Blog Entries posted by Mauro Maratta

  1. Medtner, Concerto per pianoforte e orchestra n. 2
    Rachmaninov, concerto per pianoforte e orchestra n. 3
    Marc-André Hamelin, pianoforte
    London Philarmonic Orchestra diretta da Vladimir Jurowski
    hyperion, 28 marzo 2017, formato 96/24, via Qobuz
    ***
    In generale rifuggo da Medtner come dai lassativi ma la recensione entusiastica (10/10) di un noto critico d'oltreoceano mi ha attirato.
    Considero Hamelin un pianista eccezionale in tutto il suo repertorio e Jurowski uno dei migliori della sua generazione, specie come accompagnatore di solisti.
    Qui sono accoppiati due concerti per pianoforte iper-romantici di due compositori che si frequentavano con grande amicizia.
    Non avevo mai ascoltato il concerto di Medtner (e non sapevo che ne avesse composti più di uno).
    C'è tanto materiale tematico in questo concerto ma sembra tutto sottosviluppato, monco, sovrapposto.
    Come certe trovate commerciali per attirare il pubblico : si mette tutta la mercanzia sul banco e si fa un pò di clamore per richiamare l'attenzione.
    Ma se il primo ascolto mi ha suscitato ... distrazione dopo un pò, il secondo e il terzo, più che altro noia.
    Non riesco proprio a seguirlo.
    In questo, pianista e orchestra, non hanno colpe, anzi, ci mettono del loro per rendere al meglio un affare che - per me - non è certo un capolavoro. Anzi, credo che sia uno dei tantissimi concerti per pianoforte dell'ultimo periodo romantico che potrebbero restare in archivio permanentemente.
    Rachmaninov è chiaramente un'altra cosa.
    Ma qui temo che Hamelin ecceda in una sorta di autocompiacimento apollineo che lo fa sembrare lento. E Jurowsky lo asseconda rallentando gli ingressi orchestrali.
    Manca quella brillantezza che - non so Sergei - altri grandi pianisti ci hanno riservato.
    Tutto molto elegante e perfetto, come una gita in slitta con pellicce di zibellino e di volpe in un pomeriggio di gennaio.
    Purtroppo la discografia qui è smisurata. Senza scomodare la Argerich, non ci sono che esempi ed esempi da prendere a confronto. Da Earl Wind a Van Cliburn per gli anni d'oro. Sino a Lugansky e Giltburg dei giorni nostri.
    Il suono mi sembra anche un pò sottile, quasi secco alle volte, sia in cuffia che nei monitor Adam Audio e forse questo ha contribuito al mio giudizio.
    Che non è negativo, ma nemmeno mi sento di consigliarlo.
     
  2. Siamo così permeati dal linguaggio verbale che impariamo fin da neonati, che crediamo che il pensiero si formalizzi sotto forma di parole.
    Invece no, il pensiero è immateriale, intangibile, non ha forma né suono.
    E non può essere trasferito.
    La comunicazione è stata inventata per consentirci di trasmettere il nostro pensiero agli altri.
    A gesti, a grugniti e poi, via via, con suoni più organizzati, fatti di parole.
    Ma la base resta un pensiero.
    Io posso tradurre il mio pensiero in parole nel modo più accurato possibile.
    Dirlo a parole a chi voglio che mi capisca.
    Quello ascolterà bontà sua quanto gli dico, darà un significato alle parole che sente e si farà un'idea di quanto sto pensando.
    Ma il mio pensiero e l'idea che ne avrà l'altro non coincideranno mai.
    Il risultato finale sarà una interpretazione del mio pensiero iniziale.
    Fin qui la comunicazione diretta, verbale, tra individui che si vedono e che è fatta anche di gesti, espressioni, contesti, situazioni.

    Con l'evoluzione, dal parlato si arrivata alla forma scritta delle parole.
    Abbiamo dato un simbolo ad ogni suono ed abbiamo avuto l'alfabeto.
    Dopo l'alfabeto, le regole grammaticali.
    Scrivendo - su pietra, su pergamena, su cera, su carta - le nostre parole, siamo riusciti a trasmettere i nostri pensieri anche a chi non è presente.
    Fisicamente e nel tempo. Un sistema efficace ed efficiente.
    Ancorché imperfetto. Perché abbiamo una doppia, tripla traduzione del pensiero.  A parole, scritte, lette, comprese, interpretate.
    Magari dai miei discendenti. O da persone lontane.
    Che magari parlano un altra lingua. Perché ogni gruppo di umani, localmente, ha sviluppato una propria lingua, spesso o quasi sempre incomprensibile per altri gruppi distanti.
    Per permettere di comunicare tra loro persone di lingue diverse, non a caso, si chiamano gli interpreti.
    Un interprete non si limita alla traduzione letterale come farebbe un traduttore automatico basico, si impegna a trasmettere nell'altra lingua il concetto il più possibile simile a quello espresso nella lingua iniziale.
    Non sembra così complicato perché per noi è tutto usuale, quotidiano.
    Quando parliamo con altre persone di un altro paese, in una lingua che non è né la nostra né la loro, facciamo uno sforzo di astrazione il cui risultato sarà, anche quando soddisfacente, spesso parziale.
    Ma continuiamo il percorso.
    Con le parole scritte si sono anche scritti poemi, storie, drammi, commedie. Che prima erano semplicemente raccontati o tramandati oralmente.
    La letteratura si è sviluppata grazie alla parola scritta.
    Un libro altro non è che il pensiero organizzato dell'autore, scritto in una certa lingua, che può essere letto, compreso e ... capito da chi lo voglia leggere.

    Nel caso dell'arte, pensiamo ad esempio ad un dramma di Shakespeare che scriveva a cavallo del 1600.
    Hamlet o Romeo e Giulietta sono sceneggiature (le chiameremmo così oggi, pensando al cinema), rese vive da personaggi di cui l'autore ha scritto i dialoghi.
    Leggendolo noi capiamo la storia ed entriamo nella relazione tra i personaggi. Arriviamo persino a commuoverci o ad arrabbiarci.
    Ma noi viviamo oggi, nel 21° secolo, quel testo è stato scritto nel 17° secolo, in una lingua parzialmente arcaica, diversa dalla nostra. Con significati che spesso ci sfuggono o restano labili.
    Pensiamo cosa debba essere mettere in scena l'Amleto oggi. Su un testo tradotto in italiano, per attori di oggi, che devono imparare la parte, immedesimarsi nel personaggio per poterlo interpretare.
    E poi relazionarsi sul palcoscenico con altri attori che impersonano altri personaggi.
    Sotto la guida di un registra che ha la responsabilità certo, di intrattenere il pubblico, ma anche di rendere un servigio onesto all'autore.
    Che più di 400 anni fa ha scritto un testo immortale perché anche noi, distanti nel tempo e nello spazio, potessimo apprezzarlo.
    E tutto questo con la musica classica che ci azzecca ?
    Giusto, un'altra lunga introduzione anche nel secondo capitolo. E perché ?
    Ho scritto che il pensiero si materializza sotto forma di parole perché possa essere trasmesso agli altri.
    E che cosa sono le parole ?
    Sono suoni, niente altro che suoni. Quindi noi, come tutti gli animali - o quasi - comunichiamo il nostro pensiero per mezzo di suoni.
    A cui abbiamo dato un significato codificato in modo tale che gli altri lo possano capire.
    Interpretare un testo per noi è normale, lo facciamo in ogni momento del testo.
    Così come comprendere e interpretare quanto ci sta dicendo il collega o l'amico a voce anche al telefono.
    O per iscritto su Whatsapp.
    Ma se invece di usare le parole ci limitassimo a provare a comunicare con i suoni delle lettere ?
    A-A-A-E-E-O-I-A-A e poi S-T-V-Z
    nessuno ci capirebbe.
    Ma noi potremmo sforzarci di articolare i suoni perché arrivino con un senso.
    Come fanno gli uccelli con quello che noi chiamiamo canto.
    Ecco ! Non è così che i suoni diventano musica ?
    Tanto quanto un commediografo o un drammaturgo concepiscono un testo che verrà poi rappresentato - a voce - dagli attori, un compositore cerca di cristallizzare il proprio pensiero in forma sonora ma per mezzo di musica.
    Ovvero suoni "musicalmente" articolati.
    Per lui avranno un significato in origine che può essere o meno chiaro. Potrebbe esserlo per chi ascolta quella musica.
    In mezzo, comunque sia, se non siamo musicisti, ci sarà un interprete che si incaricherà di cercare di rendere, con tutta la sua sensibilità, competenza, formazione, virtuosismo, carica umana, in qualche cosa che ci arrivi e ci dia il senso del pensiero iniziale.
    Per quanto possibile.
    Perché il linguaggio musicale per noi umani è molto ma molto più complicato da cogliere di quello parlato per cui fin dalla culla veniamo addestrati.
    Ma questo lo vedremo nel prosieguo di questa conversazione a puntate.
  3. Questo è il primo capitolo di una serie di articoli sull'interpretazione.
    Qualcuno lontano dal mondo della cosiddetta "musica classica" non avrà bene chiaro di che cosa si tratti.
    Mentre qualche neofita penserà ingenuamente che una registrazione (o una rappresentazione dal vivo) di una certa composizione valga le altre.
    Dobbiamo partire da lontano per spiegarlo e lo faremo nelle prossime puntate.

    Qui vorrei semplificare il discorso definendolo più semplicemente richiamando l'attualità o quasi.

    La parola ai Beatles
    Pensiamo a Let It Be.
    Canzone celeberrima, composta nel 1969 da McCartney e Lennon a quanto dicono le cronache e registrata nell'album del 1970 che prende il titolo proprio dalla sesta traccia.
    La conosciamo - penso tutti - compresi quelli che non amano la musica, specialmente quelli che non conoscono la musica classica.
    Ed è il motivo per cui l'ho scelta.
    E' stata registrata dai Beatles e portata in tour dagli stessi Beatles per anni.
    Paul McCartney ancora alla tenera età di 82 anni la canta ancora sul palco.
    Tanto che non pensiamo nemmeno ad una versione "autentica" di quella canzone, c'è quella dei Beatles del 1970, c'è quella registrata nell'Antology del 1996 che riporta alcune differenze.
    Ci sono registrazioni di edizioni dal vivo, riprese sul palco. Sempre diverse a seconda delle circostanze ma sempre autentiche.
    Eppure Let it Be è una delle canzoni che più è stata ripresa ed interpretata da altri cantanti, uomini e donne.
    Ogni volta dando o cercando di dare un tocco personale all'interpretazione.

    Ma noi - se le abbiamo ascoltate - lo abbiamo fatto sempre avendo nell'orecchio la versione "originale".
    Perché l'abbiamo ascoltata, ne possediamo magari il disco, la troviamo in streaming.
    Cantano e suonano i Beatles. Può essere divertente sentire come la canta Tina Turner, ma non sarà quella dei Beatles.
     
    E' normale nella musica popolare contemporanea, specie nell'era della registrazione audio e/o video.
    E' certamente diverso con la canzone tradizionale d'epoca, pensiamo a quella napoletana ma anche a quella inglese.
    Spesso gli autori sono morti da decenni, se non secoli. Se mai sono noti.
    Di molte canzoni napoletane famose conosciamo l'interpretazione - per esempio - di Beniamino Gigli o di Enrico Caruso (ma capisco bene che per molti anche questi nomi saranno sconosciuti quanto quello di Rodolfo Valentino o di Laurence Olivier, transeat ...).
    Mentre non abbiamo idea di come l'avesse pensata o l'avesse cantata l'autore. Secondo la tendenza, la tradizione, i gusti dell'epoca.

    Ecco, noi abbiamo una visione che è figlia del nostro tempo.
    Oggi (e ieri) la musica viene composta da chi poi la esegue, oppure viene composta su commissione dall'interprete.
    C'é chi compone le canzoni di Elodie o di Taylor Swift, spesso si tratta di un team.
    Poi le canzoni vengono arrangiate da qualcun altro, la cantante ne prende possesso e da il suo tocco personale.
    Ma le canzoni sono state pensate e composte per lei, per le sue doti, qualità, immagine.
    Impensabile ascoltarle da qualcun altro. Cose che in effetti non succede.

    Se non per canzoni di livello mondiale come ... appunto Let It Be.
    Quindi per lo più conosciamo interpreti unici che impersonano la "composizione". Che dopo qualche anno, passato il successo di quel cantante, spesso cadono nel (giusto) dimenticatoio.
    Poi ci sono le cover.
    Band specializzate nel "riprodurre" abbastanza "meccanicamente" originali famosi, in manifestazioni - diritti d'autore permettendo - oppure come antipasto dei concerti di cantanti più famosi.
    La loro potrebbe essere considerata una interpretazione ma spesso non lo è, si può parlare più di una fotocopia, a colori o in bianco e nero.
    E gli standard
    Nel jazz, ambiente più aperto e senza troppi cavilli legali, tutto questo è molto più labile.
    Ognuno fa la sua musica che per gran parte è improvvisazione.
    Ma poi ci sono i cosiddetti "standard" che riprendono brani e canzoni famose per rifarli secondo lo stile del singolo jazzista o della sua band.
    Qui andiamo oltre l'interpretazione, perché la ripresa è solo incidentale per costruirci sopra la propria musica.

     
    E tutto questo con la musica classica che ci azzecca ?
    Giusto, mai fare troppi preamboli.
    Nella musica classica le cose sono completamente diverse.
    Nella maggior parte dei casi, il compositore è l'attore principale della musica, non è quello che - a parte casi eccezionali - non compare mai dietro la canzone famosa dell'estate eseguita dalla cantante di moda.
    Ma normalmente il compositore non esegue la sua musica e nemmeno la dirige.
    Ci sono casi di compositori che sono stati anche grandi solisti o grandi direttori (citiamo, ad esempio, Rachmaninoff e Gustav Mahler) ma spesso un compositore scrive per uno strumento che non sa suonare.
    Oppure per una orchestra che non sa dirigere.
    Comporre e suonare, comporre e dirigere, sono cose molto differenti. Per comporre bisogna saper suonare almeno uno strumento ma non è necessario che si abbiano doti solistiche concertistiche.
    Mentre dirigere una grande orchestra è uno dei lavori più complicati del mondo, non alla portata di persone comuni.
    Ma nemmeno comporre. Un direttore d'orchestra deve saper comporre perché c'è una prova d'esame specifica. Ma una volta diplomato comincia il suo vero apprendistato.
    Che non prevede che lui sappia comporre come i compositori che dovrà eseguire.
    Non solo. La musica classica abbraccia - nei suoi tanti generi - circa 1000 anni di musica.
    Se Taylor Swift volesse interpretare Let It Be potrebbe ascoltare il disco dei Beatles e poi parlarne con Paul McCartney.

    Ma se Yuja Wang volesse registrare le toccate di Frescobaldi - compositore sommo e solista virtuoso senza eguali ai suoi tempi - non troverà né registrazioni originali né la possibilità di confrontarsi con il divino Girolamo, morto addirittura nel 1643.
    Io considero morta nel 1976 la musica classica (ne riparleremo) ma ci sono compositori contemporanei in attività, con cui gli interpreti possono relazionarsi.
    Spesso, come nella musica pop, questi compositori compongono su commissione dell'interprete stesso o di una istituzione che ha già un suo interprete.
    Ma nella maggior parte dei casi, l'interprete si trova di fronte semplicemente con un testo scritto o stampato. E con le registrazioni o le interpretazioni in concerto dei suoi colleghi quando non parliamo di una prima esecuzione assoluta.
    E il testo scritto in musica é solo una serie di segni e di indicazioni, spesso addirittura assenti.
    Con una prassi esecutiva che nel tempo è variata (per Frescobaldi, il segno era un'idea ma era previsto che nelle riprese e nei ritornelli l'esecutore aggiungesse del suo, secondo l'estro, una volta che capisse la musica; per Beethoven aggiungere una nota era ed è un sacrilegio).
    E con un gusto interpretativo e di ascolto che varia nel tempo.
    Ma qui stiamo entrando nel campo della seconda puntata di questo lungo discorso.
    Per il momento spero di aver chiarito un pochino perché nella esecuzione della musica classica si parla così tanto di interpretazione.
    E del perché nella stragrande maggioranza dei casi abbiamo più edizioni ed interpretazioni della stessa composizione.
    Fino ad averne centinaia e centinaia per le più famose.
    Non abbiamo semplicemente la Nona sinfonia di Beethoven. Ma la Nona sinfonia di Beethoven eseguita da Toscanini, da Furtwangler, da Abbado, da Karajan, da Bernstein, da Chally ...
    E il Beethoven di Karajan è diverso tra l'edizione con la Philarmonia, la prima con i Berliner, la seconda con i Berliner, quella con i Wiener e ...
    Perché la musica classica è tradizione scritta e gli interpreti si rifanno a tutto il loro bagaglio di conoscenza, sensibilità umanità per renderla al meglio delle loro possibilità e sentimenti al servizio dell'ascoltatore e della musica stessa.
    Per quanti interpreti ed esecutori avremo, per quante occasioni, sale di incisione o teatri, avremo interpretazioni differenti.
    Non tutte dello stesso livello, non tutte ugualmente condivisibili dagli ascoltatori.
    Che a loro volta avranno diversa sensibilità, cultura, aspettativa, atteggiamento nei confronti e della musica e dell'interprete.
    Si conclude qui la prima parte che proseguirà prossimamente.
  4. Juho Pohjonen : Rameau & Scriabin

    Juho Pohjonen : Rameau & Scriabin
    Juho Pohjonen, pianoforte
    Orchid Classics, 21 giugno 2024, via Qobuz 96/24
    ***
    Alcuni critici trovano stimolante questo accostamento. Il libretto parla degli esperimenti tonali di Rameu (che scriveva al clavicembalo nei primi del '700) simili a quelli di Scriabin (che negli ultimi anni di vita, accecato da non si sa quale ossessione, si è inventato una ruota di colori che usava al posto della notazione musicale classica).
    Io no, lo ammetto.
    Il primo Scriabin io lo adoro. Non capisco e detesto con fermezza quello tornato dalla Francia.
    Ma qui abbiamo un disco suonato con un garbo eccezionale e una eleganza veramente clavicembalistica, pur usando un normale pianoforte da concerto moderno.
    I trilli, i ritornelli, le riprese di tutto il suo Rameau lo rendono prezioso.
    E seppur - o per fortuna - Les Sauvages non ha la leziosità narcisistica di Sokolov, ci sono pochi momenti di noia in queste sue interpretazioni del francese.
    Scriabin, con la premessa iniziale, mantiene lo stesso tono, elegante, senza eccessi. Senza un pizzico di follia.
    Che poi è l'assurdità finale di questo accoppiamento.
    Che, però, lo ripeto, ritengo di consigliare fortemente per la prima parte e non per le sonate 6 e 7 e Messe varie del russo.
    Qualità di ripresa eccezionale.

    pianista raffinato, lo si incontra in numerosi dischi di musica da camera.
    Io non sono favorevole al Bach cameristico al pianoforte, ma le 6 sonate per violino e pianoforte incise con Nicolas Dautricourt nel 2018 sono sublimi.


    Pohjonen ha una libertà e una indipendenza di dita che ricordano addirittura Gulda.
    E un tocco leggero e ammaliante.
  5. DIP21 : Dirac Live Correction

    Bene, parliamo di un argomento che va a braccetto con i tempi moderni ma che farà arricciare le narici e raddrizzare i peli ai puristi.
    Puristi di che ?
    Non so, vedete voi.
    Io sono passato da tempo al 100% al Computer Audiofilo e quindi sinceramente di certe argomentazioni tardo ottocentesche me ne infischio.
    In fondo credo siano battaglie di retroguardia e non voglio nemmeno perdere troppo tempo a rintuzzare i contrattacchi del nemico in fuga.
    Che continuino a pascersi nelle loro incertezze.
    Qui le cose sono molto più chiare.
    Dismesso l'elettrodomestico musicale (il lettore CD) da lustri e passato tutto in digitale puro con un software che fa da lettore dentro ad un bel computer, non vedo perchè legarsi le mani evitando di andare oltre.
    Avete presente la risposta dei vostri bellissimi diffusori in camera anecoica con cui vi siete convinti di fare l'acquisto ideale a suo tempo ?
    Tutte balle, valide solo in quell'ambiente.
    Ma nel vostro, bene che vi vada, tra riflessioni, risonanze, rimbalzi, vetri e finestre, le cose saranno di gran lunga differenti.
    E quindi il suono che sentirete e a cui vi abituerete sarà ben diverso da quello che il progettista ha immaginato e ... vi ha venduto.
    Non ci credete ? Dotatevi di un microfono USB da poche decine di euro (come il miniDSP UMIK-1 che uso io) e un programma di misurazione free come REW e lo vedrete in pochi minuti.
    Poi vi farete domande sciocche che non meritano grandi risposte.
    E' così e non ci si può fare molto. Tappeti, trappole per i bassi, sofà e controsoffitti non vi aiuteranno molto a rendere lineare, pulita e coerente la risposta dei vostri diffusori in ambiente.
    Tenete conto che sicuramente sarà diversa la risposta dei due diffusori tra loro. E che difficilmente vi riuscirà di sistemarla semplicemente spostando un diffusore avanti o indietro.

    questa è la risposta dei due canali dei miei nuovi DIP 2, due affari enormi di cui sto parlando su queste pagine.
    Li ho concepiti, progettati, costruiti e regolati io me medesimo da solo.
    Utilizzando la tecnologia che il 21° secolo ci mette a disposizione.
    Fa spavento, vero ?
    Eppure sarà facilmente simile anche quella dei vostri, purchè non abitiate in una camera anecoica o in un teatro greco.
    Che si può fare ?
    Si può ricorrere all'equalizzatore. Vi ricordate quei cosi in voga negli anni '70 e '80 del secolo scorso pieni di cursori ?
    Quelli belli si chiamavano parametrici e consentivano di fare correzioni oculate. Normalmente ad orecchio.
    E chi ha un orecchio tarato bene ?
    Per di più su un numero limitato di frequenze.
    Oggi ci sono strumenti digitali che ci consentono di intervenire manualmente sulle singole gamme di frequenza inserendo filtri precisi con un fattore di merito adeguato alla bisogna.
    Ma su una figura così tormentata vi immaginate quanto tempo ci vorrà ?
    E cosa fare, per esempio, sulla figura impulsiva, così ... smorta ?

    o sul ritardo delle varie gamme di frequenza.
    E sulla differenza tra i canali sul punto di ascolto ?
    Appunto, lavoro improbo, soggetto a ... soggettività, lungo e sempre troppo artigianale per una mente aperta ma che sul piano dell'audio bada al suono : bello, pulito, preciso, nitido. Come da progetto delle mie DIP21 (leggetevi gli altri articoli al riguardo ... quando saranno in linea, se vi va).
    E allora ?
    E allora si fa intervenire l'intelligenza artificiale, si chiamano gli specialisti e si lavora alla radice del problema.
    Una società svedese ha preso il nome di un grande fisico inglese, Paul Dirac, autore di una equazione che è diventata famosa come ... l'equazione dell'amore (parliamo di meccanica quantistica applicata ai fermioni) ed ha sviluppato un sistema di correzione automatico della risposta in ambiente che viene applicata all'ascolto domestico, agli studi di registrazione, agli auditorium e alle automobili.
    La trovate a questo indirizzo. Collabora con grandi case (BMW, Bentley, Rolls Royce, Theta, Nad, Oppo, Huawei ...) ma rende disponibile il suo sistema anche ai privati come noi.
    Il suo software - Dirac Live Room Correction - é disponibile in due versioni : quella normale stereo (cui farò riferimento in questo articolo) e quella più evoluta ad 8 canali per il theather (tematica che non mi sfrizzola moltissimo).
    Il sistema si compone di due parti, uno che si occupa delle misure, ed uno che si occupa di applicarle alla periferica audio utilizzata per la riproduzione della musica.

