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Mauro Maratta

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Blog Entries posted by Mauro Maratta

  1. Il JPG non può essere mio nemico

    I SHOOT IN RAW.
    E' il motto che sta sulle magliette di Jared Polin. Perché lui scatta solo in RAW.
    Ma anche io, scatto per lo più solo in RAW, tranne che lo sport.
    Eppure non ho mai dichiarato guerra al JPG Nikon.
    E in questo blog preparo gli appunti per un eventuale articolo futuro dove mi piacerebbe raccogliere anche commenti pratici da parte dei presenti online.
    Quindi, siccome io scatto in RAW, me ne stropiccio delle impostazioni della fotocamera, tanto poi posso sistemare tutto con Lightroom.
    Dipende.
    Dipende, questo è un approccio possibile a condizione che si sappia però che si deve fare la foto in astratto, senza basarsi in alcun modo sulle evidenze che ci mostra la fotocamera.
    Come se avessi di fatto una Nikon F a pellicola. Ma con una pellicola che conosciamo bene. Niente esposimetro e soprattutto niente bilanciamento del bianco (e quindi di fatto né tonalità, né controllo del colore).
    Perché ?
    Ma semplicemente perché se noi ce ne stropicciamo del JPG perchè tanto scattiamo in NEF, le nostre Nikon invece se ne stropicciano dei NEF, che depositano "intonsi" sulla scheda di memoria, perché elaborano in tempo reale i JPG e su quelli basano le loro valutazioni.
    Le Nikon attuali - ma diciamo tutte le Nikon degli ultimi 20 anni - hanno un elaboratore di immagini molto sofisticato che "ragiona" in tempo reale sull'analisi effettiva delle immagini registrate.
    Le Nikon Z e le reflex in modalità Live View, elaborano a mirino/display in tempo reale le immagini.
    Ma questi non sono NEF, sono JPG. La conversione è continua, istantanea, automatica.
    E si basa :
    sull'esposizione, in base alla modalità impostata o alle nostre impostazioni se in manuale (no auto-ISO)
    sul colore misurato (quindi sul bilanciamento del bianco) effettivamente ... sul JPG convertito dall'immagine catturata
    sulla curva di rendering dell'immagine elaborata, calcolata in base al PICTURE CONTROL impostato
    non se ne esce. Noi possiamo dire che abbiamo in mente la nostra immagine, ma se usiamo gli automatismi della macchina e ci fidiamo di quello che ci mostra - ANCHE IL SEMPLICE ISTOGRAMMA per le fotografie o le "Zebre" per il video - questo si basa sull'elaborato JPG prodotto da Nikon.
    Che tra tutti i marchi è quello che, specie con gli ultimi Picture Control Flexible Color è andata più avanti in quella che gli americani chiamano "scienza del colore".
    Noi fotografi andiamo a memoria e impariamo a conoscere e a fidarci della nostra macchina. Ma dovremmo capire come questa "ragiona".
    La nostra Nikon ragiona in base alle nostre impostazioni di Esposizione, Bilanciamento del Bianco e Picture Control.

    questa è la vite del Canada che copre metà casa mia. Qui ripresa con il nostro Picture Control Velvia 100

    qui invece più o meno la stessa scena con il Picture Control Ritratto.
    Non sto a declinare i parametri, vedete la curva tonale impostata nel primo (quella del secondo la sa solo Nikon).
    Ma vi assicuro che il colore è cambiato, e usando White Balance su Auto cambia la misurazione. Come pure l'esposizione.
    Sebbene io scatti in manuale e con ISO fisso 500.
    Ovviamente non ci sono variazioni importanti tra le due scene, anche perché oggi il cielo è coperto e qui siamo in ombra
    Ve lo dimostro ancora più esplicitamente con questi tre scatti "identici" a parte il Picture Control applicato.



    questo povero fiore di zucca che non maturerà mai a causa dell'incedere della cattiva stagione, è stato ripreso in Fujifilm Superia, in Velvia 100 e in Standard Nikon.
    Vedete che l'esposizione è diversa, la prima foto è chiaramente sbiadita, le tonalità differenti.
    Eppure non ho cambiato esposizione né bilanciamento del bianco.
    Ma avrei dovuto per compensare le differenze !
    Ecco, spero di avervi incuriositi.
    Le nostre Nikon si basano sul proprio motore di elaborazione immagini che tiene conto di tutte le nostre impostazioni in tempo reale e su quelle basano le loro decisioni.
    Se noi impostiamo tutto secondo la nostra "perizia" prendiamo il controllo totale della situazione, se invece lasciamo fare alla macchina allora dobbiamo essere certi di avere fatto impostazioni coerenti con la foto che vogliamo fare.
    Ma ragionando in JPG, non in termini di NEF che tanto sistemo tutto in Lightroom.
    Altrimenti è facile che la foto verrà una schifezza o, almeno, diversa da come l'avremmo voluta.
    Se poi, come è il caso di praticamente ognuno di noi, tranne di chi lavora ancora come se avesse la Nikon F, si basa sulle proprie decisioni di impostazione su quello che vede a mirino ...
    allora, a maggior ragione, il JPG della mia Nikon non può essere mio nemico.

  2. Bianchi e neri simulati in macchina

    Proseguo la carrellata di appunti. Questa volta concentrandomi sul bianco e nero.
    Qui presento differenti scatti (anche come esposizione, ballando il tempo di scatto tra 1/100'' e 1/200'' per terzi di stop a seconda di come vedevo a mirino le differenti "interpretazioni").
    Ho usato la Z50 II che ha il pregio (come la Z5 II) di consentire una selezione dei Picture Control, escludendo temporaneamente dall'elenco quelli che non mi interessano, in modo da fare prima a selezionare quello che mi pare più adatto.
    Il ritratto di Auguste stampato in formato A2 su carta opaca (è protetto dal vetro). L'obiettivo è il compatto Nikkor Z 40/2
    Nella maggior parte dei casi per mantenere la simulazione di "vintage" ho applicato un effetto Grana (da NX Studio) al valore standard (piccolo, 3).

    questo è il monocromatico Nikon che di fatto è ... un colore desaturato (!)

    qui andiamo sul nostro HP5, la curva tonale è in evidenza

    il TMAX senta filtri colore (lei è rossa di capelli con l'incarnato bianco ma le lentiggini rosse, il naso rosso, le labbra rosse)

    Il TRI-X in formato NPC (compatibile con tutte le Nikon dalla D3 in avanti)

    il TRI-X Flexible (quindi un colore reso monocromatico) notare la differenza di curva, senza grana

    la stessa con la grana

    e l'incredibile NEOPAN a disposizione per chi vuole accostamenti forti tra bianchi e neri e grigi in ritirata.
    Si tratta solo di una carrellata, appena potrò, conto di fare scatti all'aperto e presentarli nei commenti.
    Intanto ricordo che questi Picture Control sono a disposizione di tutti quelli che abbiano fotocamere compatibili e che è possibile modificarli via NX Studio secondo il proprio gusto.
    Purtroppo gli altri programmi di sviluppo non li intercettano, quindi chi vuole lavorare di fino i NEF dovrà aprirli con NX Studio e poi esportarli in TIFF nel suo ambiente di sviluppo.
    E' sempre possibile salvare sia JPG già elaborato dalla fotocamera che il NEF per ulteriori elaborazioni.
    Commenti a piacere.
    [Ripeto, non è banale, ma c'è chi l'ha evidenziato. Nei PC, sia il bilanciamento del bianco che la curva tonale influenzano il risultato sia a mirino che in fase di "conversione", quindi vanno accuratamente impostati sia quello che l'esposizione secondo l'intento cercato. Guardate come differiscono gli istogrammi esibiti nelle schermate a parità di soggetto e di luce]
  3. Dischi della settimana

    Segnalazioni del venerdì di uscite di nuovi dischi o di uscite precedenti sfuggite con due parole di presentazione.
    I dischi più promettenti poi saranno, eventualmente, recensiti approfonditamente.
     




  4. Fanny Cäcilie Mendelssohn
    ***
    Nel mese di maggio del 1847, venti anni dopo la morte di Beethoven, muore di infarto a seguito di un ictus, Fanny.
    Il fratello Felix cui lei ha dato lezioni di pianoforte e che per tutta la vita ha sostenuto e incoraggiato, cade nella più profonda depressione.
    Brucia in pochi mesi tutta la sua aurea felice che faceva eco al suo nome Felix.
    Si riprende solo in settembre quando riesce a dedicarsi ad una composizione in memoria dell'amata sorella.
    Ma anche lui cade vittima di un infarto cui ne seguono altri fino all'ictus finale.
    Il suo ultimo lavoro, il quartetto in Fa minore verrà eseguito postumo, nel primo anniversario della sua morte da una compagine guidata dall'omnipresente Joseph Joachim e pubblicato solo nel 1850 come opera 80.
    L'intera famiglia era affetta da una sindrome che ha portato alla stessa morte anche il nonno, il padre, la madre e i due fratelli, a poca distanza l'uno dall'altro.

    i due fratelli, da ragazzi, al pianoforte 
    Questo quartetto non ha nulla a che fare con i precedenti se non nell'architettura formale e si distacca totalmente dalle altre composizioni del Felix precedente.
    Non che fossero mancati momenti intensi e seriosi nella sua carriera di compositore - bastano i due intensi oratori, oltre alle variazioni per pianoforte - ma qui potremmo dire che Mendelssohn era cambiato.
    Oppure no, probabilmente la disperazione e l'incapacità di continuare non lo avrebbe comunque condotto oltre se non fosse intervenuta la sorte.
    Non possiamo dirlo.
    Quello che ci resta è il quartetto, una sorta di testamento all'amore dei due fratelli per le ultime composizioni cameristiche di Beethoven, sublimato da Schubert, di cui in più momenti riecheggiano i toni già intesi ne "La morte e la fanciulla".
     
    ***
    Allegro vivace assai (fa minore) Allegro assai (fa minore) Adagio (fa minore) Finale. Allegro molto (fa minore) Dei quattro movimenti che lo compongono - in tutto sono circa 26 minuti, il solo adagio sembra dare un pò di tregua e riposo allo spossato compositore - e all'ascoltatore. Sebbene i tratti marcati di tutti gli archi per buona parte mantengano comunque alta la tensione.
    C'è però quel lirismo e quella nota sentimentale che richiamano di lontano il precedente Felix, come ricordare i momenti con l'amata sorella.
    Qualcuno ci sente l'eco del motto "Is est wahr?” del primo Mendelssohn che richiama il “Muß es sein?” beethoveniano, io non arrivo a tanto ma che importa ?
    Gli altri sono tre "allegri", almeno formalmente, costruiti con un incessante e straziante lamento - romantico, ovviamente, é Mendelssohn, non è Bartòk - su una sorta di marcia funebre mai pienamente declinata.
    Il tremolo, le sincopi e i continui cambi di dinamica, di accento e di intensità - in stile schubertiano - caratterizzano i tre movimenti esterni e danno il continuo senso del dolore, dell'irrequietezza, della fredda disperazione su un domani di cui non si vede e non si vedrà la luce.
    Il primo allegro è rutilante, intenso, incessante.
    Il secondo è quasi uno scherzo con frammenti beethoveniani che danzano nell'aria, accennando figure demoniache o comunque a tratti macabre.
    Il finale riprende il materiale tematico dei precedenti movimenti e li porta verso una fuga contrappuntistica che conduce poi ad un finale quasi delirante.
    L'ultima composizione di Mendelssohn è un capolavoro intenso che non rinnega nulla della sua musica precedente ma che la sublima verso l'eternità.
    Io mi tolgo il cappello pensando a quante volte ho paragonato tutta la sua opera "all'acqua minerale" se messa vicino a Beethoven, Schumann o Brahms.
    ***
    Ci sono molte edizioni integrali e non dei quartetti di Mendelssohn spesso unite all'unico quartetto di Fanny.
    Io tendo a prediligere quelle più intense e fredde, in stile Quartetto Italiano, generalmente quelle più recenti.
    Ne elenco alcune.

    Artemis Quartet
    Erato, 2014

    Quatour Ebene
    Erato, 2013

    Escher String Quartet
    BIS, 2016
    cui aggiungerei - ma non ho ascoltato - l'ultima, più recente

    Takacs Quartet
    Hyperion, 2021
    che è stata ben recensita sia da Gramophone Presto Classical (ma che a me non hanno convinto fino in fondo nell'ultimo disco dedicato ad Amy Beach ed Elgar)
    Per una visione più moderata, forse si potrebbe anche inserire nella lista quella dell'Emerson Quartet per DG.
    Ma ognuna ha il suo perchè e qualcuna mi porta realmente a lacrimare nel finale.
    Ad ogni modo, se non conoscete questo quartetto, spero di avervi incuriositi, più con la mia prosa che con gli aneddoti storici
    ***
    Scritto ad un anno dalla morte del mio amato Blackey che ogni giorno mi manca più del precedente.
  5. Guardando gli ultimi mesi di Nikonland ma anche solo gli ultimi giorni, vedo con indicibile piacere come l'invito di contribuire fattivamente con i propri articoli personali alla varietà di argomenti trattati dal nostro sito comune sia stato colto a pieno.

    Non sono solo tanti ma sono vari, di argomenti tutti diversi e soprattutto da parte di tante penne diverse.
    Non troppi da confondere i lettori ma nemmeno radi da annoiare i curiosi come era, diciamolo, l'anno scorso.
    Fotografie splendide, taglio editoriale - non amatoriale ! - esposizione corretta. Voglia di condivisione.
    Bravi tutti !

    Da Admin del sito ho anche il dovere di osservare le dinamiche di lettura e fare anche qualche considerazione che trasferisco a voi nella speranza che sia colta allo stesso modo : soprattutto con lo stesso spirito di partecipazione e nello sforzo di rendere Nikonland sempre più interessante per tutti, iscritti e non.
    Alcuni articoli risultano molto più commentati e di conseguenza anche molto più letti, quando, oltre alla splendida carrellata di foto che caratterizza ogni articolo pubblicato dai nostri Nikonlander, aggiunge anche qualche informazione in più.
    Non solo sulla natura del servizio o dei servizi fotografici illustrati ma soprattutto sulla natura dello shooting, sulle scelte fatte, le difficoltà affrontate, i materiali utilizzati.
    I perché, i retroscena, limiti e prospettive. Consigli per chi volesse provarcisi.
    Soprattutto, quando vengono affrontati argomenti che, sul piano pratico e tecnico possono risultare utili e praticabili (cito ad esempio i panorami con più scatti illustrati da Valerio Brustia che sembrano essere stati degli sconosciuti per alcuni fino a quel momento ma ce ne sarebbero altri, come tutti quelli di Dario Fava che arriva persino a descrivere come si è creato una maschera per il suo gobo con un laser).
    Pensateci sopra.
    A volte quello che facciamo, soprattutto come lo facciamo per noi é acquisito, scontato, banale.
    Eppure non è così per tutti. Magari basta un accenno per creare curiosità, interesse, domande, possibilità di approfondimenti.
    Su qualsiasi argomento (anche test di materiale, software, tecniche di illuminazione, riprese particolari, e tutto quello che ... conoscete voi !).
    Sono sicuro che molti di noi hanno approfondito argomenti e tecniche che per molti altri sono totalmente oscuri. Mettere semplicemente la foto realizzata può suscitare stupore ma non accresce le conoscenze comuni quanto mettere a fattor comune quello che ci sta dietro. Nei dettagli intendo, tranne non siano segreti industriali !
    Non fraintendetemi, ogni articolo resta liberamente nella vostra prerogativa di estensori, ma quel quid in più di "tecnico" (senza affrontare argomenti da master accademico, non servirebbe) sembra portare più interesse rispetto al "semplice" reportage.
    Per chi sia in grado di estendere con la penna, quanto di egregio già presentato fotograficamente, ovvio. Per gli altri andrà sempre bene così come sanno fare.
    Ma ancora grazie a tutti per lo sforzo. Non è solo apprezzato, è necessario.

  6. Jeanloup Sieff - La grazia del bianco e nero
    "Il denominatore comune di tutte le foto é sempre il tempo, il tempo che scivola via tra le dita, fra gli occhi, il tempo delle cose, della gente, il tempo delle luci e delle emozioni, un tempo che non sarà mai più lo stesso" (J. Sieff).
     

    autoritratto

    Note biografiche

    Nasce a Parigi nel 1933, da genitori di origine polacca.
    Inizia a fotografare all'età di 14 anni con una macchina fotografica ricevuta in regalo per il suo compleanno. Studia fotografia a l'Ecole de Vevey in Svizzera per poi seguire una breve formazione di giornalismo.
    1950 pubblica la sua prima fotografia per Photo - Revue.
    1954 inizia a lavorare come freelance per Elle e nel 1955 come reporter.
    1958 spinto dal desiderio di cambiamento, lascia Elle per una breve esperienza come reporter all'Agenzia Magnum, per la quale realizza un servizio su uno sciopero di minatori in Belgio che gli varrà il Prix Niepce, 1959.
    1959 lascia l'agenzia Magnum.
    1961 si trasferisce a New York dove vivrà fino al 1966.
    1966 rientra a Parigi e lavora per diverse testate (Jardin de Mode, Vogue, Harper's Bazar, Paris-Match, Femme, Photo-) mentre le sue fotografie vengono esposte in prestigiose mostre in tutto il mondo.
    1974 inizia la stesura di un romanzo che rimarrà incompiuto.
    1981 nominato Chevalier des Arts et Lettres a Parigi.
    1990 nominato Chevalier de la Le'gion d'Honneur a Parigi.
    1992 vince il Grand Prix National de la photographie francese.
    1994 vince il Grand Prix della Biennale di Nancy, Francia.
    2000 muore a Parigi all'età di 67 anni.

     


    RITRATTI IN STUDIO

     









    l'elenco dei ritratti fatti nel tempo da Jeanloup Sieff è semplicemente interminabile :

    Anouck Aim'e, Azzedine Ala'a, Louis Armstrong, Fanny Ardant, Gae Aulenti, Jacqueline Auriol, Daniel Auteuil, Richard Avedon, Charles Aznavour, Edouard Balladur, Francois-Marie Bannier, Monica Bellucci , Marisa Berenson, Pierre Bergé, Bertha et Edwige Brigitte Bardot, Mijanou Bardot, Raymond Barre, Jean-Dominique Bauby, Maurice Béjart, Jane Birkin,Gìrad Blain, Marc Bohan, Sandrine Bonnaire, Pierre-André Boutang, Jean-Claude Brialy, Christian Bourgois, Carla Bruni, Sergueé Bubka, Capucci, Pierre Cardin, Carolyn Carlson, Amira Casar, Laetitia Casta, Nino Cerruti, César, Claude Chabrol, Géraldine Chaplin, Bernadette Chirac ,Jacques Chirac, Chou En-lai, Julien Clerc, Coluche, Régine Crespin, Alain Cuny, Jules Dassin, Catherine Deneuve, Gérard Depardieu, Jacques Doillon, Robert Doisneau, Kirk Douglas, Julie Driscoll, Annie Duperey, Patrick Dupond, Mia Farrow, Gianfranco Ferré, Marco Ferrer, Jean-Michel Folon, Suzanne Flon, Jane Fonda, Régis Franc, Claude Francois, Inés de la Fressange
    Charlotte Gainsbourg, Serge Gainsbourg, France Gall, Romain Gary, Thalita Getty, Annie Girardot, Hubert de Givenchy, Ivry Gitlis, André Glucksmann, Jean-Luc Godard, Sylvie Guillem, La troupe de Hair, Johnny Hallyday, Howard Hawks, Robert Hirsch, Alfred Hitchcock, Hiro, Isabelle Huppert, Aldous Huxley, Zizi Jeanmaire, Lionel Jospin, Denise Klossowski, Pierre Klossowski, Christian Lacroix, Bernadette Lafont, Karl Lagerfeld, Merryl Lanvin, Guy Laroche, Jacques Henri Lartigue, Maxime Le Forestier, Nicolas Leriche, Pierre Lescure, Bianca Li, Serge Lifar, Gina Lollobrigida, Sophia Loren, Peter Lorre, Antonella Lualdi, Fabrice Lucchini, Shirley Mc Laine, Sophie Marceau, Jeanne Mas, Chiara Mastroianni, Marcello Mastroianni, Ali McGrawm, Liza Minnelli, Francois Mitterrand, Montana, Yves Montand, Jeanne Moreau, Jean Messagier, Nico, Rudolf Noureev, Francois Nourissier Jean Nouvel, NTM, Jean d'Ormesson, Oscar Peterson, Roland Petit, Paloma Picasso, Michel Piccol, Marie-Claude Pietragalla, André Pieyre de Mandiargues, Hugues Quester, Charlotte Rampling, David Rampling, Serge Reggiani, Robert Ricci, Michel Rocard, Héléne Rochas, Jean Rochefort, Francoise Sagan, Dominique Sanda, Jean-Paul Sartre, Romy Schneider, Jean Seberg, Mathilde Seigner, Michel Serres, Pierre Soulages, Yves Saint Laurent, Angelika Taschen, Benedikt Taschen, Francois Truffaut, Emmanuel Ungaro, Sylvie Vartan, Simone Veil, Ana-Maria Vera, Ocimar Versolato, Jacques Weber, Anne Wiazemsky, Le duc et la duchesse de Windsor, Atahualpa Yupanqui, Elsa Zylberstein

    NUDI IN STUDIO
     




    PAESAGGIO






    MODA



     


    Ho volutamente impostato l'articolo su Jeanloup Sieff come se fosse una piccola personale.
    In realtà son centinaia e centinaia le foto di questo autore, gli interessati vorranno eventualmente andarsele a cercare in libreria o per il web, basti pensare allo sterminato catalogo di ritratti in circolazione.