    Come funziona ?
    Sulle prime viene richiesto di individuare l'ambito e la periferica di uscita.
    Il campionamento disponibile va dal formato CD (44100 Hz) a 192.000 Hz, più che sufficienti per i normali usi (per frequenze più elevate sarà necessario sottocampionare).

    quindi il microfono, necessario per le misurazioni :

     
    si dovranno impostare i livelli opportuni perchè la misurazione sia compatibile con il sistema regolando i cursori in dotazione :

    io ho montato il mio microfono (acquistato online da Audiophonics di Bordeaux) su un normale treppiedi da studio fotografico, con lo spike a vite da 3/8''.
    L'ho regolato perchè l'altezza dosse pari a quella della mia testa (altezza orecchie) nella normale posizione di ascolto (poltroncina a rotelle da ufficio : siamo nel mio studio, non nella sala d'ascolto).
    A questo punto si passa nella fase di effettiva misurazione.
    E' possibile scegliere tra sedia, sofa e auditorium.
    A seconda dei casi saranno proposte più misurazioni in posizioni differenti.
    Ad ogni passaggio si farà una misurazione e poi si sposterà il microfono come proposto.
    Il sistema ad ogni misurazione emette un segnale a tutta banda (dalle frequenze più basse a quelle più alte) di circa 12 secondi, dopo di che elabora il segnale e lo accantona.
    Vi consiglio di tapparvi le orecchie perchè dopo un pò dà fastidio ! Il mio cane infatti mi ha lasciato infastidito al secondo fischio ad alta frequenza.

    nella parte bassa della finestra qui sopra vedere la figura della forma d'onda nei vari impulsi.
    Finite le misurazioni si potrà procedere e verrà visualizzato il responso finale.
    Qui c'è una rappresentazione mediata della risposta in ambiente dei due canali sovrapposti (modulati dalle diverse risposte intorno ai due diffusori, l'asimmetricità della stanza, la presenza a sinistra della finestra, a destra di un mobile davanti alla parete, io medesimo messo da qualche parte, etc. etc.).
    E' la figura in azzurrino sullo sfondo blu.
    Terribile, vero ?
    Un basso profondo a picco fino a sensibilità esagerate che poi precipita e recupera solo nel medio basso, per poi decrescere con una ondulazione impossibile da correggere a mano.
    Il medio è quasi esemplare ma la variabilità è comunque elevata.
    L'alto è a doppia campana con un avvallamento all'incrocio tra i midrange e il tweeter che da manuale non ci dovrebbe essere ma, peggio, una differenza tra i due canali che fa paura.
    In arancione viene proposta una risposta in frequenza ideale, detta di target, cui il sistema vorrebbe allineare i diffusori.

    é possibile modificarla a mano secondo le proprie necessità.
    Io sapendo che il grosso delle registrazioni di musica è pensato per chi possiede minidiffusori senza woofer o, peggio, cuffie e cuffiette con risposte sui bassi ridicole, ho modulato i bassi sotto ai 150 Hz un pò all'ingrosso, come era da propositi del mio progetto delle DIP21 : avere un basso possente su un medio articolato e pulito.
    A queto punto si dice al sistema di regolare l'ottimizzazione del sistema che viene normalizzato così :

    per quanto riguarda la risposta. Il punto flat del basso è a 24 Hz, ben al di sopra della media dei diffusori migliori al mondo.
    E l'impulso è questo, molto, molto realistico, considerando che stiamo parlando di 2 pannelli che sommano quasi 3 mq di superficie con 18 driver complessivi e che, soprattutto, emettono da entrambe le superfici.

    Salviamo il filtro e il progetto per poterlo utilizzare.

    Insomma, banalmente che cosa ha fatto il nostro Dirac ?
    Ha creato una serie di filtri (un elevato numero, anche migliaia) piccoli e ravvicinati, che vanno a manipolare la risposta dei due diffusori, allineando al contempo anche i due canali e la loro risposta nel tempo.
    Tenendo conto di tutti i parametri effettivamente misurati nel mio ambiente nelle mie condizioni di ascolto.
    Ok, bello. Ma come si utilizza questo filtro ?
    Dirac Audio Processor
    C'è un altro tool messo a disposizione da Dirac che si installa automaticamente all'avvio del computer e che va ad impossessarsi della periferica audio (in questo caso un DAC Audio-GD) per manipolarne in tempo reale la risposta in frequenza.
    Si presenta con questa finestrella qui.

    e si possono caricare fino a 4 filtri differenti, selezionando quale poi utilizzare.
     

    ho chiamato il mio semplicemente UNO, immaginando in queste settimane di messa a punto del mio sistema ne progetterò diversi e mi piacerà confrontarli tra loro.
    Il DAP può essere regolato in modo fine per ottenere aggiustamente ad orecchio in caso sentissimo la necessità di farlo (non è, per ora, il mio caso).

    in termini di risposta tra i due canali e di intervento del processore

    come sia, da questo momento la risposta in frequenza del sistema sarà quella imposta e non più quella effettiva.
    Ad una prima prova di ascolto ho riscontrato in modo netto ed evidente la differenza di qualità, pulizia e, soprattutto di sensazione di ricostruzione tridimensionale della scena sonora, praticamente con tutti i genere musicali, anche quelli - non ci avrei creduto - più beceramente "elettronici".
    Ne riparlerò quando descriverò nel complesso le DIP21 ma in questo articolo monografico mi premeva parlare del Dirac Live Room Correction, un must have secondo me, quanto lo sono oramai la riproduzione musicale digitale direttamente da computer, i DAC, i cross-over digitali e i collegamenti bilanciati tra le elettroniche.
    Il prezzo di acquisto è sensibile (389 euro cui aggiungere i 79 del microfono) ma secondo me ne vale la pena.
    Sicuramente ne guadagnerà il vostro sistema di ascolto molto più che cambiando .... tutti i componenti secondo quella malattia che a più riprese colpisce tutti gli audiofili.
    Ma su questo sito siamo musicofili e quindi cerchiamo la via migliore per ottenere il massimo da quello che abbiamo deciso di utilizzare.
    Alla prossima !

     
  6. Qualche tempo fa mi sono imbattuto in un video youtube dove l'oratore, in un lungo monologo, cerca di convincerci con dovizia di argomenti, che i monitor professionali non possano suonare in altro modo che mediocre.
    Se la premessa è questi monitor siano della classe dei mitici Yamaha NS, quelli bianchi messi sul banco del mixer, pensati all'epoca in cui la destinazione del missaggio era la compressione di dinamica e picchi in modo da non far saltare le cupole dei tweeter e le membrane dei woofer dei poveri impiantini di casa, incapaci di reggere livelli adeguati, allora si.
    L'idea è riprodurre un suono medio, più che mediocre, in linea con quello che poi ascolterà l'utente medio.
    Siamo ancora all'epoca del vinile stampato in malo modo e riprodotto finché il master non si rovina e poi ascoltato sui mitici 15 watt e con le casse Heco o Indiana Line.
    Con il lancio del CD, peggio mi sento, la dinamica ha avuto un picco ma gli impianti sono rimasti quelli. E quindi il missaggio ne doveva tenere conto.
    Ma oggi è un altro paio di tasche. Abbiamo avuto una profonda selezione degli ascoltatori. Una buona parte - il grosso - è scomparso. Quelli che avevano il compattone o hanno le casse con i coni da ribordare oramai ascoltano la musica in auto o con le cuffiette.
    Quelli che la musica la amano come noi, invece, hanno impianti in grado di rendere "quasi" tutta la dinamica che si vuole, almeno restando a volumi inferiori alla soglia del dolore alle orecchie ...
    ... quindi la pretesa è che il materiale sonoro sia reso disponibile al meglio, su supporto ... smaterializzato e semplici lettori software si permettono di fare lo scan della dinamica al volo dei brani ascoltati in streaming 

    mostrando curve che si approssimano al limite teorico dei bit a disposizione.
    Tolto quel limite, e adeguati gli impianti di riproduzione, il mix deve essere fatto con monitor buoni. Quindi sia i near-field (quelli posti sul banco) che quelli mid-field (quelli messi dietro al banco) sono di un livello superiore, mediamente.
    Sono attivi, sono potenti. Sono fedeli.
    E intanto sono arrivati produttori nuovi che hanno proposto linee di monitor attivi multivia, con tanti watt a disposizione, driver di qualità, processori interni, flessibilità di pilotaggio.
    Non mi riferisco solo o esclusivamente a quelli di riferimento (sono in genere messi a parete negli studi di registrazione e servono più che altro per impressionare i clienti, perché hanno prestazioni da palco) ma a tutti gli altri.
    Dando un'occhiata a venditori di livello come Thomann si ha un esempio della gamma proposta, anche da marchi famosi come Dynaudio.
    E di produttori specializzati come Neumann, Focal, Genelec, Adam Audio.
    I marchi citati si contendono la scena, insieme ad altri meno famosi, nell'attrezzare gli studi di tutto il mondo, con monitor di tutte le fasce economiche.
    Ci sono sistemi a 2 e a 3 vie, con 2-3-4 driver per canale. Sono sistemi amplificati, che accettano segnali per lo più analogici (ma alcuni anche digitali).
    Che si possono controllare via software con connessione ethernet. E vari livelli di sofisticazione.
    E che possono costare svariate migliaia di euro l'uno (perché i monitor attivi professionali si comprano per singolo pezzo).
    Adam Audio, europea società berlinese che si permette ancora di fare alcune lavorazioni in patria, si è guadagnata un nome con una gamma completa e su svariati livelli che può accontentare sia l'hobbysta che il grande studio.
    Qui abbiamo già visto la prova di un modello a tre vie della serie S, io ho in casa dallo scorso dicembre una coppia di due vie serie T e questa coppia di tre vie serie A di cui vi parlo in questo articolo.
    Sono monitor a tre vie, 4 altoparlanti, tre amplificatori, cross-over interno a DSP, controllo del suono via DSP, ingresso ethernet per il controllo dei parametri e l'immissione della curva di correzione.
    ***
    Ma perché ne parliamo su queste pagine ? Perché questi sistemi, concepiti per il professionale possono essere benissimo adattati anche per l'ascolto in casa.
    Purché, purché, purchè ...
     
    Tornando al video di cui parlavo all'inizio, il monitor professionali non sono pensati per un uso "pronto e cuoci". Hanno una risposta che pur regolabile dal pannello posteriore, è pensata per dare solo la base al professionista.
    Che sa benissimo che in base al posizionamento in studio e al tipo di suono che cerca per il suo lavoro, non potrà accontentarsi del suono così come esce dai diffusori.
    Solo dopo la calibrazione i monitor saranno pronti per l'uso a cui sono destinati.
    Altrimenti, è vero, suoneranno in modo se non mediocre, almeno ordinario.


     
    qui abbiamo i miei due monitor, posizionati sul tavolo di lavoro, a circa 35° di orientamento verso di me, il medio e all'altezza delle mie orecchie, a 110 cm di distanza per la precisione.
    Con 60 cm di spazio dietro verso la parete, ad angolo per il monitori di destra, la finestra, per il monitor di destra.
    Sono monitor piuttosto grandi, 531 x 350 x 236 mm, Peso: 17,1 kg. Stanno su un piedistallo in metallo regolabile a 20 cm dal piano.

    la pagina con le specifiche di Thomann. Sono sempre in cima alla classifica delle vendite. In pronta consegna.

    A me sono arrivati con UPS in due giorni.

    i dati di amplificatori e altoparlanti
    Dicevo che la risposta sarà influenzata da tanti fattori.
    Le due misure che ho pubblicato più in alto sono differenziate per l'altezza dal piano.
    Ma presentano entrambe rinforzi e cancellazioni sul basso per interferenze costruttive e distruttive dovute all'emissione posteriore che arriva in fase o in controfase rispetto a quella anteriore dei due woofer da 7'' e delle aperture reflex.
    Il medio presente anche esso un paio di avvallamenti ma poi tutto sommato prosegue abbastanza linearmente verso l'alto, con una risposta quasi piana.
    Naturalmente sono compromessi dovuti al posizionamento e all'assenza totale di assorbenti o trattamenti acustici in questa stanza che certo non è uno studio di registrazione.
    Ma è una stanza comune come quella di tutti gli altri.
    Ovviamente l'ascolto così sarà pesantemente influenzato da queste anomalie. Per non parlare della presenza di oggetti nel campo acustico.
    Per risolvere il problema senza ribaltare la stanza o spendere N volte il valore dei monitor per il trattamento della stanza (mai abbastanza efficace in una casa normale, quale che sia la spesa fatta), oggi si interviene per via elettronica.
    Misurando la risposta da diversi punti vicini a quello dove si troverà l'ascoltatore, per avere poi un modello capace di generare una serie di filtri che modifichino digitalmente - a monte del sistema di riproduzione - la risposta misurata.
    Non solo in asse sul piano della potenza in arrivo ma soprattutto intervenendo sulla fase dei due canali e sui ritardi alle singole frequenze.
    Adam Audio propone per questa serie l'uso di Sonarworks, che si interfaccia con il DSP integrato per inserire la correzione direttamente dentro ai diffusori.
    Io non dispongo di questo software che non conosco se non per le recensioni lette. Soprattutto non possiedo un microfono XLR e non ho interfacce con alimentazione a 48 V.
    Per cui ho preferito usare il mio Dirac Live che conosco e che utilizza il mio microfono usb Umik di minidsp.
    Partendo dalla risposta numero due di cui sopra, ho fatto la calibrazione poco fa, dopo aver cambiato i piedistalli dei due monitor.
     

     
    ho usato la simulazione di uno studio, non quella tipica di una sala di ascolto.
    Il sistema dopo le 9 misurazioni standard ha proposto questo genere di correzione

    che mi convince perfettamente, perché segue un profilo di tipo Harman con un rinforzo sempre gradito sotto ai 100 Hz, ponendo un limite intorno ai 30 Hz ma con una risposta piena a 32 Hz.
    Considerando che i due 7'' in parallelo equivalgono ad un 10 pollici circa, non è male.
    Come detto il midrange in composito da 3.5 pollici è all'altezza delle mie orecchie mentre il tweeter X-ART (air-motion) fatto a mano da artigiane berlinesi è poco più sopra.
    Impiegando il Dirac Processor come terminale di Audirvana, il mio sistema non è influenzato da queste elaborazioni.
     

    perché lui "impersona" la porta USB Amanero della mia Audio-gd DI24HE che a sua volta alimenta il DAC R-1 NOS e il preamplificatore Audio-gd Master 9 Mk III.
    ***
    Una installazione tipica per questi monitor

    non vi mostro la mia perché è molto più disordinata e soprattutto non ha alcun Mac ma un più modesto mini PC cinese a controllare il tutto.
    Io non ci produco musica, mi limito ad ascoltarla, scrivere le modeste recensioni che vedete su queste pagine, provare apparecchi.

    questi monitor, pur compatti per lo standard di settore, sono imponenti, essendo larghi poco meno del mio monitor da 32 pollici.
    E pesano un botto, difficili da spostare una volta posizionati.
    A conferma della solidità tutta teutonica.
    Il materiale delle membrane è tutto tecnico, la corsa dei due woofer è lunga.
    La distorsione anche a livelli da ... studio di registrazione, è inesistente ed è più probabile che vibrino i vetri.
    Complici le due porte reflex anteriori l'emissione è solida e concreta.
    Il suono - una volta calibrato - è concreto, lineare, cristallino, senza enfasi.
    Coerente e solido. Con una immagine stereofonica granitica.
    L'impostazione resta di tipo teutonico ed è tale da non perdonare nulla alle registrazioni.
    Ma è questa la loro prerogativa, ciò che ne giustifica l'esistenza.
    Roberta Invernizzi nel disco Fineline "O dolcezze amarissime" non è in alcun modo edulcorata ed è resa senza indulgenza (la voce è sempre bellissima ma il microfono è troppo vicino secondo me ...).
    Se la registrazione è pulita, viene voglia di alzare il volume fino oltre la metà (del logaritmico controllo di volume analogico del mio Audio-gd) come è il caso della straordinaria registrazione di Ysaye di Hypérion.
    Come quella Vraft Recordings di Art Pepper + Eleven del 1959.
    Naturalmente potrei giocare con i livelli del Dirac per modulare la risposta come la voglio io ma snaturerei la logica di questi monitor.
    E poi, io ho altri diffusori più strutturati per dare una visione più musicale e meno "in avanti" della musica in questa stanza. Sempre calibrati con Dirac Live ma progettati per essere meno presenti.
    Del resto, non volevate un suono monitor dettagliato e radiografante ? Eccolo qua !

    il pannello posteriore con gli ingressi, l'inusuale presa ethernet, la presa di corrente e i controlli di tono a DSP, oltre al bianciamento.
    Tutte cose che io ho lasciato rigorosamente in flat.
    Personalmente sconsiglio di usare monitor di questo tipo con collegamento single-ended, devono essere usati con cavi XLR di buona qualità.

    vista di tre quarti con gli splendidi driver in primo piano e le porte dei condotti reflex agli angoli.
    La smussatura ai bordi superiori è puramente estetica.

    il famoso tweeter X-ART con la guida d'onda.
    E' possibile girarlo anche in orizzontale per modificare la dispersione.
    E concludiamo così anche se potremmo parlarne a lungo. Magari se ci saranno commenti ...
    I monitor attivi professionali suonano in modo mediocre ? Decisamente no, se sono buoni e di ultima generazione e sono calibrati bene a seconda dello scopo che si ha in mente.
    Possono sostituire amplificatore e diffusori HIFI tradizionali ?
    Decisamente si, con qualità costruttiva di un ordine di grandezza superiore, risparmiando spazio e denaro rispetto a certe proposte da audio-gonzi che circolano nel mondo hifi di oggi oramai ridotto a "il gatto e la volpe" da un lato e tante pecorelle credulone dall'altra parte.
     
    Giudizio complessivo
    PRO: costruzione inappuntabile. Siamo realmente nel mondo professionale è un apparecchio di fascia media ma le prestazioni sono di alta gamma potente, indistorto, capace di elevati livelli sonori suono ad alta risoluzione, gamma media e alta cristallina i vantaggi delle tre vie, di cui quelle superiori di gran classe disponibilità di controlli sia hardware che software per personalizzare il suono addirittura conveniente (di prezzo) se confrontato con catene della cosiddetta alta fedeltà che questo livello costruttivo e questo suono se lo sognano possibilità di calibrazione interna tramite il software opzionale Sonarworks (con microfono dedicato)  
    CONTRO: pesanti e ingombranti su un tavolo, meglio su piedestalli professionali in solida ghisa il suono "fuori dalla scatola" non basta per convincere l'ascoltatore il suono è monitor, con tutto in primo piano, non c'è nessuna concessione eufonica (qualunque cosa voglia dire d'altro rispetto all'attutire certe frequenze) non perdonano le cattive registrazioni (anche perché questi monitor dovrebbero servire per verificare il mix delle registrazioni audio) non costano poco ma Adam Audio propone altre soluzioni più abbordabili sia nella gamma A che in quella T dove ci sono modelli sorprendenti per capacità sonore rispetto al costo
  7. LUFT (aria) : musica per sassofono e bandoneon
    Maja Lisac Barroso, Marcelo Nisinman
    Prospero Classical - 25/3/2020
    Via Qobuz in 96/24
    ***
    Con la premessa che questa per me è "musica leggera" non in senso diminutivo ma perché è proprio un repertorio leggero e i cui autori - tolto Piazzolla e Buxtehude - mi sono del tutto sconosciuti, è un disco che mi ha entusiasmato subito.
    L'ho incrociato perché in dicembre/2024 è uscito un altro disco con la stessa solista che è più vicino a quello che ascolto di solito

    il quintetto in do maggiore di Schubert qui interpretato da 5 sassofoni anziché cinque archi, sempre edito da Prospero Classics e disponibile su Qobuz.
    Maja Lisac (slovena di origine ma nata in Svizzera) è una musicista di livello altissimo. Di lei dice Brandon Marsalis "Lei comprende ogni singola nota"
    E non tragga in inganno la copertina che ammicca al tango argentino.


    qui ritratta con il vestito rosso insieme all'altro, eccellente, interprete di questo disco, Marcelo Nisinman.
    Come ci sia capitato Buxtehude con un corale qui dentro (arrangiato dalla stessa Lisac) non saprei ma l'ambiente di questa fotografia si addice certamente di più a questa musica che al Hombre Tango.
    Come sia, alla fine è tutta musica piacevole, per lo più ovviamente fatta da arrangiamenti preparati dai due solisti per l'insolita accoppiata che ricorda a momenti l'organo (Hammond).
    Il virtuosismo è eccezionale. Le sonorità, dico i singoli suoni, una delizia.
    Insomma, per me è una perla che non merita di passare inosservato.
    Se vi ho incuriositi perdete quei 50 minuti necessari per ascoltarlo (è una scelta eccellente anche per provare apparecchi musicali, cuffie, diffusori, amplificatori : io l'ho inserito nel mio programma standard di verifica cuffie).
     