    Ho scelto alcune fotografie che meglio caratterizzano il modo di fotografare di questo personaggio.

    Ironia, innanzitutto (come si capisce dal suo autoritratto), uso del grandangolare anche nel ritratto per stemperare alcuni tratti del carattere ed esaltarne altri, taglio mutuato dalla moda (o viceversa ?) per esaltare il dettaglio (menti che saltano, la parte alta della testa, spesso le orecchie), in un bianco e nero morbido ma al tempo stesso carico, denso, curato particolarmente in stampa.

    Attivo in tutti i generi di fotografia é particolarmente ricordato per i suoi nudi, specie le serie al tavolino (il soggetto senza accessori, seduto dal'altro lato di un tavolino quadrato, ripreso leggermente dall'alto, magari d'angolo) e ... i posteriori.
    Sieff si é sempre ripromesso di publbicare un intero libro di schiene e fondischiene.

    Sempre elegante, sempre composto, sempre perfettamente identificabile.

    Nella moda sono notevoli i suoi tagli, i suoi ambienti e l'uso del grandandolare per rendere le modelle ancora più longilinee, come nel caso di Twiggy :


    O punti di vista alternativi come questi :
     



    senza troppe preoccupazioni per le distorsioni indotte dal grandangolare in ripresa ravvicinata.

    Attivo anche nella danza ma mai banale :
     



    Chiudo con un uno scatto d'umorismo di un inglese ( Alfred Hitchcock insegue una modella, sullo sfondo il famo motel di Norman Bates, scena del film Psicho) :
     


    e di umorismo sugli inglesi (due generi diversi di istitutrici, a seconda dei tempi e dei ... datori di lavoro) :
     

    Insomma un grande, irriverente, irripetibile fotografo che ha lasciato un segno del suo tempo.
    Come le sue parole che ho riportato all'inizio di questo articolo.
     

    "Il denominatore comune di tutte le foto é sempre il tempo, il tempo che scivola via tra le dita, fra gli occhi, il tempo delle cose, della gente, il tempo delle luci e delle emozioni, un tempo che non sarà mai più lo stesso" (J. Sieff).
  7. Yunchan Lim : Rachmaninoff Concerto n.3 - Marin Alsop/Decca

    Rachmaninoff Concerto per pianoforte e orchestra n.3
    Yunchan Lim, pianoforte
    Marin Alsop alla testa della Fort Worth Symphony
    Decca 48/24, 15 maggio 2025
    ***
    Raramente i dischi di questi tempi mi emozionano. E' un misto di sensazioni che mi fanno spesso sentire appagato dalla qualità del suono ma desolato dalla pochezza delle idee o dei programmi o delle interpretazioni.
    O un misto di tutto che mi delude : si poteva fare meglio.
    Ho visto questa copertina vecchio stile ed ho messo da parte il disco. Non sono un fan di Marin Alsop che spesso dirige sopra le righe oppure in modo un pò mediocre, ricordandosi un pò troppo sommariamente le lezioni di Bernstein.
    Ma quando stamattina ho deciso che era il momento di sentire questo Rach 3 sono rimasto folgorato.
    Avranno sbagliato ed hanno inciso Van Cliburn che vince il suo concorso ?
    Ci sono tante registrazioni memorabili a disposizione, c'è chi ha fatto una comparativa momento per momento. Mi levo il cappello di fronte a tanta conoscenza, io a malapena lo so canticchiare questo concerto che naturalmente conosco a memoria ma non abbastanza da commentare ogni passaggio di ogni incisione disponibile. Berman, Sokolov, Trifonov, Matsuev e ovviamente, Argerich, Cliburn, Gilels, Richter.
    Io sono estremamente istintivo, non sono un critico, non sono certamente uno specialista. Non sono nemmeno un pianista.
    Questo ragazzo ha un dono raro che Decca ha saputo portare, una volta tanto, nel giusto rilievo, dopo tante, troppe cantonate ed attenzioni mal riposte.
    La sua lettura è personalissima, emozionale, con esplosioni di potenza immerse in un mare magnum di grazia e stile. Niente di lezioso e nessun autocompiacimento. Musicalità allo stato puro.
    Che in un concertone nazionalpopolare come questo sono indispensabili per rendere sana giustizia a questo tipo di pianismo.
    Le ottave e gli accordi gli escono come se fosse Horowitz, la forza bestiale c'è, ma non quella primordiale di Argerich o Gilels, c'è una gentilezza unica che ricorda, appunto, Van Cliburn.
    E dopo aver citato questi riferimenti come confronti, cosa posso aggiungere.
    Che Yuja Wang dovrebbe fermarsi a ponderare per almeno un anno su dove vuole portare la sua arte ? Masarannopurecavolisua ! (cfr. integrale con Dudamel per DG)
    No, solo dico che questa registrazione è da 10/10 e che è la pietra miliare moderna su cui misurare tutte le altre.
    Dicono che Lim abbia incantato tutti con le Variazioni Goldberg. Speriamo che non ci facciano desiderare 2 anni quella registrazione ...

    registrazione dal vivo di buon livello e grandissima dinamica, pianoforte in primo piano ma mai eccessivo.
    La "Zia" Marin ci da dentro quanto il "nipote" ma sappiamo quanto l'orchestra sia comprimaria in questo concerto.
  8. F1 2025 Monza - FP1 del venerdì

    L'orario oramai è demenziale.
    Bisogna aspettare le 13:30, quando il sole è a picco. Mentre la seconda sessione è alle 17:00.
    Il posto poi non è più circolare ma fisso e quindi, o compri due biglietti, oppure devi restare là dove al pomeriggio non si può fotografare.
    Sono voluto andare comunque, grazie al fatto che abbiamo il pass per l'auto e quindi parcheggiamo a vista.
    A vista dalla tribuna 23b dove mi sono messo.
    Non ho fatto tante foto e non ho tentato panning impossibili.

    questo è solo 1/80''
    per lo più sono stato su tempi tranquilli per avere foto ferme. Foto ricordo, un pò monotone.
    Anche delle auto storiche, invero poche, con poca varietà, nessuna Ferrari nella casa della Ferrari.
    Avevo la Z9 ed ho portato il 70-200/2.8 S. Più che sufficiente da questa distanza. Le auto in entrata nei box si prendono a 105mm, mentre in accelerazione a fine della Parabolica e in entrata nel Rettifilo, spesso bastano 150-180mm perché altrimenti le auto non le prendi.
    E poi tutte queste auto, anche le F3 vanno maledettamente forte, persino quando rallentano per entrare nei box.

    In questi giorni ho pensato al fatto che ho milioni di queste immagini, riprese negli ultimi 20 anni.
    Molte, moltissime, le ho sfogliate solamente, molte non le ho mai viste e quasi certamente nessuno le vedrà mai.
    Mi è venuto in mente la frase finale del monologo finale di Blade Runner. ... "come lacrime nella pioggia".
    Ma per ogni click, per ogni istante passato davanti alle automobili in autodromo, io ho provato gioia, piacere fisico, ho messo tutta la mia passione.
    Questo in definitiva è il vero senso di tutta questa cosa.
    Perdonatemi la monotonia, io resto comunque imbambolato a guardare queste "creature" speciali, anche quando passano tutte allo stesso modo, nello stesso posto, con la stessa luce.
    E il fotografo più che seguirle, di meglio, non può.

    tranne rari casi come per questa Sauber, troppo, veramente troppo bassa da terra, tanto da strisciare continuamente con l'emissione di scintille a fuoco.


















































  9. Brahms : Concerto per pianoforte e orchestra n. 2
    Francesco Piemontesi, pianoforte
    Manfred Honeck alla testa della Gewandhausorchester di Lipsia
    Pentatone 19 settembre 2025, 192/24, via Qobuz
    Ci sono innumerevoli edizioni di questo concerto.
    Conosco innumerevoli interpretazioni di questo concerto.
    Che è resterà sempre tra le opere che più amo nella vita.
    E' l'imperatore dei concerti per pianoforte - abbia indulgenza Napoleone e il concerto n. 5 di Beethoven - complesso, sfaccettato, impegnativo, lungo, coinvolgente.
    Che in molte letture risulta o troppo scialbo o troppo drammatico.
    Nella realtà si pone in contrasto con il precedente n.1, scritto 15 anni prima, in età più giovanile (questo è del 1881, Brahms aveva 48 anni) e in una fase di maggiore travaglio relazionale.
    Qui l'atmosfera è per lo più pacata, serena, come testimoniato dall'ingresso iniziale dei corni cui risponde con arpeggi tranquilli il pianoforte, silenzio nel resto della scena.
    Dopo di che i fiati aprono al primo accenno degli archi che tacciono per dare al piano la possibilità di esporre del tutto il suo materiale tematico.
    Ma resta tranquilla anche soprattutto nel terzo movimento.
    Mentre il quarto (si, ci sono addirittura quattro movimenti) è praticamente un grazioso movimento di danze con temi di natura popolare.
    Non mancano cambi di ritmo e toni virili. Ma non troppo drammatici, nemmeno nel secondo movimento "allegro appassionato".
    Che pure prende spunto da un passaggio cupo del piano sottolineato dagli archi e dai fiati.
    L'andante si mangia 11 minuti di musica con il violoncello solista che si prende la scena a lascia tempo al pianista ... di schiacciarsi un bel pisolino (ci vogliono oltre due minuti perché arrivi la prima nota di pianoforte) per poi continuare il duetto notturno con l'orchestra in sordina.
    Insomma, un rebus interpretativo, multipolare, come è un pò tutta la musica del Brahms "non incazzato" della seconda parte della sua vita/carriera.
    Il Brahms delle canzoni e delle ninna-nanne e delle mamme innamorate dei loro bambini più che dei loro uomini.

    Francesco Piemontesi ha registrato i due concerti di Brahms a Lipsia lo scorso 10-11 aprile, dal vivo, con l'orchestra che fu di Mendelssohn e che tante opere di Schumann e dello stesso Brahms tenne a battesimo.
    Con il grande Manfred Honeck alla direzione.
    Considero Honeck uno dei migliori direttori d'orchestra di oggi, il suo lavoro a Pittsburgh credo che abbia riportato quell'orchestra ai suo fasti migliori con registrazioni di primissimo rango.
    Nel concerto di Brahms l'intesa tra direttore e pianista non è cosa da poco. L'orchestra è protagonista almeno quanto il solista e non si può fare a meno di leggere la musica allo stesso modo.
    Abbiamo esempi positivi come Richter e Reiner e negativi come Gould e Bernstein, i primi che hanno fatto la migliore registrazione del secolo scorso di questo concerto, i secondi che si sono dichiarati in disaccordo tra loro prima del concerto stesso.
    Piemontesi ha secondo me un temperamento diverso da quello di Honeck, più passionale l'austriaco, più meditativo e intellettuale lo svizzero.
    Ma l'approccio secondo me paga.
    Il concerto è semplicemente bello da ascoltare, un sequenza di episodi musicali perfettamente allineati ed intesi a rappresentare l'accettazione di se.
    Una calma contenuta, non solo apparente ma reale, da cui sfuggono oramai solo rari momenti di rabbia, a differenza delle composizioni giovanili di Brahms.
    La prova sta nel pudding, ovvero nei tre bis, i tre intermezzi Op. 117, una ninna nanna e due canzoni, composizioni molto più tarde ma pensate allo stesso modo.
    Intendiamoci, non è un Brahms addormentato, c'è tutta la sua forza e il nerbo con cui la musica si evolve ma senza le contorsioni di certi momenti sinfonici che lo rendono indigesto a molti.
    La ricerca del bello, in una visione più schumaniana di quanto mi sia capitato di sentire sinora.
    Molte altre interpretazioni alla fine le ho trovate un pò scialbe ed edulcorate, questa no.
    E se anche non raggiunge le vette che possiamo citare faiclmente (Richter, Gilels, Pollini, Freire, Baremboim, Argerich etc.) dobbiamo pensare a quanti nel 2025 siano capaci di intrattenere un pubblico colto come quello di Lipsia a questo livello.

    La risposta a questa ultima domanda io non la so.
    Ma grazie a Johannes, a Francesco e a Manfred per questo disco.

  10. Ho un debole per le rosse di capelli. Mia madre è rossa naturale, o meglio, il cosiddetto "biondo greco".
    Barbòra non è naturale ma cambia tinta a seconda delle stagioni.
    E' il mio opposto, è un leone, forte, un rullo compressore, instancabile.
    L'ho incontrata per caso nel luglio del 2023 al Cross+Studio di Milano e tra le tante foto - non tutte memorabili di quel giorno - in un momento magico è venuto fuori da se questo scatto, che è diventato quasi - per utilizzare un termine abusato di questi tempi - iconico.

    la composizione per se non è perfetta, ho dovuto ricostruire in AI generativa una parte del braccio destro, tanto ero concentrato su quello sguardo, quell'occhio, quello svolazzo di capelli, quell'espressione, quel dito.
    Ma credo che questa sia una delle mie migliori fotografie in assoluto.
    Poi l'ho fotografata altre volte, le ultime due qui vicino a me.


    qui, non si direbbe, siamo per strada, in città, in pubblico. Nè lei, né io ci siamo chiesti se questi nudi fossero opportuni in una viuzza del centro.
    La luce lo richiedeva, come la sua forza in queste due situazioni colte da me d'istinto, scattando a raffica, con il mio preferito di sempre, quel 135/1.8 S Plena che mi è entrato nel cuore subito, come lei.

    qui siamo invece qualche giorno dopo, nel bosco vicino casa mia.
    Sempre con il 135/1.8 S su Z9, un raggio di sole la colpisce mentre tutto il resto è in ombra.
    Lo scatto è così come l'ho visto. Il fuoco è sull'occhio azzurro con tutto il resto che rimane plastico e definito, con i colori che si sublimano in questa luce.
    Questi scatti potrebbero bastare. Ma ne ho centinaia altrettanto potenti ma diversi.

    come questo, sul lungo lago e davanti ad una telecamera di sorveglianza ("stai coperta che chiamano le guardie e ci arrestano!")

    questo, poco più in la, in ombra

    "a piedi nudi nel parco", davanti ad un cedro secolare

    forte come l'aria che la spettina


    e tante altre ne avrei, del 2024, ogni volta è stato magico.




    tante altre che forse nessuno ha mai visto.









  11. Scalo Milano : Outlet & More

    Non mi si immagina facilmente con in mano un superwide.
    Ma domenica pomeriggio, caldo inaspettato, folla delle migliori occasioni, eccomi con la Z8 e il Viltrox 16/1.8 PRO ad ingannare il tempo mentre aspettavo Rossano Rinaldi.
    Lo Scalo Milano è un outlet "delle migliori marche" situato nella immediata cintura sud di Milano e precisamente a Locate Triulzi, appena fuori Opera.
    Una struttura recente, moderna, meta di comitive, piccoli gruppi, singoli shopper, addirittura capolinea di navette di collegamento con il circondario.
    I marchi più noti più punti di ristoro etc. etc.
    Ho scattato direttamente in bianco e nero, esponendo per avere neri molto densi e bianchi chiarissimi. Facile con tutta quella luce.
    Già in ripresa in 16:9 per poi enfatizzare ancora di più in sviluppo, quando possibile, fin verso il formato cinema 235:100.
    Pochi scatti scelti, contrariamente alle mie abitudini. Ma si è trattato veramente di 15 minuti spensierati, non di più.


















    all'ultimo soggetto ho fatto un piano sequenza alla Hitchcock ed ho trovato anche il tempo di fare un piccolo video ricordo.
    Capirete voi il perchè.
  12. Brahms : le sinfonie - Gardiner/Concertgebouw Orchestra

    Brahms, integrale delle sinfonie
    Royal Concertgebouw Orchestra - Sir John Eliot Gardiner
    DG maggio 2025 (registrazione del 2021 e 2023).
    Mi ero ripromesso di non scrivere mai recensioni negative. Chi sono io per farlo.
    Ma Brahms è Brahms. E Gardiner già nel 2007 aveva fatto una integrale

    con la sua etichetta SDG (o era quella della moglie De Sabata ?) e l'orchestra Romantica e Rivoluzionaria.
    In quella integrale Gardiner si è sforzato di dare una visione originale e personale, partendo dalla sua idea di prassi esecutiva - zero o poco vibrato, strumenti naturali d'epoca secondo le preferenze di Brahms come i corni senza pistoni etc. - e mettendo in relazione la musica sinfonica di Brahms con le sue opere corali e con le radici della musica tedesca del nord di epoca pre-barocco e barocco.
    Con risultati che ho trovato interessanti ma non sempre.
    A distanza di 18 anni Gardiner ci ritorna.
    Lo fa con la DG e una orchestra che suona Brahms fin dal 1888 sotto la direzione dei migliori direttori di tutti i tempi, con strumenti moderni e secondo il gusto dell'epoca in cui ha suonato.
    E cerca di farlo allo stesso modo, forzando l'orchestra a fare cose che non capisce e che non sa fare.
    Mentre con la ORR aveva di fronte suoi allievi, "costretti" volenti o nolenti a seguirlo, qui semplicemente non si può fare.
    E il risultato se a tratti - negli adagi - magari funziona, per il resto è quello di un suono scarnificato, tenue e debole.
    Soprattutto con dinamiche molli e mancanza di presenza scenica.
    Purtroppo il tutto sembra ancora più precario per il fatto che si tratta di fatto del "montaggio" di concerti dal vivo, forse in più riprese, senza un intervento da parte del "protagonista" sul risultato finale.
    Il libretto del cofanetto poi sembra una celebrazione/tributo a Gardiner, con banalità di rito e fotografie bucoliche in scorci della tenuta patrizia del direttore.
    DG si dimostra ancora una volta una etichetta che si limita a premiare "progetti" (progetto Scarlatti, progetto Prokofiev, progetto di qua ...) a tema, di un qualche richiamo, con star nascenti o, come in questo caso, decisamente sul viale del tramonto.
    Io ho sempre mostrato grande rispetto ed ammirazione per Gardiner nel suo repertorio, specie quando era parte della new age della rivisitazione della musica antica e barocca con il suo Monteverdi Choir e i suoi English Baroque Soloist.
    Meno nelle sue incursioni filologiche romantiche, molto teoriche e colte ma poi alla fine dei conti, meno riuscite sul piano sonoro.
    L'esperimento del 2007 probabilmente doveva bastargli, insieme alla altre registrazioni - sempre un pò asciutte - della musica corale di Brahms fatte per Philips.
    D'accordo per i concerti, ci mancherebbe, anche se sappiamo che gli incidenti capitati nell'ultimo periodo, lo hanno un pò allontanato dalla scena.
    Ma perché non avere l'umiltà di evitare di lasciare prove così palesemente sbagliate e, soprattutto, inutili ?
    E poi, proprio il mio povero Brahms ? Che nelle nostre orecchie pulsa di vibrato e di sapienti fusioni tra archi, legni, fiati così che sia una voce sola, corale, a salire verso il cielo ?
    Brahms a mio parere avrebbe amato il suono della sua Quarta dalla Boston di Honeck. Detestato questo miscuglio di sonorità separate dal glorioso Concertgebouw che cerca di imitare gli strumenti antichi con quelli moderni.