  8. La Quarta sinfonia : apoteosi di Brahms

    In generale non consiglio ai neofiti di cominciare - nonostante quanto si dica - l'ascolto di Brahms, dalle sinfonie.
    Meno che meno dalla Quarta.

    manoscritto autografo della quarta sinfonia di Johannes Brahms
     
    al contrario, consiglio di cominciare ad affrontare Brahms con le Danze Ungheresi.
    Perché è troppa la stratificazione tardo-romantica e wagneriana che bisogna togliere dalle sue pagine - sul piano interpretativo - per arrivare finalmente all'ascolto del vero Brahms.
    Chi partisse dalle sinfonie, magari interpretate nella tradizione tedesca classica, poi stenterebbe a credere che quel Brahms sia lo stesso delle Danze Ungheresi o dei liebeslieder walzer.
    E che quello stesso laico e scanzonato tedesco del nord, abbia scritto anche un requiem, il "canto delle parche" e la rapsodia per contralto.
    E concluso la sua carriera con calde atmosfere autunnali al clarinetto e poi con dei corali per organi di evidente tradizione luterana sassone.
    Perché alla fine, dei due partiti progressisti-conservatori hanno ovviamente avuto ragione i primi.
    Con i wagneriani che hanno dettato legge fino agli anni '50 del secolo scorso.
    Furtwangler, Walter, Mengelberg erano tutti figli di Wagner.
    E a poco poté il nostro Toscanini che dirigeva Brahms con la leggerezza con cui avrebbe affrontato Rossini.
    A parte la prima sinfonia, sempre sminuita come decima di Beethoven per l'ovvio tributo di Johannes al sommo Ludwig nell'ultimo movimento, il testamento musicale sinfonico di Brahms, la quarta sinfonia, ce l'hanno trasmessa ammantata di liturgia da caduta degli dei.
    Un gotterdammerung romantico dopo cui non c'era speranza.
    Ma se persino Schonberg lo considerò "il progressista", la verità deve stare altrove.
    Nel manifesto, non nella stantia nostalgia. Nell'eroismo borghese di tutti i giorni, giammai altisonante, non nello struggimento che era invece tipico dei primi romantici.
    Brahms non parlava alle masse, ne provava invece orrore. Non aveva alcun interesse ad istruire gli ascoltatori o a raccontare fiabe.
    Profondamente timido, riteneva sempre modeste le sue composizioni ed aveva necessità di avere il conforto dei suoi amici prima di finalizzarle.
    Il suo testamento sinfonico è del tutto diverso dai suoi, più volte rimandati, commiati dalla composizione.
    La sua quarta è del 1885 ma fino agli ultimi mesi prima della malattia, più volte Brahms si rimetterà alla penna per scrivere musica, in fondo soave, aperta, nostalgica e mai rassegnata. A differenza di quanto si vuole far credere.
    La quarta sinfonia è l'estremo limite del sinfonismo classico tedesco (che poi prende le mosse dalla tradizione contrappuntistica italiana; e Brahms attinge a piene mani esempio dalla musica barocca in tutte le sue opere principali).
    Ma apre le porte al futuro post-romantico. Quello che darà a Britten, a Prokofiev, a Shostakovich, a Nilsen, le chiavi per riporre definitivamente la musica classica nel cassetto. Da dove non siamo più riusciti a farla riemergere.
    Nei tradizionali quattro movimenti della quarta c'è tutto il mondo classico.
    L'allegro non troppo iniziale si apre con un tema di due sole note ripetute che riecheggiano, velate, l'adagio dell'Hammerklavier.
    Ti-Ra, Ta-Ri, Ti-Ra, Ta-Ri
    e per i suoi 12 e più minuti si dipana in permutazioni aritmetiche dello stesso semplicissimo tema, intervallato da un altro, eroico e virile, portato dai fiati.
    Una maratona - non una battaglia - tra archi e fiati - con ampi cambi di ritmo puntati da timpani e ottoni.
    C'è la nostalgia che fin dall'infanzia ha caratterizzato la musica di Brahms ma ci sono anche i temi tzigani "all'ungherese" che ne hanno caratterizzato l'età adulta.
    E i tratti autunnali dell'ultima fase della vita, con slanci di lunghe arcate melodiche portate da tutta l'orchestra.
    Lo sviluppo della musica porta ad un trotteggiante squillo di ottoni : tutt'altro che decadente o arrendevole.
    Di Brahms, la retorica ha raccontato sempre un sacco di frottole, melodrammando il più possibile.
    Il tema è semplice ma assoluto. Vale quello della terza di Beethoven che però ha bisogno di due doppie. Qui le note sono veramente solo due.
    Portate, raddoppiate, rafforzate, dagli alti ai bassi.
    L'andante si apre con i corni, accompagnati dai fiati che aprono la scena ai bassi, più che agli archi nobili. E' l'intermezzo che lascia lo spazio per prendere fiato e che non deve indugiare troppo.
    L'allegro giocoso è un'esplosione di colore con il pieno di trombe e timpani. Forza pura, ma quale rassegnazione. In nessun caso. Viva Brahms !
    E' breve. E' giusto che uno scherzo sia breve. Non si deve esagerare. Non deve mancare l'energia ma creare l'aspettativa che il gioco ad un certo punto finirà.
    Si chiude con la passione. Con una ciaccona il cui tema è seguito da trentuno variazioni e una coda. Una sorta di tributo alle variazioni Goldberg di Bach; e in effetti originano da un tema ricavato dalla Cantata BWV 150 dello stesso Sebastian.
    Non devono impressionare i tanti temi drammatici che si susseguono, l'ossatura resta eroica e positiva. I caratteri, baldanzosi, con tratti di marcia. Le variazioni sono brevi e non pesano.
    Tanto che ad un primo ascolto non si riconoscono nemmeno.
    I timpani, le trombe, alzano il volume sulle arcate degli archi, sottolineandone i limiti.
    Non è il testamento a lungo ritardato (il vero testamento di Brahms è il quinto corale dell'Op. 122, ultima in catalogo ufficiale "Schmücke dich, o liebe Seele" anche esso ripreso da Bach, che è dolce quanto una ninnananna per bambini. Quale era, in ultima analisi, Johannes Brahms).
    E' l'atto conclusivo di una vita a difendere i confini della musica tradizionale dal dilagare della cacofonia del programma politico strombonate per scuotere gli animi.
    ***
    Ho colto l'occasione per parlare di questa composizione, si sarà capito, tra le mie preferite in assoluto tra tutta la musica di tutti i tempi, dall'ascolto della registrazione del sempre ottimo Manfred Honeck con la Pittsburgh.
    Si tratta di una interpretazione registrata con dinamiche telluriche che ha messo in difficoltà i critici.
    Perchè, in uno, si sbarazza di tutta la liturgia post-wagneriana da finis-Austriae imposta dai figli delle walkirye a chi delle walkyrie faceva tranquillamente a meno, pur apprezzandole in cuor suo.
    Spezzando le voci e rendendo giustizia a tutte le parti nascoste dagli archi - fiati, bassi e timpani compresi - ne viene una rappresentazione al calor bianco e al limite dell'eccesso di velocità da codice penale, ma bella da impazzire.
    Con dinamiche da audiofili su tutte le gamme di frequenza.
    Inascoltabile per chi ama Bruno Walter, Wilhelm Furtwangler e Herberth Von Karajan e che probabilmente sarebbe piaciuta al vecchio Arturo, la cui lettura, purtroppo, è resa inascoltabile dalla qualità dell'epoca.
    Ma di cui Fritz Reiner sicuramente sarebbe stato orgoglioso (peraltro registrata con l'orchestra del suo cuore).
    Ve la raccomando senza segnarla come registrazione di assoluto riferimento (ma in fondo ... ci potrebbe stare).

    Brahms, sinfonia n. 4
    Pittsburgh Symphony Orchestra diretta da Manfred Honeck
    Reference Recordings, 192/24, 22 ottobre 2021
  9. HIFIMAN Jade II - prova di ascolto

    Un grandissimo grazie ad HIFIMAN che ci ha inviato in prova questo set - cuffie Jade II e amplificatore dedicato - si tratta di un sistema che pur essendo entry-level per la gamma di cuffie elettrostatiche del marchio HIFIMAN possono offrire una risposta definitiva a certe esigenze di ascolto. Ma non voglio anticipare troppo le conclusioni dell'articolo che troverete in fondo alle note di ascolto.
    Andiamo direttamente alla prova di ascolto comparativa :

    la batteria di campionesse a confronto : HIFIMAN JADE II, HIFIMAN ARYA, STAX SR404 SN
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    Seguono i brani ascoltati in dettaglio ma in SINTESI :
    Le Jade offrono un suono entusiasmante e dettagliato ma sono estremamente selettive sia nel genere che nei singoli dischi.
    Inadatte - secondo il mio punto di vista - a dipanare enormi masse orchestrali o contenuti energetici elevati, nei piccoli complessi, sia vocali che strumentali e soprattutto negli strumenti solisti, danno il massimo con un risultato che è ad un passo dall'evento reale.
    Attenzione al volume perchè dopo un pò potreste farvi male : non c'è distorsione e quindi si tende a voler ascoltare ogni singolo suono distinto dagli altri.
    Le vecchie Stax se la cavano ma offrono sempre una prova molto personale, spesso sopra le righe. Portano in luce cose che con le Arya non si sentono proprio ma trascurano invece intere sezioni dello spettro.
    Le Arya sono la sintesi e l'equilibrio. Magari gli amanti della musica rock/heavy faranno bene ad evitarle, ma per gli altri sono un vero piacere.
    Ma le Jade in alcuni dischi sono semplicemente di un'altra classe. Non sempre, però dove le Arya danno una prova ottima ma non sorprendente, le Jade invece rendono magico quello che state ascoltando.
    Le acquisterei ? Ve lo dico alla fine !
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    I dischi utilizzati nella prova in batteria

    AC/DC : The Razors Edge/Thunderstruck e Fire Your Guns
    Jade : suono dettagliato, precisissimo ma nel complesso sottile. Chitarre non invadenti, voce un pò più sottile di come la conosco io. Basso indietro, un pò vuoto.
    Arya : basso pieno anche se non stravolgente, voce chiara, piatti metallici ma concreti
    Stax : chitarre fantastiche, voce perfetta, basso secco, corto, anzi, cortissimo
    Le Arya danno la risposta più convincente con un genere che non è adatto a nessuna di queste planari. Le Stax, al solito, se la cavano sempre bene, le Jade non trovano giustizia con questa musica

    Bach : Grosse Preludien un Fugen - Ullrich Bohme
    Jade : il pedale è più presente di quanto non si senza con le Stax, le voci superiori sono perfettamente separate, la spazialità del suono esemplare, rispetto alle Stax ma anche alle Arya
    Arya : basso molto più in evidenza ma si nota un pò di stacco con il medio e l'alto. Suono complessivamente più convincente delle altre due cuffie
    Stax : suono avvolgente e deciso, basso non particolarmente immanente e immagine non particolarmente ampia ma c'è tutto quello che si vorrebbe sentire
    Le Arya hanno la risposta più completa ma il suono delle Jade è semplicemente più bello. Le Stax rappresentano invece un organo molto più piccolo.

    Sinéad O'Connor : I do not want what I haven't got/Feel so different
    Jade : la voce è su un altro piano come c'era da aspettarsi, l'orchestra presente con i suoi pizzicati, immagine larghissima
    Arya : voce chiarissima, bella. Violini tersi, cristallini, nessuna fatica a seguire l'intero brano anche a volumi da mal di testa
    Stax : voce perfettamente amalgamata con l'orchestra, bassi pieno, immagine ampia
    Le Jade sono più emozionanti e nel complesso il risultato è più sexy di quello delle Arya. Le Stax non ci arrivano proprio.

    Sergey Babayan : Rachmaninoff/Appasionato
    Jade : mano sinistra molto più in evidenza, basso in ritirata, un pianoforte troppo più esile di quanto non si vorrebbe
    Arya : prestazione esemplare, suono pieno, pianoforte smisurato, basso potente, le due mani in perfetto equilibrio
    Stax : alti un pò metallici, sembra che la registrazione sia stata effettuata più da vicino, i bassi non si sentono
    Arya, Arya, Arya, soprattutto.
     

    Schubert : Trio Op. 100/II Andante con moto
    Jade : immagine fantastica, pianoforte non troppo in evidenza, violino lagnoso, violoncello un pò esile
    Arya : il violoncello qui si riscatta in pieno, il violino è meno rugoso, meno brillante, meno sexy, il pianoforte è completo e non copre gli altri strumenti
    Stax : pianoforte in evidenza che copre il violino, il violoncello é bello ma non abbastanza pieno
    Arya e Jade alla pari, che vi piaccia di più il violoncello o il violino, dipende da voi.

    Bach/Christian Tetzlaff : Ciaccona in re minore
    Jade : il violino moderno di Tetzlaff è semplicemente inarrivabile nel suono offerto dalle Jade, si sente il suo respiro (del violino, non del violinista), il nero tra gli spazi, una prova di un livello artistico sensazionale
    Arya : bello e completo, amalgamato
    Stax : elegante, questo è il campo delle elettrostatiche, pulito, chiaro, analitico. Manca però la nitidezza e il capacità di microdettaglio delle Jade
    Jade insuperabile, Stax per una prova molto personale, Arya in secondo piano.
    Questo disco è meraviglioso, con le Jade non riesco a smettere di ascoltarlo.
    Queste cuffie dovrebbero essere consigliate a tutti i violinisti.
     
     

    Diana Krall : The girl in the other room
    Jade : rispetto alle Stax si sente di più il riverbero della voce, il suono del piano è più bello e anche l'accompagnamento è più rotondo
    Arya : basso più rotondo, contrabbasso perfettamente udibile dove con le Stax non si sente, la voce è in secondo piano ed è meno chiara rispetto alle altre due, un pò più bassa e manca di tutto il dettaglio e l'ultrarealismo delle Jade
    Stax : la voce di Diana è più in risalto con le Stax, ma il complesso della prova offerta dalle Jade è di un altro livello
    Anche qui le Jade secondo me danno prova di elevato livello. Le Arya sono raffinate ma non così sexy.

    Silje Nergaard
    Jade : voce bellissima di cui si apprezza ogni dettaglio, pianoforte un pò metallico, meno appagante ma non è quello che mi interessa in questo disco
    Arya : bello finché non si sente con le Jade ma il pianoforte delle Arya è di un altro livello
    Stax : complessivamente meglio delle Jade, è il timbro di voce che meglio si presta alla sua impostazione. Pianoforte chiaro e tutto sommato migliore di quello delle Jade
    Jade o Stax secondo i vostri gusti. Probabilmente per me, Stax

    John Williams : tema di Guerre Stellari
    Jade : suono chiaro, forse troppo ma è questione di gusti
    Arya : equilibrio energetico più lineare con una presenza sulle basse più intensa ma archi meno accattivanti delle altre due
    Stax : bello ma suono un pò esile
    Un direttore d'orchestra qui certamente tenderebbe a preferire le Arya, i violinisti continuerebbero a scegliere Jade

    Genesis : Sellng England by the pound
    Jade : la voce di Peter Gabriel appare un pò più esile di quanto non mi piacerebbe, e i bassi sono chiaramente meno potenti
    Arya : bella prova, voce, quadro d'insieme, potenza, più interessante
    Stax : suono troppo esile, troppo sbilanciato sulle alte
    E' un disco che anche rimasterizzato resta un pò aspro. Le tre cuffie danno una prova differente. Le Stax eccellono negli arpeggi delle chitarre, le Jade nella voce di Gabriel che però é più corretta nelle Arya che hanno più potenza.
    Le Stax in un ascolto prolungato sono troppo esili e un pò artificiose.

    Beethoven/Savall : sinfonia n. 3
    Jade : suono pulito, ampio, archi setosi e leggeri, bassi decisamente in secondo piano
    Arya : questione di equilibrio, questa registrazione si caratterizza per l'ampio risalto dato ai timpani e la leggerezza degli archi.
    Il contenuto energetico con le Arya salta subito in primo piano, non che con le due elettrostatiche non ci siano i timpani, ma sono leggeri ed aperti come il resto della registrazione
    Stax : una via di mezzo tra le due, archi in primo piano, medio-bassi in evidenza, bassi profondi inesistenti (contrabbassi)
     

    Monteverdi : Il terzo libro de' madrigali
    Con questa registrazione - praticamente perfetta - siamo nel dominio delle cuffie planari.
    Sinceramente non riesco a decidere una prevalenza. Le Stax pongono, come sempre, in primissimo piano le voci femminili.
    Le Jade hanno un suono splendido e, magicamente, le voci maschili sono le più belle.
    Le Arya, eleganti ed energetiche come sempre.

    Till Bronner : Night Fall
    E' un disco in cui si sente il fiato di Till mentre suona e ogni singola corda del contrabbasso di Dieter Ilg.
    Le tre cuffie danno una interpretazione molto differente tra loro.
    Le Stax mettono tutto in primo piano, senza privilegiare nulla. Le Arya sono più scure. Le Jade, incredibilmente dettagliate in tutto, e a dispetto di quello che si penserebbe, donano il più bel contrabbasso immaginabile.
    Il suono è più chiaro ma più lucido, come l'evento reale.
    ***********************************************************************
    Jade e Stax si sono alternate sia sull'amplificatore HIFIMAN che sul mio valvolare Stax.
    Le Arya sono state pilotate dal mio Audio-GD R28 via cavo bilanciato in argento. L'Audio-GD R28 ha fatto sa semplice ricevitore/DAC per gli amplificatori delle elettrostatiche.
     
    Costruzione :
    Robuste e bellissime. Meglio delle Arya.
    Non solo per quella fluorescenza verde che traspare dai padiglioni ma proprio per l'insieme.
    Mi piace di più sia il pad che l'archetto, tondo.
    Stanno perfettamente in testa senza alcun bisogno di regolazione.


    il cavo è di ottima fattura. Non lunghissimo e ovviamente, non intercambiabile. Sembra anche robusto.
    Connettori di splendida fattura, nel complesso più elegante della fettuccia interminabile delle mie Stax.
    Costruttivamente sono superiori alle Stax, che sono sempre state fragili e tutte in plastica (oltre che orrende)


    quel connettore pentapolare è del tutto compatibile, come la tensione di alimentazione, agli standard Stax : quindi intercambiabilità totale.

    segni particolari ? Bellissime !
     
    L'amplificatore offerto in bundle è di ottima fattura. Solido e pesante, non offre appigli a critiche.
    L'esemplare in prova ha la manopola del volume un pò allentata. Forse basterebbe stringere le viti di blocco ma non ho voluto verificare.


    offre due uscite per due cuffie differenti (cosa che mi ha permesso di alternare all'ascolto le mie Stax senza equilibrismi) mentre gli ingressi sono sia bilanciati (da preferire, perchè le elettrostatiche sono bilanciate per natura) che sbilanciati

    la sagoma laterale è a forma di trapezio, giusto per rendere più elegante la forma complessiva.


    ho letto in molte recensioni critiche a questo apparecchio.
    Nell'ascolto in confronto con il mio Stax (che costa molto di più ed è a valvole) si notano alcune sfumature a favore dello Stax ma sostanzialmente solo nella gamma più alta.
    Considerando l'offerta di acquisto e la disponibilità molto rara di amplificatori per cuffie elettrostatiche io non starei troppo a pormi dei dubbi.
    Se non avete già uno Stax in casa, prendetelo con fiducia.
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    Non sto ad indicare le caratteristiche tecniche delle Jade II, potete trovarle insieme a tutta la documentazione sul sito ufficiale.
    Per i più tecnici, rimando alle misure di risposta che ho effettuato e pubblicato nei giorni scorsi qui :
     
    e che in larga parte trovano conferma nelle sensazioni di ascolto.
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    Conclusioni
    Prova molto, molto impegnativa perché queste sono cuffie di alto livello e con caratteri simili.
    Difficile stabilire un vincitore anche se tenderei ad escludere le Stax che guardo con indulgenza per la loro età e per cosa hanno rappresentato per me.
    Se non avessi già le Arya acquisterei subito le Jade II. Si sposano alla perfezione con quello che significano per me le cuffie.
    Per me l'ascolto in cuffia non è una alternativa a quello tradizionale con gli altoparlanti.
    Quello resta il mio modo di ascoltare la musica.
    In cuffia voglio poter analizzare il dettaglio e non mi interessa una riproduzione o un tentativo di riproduzione in scala dell'evento musicale.
    Il dettaglio, il suono, tutto ciò che generalmente non si riesce ad ascoltare anche dal miglior speaker del mondo.
    Per questo credo che non ci possano essere delle cuffie assolute in grado di suonare tutto al meglio e come piace a me.
    Le Jade II, se vogliamo, sono ancora più esclusive in una visione di questo genere perché sono eccezionali - non esito a dire MAGICHE - in certe cose.
    Ma non in tutte, sebbene sappiano dare sempre una interpretazione di grandissima classe.
    Suono raffinato, dolce, mai affaticante sebbene il medio e l'alto - almeno finché arrivano le miei vecchie orecchie - sia di una precisione ad altissima risoluzione.
    Nei violini non ho mai sentito niente di altrettanto realistico. E nelle voci a cappella o comunque, senza intermediari elettronici in mezzo, non si possono assolutamente battere in questa fascia di prezzo.
    E nel jazz fatto di piccoli gruppi e con voci complementari, dove persino il contrabbasso diventa vivo oltre l'immaginabile.