    E non la penso così solo io, leggetevi le recensioni online ... che peccato !
  13. Piano Sequenza [attenzione c'è del nudo]

    Chi mi conosce sa che io non progetto i miei shooting. Sono istintivo e mi lascio ispirare dal momento.
    Se quello che deve uscire, vuole uscire, sarà l'occasione a determinarlo.
    Di certo, preparazione zero, meno che meno ripetizione di uno o più scatti.
    Studio zero --.
    Sono tutte cose che mi annoiano. Mi annoia persino parlare di progetto, peggio che peggio, di "progettualità", qualunque cosa significhi.
    Qui avevo una modella fetish, interessante - imho - ma non per tutti i generi.
    Una villa enorme ma con "disponibile per me" solo un salone buio con dentro un tavolo da biliardo.
    Con me avevo il fido SmallRig RC100B con una batteria Viltrox da 150 Watt.
    Lo piazzo di taglio in modo da simulare una luce forte che arriva dalla finestra.
    Lei ha indosso un cappotto di belle blu, un corpino nero, stivali con i tacchi in metallo.
    Cosa uso ? La Z8, con il Viltrox 16mm f/1.8.
    Benché siano scatti spezzati, io li ho intesi come un piano sequenza hitchcockiano, con taglio superpanoramico 2:1
    Editing, come da mio costume, minimo, salvo qualche aggiustamento di orizzonte ed eliminazione di elementi di disturbo (con riempimento generativo di Photoshop).
    La sequenza è in ordine di scatto. La propongo come experience di scatto. (800 ISO, f/1.8, 1/500'' o 1/1000'', Monocromatico Nikon onorato da Lightroom a suo modo).
















     





     
    lei sapeva cosa fare e non le ho detto proprio niente. Non mi interessano le modelle imbalsamate e teleguidate (il motto di Lara è : corri il rischio o perdi l'occasione).
    Quando cambia il punto di visuale è perché mi sono spostato per simulare qualcuno che si avvicina e intanto segue la scena.
    Personalmente non mi importa se quello che sta succedendo ha senso oppure no. Per me è pura rappresentazione visuale (ovviamente ho altre centinaia e centinaia di scatti intermedi).

  14. Tra Susvara, HE1000 e Arya Unveiled, Fang ha anche fatto un annuncio che forse è passato un pò in secondo piano.

    le HIFIMAN Isvarna sono si appariscenti ma se no ci si sofferma sulla loro tecnologia sembrerebbero solo un esercizio estetico di stile.
    Queste cuffie sono della fascia alta ma non altissima ($2750)
    Sono chiuse.
    Hanno sensibilità media di 93dB
    Hanno impedenza di 160 Ohm
    Pesano sui 320 grammi.
    Bene, nulla di troppo sconvolgente se non il fatto che nel sito HIFIMAN non c'è ancora la pagina e non sembrano ancora state distribuite.
    E allora, perché questa anteprima ?
    Perché queste sono cuffie ibride.
    Cioè non sono le solite planari o le solite dinamiche ?
    No, sono un ibrido tra i due sistemi.
    Ricordate le AKG di 40 anni fa ? Dopo il concetto esplorato con le K340 e le successive, il filone si è esaurito. Troppo complicato da mettere a punto e troppo critico perfezionarle.
    Quindi si tratta dell'ennesima scommessa dettata dal nostro Fang, l'Elon Musk delle cuffie.
    In estrema sintesi. Dentro quel padiglione da Star Trek, ci sono due driver coassiali.
    Uno, planari, tradizionale, rettangolare, simile a quello delle HE1000.
    Uno, separato e angolato, dinamico, da 50x30mm.
    Le due vie sono tagliate da un crossover tarato a 120 Hz.
    In pratica abbiamo il driver dinamico che si occupa dei bassi fino a 120 Hz, dopo di che subentra il planare per fare la gamma intera.
    Lo stesso concetto per i diffusori più evoluti. Come i miei dipoli, gli Infinity, i Genesis, i Martin Logan, i mitici Stenway Lyngdorf.
     




     
    naturalmente questo annuncio spiega gli sconti in corso su Audivina e HE-R10P (devo dire entrambe più affascinanti di questa finitura futurista).
  15. Non ho la barba come l'uomo del mio avatar (Johannes Brahms) e nemmeno come il personaggio che ho scelto per animare questo articolo.
    Non mi cresce altro che una peluria ridicola, altrimenti l'avrei ...

     
    però potete immaginarmi così, con gli occhiali, immerso in una marea di dispositivi elettronici di varia natura, scopo e ... stato, aperti o chiusi, funzionanti o semi funzionanti.
    Oggetto di test o in pieno utilizzo. Tutto il giorno. Tranne quando non esco con i cani, a fare passeggiate nei boschi o a fare escursioni fotografiche.
    La pancia c'è, nonostante sia sempre lotta aperta !

     
    Non amo il telefono. Nella realtà non ho risposto al telefono fino a quando non ho cominciato a lavorare.
    E sempre di malavoglia.
    Trovo abbastanza innaturale dover rispondere ad una chiamata inaspettata da cui non so che cosa attendermi.

    e tendo ad infastidirmi.
    Non rispondo mai a numeri sconosciuti.
    Ho comprato un telefono apposta per avere una linea dedicata a Max Aquila che è l'unico a conoscere quel numero. In modo tale da non dover rispondere se stia chiamando qualcun altro.
    A qualcuno, ma senza esagerare, concedo qualche breve conversazione via Whatsapp. Ma spesso queste finiscono archiviate dopo un pò, se mi pesano.
    Allo stesso modo, preferisco non rispondere a messaggi personali qui su Nikonland.
    Abbiamo un sito immenso a disposizione di tutti. Non riesco a capire chi voglia avere una comunicazione privata ... privandosi delle possibili risposte di tutti gli altri.
    E soprattutto, privando chi ci legge di potenziali argomenti interessanti.
    Quindi, mi spiace, ma il mio messenger qui su Nikonland serve SOLO per questioni private.
    Non chiedetemi nemmeno amicizia su Facebook.
    Lo confesso, Facebook mi fa schifo. Lo utilizzo solo perché lo utilizzano quasi tutti e qualche volta finisce per essere utile.
    Ma senza esagerare e soprattutto senza coinvolgimenti che vadano oltre lo stretto contesto.
    Perdonatemi, io sono fatto così e non vedo perché discuterne.
    Se sto scrivendo queste righe é solo per cortesia nei confronti di chi magari se lo è chiesto.
    Se volete sapere qualche cosa, chiedetelo sul sito. Se sarò in grado, interverrò.
  16. Claire Huangci : Bach, Toccatas

    Bach, toccate.
    Claire Huangci, pianoforte
    Berlin Classics, 96/24, 9/9/2021
    ***
    Ho incrociato questo disco leggendo la recensione di un'altra raccolta molto recente, di un allievo di Angela Hewitt.
    Ascoltata quella - che ho trovato invero un pò pedante e monotona - ho ascoltato questa.
    E ...
    ... questa pianista americana di chiara origine cinese ha già una discografia notevole e anche molto varia.
    Spazia da Beethoven a Gershwin passando per Schuert e Chopin.
    Non si può certo considerare una specialista di Bach.
    Eppure ascoltandola sembrerebbe. Per quel tocco realmente ... toccatistico che pur, al pianoforte, rispetta l'approccio corretto di queste composizione.
    Che risalgono al giovane Bach ancora non appesantito dalla bigotta municipalità di Lipsia.
    Le toccate per clavicembalo, in catalogo ai numeri BWV 910~916 datano probabilmente 1707~1713.
    Abbiamo quindi un Bach appena maturo, giusto sui 22-28 anni, presumibilmente a suo impiego a Weimar o ad Arnstadt.
    Toccata in fa diesis minore BWV 910 (Toccata) - [nessuna indicazione di tempo] Presto e Staccato (Fuga) - [nessuna indicazione di tempo] (Fuga) Toccata in do minore, BWV 911 (Toccata) - Adagio (Fuga) - Adagio (Fuga) - Adagio / Presto Toccata in re maggiore, BWV 912 Presto Allegro Adagio [nessuna indicazione di tempo] Con Discrezione Fuga Toccata in re minore, BWV 913 (Toccata) [nessuna indicazione di tempo] Presto Adagio Allegro Toccata in mi minore, BWV 914 (Toccata) Un Poco Allegro (a 4 voci.) Adagio Allegro – Fuga (a 3 voci.) Toccata in sol minore, BWV 915 (Toccata) Adagio Allegro Adagio Fuga Toccata in sol maggiore, BWV 916 Presto Adagio Allegro (Fuga) i manoscritti raccolti dal fratello maggiore di Bach, Christoph, non riportano indicazioni particolari se non l'uso di strumento ad un manuale generico, senza pedale.
    Quindi sostanzialmente clavicembalo o spinetta, non organo.
    Ma sono in un certo modo composizioni organistiche, da organo positivo per l'assonanza con altre composizioni coeve pensate ed eseguibili solo all'organo (salvo trascrizione senza pedale obbligato).
    Benché toccate, hanno abbastanza poco in comune con le toccate classiche del primo barocco, pezzi di bravura un pò esibizionistica quando vengono dal mondo italiano (Frescobaldi) o severo se della Germania Settentrionale (Buxtehude).
    Sono brillanti e rapsodiche, sia nelle introduzioni che nelle fughe.
    Insomma, le toccate sono di fatto dei preludi un pò teatrali che servono a preparare l'ascoltatore alla fuga seguente.
    Come fa un pò la nostra Claire servendoci all'inizio la più classica delle Toccata e Fuga in Re minore in trascrizione Busoni come antipasto.
    Che con le composizioni seguenti ci azzecca come il pesto sulla bistecca ma apre la via ad altre pagine che, diciamocelo, nelle interpretazioni di scuola classica al clavicembalo suscitano un pò di assuefazione, specie se le sonorità sono un pò troppo taglienti.
    La BWV 565 qui è giustamente tardo-romantica. La Toccata è sinfonica con una sonorità che, uso del pedale a mille, ha echi da cattedrale ed effetti di grande rilievo, con una potenza veramente ideale.
    La fuga di contro è portata in modo quasi sommesso, in punta di piedi e cantando. Ma è una illusione perché il crescendo diventa poi parossistico.
    Ma poi seguono le Toccate.
    Io vado sempre subito alla 911 il cui mio riferimento resta sempre ineguagliato.
    E anche qui la giovane pianista non arriva ai livelli della migliore Martha Argerich. Ma sarebbe chiederle l'impossibile.
    Invece è la coerenza, l'eleganza, l'incedere ineluttabile del tutti che colpisce.
    Le due mani che scolpiscono nell'aria la polifonia complessa ma "leggera" di queste composizioni.
    Ci sono i giusti ornamenti, senza inutili esibizionismi (rispetto !), ma è la velocità di cambio di ritmo e la forza di certi passaggi di basso che colpiscono.
    Invero mi sono innamorato di questa lettura, tanto che è diventata il mio riferimento.

     
    *** 
    - edizione di riferimento : quella in esame
    per la sola BWV 911, l'inarrivabile Martha Argerich per la DG

     
  17. Marcelle Meyer, la Musa

    Ho scelto di definirla la Musa perché il suo ruolo nella sua epoca potrebbe essere così sintetizzato.

    Marcelle Meyer in un quadro del 1922 ritratta in mezzo al celebre gruppo di intellettuali parigini "Les Six", ovvero Poulenc, Honegger, Tailleferre, Milhaud, Auric e Durec, sei compositori (5 uomini, una donna), orbitanti attorno al fascino di Satie ma soprattutto di Jacques Cocteau.
    Ma sarebbe sminuirla perché abbiamo un'idea piuttosto passiva della musa. E sbagliamo. La Musa in musica fa di più.
    Come pianista straordinaria, Marcelle Meyer, non solo eseguì le loro opere, ma ispirò compositori come Francis Poulenc, Darius Milhaud e Georges Auric grazie alla sua sensibilità interpretativa e al suo jeu perlé. La sua capacità di dare vita alle loro composizioni, spesso in anteprima, la rese una figura centrale nel loro processo creativo. Ad esempio, Poulenc le dedicò attenzione particolare, e la sua esecuzione di opere come la Sonata per pianoforte a quattro mani rifletteva una connessione artistica profonda.
    La Parigi tra le due guerre era un crogiuolo d'arte e vi si incontravano talenti d'ogni parte. Oltre ai francesi, c'erano i transfughi russi fuggiti dai bolscevichi.
    Erano installati a Parigi, Stravinsky e Dhiaghilev.
    Marcelle Meyer eseguì in prima assoluta le loro composizioni.
    Ma, pur giovanissima, collaborò con Debussy fino alla morte del compositore. E non dimentichiamoci Ravel, Chabrier.
    Influenze importanti in quel periodo arrivavano anche da artiste elevate come Nadia Boulanger e Wanda Landowska.
    E non solo musica, anche teatro, cinema, letteratura.
    ***
    Marcelle Meyer è nata quando è morto Brahms, due anni dopo la morte di Clara Schumann della quale ha praticamente preso in carico il testimone.
    E' morta nel 1958.
    Ha lasciato oltre 200 registrazioni in studio di qualità eccezionale sul piano artistico e che oggi possiamo ascoltare in rimasterizzazioni che rendono loro onore pieno.
    Io l'ho "incontrata" casualmente, non avendola mai sentita nominare prima, in un cofanetto visto ed acquistato da Ricordi un bel trenta anni fa.
    Il terzo della serie degli "Introvabili" edito da EMI France
      
    nel mio periodo di ricerca bulimica di ogni cosa suonata bene al pianoforte.
    Erano gli anni in cui affrontavo anche miti come Backaus, Schnabel e Fischer.
    Ammetto che quei tedeschi con la loro retorica eroica mi prendeva tantissimo.
    Ma nello stesso tempo da Glenn Gould ero passato a Wanda Landowska ma soprattutto alla maestra Rosalyn Tureck mentre avevo la fortuna di poter ascoltare dal vivo Maria Tipo.
    In Bach, ovviamente.
    Ma quel cofanetto di Marcelle Meyer mi riempì di stupore per il suo atteggiamento composto, elegante, per quel tocco "perlato", capace di uno staccate inimitabile (mezza nota prima e mezza nota dopo).
    Quel cembalismo aggraziato.
    Soprattutto quella capacità assoluta di scomparire dalla scena.
    La sua è poesia garbata. Pulita, nitida.
    Mentre scrivo sto ascoltando anche Rameau e Scarlatti.
    Normalmente li trovo noiosi ma qui mi appassionano. Marcelle Meyer diceva, riprendendo in parte certe idee di Debussy, che Rameau e Couperin andrebbero eseguiti come i loro "cugini" Bach e Scarlatti.
    Non so se sia possibile, perché è musica completamente diversa ma la dinamica c'è tutta.
    Solo che se passo alla 4a Suite Inglese, pur affetta da forte flutter nella registrazione che abbiamo, resto avvinto alla sedia.
    Come è nella mia amatissima Fantasia e Fuga 904, qui meno solenne ma non meno incisiva dell'usuale, con le voci perfettamente stagliate una sull'altra, incalzanti, ferme, che mi fanno sollevare i pori per l'emozione.
    ***
    Dicevo, capacità di scomparire ma anche poetica personale, interpretazione profonda, coerente. Che naturalmente non si limita al repertorio barocco, anzi, per Lei, decisamente minore ma che si evidenzia in quello per Lei contemporaneo.
    Il suo Ravel dovrebbe essere molto più tenuto in considerazione.
    Abbiamo per fortuna una integrale di circa due ore che si apre con una Pavane moderata ma comunque toccante.
    Ma lo stesso posso dire per Debussy o per Chabrier.

    Oggi che abbiamo ancora l'incombere della foga atletica di Martha Argerich che ha di fatto sdoganato la "pianista donna" in tutto il repertorio ma che in fondo si è finito con l'indugiare da parte dei registi sulle curve di Yuja Wang o sul panorama frontale di Khatia Buniatishvili, finiamo per dimenticarci che ci sono state anche Clara Haskil e Annie Fischer o Myra Hess, quasi perfetta contemporanea di Marcelle Meyer.
    Che resta, elevata tra loro, per eleganza e raffinatezza, con quella impronta culturale impagabile in cui è cresciuta fin da bambina e che ha trasposto in ogni nota, in ogni tocco.
    Ed è un peccato.

    che per me la rendono impareggiabile, qualunque cosa suoni, anche quando non mi ritrovo nella sua visione.




    alcuni dischi citati nel testo ma si dovrebbe ritrovare ogni sua registrazione moderna.
  18. I Kleiber e Beethoven

    Erich Kleiber con i figli. Sotto, lui e l'amato Carlos.
    E' raro che ci siano padri e figli musicisti apprezzati. Rarissimo a questo livello. E ancora più raro se non eccezionale, con un repertorio quasi sovrapponibile.
    Il rapporto tra Carlos Kleiber e suo padre, Erich Kleiber, era complesso, caratterizzato da ammirazione, aspettative e un legame profondo ma spesso teso. Entrambi erano direttori d'orchestra di grande talento, eppure il loro approccio alla musica e le loro scelte di carriera riflettevano differenze significative, creando tensioni tra loro.
    Come padre, Erich era esigente e scettico nei confronti del desiderio di Carlos di diventare direttore d'orchestra. Credeva che la professione fosse troppo difficile e instabile e inizialmente scoraggiò il figlio dal perseguire la carriera musicale a livello professionale. Invece, esortò Carlos a studiare qualcosa di più "pratico", il che lo portò a studiare chimica e in seguito ingegneria, prima di tornare definitivamente alla musica.
    Nonostante le obiezioni del padre, Carlos fu profondamente influenzato dalla musicalità di Erich. Studiò segretamente direzione d'orchestra, assorbendo la precisione e la chiarezza strutturale che definivano lo stile di Erich. Tuttavia, mentre Erich era un direttore più tradizionale, Carlos sviluppò un approccio unico e altamente espressivo che fondeva una preparazione meticolosa con una spontaneità quasi improvvisativa.
    Le loro differenze divennero evidenti nei loro atteggiamenti professionali.
    Erich era un professionista consumato, disposto ad accettare un'ampia varietà di incarichi e a lavorare con importanti teatri d'opera e orchestre.
    Carlos era estremamente selettivo, spesso annullando spettacoli o rifiutando incarichi a meno che non si sentisse pienamente ispirato dal progetto. 
    Uno dei momenti decisivi nella vita di Carlos Kleiber fu la morte improvvisa di Erich nel 1956. Carlos, che era ancora agli inizi della sua carriera di direttore d'orchestra, si pentì profondamente di non aver diretto per il padre prima della sua scomparsa. Questo rimpianto lo tormentava e alcuni biografi suggeriscono che abbia contribuito al suo perfezionismo e alla sua riluttanza ad accettare troppi incarichi, forse per paura di non soddisfare le aspettative del padre.

    Sebbene Carlos sviluppasse il suo stile unico, l'influenza di Erich rimase evidente, il suo fraseggio preciso e la profonda comprensione della struttura riecheggiavano la tecnica disciplinata del padre.
    Le sue scelte di repertorio, tra cui Beethoven, Strauss e Verdi, erano in linea con le preferenze di Erich.
    Nonostante il suo stile di direzione emotivo, Carlos mantenne un profondo rispetto per l'integrità musicale, qualcosa che aveva imparato da Erich. Conclusione: un rapporto di influenza e parole inespresse
    Il rapporto tra Carlos Kleiber ed Erich Kleiber era un mix di ammirazione, resistenza ed emozioni irrisolte. Le rigide aspettative di Erich spinsero Carlos a sviluppare una propria identità, ma la riluttanza di Carlos a dirigere in modo estensivo potrebbe essere stata plasmata dall'imponente presenza del padre e dalla sua prematura scomparsa.
    Sebbene Carlos fosse diventato una leggenda a pieno titolo, la sua carriera fu sempre oscurata da ciò che non ebbe mai la possibilità di dimostrare a suo padre.
    Con questo in mente, limitiamoci a Beethoven. Ma potremmo fare lo stesso esperimento, per esempio, con Wagner o ... persino con il Pipistrello di uno degli Strauss

    vi invito ad ascoltare questa leggendaria registrazione del 1953 della Decca di Erich Kleiber che contiene la terza e la quinta del mostro di Bonn.
    E' stereo e la rimasterizzazione in 96/24 ne fa qualche cosa di qualitativamente ascoltabile, a differenza delle precedenti riprese che si rifanno a 78 giri.
    La tensione, il fraseggio, il ritmo, la coerenza sono difficilmente raggiungibili se non da direttori Masterclass (che so, Von Karajan ?).


    la quinta per Carlos, l'abbiamo in questa registrazione DG del 1995 con i Wiener.
    Abbinata con una splendida settiman.

    è impressionante la coincidenza della durata del primo e del terzo movimento, mentre l'ultimo con Carlos è di gran lunga più rilassato.
    E al di là dei suoni molto diversi che riflettono i 40 anni di distanza della ripresa, le diverse orchestre e sale (con i Wiener l'ambienza e la profondità sono magnifiche, gli ottoni sono fanfare, tutto più concentrato con il Concertgebouw) si concentra qui la differenza di stile.
    Differenza che si mantiene anche se un pò meno dilatata in una precedente registrazione del 1974, sempre con i Wiener.
    Ammetto che personalmente preferisco l'approccio più risoluto di Erich ma il suono di Carlos é sensuale e fa il verso a Salomé
    Ma se non pensate che vi stia prendendo in giro, andate ad ascoltarvi l'Ouverture del Pipistrello (Johann Strauss II - Die Fledermaus) che evidentemente Carlos ha ascoltato un triliardo di volte diretta dal padre.
    Erich se la sbriga in 07:30 e Carlos in 07:39.
    Insomma, vale la pena di studiarsi padre e figlio, no ?
    Due dei più grandi direttori di orchestra di tutti i tempi. Così diversi eppure così legati tra loro.