    Sono molto meno convincenti dove ci vuole energia e dove le masse sonore trascinano il senso del suono. Dove non c'è dettaglio è uno spreco utilizzare queste cuffie.
    Un pò come tentare di guardare fuori dalla finestra con il microscopio.
    Anche le Arya non sono indicatissime per i grandi volumi sonori (non parlo di livello acustico, parlo di volume, avete in mente l'ottava sinfonia di Mahler ?) ma si tolgono dai guai meglio delle Jade.
    Se hanno un limite è nel prezzo del sistema, perchè uno deve comprarsi anche l'amplificatore. E queste non possono essere le uniche cuffie che hai in casa, perchè per certe cose non possono essere usate (tipo il rock o l'heavy metal, oltre alla grande orchestra).
    Ma se avete già un amplificatore oppure volete avere dei monitor elettrostatici che in fondo costano una frazione di qualsiasi altra cosa di fascia superiore possiate immaginare, beh, pensateci bene.
    Io stesso, che potrei comprare le sole cuffie, sono maledettamente indeciso .... cederò alla tentazione ? Ve lo farò sapere !
  10. Orlando, A Melancholic Portrait

    Orlando, A Melancholic Portrait
    La Tempete, Simon-Pierre Bestion
    Alpha Classics, 14 novembre 2024, 96/24
    ***
    Melanconico, può essere ?
    Del resto erano tempi estremamente travagliati, tra riforma, controriforma, guerre di religione, impero e principati.
    Il Rinascimento europeo e la musica si intrecciano a filo doppio.
    Orlando di Lasso, all'italiana o Roland de Lassus alla francese, è uno dei massimi protagonisti della sua era.
    Cantore, musico, compositore, maestro di cappella. Arguto architetto della polifonia fiamminga fusa con l'inventiva armonica italiana.
    Tanto valente e richiesto da accompagnare il suo Signore Gonzaga per Milano, Roma, Napoli, Palermo e per tutta Europa. E la sua musica ne è prova.
    Nell'ultima parte della sua carriera si ferma in Baviera, nominato cavaliere dall'Imperatore in persona e fonda di fatto la tradizione musicale teatrale di Monaco.
    Ma più volte oggetto di tentativo di rapimento perché il tal nobile voleva assicurarsene i servigi a corte.
    E in mezzo una vita avventurosa come agente segreto di Carlo V e scopritore di intrighi tra Germania, Spagna, Francia, Italia.
    Autore di centinaia e centinaia di composizioni di ogni genere, sacre, profane, vocali, strumentali (Sine Textu - senza testo).
    E' musica lontana dalle nostre sonorità ma non è più complicata come quella dell'epoca precedente. Non ci sono polifonie fini a se stesse con 30-40 voci.

    e per questo bastano pochi musici per rappresentarla.
    Ma ascoltandolo con attenzione ed astraendosi dal testo o dal contesto (a capire la lingua, in alcuni casi si distingue il francese, il napoletano, il ... greco ?) salta subito all'orecchio la modernità del tratto musicale.
    Anche quando chiaramente liturgico.
    La contaminazione tra le tante culture della sua epoca viene esasperata dal nostro anfitrione Simon-Pierre che enfatizza ogni carattere estraneo, introduce intonazioni moresche, popolari, colte; a volte melanconiche, come era Orlando, a volte vivaci all'estremo. Ma mai sguaiate.
    Ma soprattutto c'è grande libertà di strumentazione, come da prassi d'epoca.
    E quindi gli istromenti tipici, come viola da gamba e cornetto, si sommano ottoni moderni come i sassofoni e i tromboni.
    E percussioni odierne, batteria compresa. O il ... pianoforte.

    del resto abbiamo un Orlando rappresentato con l'Earpod Apple e la gorgiera alla Orlando di Virginia Wolff.

    o il caschetto e gli occhialetti da stradista veloce.
     
     



     
    Insomma, quello che sulle prime mi era sembrato il solito esperimento di popolarizzazione della musica antica per avvicinarla alla sensibilità mi è piaciuto sempre più.
    Arrivando a momenti veramente coinvolgenti anche se molto, molto rock.
    Veramente un bel disco che distacca gli esperimenti roccheggianti di Monteverdi e Handel della Christina Pluhar.
    E con questo spero almeno di avervi incuriosito.
    Resta musica a se. Ma da scoprire.
  11. Brahms : Levit & Thielemann

    Brahms
    Igor Levit, pianoforte
    Wiener Philarmoniker diretta da Christian Thielemann
    Sony Classical 4 ottobre 2024, formato 96/24
    ***
    Non so come succede che il genero di Wagner diriga i Wiener per La Sony.
    Ne viene che il suono è potente ma un pò sommesso. Diverso da quello dei Berliner con DG.
    Levit è granitico, maschio in ogni battuta dei due concerti, un filo più cerebrale nelle opere solistiche.
    In tutto fanno 3 ore circa di musica in 96/24, equivalenti a 3 dei vecchi ciddì.
    Non direi un testamento, perché spero che tutti e tre (loro due ed io) abbiamo ancora un pò di strada brahmsiana davanti.
    Ma le lodi sperticate ovviamente si sprecano.
    Dopo che Igor Levit, Christian Thielemann e la Filarmonica di Vienna hanno eseguito il Primo concerto per pianoforte di Brahms al famoso Musikverein di Vienna nell'aprile 2024, il quotidiano viennese The Standard ha scritto: "Durante questi cinquanta minuti, è stata trasmessa una dose irresistibile di emozione, ma allo stesso tempo la sofisticata struttura del capolavoro di Brahms è rimasta cristallina". Quattro mesi prima, dopo la loro esecuzione del Secondo concerto per pianoforte, il quotidiano austriaco Die Presse aveva dichiarato che "Igor Levit stabilisce un nuovo standard di riferimento per Brahms".
    E, chicca tra le chicche, i due suonano  il Valzer a quattro mani op. 39/15.
    Non sapevo di queste registrazioni, una bella sorpresa.

     
    Però, Herr Thielemann, mi spiegherebbe cosa c'è di tanto da ridere in Brahms ? Così lo so anche io ...
     




  12. una vignetta che descrive molto sinteticamente la capacità di Rachmaninov di suonare con ritmi elevatissimi di note per battuta, tratto distintivo della sua musica.
    C'è tanta aneddotica nella carriera musicale di Sergei Rachmaninov. Era di proporzioni gigantesche ma soprattutto aveva mani sproporzionate anche per la sua statura, tanto da isprirare studi genetici sull'origine delle sue manone.
    Fatto sta che fino alla seconda parte del '900 la sua musica era sostanzialmente ineseguibile per i pianisti incapaci di coprire le sue ottave a mano aperta e senza la stessa capacità di carico sulle spalle (ci sono, ovviamente, le geniali eccezioni di un piccoletto come Arthur Rubinstein ma al caro nonnetto risultava tutto facile e naturale, quindi non conta). Horowitz era certamente il tipo di pianista capace di suonare Rachmaninov alla Rachmaninov.
    Altri pianisti dovevano mettercela tutta per avvicinarsi.
    Non parliamo delle donne. Solo grazie allo sviluppo delle tecniche didattiche degli ultimi decenni, Rachmaninov è entrato stabilmente nel repertorio delle pianiste tanto che oggi è normale vedere uno scricciolo come la cara Yuja Wang mettersi in tasca il celebratissimo Rach 3.
    Ma nei primi decenni del '900 non era certamente così.
    Rachmaninov deve al suo fisico e alle composizioni adattate ad esso molta della sua celebrità.
    Così come alla sua vicenda personale che lo vede più concertista per necessità che compositore per scelta per buona parte della sua vita.
    Dividiamo idealmente la sua carriera in due, in Russia prima e poi, dopo la fuga all'estero per la Rivoluzione, la seconda vita negli Stati Uniti.
    Nato da famiglia ricca, mostra rapidamente un grande talento musicale che gli vale l'avvio a studi formali, prima a San Pietroburgo e poi a Mosca.
    Ma il padre sperpera rapidamente tutto il patrimonio è perfino la prosecuzione degli studi di Sergei diventa critica.
    Rachmaninov cresce nell'ultimo periodo d'oro della Russia Zarista, potendo frequentare direttamente grandi musicisti come Chaikowsky, Taneiev, Rubinstein, Arenski (alcuni dei quali suoi insegnanti al Conservatorio di Mosca).
    Gli esordi come compositore sinfonico non sono dei più fortunati ma riesce comunque a costruirsi una carriera, alternandosi come direttore d'orchestra - con una discreta fortuna anche in campo operistico - più che come pianista.
    Il nuovo secolo, la prosperità ottenuta dalla carriera concertistica, quella degli affetti familiari, i viaggi per l'Europa, riconciliarono la propensione verso la composizione, accantonata per anni. Il culmine se vogliamo arriva nel 1910 quando per il debutto del suo celeberrimo terzo concerto per pianoforte e orchestra, sceglie New York e debutta personalmente al piano sotto la direzione di Gustav Mahler.
    Di li a poco la pubblicazione di opere capitali come gli Etudes-Tableaux Op. 33
    Ma la rivoluzione spariglia le carte in tavola e sotto la minaccia bolscevica per tutto il mondo di Rachmaninov, intimamente legato alla vecchia Russia, fugge - letteralmente - con il solo bagaglio leggero, verso la Scandinavia e di li a poco, dopo l'esecuzione della famiglia dello Zar, verso gli Stati Uniti.
    Di nuovo povero e con la necessità di provvedere all'agiatezza cui erano abituate la moglie e le due figlie, Rachmaninov - come tanti altri esuli russi presenti in America nel primo dopoguerra - si improvvisa una nuova carriera di pianista/compositore.
    Firma un buon contratto con Steinway e comincia a girare il Paese suonando le sue opere e il repertorio romantico a lui caro, Chopin, Liszt e del suo mondo perduto, rappresentato da Chiaikowsky.
    Cicli convulsi di concerti, sedute in sala di registrazione (contratto con la Victor, poi RCA, grazie al quale abbiamo tante registrazioni del Rachmaninov pianista degli anni '20 e '30), gli permettono di ricreare un ricco patrimonio che gli ridanno la tranquillità.
    Ma che gli fanno accantonare di nuovo la composizione.
    Intanto passano gli anni e se Rachmaninov è entrato nell'immaginario collettivo del pianista romantico per gli americani, intanto arrivano concorrenti formidabili e più giovani, pianisti come Horowitz e Rubinstein e compositori come Prokofiev e Strawinsky.
    La musica di Rachmaninov è indubbiamente vecchia scuola, nulla del '900 è permeato anche appena alla superficie della sua arte. Il paragone con il nuovo secolo comincia a diventare difficoltoso.
    Specialmente considerando la nuova generazione di compositori americani che si va affacciando alla ribalta e che si afferma piano piano.
    Immaginiamoci l'imbarazzo di Sergei, cresciuto con le sinfonie e le opere di Chaikowsky, alle prese con Gershwin, con Copland, con Barber ed Ives ...
    Per rispondere in parte alle critiche che gli danno del finito, riprende alcune vecchie composizioni e le riarticola.
    Ne completa alcune. Si ostina a voler dimostrare di essere capace di ciò che gli viene contestato, fabbricando nuove composizioni aggiornate.
    Intendiamoci, nulla di questo turba un grand'uomo della sua levatura - che intanto si gode le sue sostanze con lunghi soggiorni in Europa - specialmente in Svizzera, sognando di trasferirsi con la famiglia.
    Ma giunge una nuova guerra mondiale, e la malattia, la morte.
    Rachmaninov resta intimamente legato alla Grande Russia zarista pre-rivoluzionaria e patrizia, quella nostalgica sognata dagli esuli post-rivoluzione e descritta nel film Anastasia.
    Negli Stati Uniti rappresenta in quegli anni la quintessenza della passione musicale romantica, con i suoi concerti tra i più rappresentati nelle sale, fino ad oltre gli anni '50.
    Voglio sottolineare questo aspetto con la citazione che ne fa Billy Wilder nel suo film del 1955 "Quando la moglie è in vacanza" (The Seven Year Itch) dove un marito nella crisi del settimo anno, libero dalla moglie, ricorre al "Secondo Concerto per pianoforte di Rachmaninov" per suscitare irrefrenabili ... fremiti alla procace vicina Marylin Monroe. Qui c'è un estratto godibilissimo del film, con i nostri doppiatori italiani dell'epoca.
    Il tono è certamente ironico, non lo è il senso attribuito alla musica del nostro compositore.
    ***
    Guida all'ascolto
    Mi scuserete per questa lunga anticipazione biografica, mi è venuta di getto e credo sia necessaria perchè le vicende private di Rachmaninov e la natura del suo successo planetario ne hanno condizionato per sempre sia la verve compositiva che le scelte interpretative.
    In effetti ci ha lasciato un numero abbastanza ridotto di composizioni, non tutte dello stesso livello, non tutte con le stesse fortune.
    Qui da noi, per esempio, il Rachmaninov sinfonista è quasi del tutto sconosciuto.
    Eppure possiamo assimilarlo al Chaikovsky dell'Onegin o del Manfred, del tutto in linea con quello pianistico.
    Ma del tutto al di fuori del "personaggio" Rachmaninov e quindi non di moda.
    Volendo, ricorrendo al cofanetto della Decca, è possibile avere praticamente tutto insieme e con una spesa contenuta.-

    in 32 CD venduti su Amazon a 59 euro abbiamo un completo spaccato della sua opera, con il contributo di grandi musicisti che non è il caso di sottolineare ulteriormente.
    Sarebbe già una buona scelta ma non ci permetterebbe di offrire spunti di lettura alternativi e magari contrapposti, come invece ci piace fare sulle nostre pagine. E poi per noi è più un gioco che una necessità ... scegliere 10 dischi 10 !
    1) SINFONICA
    Sinfonia n. 2 - EMI 1973, André Previn, London Symphony Orchestra

    anche oggi rappresenta la prima scelta obbligata. Questa interpretazione è una gita in mare, attraverso onde e mare grosso ma con la certezza di un ritorno sicuro in porto.
    In varie edizioni esistono anche le altre 2 sinfonie (pensiamo che la 1a, quella che ha rinunciare Rachmaninov per la prima volta alla composizione, data 1894, la seconda è del 1908, la terza è del 1936.
    Si aggiungono anche le Danze Sinfoniche (1940) e L'isola dei Morti (1908).
    Di quest'ultima c'è una bella registrazione di Fritz Reiner, una inascoltabile (per il rumore di fondo) dello stesso Rachmaninv, una molto misteriosa nell'integrale di Mariss Jansons EMI che ritengo l'alternativa prima a Previn.

     
    2) CAMERISTICA
    Veramente poca cosa la musica da camera che ci ha lasciato Rachmaninov e sinceramente non andrei oltre la sonata per violoncello e pianoforte (1901).

    prenderei tra le tante disponibili quella del 2007 con un vivace Lugansky che accompagna il suo connazionale Alexander Kniazev.
    aggiungerei poi i due trii elegiaci (1892 e 1893) con il Beaux Arts Trio

    3) CONCERTI
    il piatto forte sono naturalmente i quattro concerti per pianoforte.
    I più importanti sono il 2° e il 3°. Volendo resta in tema del Rachmaninov "americano" del film di Billy Wilder, che credo sia il più genuino e vicino allo stereotipo del ... chiaro di luna e il candelabro, potete scegliere una versione qualsiasi, purchè alla guida ci sia Fritz Reiner e al piano uno a scelta tra Horowitz, Van Cliburn o Byron Janis.

    in questo momento sono ... nel momento Van Cliburn e quindi scelgo questa registrazione con il mitico e inarrivabile Fritz Reiner con la altrettanto mitica Chicago Symphony registrati dalla stessa etichetta per cui registrava Rachmaninov, la RCA Victor Red Seal ...
    Naturalmente il suono non sarà quello cui siamo abituati noi oggi, ma l'atmosfera sarà magicamente quella dell'epoca, e irripetibile diversamente.
    La scelta maestra più vicina a noi resta ancora la lettura di Vladimir Ashkenazy con Andrè Previn degli anni '70

    per la Decca con la London Symphony.
    Interpretazione autorevole e un vero classico moderno. Ashkenazy peraltro ha registrato l'integrale anche per pianoforte solo.
    Venendo ai giorni nostri, non vedo altra soluzione che non sia quella offerta dal "giovane" Lugansky ad inizio anni '2000 con Sakari Oramo e la City Of Birmingham Symphony Orchestra

    e che include anche altre composizioni importanti come le variazioni e la rapsodia "Paganini".
    Eviterei edizioni mediatiche tipo quelle di David Helfgott (dal film Shine).
    Naturalmente la discografia di questi concerti è sterminata e ognuno avrà la sua preferenza.
    Potete anche ascoltarli tutti, ma qui ci limitiamo a questi.
    Aggiungo in coda la Rapsodia Paganini, brano che io adoro in tutte le sue edizioni e trasposizioni e che non mi stancherei mai di ascoltare, fosse suonato anche da un carillon.
    In questo caso scelgo la versione di Yuja Wang con il mai troppo compianto Claudio Abbado

     
    al di là della copertina stucchevole (ma si narra della corsa notturna di Rachmaninov in slitta a cavalli, sotto la neve, per passare la frontiera nel 1917 ... ), il furetto Yuja si trova perfettamente a suo agio in questi funambolici passaggi e la Mahler Chamber Orchestra è perfetta ad accompagnare la partitura "moderna" del Rachmaninov americano.
    Lei però è più gelida della Siberia (non che oggi con Gustavo Dudamel sia meglio : PS del 2024).
    E quindi perché mi piace questa versione ? Perché Claudio e Yuja tolgono in un colpo solo tutto lo "sdolcinatume" che abbiamo spesso su queste pagine.
    4) PIANOFORTE SOLO
    Ma perdonatemi se ho lasciato in fondo quello che non deve essere trascurato dell'opera di Rachmaninov, il corpus primo, alcune delle composizioni che porterei peraltro nella classica isola deserta.
    Lascerei il resto, ma non 
    a) le due sonate per pianoforte (1908 e 1913)

    per fortuna c'è una buona scelta e si può spaziare. Ci sono anche registrazioni della prima e della seconda versione rivista della sonata n.2 (edizione originale del 1913 eseguita a Kursk da Rachmaninov, edizione rivista eseguita a Portland nel 1931 sempre dal Rachmaninov. Edizione del 1940 di Horowitz che combina le due, per sovrammercato).
    Della seconda sonata trovo di straordinaria potenza e d'intensità quella esibita dal gigantesco John Ogdon presente in una raccolta antologica

     
    b) gli Etudes-Tableaux op. 33 e Op. 39 (1911 e 1916)

    una visione all'inglese, molto recente, analitica e molto ben incisa.
    segnalo per curiosità che di alcuni Etudes-Tableaux esistono versioni orchestrate da Respighi di grandissima ricchezza tonale ed espressiva
    c) Preludes Op. 23 e op. 32 (1903 e 1908)

    d) six moments musicaux Op. 16 (1896)

    la versione di Ashkenazy è particolarmente ispirata ed include anche i Morceaux de Fantasie.
    Ma non escluderei in questo novero anche le interpretazioni di Lugansky e di Giltburg.
    e) le variazioni Corelli (1931)
    No, le variazioni su un tema di Corelli non sono le variazioni Goldberg né le Variazioni Paganini di Brahms ma sono e restano un caposaldo del pianismo universale.
    Le edizioni disponibili sono  innumerevoli e tutte di grande livello.
    Sono in imbarazzo ...
    Ashkenazy, Lugansky, Ogdon, Lugansky, Grimaud, Trifonov, Giltburg, Shelley, Cherkassy ...

    in questo momento preferisco la meravigliosa Helene Grimaud degli esordi. Ma insieme al secondo Lugansky.
    f) e volendo le variazioni Chopin (1903)
    composizione un pò contorta e difficile da posizionare.
     

    la mia preferenza va a quella intensissima di un ispiratissimo Trifonov che a metà brano va letteralmente in estasi e si libra oltre la tastiera.
    Come vedete tutte composizioni temporalmente vicine, tranne le variazioni Corelli.
    Rimarrebbero fuori composizioni comunque interessanti ma indubbiamente minori come le due suite per due pianoforti, i Morceaux per due pianoforti e la serie delle trascrizioni e parafrasi di Rachmaninov su opere di altri compositori.
    Delle Opere Liriche di Rachmaninov non so proprio nulla e quindi non mi attardo oltre.
    E Buon ascolto !
  13. La Fantasia in fa minore per pianoforte a 4 mani, pubblicata come op. 103 da Diabelli dopo la morte di Schubert, fu scritta tra i mesi di gennaio e aprile del 1828 e dedicata alla contessa Carolina Esterhàzy, come risulta da una lettera del compositore datata il 21 febbraio 1828 e inviata all'editore Schott. Simile alla Wanderer-Phantasie, questo lavoro si articola in quattro movimenti in una libera forma di sonata. L'Allegro molto moderato inizia in tono minore, secondo l'uso ungherese, ma ben presto si arricchisce di modulazioni che slanciano il discorso melodico. Il Largo in fa diesis minore è una specie di omaggio all'arte italiana, in quanto si sa che proprio in quell'anno il musicista aveva avuto occasione di ascoltare Paganini e dopo l'Adagio del Secondo Concerto op. 7 del violinista aveva detto di aver udito cantare un angelo. Lo Scherzo brillante e il Finale rivelano uno Schubert contrappuntistico quanto mai insolito tanto che il compositore per arrivare a controllare più coscientemente questa scoperta pensò negli ultimi mesi della sua vita di prendere qualche lezione (c'è chi sostiene però che si trattò di una sola) dal teorico e didatta austriaco Simon Sechter (1788-1867), che fu tra l'altro maestro di Bruckner e di numerosi artisti importanti della Vienna musicale del suo tempo.
    La Fantasia in fa minore per pianoforte a quattro mani di Franz Schubert è stata composta ad inizio 1828 e pubblicata postuma come Op. 103 da Diabelli (Quel Diabelli !).
    Solo formalmente una "fantasia" forse per evitare critiche dai colleghi più formali, é simile come struttura alla Fantasia Wanderer e si articola in quattro movimenti di sonata.
    La dedica è alla Contessa Carolina Esterhàzy e questo forse giustifica l'incipit alla maniera ungherese ma non sapremo mai se la dedicaria ne sia stata informata, dato che c'è traccia solo in una lettera del 21 febbraio di Schubert all'editore Schott.
    Si dice ci siano anche influenze italiane - nel largo - indotte forse dall'ascolto recente del Secondo Concerto di Paganini a Vienna.
    Nel finale c'è anche l'insolito - per Schubert che non aveva una formazione rigorosa - accenno contrappuntistico.
    Si tratta comunque della sublimazione dello stile di Schubert, le ampie e continue ripetizioni, i ritornelli, i cambi di melodia repentini, si fanno perdonare dal ritmo sempre incalzante e da un accenno di melodramma.
    Una composizione che si presta maledettamente bene alla trascrizione sinfonica.
    Ricamando sul materiale melodico molto drammatico e romantico nel senso più letterario del termine si sono ricamate .... fantasie sulla fantasia.
    C'è chi parla di amore impossibile per questa contessina, ex-allieva, conosciuta in una vacanza del 1824.
    Certamente il materiale emotivo è estremamente ricco e porto su un piatto di portata.
    Ma come tutte le composizione di Schubert necessita di mani sapienti, capaci di distillare il succo puro dell'invenzione musicale dal mare di consuetudine a volte un pò triviale in cui il compositore era solito annegare le sue intuizioni anche le più brillanti, per dovere di allungare il brodo.
    Ma resta assolutamente inequivocabile già nella scelta formale - pianoforte a quattro mani - il dialogo tra due parti, una in basso e una in alto. Non c'è dubbio alcuno. Poi voi datele il senso che vi pare. E se proprio vi piace, ascoltate cantare Carolina all'alto e Franz al controcanto in basso.
     
    La soluzione è un fa minore molto intimo, con i quattro movimenti collegati che consentono una distribuzione delle tonalità - fa minore il primo e l'ultimo, con il finale che è il doppio del primo movimento - i due movimenti centrali invece sono in fa diesis minore, ci fosse stato bisogno ancora di aumentare il pathos della scena.
    Colori e tonalità stanno perfettamente vicini al Winterreise sebbene la composizione sia stata terminata a primavera. Ma siamo negli ultimi mesi della vita di Schubert e quindi tutto ci stà.
    L'intera stesura è anche intrisa di inquietudine ed instabilità, anche solo a mantenere il tema per la coda.
    Il tema principale del primo movimento che compare dopo una breve preparazione del basso. lascia improvvisamente spazio ad un "duetto d'amore" come lo definirebbero i frequentatori dei salotti dei coevi romanzi di Jane Austen.
    Il secondo motivo è se vogliamo ancora più irrequieto e il basso e tutt'altro che comprimario della melodia. Primo e secondo tema vengono rielaborati più volte su luci diversi. Schubert qui manifesta appieno le sue doti pittoriche.
    Segue il largo, come si diceva in fa diesis minore ma non aspettatevi un preavviso.
    Anzi, se volete trovare le tracce separate nei dischi che segnalo, andate direttamente nella versione secondo Sviatoslav e Benjamin perchè le altre non lasciano respiro tra un movimento e l'altro.
    Alla faccia del largo abbiamo una serie di accordi percussivi e di trilli infiniti che aprono un dialogo tra l'alto e il basso che lascia in sospeso. Ripresa quasi sottovoce con un accenno da opera all'italiana che porta al successivo allegro.
    Questo non consente affatto di prendere fiato perchè è vitale e brillante, con tratti popolari, anche qui con riprese continue di ritornelli e con accompagnamento martellante, pieno, forte.
    Le voci non cessano di accavallarsi. E provatevi a seguirle separatamente se ci riuscite.

    Qui Franz mi perde un pò perchè i cinguettii durano per circa un terzo dell'intera composizione e alla terza ripetizione io sinceramente cercherei il telecomando per cambiare canale.
    Ma per fortuna che arriviamo magicamente alla ripresa, con una modulazione che ci riporta al tempo Primo e alla tonalità iniziale.
    E' un nuovo inizio che prelude ad un epilogo non troppo allegro.
    C'è un palpito tutto operistico. Questo è un lieder doppio, modulato dal tremolo, quasi, l'agitazione lascia posto all'inquietudine con sprazzi di speranza.
    L'appoggio del basso è meno esasperato, quasi rassegnato nel seguire la voce principale. Un fugato, una cosa più che rara per Schubert che forse vi ricorreva solo quando il padrone di casa chiedeva la pigione ma credo che Ludwig ne sarebbe stato felice se l'avesse potuto leggere, se non proprio ascoltare.
    I trilli della voce di destra elevano strilli reali, il basso diventa più concitato, aumentano pathos e agitazione. SIlenzio.
    Ripresa magica del tema iniziale, sottovoce, senza accelerare, forzando l'ultima frase in una conclusione a rintocchi che tutto lasciano significare (scrivete voi il finale).
    Applausi meritati per un chiusura di carriera che desidererei anche io.
    Allegro molto moderato (fa minore) Largo (fa diesis minore) Allegro vivace (fa diesis minore) Con delicatezza (re maggiore) ***
    La discografia di questa composizione non è straripante, perchè non ci sono tantissimi duo in attività e perchè l'intesa tra i due deve essere assoluta con la necessità di lunghe sessioni di prove, cosa sempre meno possibile.
    Nella disponibilità di edizione ne ho scelte cinque le più diverse che però, quasi tutte, identificano un legame quasi amoroso tra il duo.
    Abbiamo marito e moglie, padre e figlia, allievo e maestra, e due coppie di sodali di provata amicizia.
    Vediamole insieme.
    ***

    Schubert : Fantasia per pianoforte a quattro mani Op. 103 - D940
    Avanticlassic 2010
    Durata 16:30
    ***
    Questo disco contiene solamente la Fantasia. Ed è sufficiente.
    Si tratta forse della interpretazione più intensa disponibile in disco.
    A tratti largamente commovente, forse un filo sopra le righe, mai, nemmeno in un istante, banale.
    Intensità emotiva ed affiatamento dell'allievo insieme alla maestra.
    Io rispondo con i brividi alla base della nuca.
    Non mi importa se sembra che Zia Martha avesse fretta di andare dal parrucchiere (una cosa che credo faccia solo ad ogni anno bisestile).
    Vince a mio parere per visione, per tensione, per tono, per la drammatica narrazione.
    Martha dà il ritmo e Sergio ricama sopra.
    Bellissima.

    Schubert : Fantasia per pianoforte a quattro mani Op. 103 - D940
    Sviatoslav Richeter e Benjamin Britten
    Decca
    Durata 17:47
    ***
    Festival di Aldenburgh, ma quanto saranno stati fortunati quelli che al tempo hanno potuto assistere ai duetti tra Benjamin Britten e i suoi amici, Sviatoslav Richter, Slava Rostropovich e Peter Pears ?
    Qui abbiamo un disco straordinario, ripreso dal vivo che mostra un'intesa virile di rara chiarezza.
    Le due voci sono perfettamente fuse in un'unica intensa frazione di un momento.
    L'unico momento di perdita di tensione è nell'allegro dello scherzo del terzo movimento.
    Ma qui Schubert ha seminato la partitura di trappole cui nessuno - o quasi - può opporsi.
    Il resto è tutto urla e forza di chi vuole fermamente opporsi al destino proclamando il suo diritto, almeno, all'autodeterminazione.
    I momenti di struggimento ci sono tutti ma sono attenuati da una inesorabile volontà di giungere all'epilogo.
    Intendiamoci, non è una versione da record di velocità, l'incedere è marziale, virile appunto.
    Ciò che c'è da dire viene detto, sempre e con veemente potenza.
    Ma si sente che manca una donna.
    Il risultato, appunto sorvolando sul terzo movimento, lascia senza fiato. A tratti violento, collerico, potente. Beethoveniano.
     

    Schubert : Fantasia per pianoforte a quattro mani Op. 103 - D940
    Radu Lupu e Murray Perahia
    Decca
    Durata 19:19
    ***
    Silenzio, delicata presenza.
    Qui lo spasimante sembra già certo dell'esito della vicenda e la sua è più una supplica rispettosa.
    Quasi a giustificare la differenza di ceto e di casta (sto celiando, ovviamente).
    Ma la rassegnazione è più forte dello struggimento e le due voci non si sovrastano, dialoga su toni omogenei.
    Il senso complessivo è drammatico, teso, nonostante la durata sia quasi biblica rispetto a quella dettata dalla Argerich.
    Non mi piace, lo devo ammettere, ma ha fatto scuola (vedi recenti edizioni Fischer+Helmchen e Fray+Rouvier)
    Un modo alternativo, rassegnato, romanticamente più "tedesco" che non mi si addice per indole nemmeno in una frase.

    Schubert : Fantasia per pianoforte a quattro mani Op. 103 - D940
    Robert e Gaby Casadesus
    Columbia
    Durata 16:54
    Una coppia formidabile i due coniugi Casedus che mostrano un'intesa assolutamente ferrea.
    Probabilmente il ruolo guida resta Robert perchè la visione è certamente maschile, molto veemente, veloce.
    O alla veloce, se vogliamo. Lo si capisce sin dal primo accordo della sonata per due pianoforti K448 con cui incomincia il disco.
    Sia come sia, importa poco capire le dinamiche di coppia in questo contesto visto che valutiamo il risultato.
    Che è sensazionale, quanto se non meglio di quello dell'eccezionale coppia Britten+Richter, e scusate se è poco.

     

    Schubert : Fantasia per pianoforte a quattro mani Op. 103 - D940
    Emil ed Elena Gilels
    Deutsche Grammophon
    Durata 19:19
    Questa coppia forse è la più debole tecnicamente. Adatta al concerto KV365 di Mozart ma Elena, pur bravissima, poco può contro il padre Emil.
    Che impone alla fine un tempo lagnoso di una lunghezza sproposita.
    Beninteso, non necessariamente la velocità è da considerare una debolezza ma se sommiamo la tendenza alla ripetizione pertinace di Schubert con un andamento lento come questo il risultato non può che essere un pò sonnecchioso.
    E' la meno interessante, per la mia opinione delle interpretazioni che ho scelto.
    Ma si riscatta su quella altrettanto compassata dei due Perahia+Lupu per gli scatti veeementi di Emil quando può prendere il volo.
    C'è tutta la sua forza e la sua voglia di vincere ad ogni costo con la sola forza delle sue dita.
    Solo che qui vince il suo amore paterno, non me ne voglia la graziosa Elena. C'è tutto Emil in ogni nota.
    Finale travolgente che da solo vale, ogni nota, di tutta l'interpretazione.
  14. Berlioz : Sinfonia Fantastica

    Esistono, anche nella musica, episodi particolari, miracoli, congiunzioni astrali che portano al miracoli. Casi eccezionali.
    E', secondo me, il caso, della Sinfonia Fantastica di Hector Berlioz.
    Composizione ricca di aneddotica degna di Lord Byron e del Dottor Faust.
    Berlioz, diciamola tutta, compositore iper-romantico alla ... Byron, secondo lo stesso Mendelssohn che si professava suo amico, non era sto granché come compositore.
    Studente di medicina fuori corso, spinto dal padre, famoso dottore, artista ardente e passionale, ha scritto tanta musica ma per lo più fragori di trombe e cacofonie pacchiane che gli sopravvivono solo per un caso.
    Questa sinfonia. Che si dice sia stata dettata dalle visioni indotte da una dose massiccia di oppio. O dal demonio stesso cui Hector avrebbe venduto l'anima per raggiungere il successo a dispetto del padre.
    La vicenda comunque resta casuale, Berlioz invaghito della protagonista dell'Amleto itinerante in Europa, l'attrice irlandese Harriet Smithson, vista in teatro a Parigi, le si dichiara appassionatamente ma viene respinto.
    Lui insiste fino a convincerla a sposarlo. Ma questo va oltre la sinfonia.
    I dolori del giovane Hector diventano Symphonie fantastique: Épisode de la vie d'un artiste, en cinq parties, in cinque parti come l'operà francese e in rottura con la sinfonia classica tedesca.
    Berlioz di fatto è l'epigono dei compositori francesi del 600-700, in lotta contro italiani e tedeschi. Sebbene si sia potuto mantenere in vita solo grazie alla generosa pensione ottenuta da un compositore italiano, Paganini, che vide in lui non sappiamo esattamente cosa, forse la promessa di qualche cosa che sarebbe potuto essere.
    Comunque, sinfonia a programma, con cinque atti perfettamente descritti dalla prosa dello stesso Hector :

     
    nella sua grafia svolazzante e sotto decine di correzioni come nella partitura

     
    perché evidentemente Belzebù con la sua voce sulfurea non si faceva capire bene ...
    ... o forse perché il ricorso alla droga doveva essere ripetuto quando l'ispirazione veniva meno.
    I cinque movimenti :
     
    Nel primo movimento "Fantasticherie - Passioni" viene descritto lo stato del compositore prima e dopo aver incontrato la donna amata. Avviene una transizione da uno stato di sognante malinconia, interrotta da vari eccessi di gioia immotivata, a uno di passione delirante, con i suoi impulsi di rabbia e gelosia, i suoi ricorrenti momenti di tenerezza, le sue lacrime e le sue consolazioni religiose. Ecco perché l'immagine melodica iniziale ricorre lungo tutto il movimento, come una idea fissa. Il secondo movimento "Un ballo", è un trascinante valzer in la maggiore, nel quale il protagonista è ritratto durante una festa danzante, costantemente turbato dall'immagine della donna amata (che compare attraverso la solita immagine melodica della idée fixe). Nel terzo movimento, "Scena campestre", un lirico adagio in fa maggiore, il protagonista sull'onda di un ranz de vaches eseguito da una coppia di pastori si abbandona a contrastanti pensieri di speranza e di angoscia. Abbandonata infine la speranza di essere corrisposto, egli tenta di avvelenarsi con l'oppio, che provoca le visioni dei due movimenti successivi. Nel quarto movimento, "Marcia al supplizio" (allegretto non troppo in Sol minore), il protagonista in preda all'oppio, sogna di aver ucciso la donna amata, e quindi di venir condannato a morte, condotto al patibolo e giustiziato. L'idée fixe compare solo verso la fine del movimento ed è bruscamente interrotta da un violento accordo che simboleggia la caduta della mannaia. Il quinto movimento "Sogno di una notte di sabba" trasporta il protagonista nel bel mezzo di un sabba di streghe, in un corteo lugubre e solenne. In questa parte finale su un costante metro di 6/8 si susseguono ininterrottamente quattro "quadri": nel primo, dopo un'introduzione, una distorsione triviale della idée fixe rende i tratti grotteschi assunti dalla fisionomia dell'amata nella visione del sabba; il secondo è fondato su una parodia del "Dies irae", l'inno gregoriano per la sequenza dei defunti; il terzo è la Ronde du Sabbat, un vorticoso fugato; il quarto (Dies Irae et Ronde du Sabbat ensemble) inizia con una visionaria sovrapposizione della sequenza gregoriana sul fugato, per chiudersi con una trionfante apoteosi. [ripreso da Wikipedia] portano ad una ponderosa opera di un'ora abbondante.
    L'orchestra è ricca, come in Germania non se ne vedono.
    Stiamo parlando del 1830, Beethoven è morto da 3 anni, la sua Nona Sinfonia è del 1824, il Poema Sinfonico è solo nell'aria, Liszt ha 19 anni, Schumann e Chopin 20, Mendelssohn 21, Wagner 17.
    La composizione rompe con il passato. E in futuro verrà ripresa a modello solo da pochi temerari capaci di andare oltre gli schemi. Ma raramente a proposito.
    L'idea di base può essere assimilata con la Pastorale di Beethoven, ma quella può essere benissimo bevuta senza leggere poemetti, questa proprio non si capirebbe senza essersi prima informati.
    Non immagino la reazione dei presenti alla prima al Conservatorio di Parigi il 5 dicembre del 1830.
    Nell'estate di quell'anno ci sono stati i moti rivoluzionari con la caduta definitiva dei Borbone.
    Si confrontano il vecchio Lafayette con l'ultimo dei marescialli di Napoleone, il nobile Marmont.
    E' il trionfo definitivo della borghesia con il nuovo Re, Luigi-Filippo d'Orleans che presta giuramento non sulla Bibbia ma sulla nuova costituzione "liberale":
    Insomma, un quadro particolare, che ben si presta da sfondo agli eccessi di Berlioz e della sua Sinfonia.
    Che è e resta un trionfo della melodia, degli effetti speciali, delle percussioni, dei fiati.
    Soprattutto con materiale tematico eccezionale e trovate degne dei grandi drammaturghi del vecchio Re Luigi XIV.
    La marcia scandita dai timpani, il Dies Irae, la danza delle streghe. E' tutta musica ad effetto, con gusto teatrale raffinato.
    Qualche cosa che nelle altre composizioni di Berlioz non si vedrà più.
    Ammetto che al di là di questa composizione ho ascoltato poco di Berlioz, il poco che conosco lo devo alla passione e all'appassionato amore di Bernstein per Berlioz che durante il suo soggiorno a Parigi fece apprezzare a tutto il mondo anche con alcune delle sue preziose trasmissioni televisive. Ricordo una lezione tenuta agli orchestrali della Orchestre Nationale de France durante le prove di ... non mi ricordo quale altra musica ... in cui faceva apprezzare ogni nota, ogni scelta strumentale, ogni entrata.
    Tanto da infervorare musicisti e telespettatori.
    Comunque, la Fantastica, resta una delle più riuscite sinfonie della storia e il suo colore unico.
    ***
    Sono innumerevoli le registrazioni di questa celeberrima composizione.
    Oltre alle due versioni di Bernstein, quella con la NYP del 1969 e quella con la ONF


    metto tra le moderne, la meravigliosa ripresa Linn con Robin Ticciati alla testa della Scottish Chamber ovviamente ben rinforzata di strumentisti aggiuntivi :

    disco tellurico che mette alla prova ogni impianto stereo !
    Buon ascolto.

     
  15. HIFIMAN DEVA Pro : prova

    Ho provato nel 2020 il modello iniziale, con giudizio molto positivo.
    Riassumo le caratteristiche.
    Cuffie planari magnetostatiche con padiglioni circumaurali, dotate di modulo DAC/Bluetooth esterno, collegato alla presa dell'eventuale cavo.
    Il modulo dispone di porta USB-C per la ricarica, per l'eventuale collegamento ad un computer ma principalmente è un ricevitore BT, un DAC e un amplificatore per cuffie specifiche per le DEVA in un contenitore tanto piccolo e tanto leggero da poter essere ... portato in testa.
    Le DEVA Pro sono l'evoluzione di quelle cuffie ed appartengono alla generazione dei diaframmi con magneti Stealth, più leggeri e trasparenti.
    Non solo, il modulo Bluemini - come si chiama l'aggiuntivo elettronico - si permette adesso di avere una conversione R2R. Il tutto in 3x6cm !

    confezione e cuffie

    Bluemini R2R e Bluetooth

    ben evidenti sulla scatola le caratteristiche del Dongle incorporato.
    Queste cuffie comunque esistono anche in versione puramente cablata ad un prezzo inferiore.
    Vale la pena pensare a quelle ? Si, per le loro caratteristiche sonore e di comodità d'uso, se non serve l'uso wireless, si risparmia qualche decina di euro.
    Ma potendo io prendere le wireless.

    Stealth Magnets Design come tutte le più recenti HIFIMAN.
     
    L'estetica non è cambiata ma sono cambiati i colori.
    E' stato abbandonato - per fortuna ! - il color cammello del modello Deva sostituito da un più sobrio nero per i cuscinetti e per l'archetto. Mentre le armature dei padiglioni e le griglie restano color argento.



    i padiglioni restano di grande dimensioni - ad occhio sono proprio gli stessi, cambiano solo i driver - e di diametro abbastanza grande da circondare le mie orecchie senza toccarle.
    Io detesto le cuffie sovraaurali e già questo per me è motivo d'acquisto.

    dettaglio di una delle griglie di protezione esterna dei driver

    ed ecco qui il Bluemini. C'è il marchietto R2R in nero su nero, nella foto si vede poco.

    pulsante di accensione e porta USB-C. C'è poi una spia che ci comunica lo stato di carica e di connessione (qui è spenta).

    il marchio del modello DEVA Pro.
     
    ***
    Funzionalmente c'è una miglioria essenziale. Nel modello precedente non si capiva bene cosa succedeva quando si premevano i vari tasti.
    Adesso all'accensione una voce femminile in un inglese con pronuncia perfetta dice in modo chiaro "Power ON". Allo spegnimento, ovviamente, "Power OFF".
    Quando il modulo Bluetooth trova il trasmettitore a cui è stato accoppiato (la procedura sulle prime è poco intuitiva ma basta seguire le istruzioni e si riesce rapidamente), la vocina dice "Connected".
    Con il mio iPhone 15 Pro è questione di decimi di secondo perché si connetta.
    Nell'uso la connessione è stabilissima. Io uso da due anni queste cuffie per le mie passeggiate sciogligrasso e non ho mai avuto un attimo di perdita di segnale. Ascolto da Qobuz in formato CD e non ho nulla di cui lamentarmi.
    L'altra novità, basilare, oltre ai nuovi magneti e al diaframma alleggerito, è il modulo R2R che è imparentato strettamente con l'Himalaya che è installato nel DAC/Amplificatore desktop EF400.
    Si tratta di un apparecchio molto efficiente, dal suono caldo e suadente, perfettamente intonato con l'impostazione delle DEVA Pro.
    ***
    Per misurarle ho usato la connessione USB-C. Avrei potuto collegarle via cavo al mio Audio-GD R28 ma così avrei perso l'elemento DAC/Amplificatore interno.
    Ho fatto la stessa cosa con le DEVA che da quando ho le DEVA Pro sono state "declassate" a cuffie da computer, permanentemente collegate in USB-C.

    la risposta in frequenza è questa, piena sostanzialmente dai 60 Hz in su con un -3 dB a circa 45 Hz. Insomma come dei monitor da scaffale.
    Il precedente modello aveva qualche irregolarità in più

    ma a parte questo, sorpresa, sovrapposte le due risposte ...

    a parità di livello di preamplificazione abbiamo una sensibilità nettamente migliorata, oppure una potenza installata superiore, il che all'atto pratico è lo stesso.
    Siamo comunque a volumi d'ascolto.
    E vi devo dire che le DEVA Pro possono suonare molto forte con un volume di 50% del mio iPhone.
    Le differenze all'ascolto sono anche più marcate di quello che dice la risposta in frequenza.
    Anche perché non si può misurare l'ariosità del suono, il suo dettaglio, la leggerezza complessiva, l'impatto, una certa ... suadenza che le rendono più "sexy", acusticamente parlando, del modello precedente.
    Resta invariata la comodità nell'indossarle che riduce la fatica di ascolto praticamente a zero. Con il rischio di affaticare le orecchie per il troppo uso non perché siano fastidiose.
    ***
    Vale la pena di passare da un modello all'altro se uno ha già le Deva.
    Non saprei dire. Per me la differenza c'è, si vede, si sente, si tocca.
    Anche come cuffie da ascolto generico non itinerante sono fantastiche, sembrano di una categoria superiore (il prezzo su Amazon al momento è di € 259 mentre la versione senza Dongle viene "solo" € 179).
    E per me sono un best-buy assoluto di categoria e un affarone in termini reali.
    Le Ananda BT suonano meglio ? E' facile di si. Ma io non so se andrei in giro con le Ananda in testa ...
    Buon ascolto !