     
  19. Abbiamo scritto svariati decaloghi e guide all'uso di Nikonland.
    In particolare negli ultimi anni ci siamo soffermati sul valore dell'essere iscritti a questo sito.
    Che non è Facebook, ovvero un porto di mare dove ognuno si sente libero di entrare in un posto, scrivere la sua puttanata senza nemmeno presentarsi, rispondere male alla prima critica e poi scomparire.
    Non è nemmeno Instagram, che è più o meno una vetrinetta dove raccogliere like grazie a scatti o video (per lo più reel e storie oramai) fanfaroni catturacuoricini.
    Non parliamo di Yourube dove oramai sono più le fake news che le cose utili tra cui orientarsi.
    E nemmeno Juzaforum, un posto che mi capita raramente di frequentare e quando lo faccio, vedo più che altro disinformazione, caos e maleducazione. Soprattutto cazzate, spesso anche calunniose nei confronti di assenti.
    Perché iscriversi su Nikonland ? Semplicissimo, per poter scrivere su Nikonland.
    Ma perché scrivere su Nikonland ?
    Per tanti motivi :
    chiedere qualche cosa commentare qualche cosa far vedere i propri scatti per chiedere consigli scrivere articoli nikonisti scrivere articoli di fotografia condividere attivamente con gli altri la propria su (Nikon, fotografia, generi fotografici particolari, etc. etc.) ed altro del genere, soprattutto contribuire a fare grande, anzi più grande, Nikonland

    Perché non iscriversi su Nikonland ? Per i motivi opposti a questi.
     
    Ecco.
    Fin qui la vista in Prima Persona. Ovvero il punto di vista dell'iscritto. La differenza tra essere iscritto e no.
    Essere iscritto a Nikonland è una cosa per pochi. Anche perché dal 2025 l'Admin cancella le iscrizioni di chi non partecipa attivamente (solo stamattina sono spariti almeno 25 account di gente che si è iscritta nel primo trimestre 2025 e non si è più fatta vedere né ha mai scritto qualche cosa).
    I residui sono praticamente sempre meno di 200. Non ci frega niente di avere 100.000.000 di iscritti che in gran parte si sono dimenticati di esserlo. Potremmo essere anche solo 13. Purché buoni amici che si frequentano ogni giorno (e non è detto che in fondo non siamo effettivamente in 13 o poco più, alla fine dei conti).
    Perché noi guadagniamo qualche cosa da un iscritto solo se questo è attivamente e costruttivamente partecipe nella vita del sito. Non facciamo $$$ con i click, i like e le iscrizioni.
    Quindi vediamola dal punto di vista di Nikonland.
    Quanto vale per Nikonland un iscritto che :
    non scrive mai non commenta mai non ha mai nulla da dire non ha fotografie da condividere su cui dibattere non scrive articoli non condivide racconti fotografici non sa niente di Nikon e poco o niente anche di fotografia oppure, se interviene :
    lo fa in modo sfacciatamente ed artatamente polemico risponde in modo maleducato alla prima critica mostra acredine e poco spirito di confronto mette solo un like o un unlike senza spiegazioni non condivide la linea editoriale oramai ventennale di Nikonland si crede - orrore - di essere su Facebook o su Juza ! ... ?
    Ditemelo un pò voi se volete.
  20. Bellissimo. Poi lo leggerò con calma ...
    ... è quanto sono soliti scrivere molti, anche su queste pagine, spesso sgrammaticando per effetto della tastierina virtuale e del completamento automatico delle parole, dopo aver sfogliato Nikonland con il loro smartphone, velocemente, mentre vanno in metrò in ufficio.

    Un altro modo di dire, non ho letto niente, "ho guardato sommariamente le figure". Magari ho messo pure una coppetta se l'autore mi sta simpatico.
    Ma in quanto alla rilettura "con calma", nell'anno del mai. Forse.

    Ecco, se posso dare un consiglio universale.
    Non venite su Nikonland con lo smartphone.
    Fatevi un favore, non perdete tempo.
    Qui c'è roba che vale la pena solamente di essere letta ... se si ha tempo, voglia e calma, approfondendone tutti gli aspetti.
    Altrimenti ci sono canali più interessanti. Altrove.



     
    Più in generale, la dipendenza da smartphone andrebbe ampiamente ridimensionata.
    E' uno strumento essenziale ... per comunicare e mantenere i contatti.
    Anche per utilizzare app necessarie quando si è fuori di casa e non si hanno altri accessi alla rete (ad esempio, per usare navigatori e mappe).
    Ma fuor di questo non dovrebbe essere impiegato quanto vedo fare.
    Fa male.
    Allontana dagli altri.
    Disabitua ad usare strumenti più adatti (per esempio schermi grandi, fedeli e soprattutto panoramici, per guardare, vedere, studiare, imparare, apprezzare).
    Porta a comportamenti antisociali, tipo mettersi col telefonino a fare cose inutili anziché parlare con le persone con cui si sta passando del tempo.

    Fotografare o fare video con lo smartphone ? Dovrebbe essere una eccezione, non la regola.
    Farsi il selfie con il Papa anziché parlare di Fede con il Papa.
    Farsi il selfie con la Gioconda anziché contemplare la Gioconda.
    Fotografare il panorama invece di goderselo con una persona amata.

    Soprattutto, sprecare quanto c'è di buono nella vita filtrandolo con il telefonino.
    Fatevi un favore, quando non vi è indispensabile, il telefonino lasciatelo in un angolo.
    E se squilla e non aspettate una telefonata importante, lasciatelo suonare.
    Soprattutto se è un call center e uno che sta in Uganda vuole proporvi una multiproprietà in Myanmar.

     
  21. Visiting Rachmaninoff : Variazioni Chopin Op.22 e Romances Op. 21-26-34
    Alexander Melnikov, pianoforte
    Julia Lezhneva, soprano
    harmonia mundi, 4 luglio 2025, 96/24 - via Qobuz
    ***
    Spieghiamo subito questo "Visiting", non è il solito titolo a programma, di moda oggi.
    E' proprio una visita alla casa estiva di Rachmaninoff a Lucerna, per registrare con il suo proprio pianoforte - quello con cui è stata concepita la terza sinfonia e la Rapsodia Paganini - due brani che invece sono degli inizi del '900.
    Il ritratto di Sergei in copertina con le sue lunghe dita rendono giustizia decisamente all'autore.
    Melnikov specula sulla struttura delle variazioni che prendono inizio da un frammento funebre di Chopin, autore venerato al massimo livello dal russo ma che se ne discostano quasi subito, prendendo una verve realmente sinfonica.
    Sono troppe le divagazioni arpeggiate che tentano di costruire un edificio polifonico della massima profondità con uno strumento che si presta allo scopo.
    Nelle note, l'interprete, mette subito in luce la sua chiave di lettura, mantenuta coerentemente per tutta la durata delle variazioni.
    Il parallelo - evidente sin da subito nonostante i circa 70 anni di distanza - con gli Studi Sinfonici di Schumann è presente in ogni passaggio.
    Riprese baldanzose, "crescendi" fulminei, allegri esplosivi.
    Avevo trascurato in un primo momento questo disco, sbagliandomi.
    Perché mi ha convinto subito per la visione intelligente.
    Più dell'introspettiva e un pò onirica lettura del "sudaticcio" Trifonov incisa per DG e disponibile in video (in cui veramente gronda sudore per lo sforzo su una partitura che è effettivamente di difficolta trascendente).
    Che comunque resta il mio altro riferimento tra tutte le registrazioni moderne.
    Le Romances  sono "canzoni" veramente poco frequentate. Ma sono composte con gusto eccellente e raffinata eleganza.
    Non sono un genere che mi attira particolarmente e mi sembra che il timbro chiarissimo della Lezhneva che ovviamente canta madrelingua, sia stato reso un pò troppo squillante per le mie orecchie.
    Cionondimeno è musica di livello che completa un disco già più che consigliabile.
    Bene ha fatto harmonia mundi a realizzarlo. Dal repertorio che registra ultimamente mi pare che Melnikov sia lasciato molto libero di decidere cosa proporre.
    E anche quando non mi convince del tutto, suscita interesse e merita attenzione

    segnalo infine che i due artisti sono in tour 2025 con un programma tutto incentrato su Rachmaninoff (più vario di quello di questo disco).
  22. Chi ha scritto la Toccata e Fuga in Re Minore di Bach ?
    No, non è la classica domanda "di che colore era il cavallo bianco di Napoleone ?".
    Ci sono svariate composizioni attribuite a Bach che non sono certamente state scritte da Bach. Un caso classico sono gli otto piccoli preludi e fuga di Kothen, catalogati come BWV 553-560, che io ho studiato in gioventù certo che fossero stati scritti "facilitati" per semplificare la vita di Friedemann Bach, ma che invece non sono di Bach, probabilmente sono di Tobias o di Ludwig Krebbs (il primo studente di Bach, il secondo, il figlio, coetaneo con alcuni figli di Bach).
    Ma la Toccata e Fuga in Re minore è tra le composizioni più famose di Bach, se non la più famosa. E certamente la più famosa composizione per organo. Potrebbe non essere di Bach ?
    La risposta rapida è si.
    Bene, con queste premesse, andiamo avanti.
    Nelle prime biografie di Bach non c'è traccia della Toccata e Fuga in Re minore. Si trovano tanti Preludi e tanti Preludi e Fuga. Più avanti entrerà una Toccata Adagio e Fuga. La Toccata in questione comparirà solo in epoca più tarda, quasi nel '900.
    Non esiste un manoscritto di Bach o della famiglia Bach.
    L'unico manoscritto esistente è di Johannes Ringk, non è datato e non é annotato
     