  16. HIFIMAN EF400 : dac/amplificatore in prova

    Aspettavo con grandissima curiosità l'occasione di provare questo DAC/Amplificatore desktop di HIFIMAN che rappresenta la scelta "entry" tra gli apparecchi di forma tradizionale da tavolo della casa.
    E' un apparecchio completamente bilanciato, compreso l'attenuatore e che è in grado di pilotare anche le cuffie più scorbutiche.

    arriva nella scatola di cartone oramai standard per tutti i prodotti HIFIMAN

    sul retro sono riportate le indicazioni di massima del prodotto.
    Il marchio R2R Hymalaya richiama il modulo interno di conversione.
    Conosco già le potenzialità di questo sistema perché lo uso correntemente "in versione mini" nelle DEVA, cuffie di dimensione standard pensate per l'uso in abbinata con il modulo ricevitore/convertitore R2R/amplificatore, per i miei ascolti portatili.
    Ha un suono in linea con le cuffie planari, dolce e dettagliato, neutro e lineare.

    aprendo la scatola compare il foam di protezione e una scatoletta che contiene il cavo di alimentazione nel nostro standard.

    la macchina è molto ben protetta, la confezione è premium nonostante l'aspetto dimesso del cartone.

    ed eccolo qui, con sopra l'unico accessorio, il cavo di alimentazione. Per il cavo USB dovrete provvedere voi.
    Si tratta come dicevo di un apparecchio da tavolo di forma tradizionale, 246,5mm x 228mm x 61mm per circa 3 chilogrammi.
    Piccolo ma non troppo, molto robusto come fa immaginare il peso.
    Peso che per la gran parte è responsabilità del grosso trasformatore toroidale di alimentazione.
    Perché l'alimentatore è integrato, come si conviene a tutti gli apparecchi di classe !

    il frontale è caratterizzato dal marchio HIFIMAN su una superficie di alluminio spazzolato (il frontalino è bello spesso e fuoriesce in altezza e in larghezza dalla sagoma del telaio.
    Sulla destra c'è il marchio dorato R2R-Hymalaya, in mezzo tra le due manopole, una banda nera che integra le prese per le cuffie.
    Le due manopole sono responsabili, quella di sinistra, della selezione tra le modalità di conversione e di amplificazione, quella di destra è invece il comando dell'attenuatore a quattro canali.
    Le prese sono complete, single-ended nei due formati standard e bilanciate, coassiale da 4.4mm ed XLR a 4 pin.

    il resto del telaio è nero opaco con gli spigoli morbidi.
    La sensazione di solidità è palpabile e il peso rassicurante.

    il retro non presenta sorprese. Ci sono le due uscite di linea, RCA ed Bilanciata e i due ingressi - alternativi - USB, con presa di tipo B o C.
    La presa di alimentazione è standard, l'interruttore di accensione è nella stessa vaschetta.

    dettaglio delle uscite, di ottima qualità e degli ingressi, standard.


    il fondello

    bisogna prestare attenzione al selettore del voltaggio che - di fabbrica - dovrebbe arrivare impostato sui 230V per la nostra area.
    Deve essere visibile il numero bianco su fondo rosso 230. Se ci fosse il 115V attenzione, perché accendendo l'apparecchio, salterebbe il fusibile di protezione.

    la matricola 

    e un primo piano di uno dei quattro piedini che reggono il telaio, ben dimensionati rispetto alle dimensione e al peso del DAC.
    Ed ecco tre viste ravvicinate del frontale

    selettore modalità DAC (NOS e OS) e GAIN (LOW e HIGH) per le cuffie
    le prese per le cuffie


    e l'attenuatore del volume che riporta solo MIN e MAX ma non ha tacche intermedie.
    Ovviamente io ... l'ho aperto perché le foto di repertorio non mi bastano mai.

    così ho avuto la conferma dell'impostazione razionale anche se con molti cavi volanti

    l'impianto vede il trasformatore toroidale i cui avvolgimenti sono condivisi sulle due schede, le due schede, quella adiacente al frontale relativa ai condensatori di livellamento (30.000 microFarad) e all'amplificazione e quella digitale che comprende sia il ricevitore USB che il convertitore vero e proprio.

    che é completamente integrato nei due moduli HIFIMAN HYMALAYA, qui nella versione I.
    Si tratta di moduli integrati composti dalla scala di resistenze di precisione che viene controllata da un microprocessore programmato dal produttore.
    Ogni modulo si incarica di effettuare la conversione da digitale ad analogico, generando la corrente che va all'amplificatore o alle uscite di linea (quelle in rosso sono le RCA mentre quelle in nero sono le XLR).
    L'integrazione è elevata, nulla a che vedere con il dispendio di mezzi che mette in campo un produttore più "analogico" come Audio-gd i cui prodotti abbiamo recensito su queste pagine.
    Del resto dimensioni, pesi ed ingombri definiscono classi diverse tra questi apparecchi.

    un'altra vita dell'interno con i moduli di conversione in primo piano in corrispondenza delle uscite e delle entrate.
     
    Visto nel dettaglio, diamo un'occhiata alle indicazioni del produttore, prese dal suo sito, alla pagina del prodotto.
    Ricordo che DAC è uscito nel 2022 e da allora nel catalogo HIFIMAN sono entranti altri apparecchi ed è stata introdotta un'altra generazione dei moduli R2R.

    il modulo originario è stato premiato al VGP in Giappone

    qui abbiamo lo schema a blocchi.
    L'amplificatore, definito "high-current" è in grado di uscire con 10,7 Volt per 4.4 watt su 36 Ohm dalle uscite bilanciate.

    il funzionamento viene garantito come realmente bilanciato a partire dai convertitori, duali, per procedere con i buffer verso l'attenuatore che è analogico e a quattro canali (per le due semionde positiva e negativa del destro e del sinistro) fino all'uscita cuffie.
    Attenzione, le due uscite di linea posteriori invece non sono amplificate ma fisse, alla tensione nominale standard.
    Non si tratta in pratica di un preamplificatore ma solamente di un convertitore di linea con integrato un amplificatore cuffie.
    Chi volesse collegare dispositivi esterni - come diffusori - dovrà utilizzare uno stadio di amplificazione/attenuazione esterno.

    è quello che abbiamo fatto noi per provarlo. Uscendo con cavi XLR di qualità verso l'amplificatore a valvole Stax con cui alimentiamo di solito le HIFIMAN Jade II cuffie elettrostatiche dal suono chiaro e dettagliato (quelle che abbiamo in testa in questo momento).
    In questo modo il segnale - immaginiamo a 5 Volt - in uscita dal EF400 verrà poi trattato dall'amplificatore e il livello del segnale in uscita verso le cuffie, regolato dall'attenuatore dell'amplificatore STAX.

    Se si volessero collegare dei monitor amplificati, cosa possibile ma scomoda, sarà necessario regolare il volume direttamente dai monitor (che normalmente hanno la manopola dietro, impossibile da raggiungere e da vedere ...).
     
    Anticipavamo che nel frattempo i moduli HYMALAYA sono stati aggiornati e ne esistono di due nuove versioni che equipaggiano i nuovi DAC che intanto sono stati presentati da HIFIMAN.
    Come segno di attenzione per i propri clienti, però, per l'EF400 è stato avviato un programma di aggiornamento che permette di sostituire i due convertitori originali con due delle nuove serie.
     

    i due nuovi moduli, denominati PRO e disponibili in due diverse versioni, vengono descritti da HIFIMAN come superiori ai leggendari PCM1704

    sia in termini di rapporto segnale/disturbo che di distorsione.
    Probabilmente anche di musicalità, visto il tempo che è passato.
    E non potrebbe essere altrimenti.
    Il programma di aggiornamento :


    promette un notevole incremento di prestazioni in termini sonori.
    Con un miglioramento "drammatico" dell'esperienza di ascolto.
    Probabilmente - maligniamo noi - supereranno anche l'unico difetto che abbiamo riscontrato in questo DAC e di cui parleremo nella sezione di ascolto.
    Legato forse alla potenza degli FPGA di controllo installati nei moduli (nostra ipotesi).
     
    ***
     
    Bene, lo abbiamo visto, lo abbiamo pesato, lo abbiamo aperto. Sappiamo che offre fino a 4.4 watt di potenza sulle cuffie nelle uscite bilanciate e che ha un selettore per elevare eventualmente il guadagno di uscita.
    Anticipo che qui io l'ho usato esclusivamente in NOS, trovando la modalità senza oversampling la più dinamica e dettagliata. Mentre con le cuffie che ci sono in casa, non è stato necessario usare il Gain più elevato, anche qui per conservare una buona riserva dinamica.
    Per di più, il volume non è mai andato oltre un quarto o poco di più. Segno che la potenza c'è se le cuffie non sono di quelle impossibili.
    E il suono ?
    Sul principio suonava secco ed asciutto. Dopo due settimane in cui l'ho tenuto costantemente acceso - cosa segnalata dal led anteriore (unica spia che denota l'attività della macchina) e dal teporino a cui si porta il DAC mentre lavora, si è sciolto.
    E di molto, diventando dolce e pulito.
    La stessa identica esperienza che ho riscontrato con le DEVA PRO che all'inizio erano inascoltabili e poi nel tempo sono diventate di un chiaro e di un suadente inaspettato, quasi fossero delle ammiraglie.
    Segno che anche le resistenze e gli FPGA hanno un'anima e che si deve rodare per diventare ascoltabile.
    Consiglio - anche se l'EF400 non è un classe A - di accenderlo un pò prima di usarlo. Oppure di lasciarlo sempre acceso, tanto consuma poco.
    Vi ripagherà in classe e calore.
    Intanto che scrivo sono tornato sull'uscita cuffie dell'EF400 cui ho collegato - in bilanciato le Edition XS.
    Devo anticipare che gli abbinamenti non sono banali con questo amplificatore.
    Ho trovato non piacevolissime le Ananda Nano, per esempio, mentre splendide e calde le Sundara Closed Back. Divine, le Audivina, magistrali le Arya Organic.
    Ma adesso le Edition XS mi stanno piacendo ancora di più (Beethoven, 9a sinfonia, Danish National diretta da Adam Fischer).
    Naturalmente qui saranno i vostri gusti e le vostre orecchie a guidarvi. Ma con gli Audio-gd le Ananda mi piacciono di più delle Edition XS, qui è il contrario.
    ***
     
    Alcuni disco ascoltati

    Beethoven i concerti per pianoforte e orchestra. Giovanni Bellucci
    Suono del pianoforte chiaro e perfettamente posizionato su un'orchestra "leggera" ma ben dimensionata
     

    Temptation, Chantal Chamberland
    Bel basso profondo ma veloce, pelli frizzanti, voce suadente e caldissima di Chantal.

    Hadewych Van Gent, violoncello, nella sonata per viola di Rebecca Clarke
    alzo appena il volume perché me lo chiede la musica. Il cello è roco ma esteso fin al suo registro più acuto.
    Il pianoforte è in secondo piano, basso, come se stessimo seduti tra il pubblico e non sul palco.

    Bach, Magnificat, Rias Kammerchor Berlin e Akademie fur Alte Musik Berlin
    Ascolto biased perché si tratta di una delle mie composizioni preferite.
    L'equilibrio tra le parti è eccellente, senza che nulla turbi l'ascolto.
    Musica barocca dal vivo, come essere in chiesa durante l'esecuzione, nelle panche di sinistra, in quinta o sesta fila.

    Art+Pepper + Eleven, 1960, 192/24
    classico delle mie sessioni di test, qui sono passato alle HIFIMAN Audivina, prima avevo le Edition XS.
    Elevata dinamica, il sax è li da qualche parte sulla sinistra ma rivolto verso destra, quando aumenta il volume si incrementa lo spazio che occupa lo strumento.
    Le cornette e le trombe stanno dietro Art mentre i tromboni sono a destra. Con le percussioni ovunque.
    Prestazione eccellente, giusto un filo monitor ma che mi convince, perché continuerei ad ascoltare il disco anziché scrivere.
    Mi fermo qui, era giusto per confermare l'impressione di avere un eccellente front-end al servizio di cuffie che conosco benissimo e di cui mi fido.
    Sinceramente io non so cosa vogliano espressioni "nero come le pece" che scrivono certi recensori.
    Se si riferiscono al "silenzio di fondo", credo che non esista oppure se c'è, viene creato ad arte da certi chip.
    Qui abbiamo un suono complessivamente da giradischi con una bella testina MC.
    Ma perfetto in ogni dettaglio.
    Davvero, non scherzo, non saprei cosa dirvi se non ne foste soddisfatti. Adesso provo ad ascoltare le Audivina con l'Audio-gd R27HE.
    Ok, ok, non parlo più. Non c'è confronto. Ma qui sono passato da un front-end da 3 chili e 400 euro ad uno di 29 chili e quasi 5.000 euro (ho l'interfaccia digitale in mezzo; tutto con rigenerazione di corrente).
    Ma, se voi non avete cuffie Top of The Line e avete un budget contenuto, sinceramente non saprei di cosa potreste lagnarvi ... di questo HIFIMAN EF400.
     
    CONCLUSIONI
     
    Pro:
    piccolo, compatto, ma rassicurante nella sua costruzione tradizionalmente da tavolo (devo ammettere che i nuovi modelli a sviluppo verticale non mi fanno impazzire !) realmente bilanciato suono naturale come norma per i convertitori R2R nessuna gamma in evidenza, dopo un rodaggio nemmeno troppo lungo ed avendo l'accortezza di lasciarlo scaldare prima di usarlo (o tenerlo sempre acceso) la prestazione è degna di un alto di gamma, sarà veramente difficile se non passate giornate intere ad ascoltare musica dire che potreste desiderare di meglio (ma si, sappiamo che gli appassionati sono incontentabili ed è per questo che esistono macchine di costo superiore) anche se i moduli R2R integrati sono superati dai modelli successivi, HIFIMAN ha avviato una campagna di upgrade (a pagamento) che sembra conveniente uscito a circa € 700 adesso è scontato e non è difficile trovarlo per poco più della metà : a questo prezzo è un affarone ! Contro:
    nell'ascolto si avvertono talvolta nei passaggi di traccia o di livello degli scrocchi che ricordano quelli dei vinili. Probabilmente un limite nel regolare livelli di segnale molto diversi.
    A me non da alcun fastidio ma per qualche purista potrebbe essere un problema le uscite di linea non sono controllate dall'attenuatore, sono fisse, quindi ogni dispositivo connesso suonerà al massimo se non ha un suo attenuatore l'unica entrata disponibile è quella USB. E' un precisa scelta di progetto ma a qualcuno potrebbe non bastare non c'è un display che dia le indicazioni minime di funzionamento, tipo la frequenza di campionamento del segnale o altro. 
    L'impostazione è minimal da curare l'abbinamento con le singole cuffie, io ho trovato che per alcune il suono è eccezionalmente chiaro e piacevole, per altre "quasi" detestabile, anche se tutte HIFIMAN. Insomma, bello, ben fatto, solido, be n costruito, con un aspetto premium eppure piuttosto economico.
    Completo per quanto riguarda la prestazione sonora ma minimal nell'approccio - sia delle entrate che delle uscite - e nelle funzioni.
    Ma quello che promette lo fa : fa suonare bene le cuffie e converte il segnale digitale in un analogico ... veramente tale !
    A differenza di tanti suoi colleghi Sigma-Delta fatti con lo stampino il cui suono sembra la fotocopia dell'originale.
    Ovviamente non si pretenderà la luna. Per quella ci sono front-end di livello adeguato alle aspettative di tutti.
    Ideale l'abbinamento con HIFIMAN Edition XS per chi ama la musica classica, Sundara Closed Back per chi invece preferisce jazz o musica moderna.
    ***
    Nota per gli utenti Windows. Il DAC non viene visto dal sistema se non installate prima i driver scaricabili dal sito ufficiale.



    operazione che porta via due minuti e poi non si deve fare più nulla.
    Il driver viene visto da Audirvana e dal lettore Qobuz ed è stabilissimo.
  17. Chi segue queste piccole recensioni, sa che tra le HIFIMAN planari tradizionali a diaframma ovale, le mie preferite sono le Arya, anche più delle HE1000.
    Per quella naturalezza "umana" che hanno, pur nella chiarezza proverbiale di questo genere di cuffie ma senza gli eccessi pirotecnici della serie superiore.
    Le ho da anni e mi sono abituato al loro suono. L'unico difetto che ho riscontrato è una certa scarsa tenuta dei materiali usati (ho dovuto sostituire i cuscinetti perché il rivestimento si è letteralmente sbriciolato; la banda superiore è usurata; in qualche momento anche una delle due prese di segnale traballa. Insomma, non una grande resa per la somma spesa ...).
    Ma in quanto a piacevolezza del suono, solo le Jade II - e solo sul medio-alto - le superano, per i miei gusti.
    Tanto che non ho avuto grande curiosità di provare il modello aggiornato con i diaframmi alleggeriti e i magneti stealth.
    Invece ho avuto la possibilità, grazie ad HIFIMAN Europe che ringrazio per la grande cortesia, di usare per due mese il nuovo modello Organic.
    Che si caratterizza per la banda attorno ai padiglioni che ricorda il legno naturale.
    E per tante altre caratteristiche che adesso vedremo.
    Unboxing e descrizione

    la scatola è quella dell'ultima serie, molto economica.

    specifiche esibite nello sticker sulla scatola : nuovi diaframmi ultrasottili e magneti "invisibili"

    riportate anche sul retro della scatola
    Per fortuna HIFIMAN adesso si è standardizzata sugli spinotti da 3.5mm. In questo modo i cavi sono tutti intercambiabili.

    la dotazione è inesistente.
    E devo dire che per cuffie di questa fascia di prezzo trovare solo un cavetto single-ended economico è una delusione.
    Ma HIFIMAN sa che noi appassionati siamo ben forniti di cavi buoni.
    E devo ammettere che i cavi bilanciati che ci sono in dotazione negli altri modelli non mi fanno impazzire, quindi va bene così.
    Anche se si deve mettere in conto di spendere un altro paio di centinaia di euri per un cavo adeguato alla classe di queste cuffie.
    Io qui ho alternato il cavo artigianale "inglese" fattomi su misura per le mie Arya e il cavo crystal di HIFIMAN acquistato da Playstereo.com

    liberati dalla scatola ecco le cuffie nella doppia tonalità, nero opaco e legno tipo ciliegio.

    l'estetica a me sembra accattivante, giusto un filo meno austera di quella delle mie Arya originali ma non tanto più vistosa come altri modelli color panna e tabacco ...

    noto subito che i nuovi cuscinetti sono nettamente meglio di quelli della prima serie. A prima vista sono rassicuranti.
    Indossati sono comodissimi.
    La fascia "in legno" sembra semplice vinile.


    L'archetto e la banda sono identiche a quelli della prima serie.

    Arya Organic

    dettaglio dell'armatura esterna, la grigia di protezione è molto robusta, si intravvede il diaframma che ha un colore che tende al verde.


    ancora un dettaglio della texture similpelle dei cuscinetti, proprio belli.

    l'interno, anche qui dietro al tessuto protettivo, si vede l'armatura metallica a protezione del diaframma, leggerissimo ed altrettanto fragile.
    Il meccanismo di movimento è totale a tutto vantaggio della comodità nell'indossare.
    E' un dettaglio a cui si presta poca attenzione sulle prime, concentrati sulla qualità del suono.
    Ma sulle lunghe la differenza tra cuffie diverse sta anche nella loro indossabilità a lungo termine.

     

     


    l'interno dell'archetto con le tacche di blocco e l'indicazione del canale Right. Si nota anche lo snodo che libera il movimento del padiglione.

     
    Specifiche e risposta in frequenza
     

    riprendo la pagina prodotto del mio fornitore abituale Playstereo.com che riporta anche il prezzo al pubblico di 1.449 euro con IVA in Italia.
    risposta in frequenza delle Arya Organic misurata con miniDSP Hears

    a confronto con le Arya V1

    qui allineate per azzerare la differenza di sensibilità.
    Ripeto sempre di non innamorarsi troppo della risposta delle cuffie che nel tempo tende a modificarsi. Certe asperità si smussano e certe altre si incrementano mano a mano che il diaframma matura con l'uso.
    Qui però possiamo annotare immediatamente due cose.
    Le Arya Organic hanno realmente una sensibilità superiore a parità di regolazione del volume.
    Merito dei nuovi magneti e dell'impedenza dimezzata di 16 Ohm.
    La differenza è netta e si nota in caso di commutazione "al volo" tra i due modelli : è necessario allineare il volume.
    E poi una impostazioni diversa sulla gamma media. Questa è effetto dell'invecchiamento delle mie Arya perché all'inizio il medio non era così lineare.
    Comunque ci sono 4-5 dB di differenza nella gamma critica che va da 1.000 ai 2000 Hz.
    E' una gamma in cui ci sta la voce umana, specie quella femminile, e il violino.
    E poi le Arya Organic hanno acuti più frizzanti e un corpo più rotondo sul medio-basso.
    Segue con le impressioni di ascolto e le differenze con il modello precedente
    Le Arya Stealth pesano 440 g, però la pressione è perfettamente distribuita, i padiglioni sono morbidi e perfettamente sigillanti (pelle e poliestere, non in velluto); la forma asimmetrica dei padiglioni auricolari, rende l'utilizzo di queste cuffie una vera gioia. Anche per lunghe o lunghissime sessioni di ascolto.
    L'aspetto, come detto, non ha nulla di nuovo rispetto ai modelli precedenti, a parte il finto legno. Insomma, una sensazione rassicurante.
    Nell'ascolto, confermano l'impostazione tipica di questo modello.
    Musicale, pulito, trasparente.
    Il basso ha un buon corpo e una completa estensione, ma è leggero, tipicamente planare.
    Nitide e risolute, perfette per la musica da camera, il violino, la voce femminile.
    Sicuramente il medio e il medio alto sono avanti, mentre il basso è indietro anche se c'è ed è profondo. Ma, appunto, è leggero.
    Ma c'è più energia e meno secchezza rispetto all'assoluta neutralità del suono delle prime Arya.
    Gli alti e gli altissimi sono frizzanti. Non esagerati come quelli delle HE1000 ma sono certamente molto evidenti.
    Con il rodaggio un pò questa cosa si stempera.
    Ho l'esperienza delle prime Arya e sono sicuro che tra un anno le mie sensazioni saranno differenti.
    Insomma, al momento non sono certamente morbidi gli alti di queste cuffie (per niente !) ma non sono nemmeno aggressivi.
    L'impressione complessiva è di un ascolto in primissimo piano, dalla prima fila della platea, potendo quasi toccare il primo violino.
    C'è un dettaglio elevatissimo - caratteristica primaria di queste cuffie - con una resa che nell'insieme beneficia di un basso corposo e di un estremo acuto rifinitissimo.
    Il medio è un pò colorato - in senso positivo - e questo finisce col caratterizzare le voci.
    Il palcoscenico è buono ma comunque suonano in testa, proprio per questo iperdettaglio e questa nitidezza esasperata.
    Probabilmente è il compromesso scelto, per mantenerle nella tradizione di questo modello.
    Per allargare la scena e dare più profondità probabilmente si sarebbe dovuto scegliere di allontanare gli strumenti e perdere così tutti questi dettagli.
    Se il master è eccellente, non si perde una nota.
    In questo momento sto ascoltando Janine Jansen nel primo di Prokofiev e la sento qui nella mia testa !

     
    Ma è impossibile perdersi una nota, uno squillo, una acciaccatura.
    Nonostante la sensibilità sia molto alta, tendo a tenere il volume alto.
    Magdalena Kozena ha registrato un disco molto intimo di canzoni slave con il marito Sir Simon alla testa della Czech.
    La sua voce in genere un pò critica qui è morbida e naturale ma un pò esile.
    Anche il violoncello della Kobekina suona in avanti, bello insieme alle nacchere.
     

    Del pianoforte (in questo caso il duo Trifonov + Babayan) si sente letteralmente ogni corda.
    Ma è un suono leggero, cantato, musicale.
    Le mani di Lugansky che articola la marcia funebre di Sigfrido ci sono tutte, e in primo piano.
    Andando a generi moderni, Amelia, con Joni MItchell accompagnata da Herbie Hancock è di rara bellezza e conferma la musicalità di queste cuffie.
    Anche il jazz svedese che sto ascoltando mentre faccio questi test di cuffie si conferma interessante, anche se l'estremo basso - estesissimo - è meno coinvolgente che con le HIFIMAN chiuse.
     

     
    Nel confronto con le Arya V1 che vi risparmio nel dettaglio, io trovo che le Organic siano complessivamente più musicali, più emozionanti, più coinvolgenti.
    Dove le V1 sono più neutrali, più terse, più radiografanti ma meno dettagliate e ipernitide.
    Con le Organic l'ascolto diventa un viaggio tra sonorità ricche e interessanti. Rendendo le V1 in un certo qual modo più "noioso", meno accattivanti.
    Ma più accurate nell'immagine complessiva.
    In sintesi, strumenti di indagine le Organic, musicalmente meno frizzanti ma più naturali e rilassanti le Arya. Che poi è l'impressione che ho in tutti i confronti con i modelli più recenti.
    Come se in HIFIMAN avessero voluto aggiungere un pò di pepe ad una prestazione che è eccellente ma a tratti monotona.
    Continuo a pensare che le Arya, in generale, non sia adatte al rock più energetico.
    Non perché non ne valorizzino il contenuto, al contrario.
    Ma l'analiticità e la trasparenza elevata portano a sottovalutare di molto l'impatto che si stempera di fronte a tutto quel dettaglio strumentale con tutto davanti e in primo piano.
    Ascoltare il rock o l'heavy in mezzo ai musicisti ? Grazie, no, meglio stare in mezzo al Takacs Quartet che accenna Schubert con il suo suono particolare.
    Quindi, concludendo ?
    Sono sempre le Arya, queste Organic.
    Non so dire se mi piacciano di più delle V1, a tratti si, perché sono più coinvolgenti senza usare trucchi speciali.
    Il basso è più pieno, potente e profondo, aiutato particolarmente da un medio-basso più dinamico.
    La sensibilità superiore aiuta certamente.
    Il senso di leggerezza dei nuovi diaframmi si sente tutto.
    La differenza di dettaglio è tutta a favore delle Organic che somigliano in questo alle HE1000 SE.
    Ma le Arya V1 restano naturali come delle elettrostatiche e per questo le amerò sempre.
    Comunque sia, promosse ad ammiraglie di casa, queste Organic, con l'unico caveat dato dalla scarsa dotazione per cuffie che costano una cifra iperbolica (€1449 non sono noccioline) senza un cavo bilanciato anche basico.
    Serve un front-end elevato per godersele, forse sarebbero aiutate da un DAC Sigma-Delta, non ho provato. Lo farò. Con i miei diffusori planari ho definitivamente reintegrato il vecchio ES9018 dell'Audio-GD NFB 7.
    Ma il dettaglio e l'analiticità di queste cuffie al medio e all'alta richiedono la chiarezza e la trasparenza di un R2R. E purtroppo non c'è compromesso possibile al riguardo.
     
    Giudizio complessivo
    PRO: simile nell'aspetto alle Arya precedenti, tranne la banda in simil-legno costruttivamente alcuni particolari sembrano di qualità nettamente superiore a quelli delle Arya V1 impedenza dimezzata a 16 Ohm e sensibilità conseguentemente aumentata in teoria si possono pilotare "con un filo di gas" e con qualsiasi dispositivo;
    io però raccomando di avere il miglior front-end a disposizione (DAC+AMPLI+SORGENTE) e con una buona riserva di potenza più coinvolgenti ed emozionanti delle Arya V1, sia per intonazione che per effetto del nuovo diaframma e dei magneti stealth. il suono sembra una sintesi tra le Arya e le HE1000 buona in tutte le caratteristiche, suono naturale con solo il medio un pò colorato; assenza di distorsione; dettaglio molto elevato ma non iperanalitico; palcoscenico abbastanza ampio comode come un guanto alle orecchie e in testa
      CONTRO: un pò meno naturali e rilassanti rispetto alle Arya V1 che però al confronto alla lunga sembrano "noiose" basso profondo e più potente di quello delle Arya V1 ma sempre con una risposta da planare necessitano di un front-end adeguato; non sono cuffie da telefonino o da DAP in single end per un apparecchio da €1500 la dotazione è insufficiente; un cavo bilanciato è d'obbligo tenuta del materiale da verificare nel tempo (non è mai stato un fiore all'occhiello di HIFIMAN) Impianto usato per la prova :
    integrato Audio-GD R27 HE, alimentato via USB da un mini pc su cui gira Audrivana come player cavo crystal HIFIMAN confronto HIFIMAN Arya V1 con cavo artigianale inglese dischi ascoltati :
     








  18. Moonwalk : Tommaso e Alexander Lonquich

    Moonwalk : musica romantica per clarinetto e pianoforte (Busoni, Brahms, Saint-Saens, Reger, Debussy)
    Tommaso Lonquich, clarinetto
    Alexander Lonquich, pianoforte
    Musica Novantiqua, 19/10/2021, formato 44/16
    ***
    Disco molto intimista e crepuscolare come la stagione che stiamo affrontando.
    Le due sonate per clarinetto e pianoforte di Brahms la fanno da padrona ma il disco ( 68 minuti) comincia con la Elegia di Busoni e contiene anche un Tarantella di Max Reger insieme alla sonata Op. 167 di Camille Saint-Saens.
    Non è repertorio raro ma è raro trovare una coppia - padre e figlio - così intonati negli intenti oltre che negli scopi.
    Senza mai andare oltre il segno dei singoli autori, il disco segue un percorso coerente ben rappresentato dalla copertina del disco.
    Sognante e trascendente, non necessariamente decadente come spesso - a sproposito - si dice di questa musica.
     
    credo debba essere stata una esperienza unica per entrambi, affermati uomini di musica (come musicista affermata è la mamma di Tommaso, moglie di Alexander).
    Il disco è di una bellezza difficile da descrivere. Delicato eppure mai sdolcinato.
    A chi dice che Brahms si stava preparando per l'ultimo viaggio con le due sonate, consiglio di ascoltare il piglio e la vivacità dell'allegretto grazioso che chiude l'Op.120
    Registrazione naturale con nessuno dei due strumenti in evidenza.
    Da ascoltare.
  19. Beethoven : i concerti per pianoforte e orchestra
    Alexander Lonquich alla testa della Munchener Kammerorchester
    ECM 7/11/2024 (registrazione del 2022) formato 96/24
    ***
    Alexander Lonquich è un pianista tedesco di Treviri con una lunga frequentazione dell'ambiente musicale tedesco ma che si è perfezionato e vive in Italia.
    Io l'ho conosciuto in più di un concerto al Conservatorio di Milano nel secolo scorso (quando lui aveva tanti capelli) e ne ho apprezzato subito le doti introspettive di analisi del segno musicale ma in una interpretazione sempre virile e presente.
    Questo disco ECM - eccezionale alle mie orecchie - rispecchia la sua analisi di queste pagine, ripetutamente eseguite in pubblico con la Munchener, anche in integrale in un unico concerto nel 2019.
    L'orchestra è da camera ed è a parti simili a quelle previste da Beethoven

    lui dirige alternativamente dal pianoforte o in piedi


     
    mantenendo una organicità di dialogo eccezionale.
    La registrazione ECM - di quelle migliori - è chiara e tersa. Il pianoforte è cristallino ma non artificialmente in primo piano.
    La tessitura degli archi è eccellente mentre fiati, ottoni e timpani non eccedono come quando ci si deve far ascoltare da fuori il teatro.
    L'organica interpretazione non indugia sulle età in cui Beethoven si è cimentato con questi capolavori.
    In attività ha portato personalmente in concerto i primi quattro, servendosi dei primi tre come veicolo di promozione della sua opera di compositore.

    Mentre i primi tre concerti pagano un tributo importante al modello mozartiano con velate citazioni talvolta, il quarto è la gemma che sorprende.
    Sospeso tra Handel e Brahms ha momenti di intenso lirismo che si intercalano a virtuosismi che mettono in luce le doti del pianista ma nella giusta prospettiva sinfonica.

    L'ultimo non ha nulla a che vedere con l'Imperatore (che brutta questa abitudine di dare un titolo che il compositore si sarebbe volentieri evitato), è il più lungo ed è il più "operistico".
    Lonquich però li vede come un tutt'uno, che non significa ci offra una lettura omogeneizzata ma che invece toglie un pò di patina retorica, come è giusto che sia.
    Le cadenze sono originali e rispettose, l'insieme non è affatto il prevaricare dell'uno sugli altri ma il fare musica insieme.
    Tempi spesso veloci ma coerenti, sonorità brillanti, fronte ampio.
    Grandissimo disco con quasi tre ore di reale godimento sia in cuffia (mentre scrivo) che con i diffusori grandi e i loro 2000 watt in quattro canali.
    Registrazione, come dicevo, eccellente, come da prassi per il marchio tedesco.

     
  20. Busoni, Brahms, concerti per violino e orchestra
    Francesca Dego, violino
    BBC Symphony Orchestra diretta da Dalia Stavevska
    Chandos, 1 marzo 2024, formato 96/24 via Qobuz
    ***
    Quando è morto Brahms, Busoni aveva circa l'età che aveva Brahms quando è nato Busoni.
    Era nel pieno della maturità e come tutta la generazione di compositori mitteleuropei del suo tempo, viveva bel culto del grande tedesco.
    Nonostante Liszt, Wagner e l'arrivo della nouvelle vague francese e austriaca.
    All'epoca della composizione del suo concerto per violino, per Busoni, Brahms era il riferimento dei conservatori, l'apice del triangolo Bach-Beethoven-Brahms.
    Eppure nessuno assocerebbe nella stessa frase Brahms e Busoni, tanto sono compositori opposti.
    Contorto ma semplice, Brahms, quasi ascetico spesso. Complicato, eccessivo, esagerato, Busoni.
    Abbiamo una prova nella trascrizione della Ciaccona di Bach dei due. Brahms trascrive semplicemente la sua mano sinistra, senza aggiungere nulla alla partitura originale.
    Busoni invece la riscrive in senso sinfonico.
    La stessa cosa che ha fatto rivedendo buona parte dell'opera tastieristica bachiana, mentre la ripubblicava all'inizio del '900.
    Lo fa in senso lisztiano e per certuni, Busoni è il più grande pianista dopo Liszt.
    Spesso è eccessivo anche in quello ma per me la riscrittura del Preludio e Fuga BWV 552 di Bach fatta da Busoni va nel senso Bachiano del brano, oltre il segno ma non oltre il significato.
    Insomma, io sono legato al Busoni appassionato conoscitore della musica dei secoli precedenti, un pò meno per le sue creazioni, effettivamente spesso fuori ... dal vasino.
    Questo concerto per violino, pensato pensando a quello di Brahms è invece una pura composizione tardo romantica. Niente a che vedere con Sibelius o con Nielsen ma lo possiamo considerare un vero gioiello, purtroppo sempre fuori repertorio.
    Dove vediamo troppi concerti di Mozart o di Vivaldi o di Bruch, forse questo Busoni qualche volta ci può stare.
    Ringraziamo Francesca Dego che lo ha ripescato.
    Perché ?
    Per il suo legame con Brahms che in questa edizione è concreto.
    Brahms, nella tradizione classica ha omesso le cadenza dal suo concerto. Dove ha lasciato lo spazio ha semplicemente messo un punto. Lasciando che fosse il solista a fare la sua.
    Naturalmente quella del dedicatario Joseph Joachim passa come riferimento. Ma c'è una interminabile sequenza di cadenze, passate e recenti per il concerto di Brahms - l'imperatore dei concerti per violino - ognuna a suo modo, giusta.
    Ruggero Ricci credo che sia riuscito a registrarle tutte, se non vado errato. Compresa la "sua". E poi c'è quella di Heifetz, di Ysaye, Kreisler.
    Francesca Dego in questa sua interpretazione del concerto di Brahms usa la cadenza di ... Busoni.
    Che studiò anche violino, come Beethoven e Brahms ma che come Beethoven e Brahms aveva il pianoforte sempre in mente.
    Busoni non ne era particolarmente orgoglioso. Confidava alla moglie di aver rubato da Beethoven il duo con i timpani.
    Poco male perché Brahms stesso confessava a Joachim di aver rubato da Beethoven.
    Insomma, il concerto di Busoni, molto originale, specie nel secondo movimento, potrebbe essere stato anche scritto da Brahms, se fosse vissuto fino al '900.
    Mentre Busoni sentiva particolarmente suo quello di Brahms, e nel suo concerto si sente.
    Non è plagio e proprio respirare la stessa aria ed essere immersi nello stesso humus.
    Busoni è italiano ma la madre, grande pianista, era in parte tedesca. E Ferruccio si formò nell'ambiente culturale tedesco.
    Non sappiamo esattamente quando Brahms e Busoni si incontrarono. Ma Brahms consigliò a Busoni da chi studiare contrappunto e poi scrisse una lettera di raccomandazione in suo favore per Carl Reinecke a Lipsia, dove Busoni si perfezionò.
    Brahms perse poi interesse per il giovane ribelle e Busoni per il vecchio conservatore.
    Ma il giorno del funerale di Johannes dopo essere stato tra chi aveva portato la bara in spalla, suonò il concerto in re minore Op. 15 del vecchio maestro in suo ricordo.
    Anche il concerto di Busoni è dedicato ad un amico violista, Henri Petri, che non a caso aveva studiato con Joachim. Così si chiude il cerchio.
    In vita di Busoni il suo concerto ebbe grande successo, anzi, fu tra i suoi più celebrati brani. Poi sbiadì alla memoria.
    Del concerto di Brahms è inutile parlare. E' talmente elevato che si può permettere di guardare gli altri con la condiscendenza che il suo autore mostrava per gli altri, almeno quando era sobrio.
    Francesca Dego nelle sue note al disco ammette che se è costretta a confessare chi sia il suo autore preferito, dice con convinzione che è Brahms.
    Ha suonato tutto il repertorio e il concerto in re maggiore all'età di quindici anni con quello che sarà suo marito che l'accompagnava al pianoforte nella prima lettura.
    L'uso dei tempi annotati da Joachim, veloci, hanno reso il suo approccio meno reverenziale di quanto ci si aspetterebbe.
    Qualcuno dice che non si dovrebbe portare in pubblico prima dei quaranta anni, come se il vecchio barbuto fosse li a guardarti.
    Così il concerto è "maschio" quanto deve, senza quell'autocompiacimento che spesso si trova in altre letture.
    Bello e frizzante.
    Mentre per quanto riguarda il concerto di Busoni porto proprio le note della Dego :
    "Busoni compose il suo Concerto in re maggiore quando aveva trent'anni ed era immerso in un turbinio di impegni concertistici attraverso l'Europa. È dedicato a Henri Petri, allievo di Joachim, e permeato con lo spirito del capolavoro di Brahms, allusioni che a volte emergono in modo diretto
    omaggio e talvolta come spettro inevitabile. Il trillo sospeso prima del violino – dopo aver vagato su e giù per la tastiera in una cadenza prolungata – raggiunge il nobile e il tema solenne nel primo movimento potrebbe culminare altrettanto facilmente nel tema del concerto di Brahms e l’impennata dell’oboe
    presenzia nell'introduzione al secondo movimento, insieme al melodico letterale e citazioni ritmiche nell’ultimo movimento coda, fornisce un'atmosfera personale ed esilarante svolta a quel classico. La Cadenza che Busoni scrisse per il primo movimento del concerto di Brahms (che, ovviamente, ho scelto di suonare
    in questa registrazione!) utilizza anche linee e tecniche soluzioni simili a quelle del suo concerto. Quando ho iniziato a studiare ed eseguire il lavoro di Busoni, il fatto che questi due concerti erano così strettamente intrecciati uno dei motivi per cui me ne sono innamorato.
    È un gioiello di per sé, ma il fatto è che utilizza una tela così tradizionale per uso personale e le idee innovative non fanno altro che renderlo più attraente. Busoni si considerava di più un compositore tedesco che italiano ma la sua anima e l'essenza sgargiante di un vero virtuoso (secondo solo a Paganini  nella storia
    storia della musica italiana !), risuona in questo gioioso e pezzo assurdamente impegnativo. Credo che se Liszt avesse scritto un concerto per violino avrebbe contenuto questo tipo di energia e intenti (e, come quello di Busoni, denso e armonico secondo movimento originale da morire !).
    Essere in grado di registrare il concerto per violino di Brahms è un sogno e una pietra miliare per tutti violinista e sento che con il “mio” Brahms è così non voglio competere con tanti splendidi versioni disponibili ma invece di dichiarare il mio amore e la mia storia con il mio concerto per violino preferito.
    ll Concerto di Busoni, invece, è un lavoro raramente eseguito, portato in studio solo una manciata di volte. Rappresenta un diverso tipo di responsabilità, che mi ha spinto a voler riscoprire ogni dettaglio di questa musica come se non fosse mai stata suonata Prima. Mi sento privilegiata di averlo potuto fare
    in compagnia della straordinaria Orchestra Sinfonica della BBC, che hanno portato la loro esperienza, la loro profondità di suono e una storia dell'eccellenza per Brahms da un lato, e la loro tecnica completa la gioiosa curiosità di Busoni dall'altro."

  21. Sono certo che ad un certo punto le mirrorless supereranno in prestazioni le reflex.
    Ma al momento mi danno la stessa sensazione delle automobili elettriche : una grande promessa per un futuro ... elettrizzante.
    Ma al di là dei proclami di VW e Mercedes all'ultimo salone di Parigi, per il momento autoelettrica significa :
    - costo superiore del 50% rispetto ad una pariclasse a combustibile fossile
    - prestazioni scadenti per contenere il consumo
    - autonomia inadeguata per chi ha da fare più del tragitto casa-lavanderia.
     
    Le mirrorless sono ragazze carine con la minigonna e gli stivaletti con il tacco ma, se si va oltre le promesse e le novità, le cose sono diverse.
    Anche la mirrorless più professionale ha i suoi limiti (parlo della Leica SL) e non può essere confrontata con la Nikon D5, macchina che si permette anche di costare (molto) di meno oggi.
     
    Ovviamente io qui sto parlando avendo in mente esclusivamente quelle che sono le mie abitudini di scatto e le mie esigenze.
    Ognuno ha il suo mileage personale, ovviamente e potrà non trovarsi d'accordo con me (e poco me ne importa, bontà sua, gli auguro di essere felice con la sua ... racchietta !).
     
    Io non sono interessato ad usare ottiche vintage e il manual focus l'ho abbandonato 20 anni fa, nel secolo scorso.
    In più, o non fotografo, oppure faccio migliaia di scatti consecutivi, sempre a cose vive che non sempre sono disposte a stare ferme per me.
    Il mirino elettronico sarebbe una bella innovazione, se almeno in tutte le condizioni fosse pari a quello ottico. Ma così non è.
     
    Quindi, eccovi I MIEI motivi perchè per il momento - e credo nel medio termine - continuerò ad essere un fotografo da reflex :
     
    1) l'autofocus. Non esiste una mirrorless che abbia un autofocus reattivo, preciso, rapido, affidabile, disponibile in tutte le condizioni di illuminazione (specie a basse luci o in controluce) come la migliore reflex disponibile oggi.
    Ci sono progressi nelle ultime generazioni ma ancora siamo lontani. La presenza di un sensore separato (e di un processore dedicato come è il caso di Nikon D5 e D500) fa ancora la differenza rispetto ai pixel accecati (o alla vecchia differenza di contrasto stile compattona) di tutte le mirrorless. E poi l'autofocus si deve poter comandare rapidamente con il pollice.
    Ma ci pensate avere 399 punti di messa a fuoco e spostarsi solo in orizzontale e in verticale come a battaglia navale ?
    Il joistick è un must. E Nikon ce l'ha in dotazione da lustri (anche prima con il multiselettore su tutte le direzioni, fin dalla Nikon F5 del 1996).
     
    2) il mirino. Il mirino della Leica SL è bello. Anche quello della Fujifilm X-T2 lo è e, mi dicono, anche quello della nuova Olympus OM-D EM-1 Mk II. Ma in condizioni limite - parlo per esperienza - anche il mirino da 4.4megapixel della Leica SL si oscura o si abbaglia. E non piglia più né pesci né galline !
     
    3) l'ergonomia. Piccolo è bello, va bene. Ma non se va a detrimento dei comandi. Per controllare al meglio l'autofocus e rendere l'esperienza d'uso gratificante, io ho bisogno di uno - meglio di due - joistick di controllo dell'autofocus. E del controllo fisico tramite comandi fisici dedicati di tutte le funzioni della fotocamera. Il menù per me è una cosa che si utilizza una volta al giorno. Qualche volta anche di meno.
    In più, piccolo è bello ma se la macchina è full-frame, oramai anche Sony ha dimostrato che le ottiche sono grosse, anche più grosse di quelle delle reflex. E per usare con tranquillità un obiettivo grosso, il corpo macchina deve essere adeguatamente dimensionato e pesante. E' questione di fisica e di baricentri ! Montate una Sony A7 su un 600mm e capirete di cosa sto parlando.
    In quanto alla costruzione, io spesso fotografo sotto l'acqua battente, zuppo fino alle ginocchia. Non è che in quel momento io mi possa preoccupare della tenuta di fotocamera e obiettivo. Che non devono mai smettere di funzionare, almeno finchè reggo fisicamente io
     
    4) l'autonomia. Bella la nuova Sony A99 Mk II, fa un sacco di scatti al secondo con l'autofocus ed ha un buffer praticamente illimitato. Peccato però che la batteria permetta circa 400 scatti CIPA. Il chè ad occhio e croce significa che si deve cambiare la batteria circa dopo 20 secondi di scatti continui
    Io con la D5 posso lavorare una intera giornata e fare 12.000 scatti saturando solo una delle due schede XQD montate. Poi, alla bisogna, metto un'altra batteria e non vado avanti per altri 20 secondi. Ma per tutta l'intera nottata
     
    5) le schede di memoria. Possiamo anche mettere due schede SD dentro ad una mirrorless ma se il sistema è sbilanciato, saturato il buffer la macchina si siede e finchè non finisce di scrivere noi non possiamo lavorare (mi è capitato con la Leica SL, non racconto favole). Con una D5 o una D500 abbiamo un buffer virtualmente illimitato perchè viene scaricato in tempo reale sulle XQD in dotazione. Schede che anche in lettura al PC si permettono di andare a centinaia di megabyte al secondo di trasfer rate
     
    6) il flusso di lavoro. X-Trans ? Dual-Pixel ? Foveon ? Se tutto quanto non è supportato dal software di sviluppo - che è, per standard di mercato, l'ambiente Adobe - mi spiace ma per aprire un file e svilupparlo ci vogliono minuti (esperienza fatta sia con le Fujifilm che con le Sigma). E se uno scatta - come me - centinaia di migliaia di scatti l'anno, il tempo non è una variabile indipendente ... perchè, non so a voi ma a me, non lo regalano !
     
    7) il profilo di sviluppo. Questa è una mia fisima, lo ammetto. Ma la più grande innovazione degli ultimi anni di Nikon secondo me è il profilo Flat, ben simulato anche da Adobe. Il profilo Flat mi permette di previsualizzare gli scatti al naturale, senza tutta quell'enfasi di contrasto che invece è tanto di moda oggi. Così valuto perfettamente l'esposizione (che io sbaglio di rado, al massimo di 1/3 di EV) e so già come mi posso aspettare di trovare l'immagine al computer.
    Aggiungo infine che - forse per abitudine - io detesto il carico folle di saturazione - specie su rossi e porpora - su contrasto e sulle ombre chiuse che tanto va di moda in casa Fujifilm e Leica. La neutralità del file Nikon invece mi consente di lavorare sereno, senza dovermi immaginare come sarà la foto, perchè a monitor è del tutto differente da quella che vedo nel reale.
     
    8) Il corredo di ottiche, di accessori, di flash, di dispositivi progettati per le reflex. E' talmente vario ed ampio (e, soprattutto, già in larga parte in casa mia) che mi fa pensare a quando ci sarà la stessa disponibilità per le mirrorless.
    Lo ammetto, l'idea stessa di avere un doppio corredo mi fa venire le bolle viola sulle braccia e poi, voi di Fujifilm, ce l'avete un trasmettitore TTL per il mio flash Godox ? O per un Profoto ? E voi, di Leica, ce l'avete ? Com'è che Hasselblad ha usato il sistema iTTL Nikon per la sua mirrorless ?
    E un supertele autofocus e stabilizzato da 800mm ce l'avete ? No ?
     
    Ecco le mie motivazioni che, come dicevo, per ora e per un pò di anni a venire, mi faranno lavorare principalmente con le reflex (Nikon).
     
    Per le mirrorless c'è tempo e finchè non metteranno i denti del giudizio, continuerò a vederle come dei (bei e promettenti) prototipi.
     
    Il mio cuore invece continua a palpitare per una adorabile Nikon D5x che mi faccia smettere di pensare con rammarico al mio amore perduto D3x ...
  22. La Marsellaise è un plagio ?

    Secondo le fonti comunemente accettate, La Marsellaise - attuale inno nazionale francese - è un canto rivoluzionario composto dallo sconosciuto Rouget de Lisle nel 1792 su commissione del sindaco di Strasburgo per contrapporla al canto popolare - piuttosto "rustico" ma molto in voga - Ça ira).
    La canzone inizialmente era intitolata Chant de guerre pour l'Armée du Rhin e l'occasione era la dichiarazione di guerra all'Austria cui l'armata del Reno era chiamata a partecipare.
    La canzone divenne molto popolare fino a quando Napoleone l'abrogò per sostituirla con una più marziale marcia.
    Venne ripresa dalla Terza Repubblica nel 1887 e divenne formalmente l'Inno Nazionale Francese anche se nulla ha a che fare col 14 luglio (quando la gente cantava Ça ira.
    Ha anche poco a che fare con Marsiglia, seppure c'è l'avvenimento del giugno 1792 quando venne intonata al funerale del sindaco di Montepelier. Il capo dei giacobini di Marsiglia presente a quell'evento ne fu colpito e la presentò al suo club a Marsiglia, dove ispirò i volontari che partivano per Parigi e che la cantarono al loro arrivo nella capitale. Di qui la nuova denominazione di Inno dei Marsigliesi e poi La Marsigliese.

    Rouget de Lisle incanta la convenzione di Strasburgo con la sua canzone di guerra
     
    Ma torniamo alle origini. L'autore, un personaggio abbastanza controverso, non la firmò mai. Il testo è quello della convenzione di Strasburgo chiamata ad imbracciare le armi contro l'austriaco (Aus armes, citoyens ! etc. etc.).
    Rouget non era granché come compositore e nessuna delle sue musiche è memorabile.
    Disse di avere avuto l'ispirazione durante la notte e di averla composta di getto.
    Ciò fece nascere dubbi fin dalle origini e in Francia c'è chi credette che il vero autore fosse nientemeno che Ignace Pleyel - il famoso costruttore di pianoforti - amico di Rouget ma maledettamente monarchico.
    Un'altra ipotesi è quella che il brano venga dall'oratorio Esther di Jean-Baptiste Grisons del 1787. Ma questi non ne rivendicò mai la paternità.
    Verso la fine dell'ottocento, sul campo germanico, un musicologo tedesco mise in luce la presenza di frammenti del tema della marsigliese nel secondo tema del primo movimento del concerto n. 25 di Mozart.
    Citazione chiarissima, anche nella pompa marziale, militaresca con tanto di trombe e timpani.
    Se non fosse che il concerto n. 25 del salisburghese già trasferitosi a Vienna è del 1786. Mozart morì, come sappiamo nel 1791, quindi non avrebbe mai potuto ascoltare la Marsigliese.

    il disco Decca registrato da Guido Rimonda che comincia proprio con il tema e variazioni per violino e orchestra in do maggiore ... di Giovanni Battista Viotti.
    Ma ecco che ad infittire il mistero arrivano i musicologi italiani, in anni recentissimi, un manoscritto datato 1781 di Giovanni Battista Viotti, violinista e musicista di corte vercellese ma maestro di cappella di Maria Antonietta e di Luigi XVI ..., portava alla luce un tema variato in do maggiore per violino e orchestra.
    Che non è simile alla marsigliese, è proprio una versione colta della marsigliese, perfettamente sviluppata.
    Analisi grafologiche del manoscritto non danno dubbi sull'autenticità come pure le analisi di carta e inchiostro. Anche l'autografo è quello di Viotti.
    C'è la data che però sembra scritta da un'altra mano. Un falsario ?

    Nemmeno Viotti si attribuì la melodia originale. Anzi, arrivò a disconoscere i suoi sei quartetti scrivendo sul manoscritto stesso di non averli mai composti.
    In uno di quei quartetti compare il tema con variazioni che potrebbe essere all'origine della marsigliese.
    Ma ... Viotti, compositore di corte, dovette riparare fortunosamente in Inghilterra perchè ricercato dai rivoluzionari di Parigi. E preso per repubblicano dagli inglesi, dovette peregrinare per tutta Europa cercando di trovare impiego a corte, negando in ogni modo di essere un rivoluzionario e giurando di non essere l'autore di quella che oramai era la canzone più famosa dell'epoca, equiparabile, per i fronti opposti, a Giovinezza o a Bella Ciao per noi italiani e quindi di immediata attribuzione di parte ...
    Le frequentazioni di Viotti erano tutte nobiliari (il Principe di Galles, Luigi XVIII e tutti gli Émigré dispersi per l'Europa) e non si era mai occupato di politica in vita e anzi, la sua travagliata esistenza venne continuamente messa a dura prova dalle vicende politiche a cavallo della Manica (fu espulso da Londra nel 1798 ma vi ritornò più riprese, anche con i buoni uffici dell'amico Muzio Clementi).
     
     
    Viotti e il suo Stradivari del 1700
    Come sia e chi sia l'autore, appare chiaro che il materiale musica del tema con variazioni è di gran lunga superiore alla canzone rivoluzionaria e che sull'assonanza non ci possano essere dubbi.
    Mentre quella di Mozart potrebbe essere il classico tributo per l'amico Viotti, conosciuto e frequentato nei viaggi di Amadeus a Parigi. Ma, per l'appunto, è una citazione onorifica.
    Insomma, sull'attribuzione ufficiale oramai ci sono più dubbi che certezze. Mentre non ci sono certezze ufficiali ma più di un dubbio che il vero autore dell'inno francese sia il vercellese Viotti.
    Solo che, fatto comune a tanta altra musica, non lo sapremo mai.
  23. Elgar : concerto per violino e orchestra Op. 61
    Vilde Frange violino
    Robin Ticciati alla testa della Deutscher Symphonye-Orchester di Berlino
    Warner Classics, 192/24, Berlino aprile 2024. Pubblicato il 5 settembre 2024
    ***
    Lo ammetto, non ci avevo capito un cacchio.
    Sulle prime ho giudicato questa edizione barbosa. L'ho ascoltata e riascoltata ma niente.
    Poi ho letto diverse recensioni entusiastiche e non mi ci sono ritrovato. Mi chiedevo che cosa avessero ascoltato.
    Ho fatto passare dei giorni e mi sono ascoltato Gershwin e Scarlatti. Poi Brahms e Wagner.
    Ci sono ritornato a distanza di un mese, oggi.
    Prima passando dal mitico Menuhin ragazzino del 1932, prima edizione assoluta.
    Poi quella bellissima di Nigel Kennedy con Sir Simon del 1997 ancora a Birmingham.
    Quindi ho ripreso questa.
    E a parte la qualità della registrazione ... assolutamente spaziale rispetto alle altre (anche se adesso si chiama Warner Classics, fa Parlophone all'anagrafe, quindi pur sempre Voce del Padrone o EMI che dir si voglia ...), l'introduzione di Ticciati toglie il fiato.
    E l'entrata di Vilde Frang con quell'unica frase del violino quasi a solo, strappa le lacrime.
    Vilde ha un vibrato sensazionale, non so se sia previsto così lirico ma rende questo concerto - già difficile di suo - oltre il limite.
    E' musica complicata, passionale ma composta, come il suo compositore, come lo era l'epoca, pre-fine-del-mondo, in cui è stata commissionata e scritta.
    Non impressiona subito. Magari mai. Ma Fritz Kreisler ne era abbagliato. E lo stesso Elgar amava questo concerto più di quello, drammatico, per violoncello. Certo più immediato e più celebre.
     
     

     

     
     

     
     

     

     
    In questa lettura l'intesa tra solista e orchestra, merito anche del grandissimo Robin Ticciati che è un accompagnatore di solisti straordinariamente sensibile e concreto, è unica.
    A momento il virtuosismo della Frang fa pensare che sia Chaikovsky.
    L'intensità, se riuscite ancora a seguirmi è coinvolgente. Il livello straordinario.
    Un canto d'amore sussurrato che diventa vibrante e al di sopra di ogni sentire con fortissimi eccezionali.
    E' un concerto lungo che mette alla prova il solista, quasi o forse altrettanto dell'altro, straordinario inglese di Britten. 48 e più minuti.
    Normale che non ci sia molto altro in questo disco, anche per stemperare la tensione o per non annacquare qualche cosa che è già andato oltre il prevedibile.
    La soave Vilde Frang governa la scena al pieno della sua maturità anche nell'andante, mirabilissimo, cantato ma appassionato, con una eloquenza che lo mette sul piano del primo movimento, eroico ma onestamente inarrivabile.
    L'allegro finale, che riparte da un violino che danza per semicrome e arpeggi rapidissimi vede l'orchestra che riempi gli spazi per accompagnare il solista ad una cadenza unica che riprende tutti i temi del concerto fino ad un tripudio liberatorio finale.
    Il lirismo di Vilde Frang la aiuta a non rendere troppo tesa l'atmosfera ma comunque l'impatto appassionato dell'insieme rende prezioso il suo danzare lieto, primaverile, lirico.
     
    Che bestia che sono, questo disco è un tesoro, come ho fatto a non accorgermene subito. Che avevo mangiato ?
    PS : io sono un fan sfegatato sia di Vilde Frang che di Robin Ticciati, a maggior ragione non mi capacitavo di come non mi stesse piacendo un concerto simile ...

    edizione alternativa :
    Nigel Kennedy, Simon Rattle, City of Birmingham Symphony Orchestra
    registrazione dal vivo EMI 1997
  24. Poco più che ventenne, con all'attivo il primo premio al Concorso Carl Nielsen nel 2019 - ovviamente con il suo concerto per violino - tre dischi per BIS e soprattutto tanta passione e un virtuosismo sfacciato ma mai esibito.

    E' Johan Dalene, svedese, si è perfezionato con Janine Jansen, a Stoccolma.
    Ha un suono terso ma capace di ampie modulazioni. Sfrontatamente brillante, dal tocco magico cui tutto apparentemente risulta facile.

    E' quello che ho percepito vedendolo nel concerto di chiusura del concorso Carl Nielsen ma è anche quello che si sente nei suoi dischi.

    Chaikovsky e Barber : concerti per violino e orchestra
    Norrkoping Symphony Orchestra diretta da Daniel Blendulf
    Bis 6 dicembre 2019, formato HD
    L'interpretazione di Dalene del concerto di Cjaikovsky è sia audace che canonica.
    Porta i tempi dei dei due allegri fin verso l'estremo ma senza tralasciare di dare ai momenti melodici il necessario per far salire e respirare la musica.
    Il risultato è impressionante per la sicurezza esibita, da concertista consumato. A 19 anni.
    Il Concerto di Samuel Barber, è più complicato e già averlo scelto insieme al più conosciuto Chaikovsky è segno di audacia.
    Con Barber è facile scadere nel mieloso dimenticandosi di quanto sia richiesto di essere cangiante e esotico al violino.
    Le modulazioni che riesce a dare al suo Stradivari del 1736 sono tutt'altro che banali.
    Il movimento finale in particolare è un crescendo perpetuo che caratterizza del tutto la sua performance.

    Nordic Rhapsody
    Musiche di Grieg, Sinding, Stenhammar, Sibelius, Nielsen, Rautavaara
    Christian Ihlen Hadland, pianoforte
    Bis 5 marzo 2021, formato HD
    Apparentemente più conformista questa Rapsodia Nordica che fa l'en plein dei principali compositori scandinavi e i loro contributi cameristici per violino e pianoforte.
    Eppure i contrasti che propone questo disco spaziano per tutto il nord in più di un secolo di tempo.
    Con grande sensibilità i due interpreti caratterizzano le tante voci, apparentemente simili, di compositori che si sono influenzati a vicenda nel corso della loro carriera, mantenendo quel carattere tipicamente scandinavo descrittivo delle loro terre, simili ma anche molto diverse, sempre con tanta passione, forza, tristezza e speranza.
    Un disco da studiare che non lascia troppo spazio alla noia (come invece capita spetto con pagine simili).

    Sibelius e Nielsen : concerti per violino e orchestra
    Royal Stockholm Philarmonic Orchestra diretta da John Storgards
    Bis 11 marzo 2022, formato HD
    Ed infine il pezzo forte, uscito solo due settimane fa, con il giovane Johan che corre sulla neve del suo paese, alle prese con i due concerti per violino più celebrati di inizio '900.
    Due concerti che più diversi non potrebbero essere, eppure accomunati da tante vicinanze.
    Nielsen e Sibelius sono nati entrambi nel 1865 ed entrambi hanno iniziato i loro studi sul violino, dimostrandosi poi capaci di essere perfettamente padroni della sua tecnica all'atto di scrivere musica. Cosa non scontata per altri grandi compositori, anche più celebrati.
    I due concerti sono usciti tra il 1905 e il 1911, più travagliato quello di Sibelius, poi sostanzialmente riscritto, che somiglia in un certo modo ad un poema sinfonico, più che ad un concerto violinistico romantico.
    Quello di Nielsen è, in linguaggio moderno, pre-romantico, quasi neobarocco, diciamo in due movimenti a sua volta ripartiti ed in sequenza lento-veloce-lento-veloce.
    Temperamenti diversi che richiedono agli interpreti - perché anche la parte orchestrale è tutt'altro che superflua, anzi - sensibilità molto poliedriche.
    Ho ascoltato tante volte questo disco negli ultimi giorni.
    Il piglio e il carattere di Dalene mi ha veramente impressionato.
    Sembra che in vita sua non abbia suonato altro. Anzi, che sia nato per suonare questo.
    Non è un caso che abbia vinto il concorso con il concerto di Nielsen, lo suona come se fosse suo.
    Se guardate il video che allego nei commenti, di tre anni fa, lo si vede in ogni frase. E' come se scherzasse con l'orchestra, a tratti sottovoce, in altri con voce possente ma mai sopra le righe.
    Con tono evocativo quando serve, magniloquente quando è il caso.
    Sempre con una facilità disarmante.
    Siamo all'esordio ma questa lettura lo vedo al secondo posto, nella mia personale classifica, dopo quella della norvegese Vilde Frang che ritengo più matura.
    Soltanto un filo meno meno espressiva di quanto amerei - più alla Stern che alla Jansen se vogliamo dirla tutta - il concerto di Sibelius che resta di una difficoltà disarmante e che viene superato con disarmante facilità dal Dalene.
    Le cadenze sono chiare, precise, non concitate, le riprese quasi violente, ma il tutto è sempre reso senza esibizionismo o il voler inutilmente apparire.
    Sensibilmente e appassionatamente come si conviene a tutta la musica nordica.
    Effettivamente, per una volta convengo con una recensione di Gramophone non esiste miglior abbinamento in disco di questo.

    al concerto finale per la vittoria al Concorso Carl Nielsen
    Insomma, un violista di primordine, molto ben impostato, con doti personali invidiabili, grande facilità nel suono ma soprattutto, carattere, sensibilità, passione, amore per la musica.
  25. Ysaÿe: Sei Sonate per violino solo, Op. 27 - Sergey Khachatryan
    Guarneri del Gesù 1740 (ex Isaac Stern)
    Naive 29 marzo 2024, formato 96/24
    ***
    Composte sul finire della carriera di Ysaye e dedicate a sei suoi colleghi violinisti, rappresentano la summa virtuosistica del grande solista.
    Ma anche una citazione del repertorio dedicato a quello strumento da Bach ai suoi giorni (1924) passando per Paganini.
    A tratti dissonanti, con arpeggi e trilli demoniaci, cupo e brillante, queste sei sonate sono un banco di prova entusiasmante ma al tempo stesso denso di pericoli per ogni violinista.
    Prendiamo la seconda sonata che cita Bach inframmezzandolo con variazioni pennellate sul Dies Irae.
    Tant'è che né l'autore né nessuno dei dedicatari ebbe l'opportunità, l'occasione, la voglia, di registrarle.
    E fino all'epoca del LP erano rare le registrazione.
    In epoca digitale c'è invece una certa abbondanza e in questi ultimi mesi ne abbiamo due incisioni, l'estate scorsa Hillary Hahn, e adesso l'armeno Khachatryan.

    l'amore per il proprio talento è il migliore propellente per raggiungere vette più alte, qui poi c'è uno strumento straordinario
    Che armato di uno strumento straordinario dal carattere proteiforme, mette carattere in ogni passaggio, dimostrando sin da subito di avere ben di più da dire della sua collega americana (ma, perdonatemi, è gioco facile da questo punto di vista).
    Ma, tralasciando la mancata competizione, è proprio la spettacolare variazione di timbri, volume, tonalità che rende straordinariamente bello questo disco.
    Tanto da lasciare distante sin da subito, quello che era il mio precedente riferimento (Alina Ibragimova, Hyperion, 2015 : disco comunque bellissimo).
    Ibragimova a tratti utilizza tempi anche più veloci ma non sembra perché Khachatryan varia ritmo ad ogni frase.

    Ne viene fuori qualche cosa che è tutt'altro che un affresco, piuttosto una serie di bassorilievi cesellati finemente, l'unica immagine che mi viene in mente per descrivere una composizione che, fatta salva la distanza temporale in mezzo e la differenza culturale, può guardare le sonate e partite di Bach senza troppa riverenza.
    Al violinista che arriva in fondo a questi 75 minuti circa di tour the force, certamente Paganini avrebbe assegnato un premio per perfezionarsi ancora ma qui, sembra che siamo arrivati.
    Nel 2010 Khachatryan ha registrato, sempre per Naive, le sonate e partite di Bach. E qualche cosa si intuiva, almeno sulla capacità emotiva.
    Ma adesso ...
     
    edizione di confronto :

    Alina Ibragimova, hyperìon 2015
     
     

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