    ma Ringk studiò con Kellner che a sua volta studiò con Bach e conservò per lungo tempo alcune sue composizioni.
    Alcune pagine importanti di Bach ci sono arrivate solo grazie alle copie fatet a mano da Ringk.
    La partitura è su due righe e non ha che alcune indicazioni parziali del pedale.
    Mendelssohn, che eseguì e rese nota la Toccata - come altra musica di Bach - invece aveva una partitura completa su tre righe con il pedale esteso.
    Proprio a Mendelssohn, negli anni 1833-1840, quando curò la prima edizione delle opere di Bach, si deve in effetti la prima attribuzione.
    Comunque, per decenni sono rimasti dubbi sulla paternità della composizione, attribuita a volte allo stesso Kellner.
    L'analisi, fatta da studiosi di tutti i paesi, compreso il nostro Basso, non riesce a collocare storicamente la composizione.
    Audace per il giovane Bach che aveva come stilemi gli austeri organisti settentrionali, Buxtehude in primis, troppo "semplicistica" per il Bach maturo che invece revisionò molte delle sue composizioni giovanili per adeguarle alle sue capacità evolute.
    Ma nel catalogo attuale e nelle biografie, nonostante le analisi anche statistiche fatte (attribuzione per assonanza numerica dello stile compositivo medio di vari compositori con la media della diffusione delle note della partitura in esame), resta al Bach dei primi anni di preparazione organistica (circa 1704), forse scritta improvvisando per provare un organo nuovo.
    ***
    Probabilmente non sapremo mai la verità, come per molte altre composizioni, quando non arrivano le prove della effettiva paternità o ci sono le fonti che chiariscano un plagio, è sempre così.
    Ma una cosa può apparire evidente a chi abbia dimestichezza con l'organo e conosca le composizioni per organo dell'Orgelbüchlein di Bach, la relativa semplicità della struttura, sia della Toccata, simile forse ad alcune toccate clavicembalistiche in stile francese di Bach, ma soprattutto della Fuga, che pur a 4 voci non ha sviluppi completi, spesso limita una voce al trillo sostenuto e sempre con il pedale estremamente limitato.
    Il fatto che persino io in gioventù l'abbia potuta studiare e strimpellare ne è una prova.
    Ma se non siete ancora convinti, perché legatissimi a questa composizione, aggiungo che é opinione abbastanza consolidata che l'articolazione della Toccata sia di tipo violinistico ed possibile, anzi, probabile, che si tratti effettivamente di una trascrizione di una fantasia per violino solo. Cui sarebbe poi stata aggiunta una fuga, scritta dall'autore della trascrizione o da qualcuno più esperto di lui. Forse in epoca ben più tarda di quella del vecchio Bach, ovvero con lo stile galante e lo Sturm un Drang già in auge (anni 1740-1760, la data più probabile della copia di Ringk).
    Se avete la condiscendenza di ascoltare la versione trascritta nuovamente per violino forse ve ne sincererete anche voi. Potreste immaginare la tripla fuga Sant'Anna BWV 542 trascritta per violino ? Nemmeno tirandolo per i capelli.
    Il violino è uno strumento monodico per antonomasia, con i raddoppi e gli arpeggi può aiutare l'ascoltare ad immaginare una polifonia, anche a 4 voci come in questo caso, senza realmente suonare le 4 voci ma accennandole solamente.
    Vi propongo due versioni disponibili su Youtube, una più valida per la Toccata e una, sensazionale, per la Fuga.
     
     
     
    sono esecuzioni Tributo a Bach, non vogliono dimostrare nulla, ci mancherebbe.
    Ma se le ascoltate bene e poi riascoltate l'originale per organo, qualche dubbio che il percorso probabilmente sia stato inverso magari vi verrà.
    Ciò non toglierebbe nulla alla composizione, che è certo d'effetto e che tanto effetto, anche cinematografico ha avuto.
    Ma il vero Bach per organo ha tanto, tanto di più da dare e da dire ...
  23. Liberamente ispirato oppure un tributo a Tornatore ?

    2003, sull'onda del successo del film Malena (2000), Dolce & Gabbana incaricano Giuseppe Tornatore di preparare il celebre spot per la campagna annuale, interprete, ovviamente, Monica Bellucci.
    Tornatore, senza troppe difficoltà, si ispira ad uno dei suoi maestri, Ferdinando Scianna (autore a sua volta di una celebre campagna per gli stessi stilisti, datata 1987, con la sua musa Marpessa come interprete).
    Lo spot fa epoca e trascina ancora di più la celebrità della Monica nazionale.
    A me è capitata in questi giorni, una modella alle prime armi, tipica bellezza mediterranea che, casualmente, di nome fa proprio Monica.
    Il fisico c'è. La somiglianza, vagamente, anche.
    E' bastato un vestito scollato, nero, lungo ma comodo sebbene aderente, preso su Amazon per una ventina di euro.
    Infine un velo-scialle traforato, antico ricordo di un fotografo che non c'è più.
    Gli scatti sono tutti in esterni. Sono idealmente spezzoni di pellicola cinematografica, non stills a se stanti.
    Imperfetti come ogni ripresa cinematografica era ed è, salvo che non si faccia ritocco punto per punto 60 volte al secondo per ogni secondo di filmato.
    Ma qui non c'è editing, uno sviluppo secco da pellicola veloce ma senza grana.
    Sono due Z9 in azione, al sole e in ombra in un pomeriggio assolato di maggio. Pochi scatti con il Nikkor Z 35/1.4, gli altri per lo più con il 135 Plena, qualche scatto con l'85/1.2.
    Ma soprattutto piacere di creare insieme, parlando mentre si scatta, si vive, si prova. Si improvvisa.
    Nessun copione, nessuna pretesa di perfezione, di ripetitività, di omologazione.
    E' un tributo, non un plagio, né una replica. I nomi citati in questo articolo sono troppo al di sopra per essere semplicemente accomunati.
    Umile citazione, se volete.
    Buona visione. [lo so, 70 foto sono troppe, alcune ripetute, non mi va di selezionarle ulteriormente. Tra poco c'è il Gran Premio.
    Abbiate indulgenza]
     




































































  24. Chi sono i Nikonlander : i soci di Nikonland.it

    Quando la Vecchia Guardia interviene in prima linea sono due le cose : o stiamo perdendo e bisogna cambiare le sorti della battaglia, oppure è il momento decisivo della vittoria e bisogna aprire il centro avversario.

    Era così che dicevano i vecchi soldati napoleonici alle giovani reclute.
    Nella Vecchia Guardia (ma c'era anche la Giovane e la Guardia di Mezzo) c'erano i veterani incalliti da cento battaglie in tutto il continente europeo e in Egitto.
    C'erano soldati a piedi e a cavallo.
    Ma i più famosi erano certamente i granatieri. Alcuni dei quali avevano il permesso di rivolgersi all'Imperatore come dei semplici vecchi commilitoni.
    Perché in ogni zaino di soldati, poteva celarsi il bastone di maresciallo. E chissà, persino la corona di imperatore.
    Idealmente i granatieri della Vecchia Guardia qui sono rappresentati da Nikonlander Veterani.
    I più vecchi iscritti di Nikonland che hanno superato (alcuni di molto) i 1.000 contributi al sito.
    Li vedete qui in questo elenco :

     molti di loro si conoscono e si frequentano. O hanno conosciuto Max e Rudolf nel tempo.
    Soprattutto sono quelli che non fanno mai mancare il loro apporto. Di fotografie, di commenti, di articoli.
    Sempre tempestivi, soprattutto, sempre nikonisti.
    Ma abbiamo anche la Giovane Guardia su Nikonland.
    Che è composta dai Nikonlander. Più giovani, non necessariamente nella data di iscrizione al sito, sicuramente, nel numero di contributi.
    Superiore a 100 ma ancora inferiore a 1.000.
    Per diventare veterani, anche loro dovranno continuare a contribuire a Nikonland. Ma sono già sulla buona strada.

     

     
    Sono rispettivamente 28 e 43 questi due gruppi di amici.
    Pochi, certamente in senso assoluto. Ma una elite. Perché Nikonlander si può diventare ma non è per tutti.
    A loro il nostro ringraziamento, plauso, riconoscenza. Oggi e negli anni a venire. Finché ci vedremo su queste pagine.

  25. Shangri-la è un luogo "mitico" descritto nel romanzo Orizzonte Perduto di James Hilton del 1933 e reso celebre dall'omonimo film di Frank Capra del 1936.
    Dovrebbe essere situato sull'Himalaya ed assolutamente introvabile, nonostante ogni sforzo, da chi non è puro di cuore.
    In esso sono naturalmente bandite tutte le debolezze umane e si vive in armonia con purezza di sentimenti.

    Mitico per una intera generazione, tanto che i piloti del raid di Doolittle del 1942, catturati dai giapponesi, dissero di essere partiti dalla base di Shangri-la.
    L'US NAVY mise in mare una portaerei d'attacco classe Essex con questo nome, CV 38, entrata in servizio nel 1944.
     
    ***
    Sul web ho letto recensioni e impressioni contrastanti su queste nuove elettrostatiche.
    Che si rifanno nel concetto alle mie "vecchie" Jade II ma che riprendono nel nome le blasonate (e inarrivabili) Shangri-La.
     
    qui la scatola di fianco alle Arya Unveiled, presentate nell'ultima tornata di annunci 2024 di HIFIMAN.

    la scatola è più alta perché le cuffie elettrostatiche hanno il cavo fisso che va avvolto dentro alla confezione

    qui sono di fianco alle Jade II. Notare la scelta di usare il nuovo archetto "eco", stile HIFIMAN Edition XS.
    Sono già collegate al mio vecchio Stax SRM-006t, valvolare di 20-25 anni (che ha quotazioni Ebay inconcepibili ... ed a ragione secondo me), infatti le ho comprate "nude" senza il loro amplificatore dedicato.
    Bello ma per il momento per me superfluo.
    Il segnale arriva via cavi XLR dal Audio-gd R8HE Mk 3 che a sua volta pesca via I2S dalla DI24HE collegata via USB al mio mini PC.
    E andiamo subito alle dolenti note.
    HIFIMAN qui è andata al risparmio.
    Le Mini Shangri-la sono state concepite al risparmio.
    Tutto quanto. Non ho visto l'amplificatore perché ho comprato solo le cuffie fidandomi delle capacità del mio Stax ma le cuffie sembrano cuffie da 350 euro.
    L'archetto è quello eco, il materiale sembra latta, il cavo una fettuccia rigida.
    Sono meno comode di Arya ma anche di Jade, perché i padiglioni non si muovono e sto meditando di vedere se sia possibile sostituirlo con quello delle Arya.
     

    il marchietto è stampato sull'attacco dell'archetto

    i cinque terminali dorati di contatto in "standard" Stax. State tranquilli le HIFIMAN elettrostatiche nascono nel solco della tradizione Stax e sono elettricamente compatibili.

    l'aspetto è dimesso con quell'argento che le fa sembrare di latta.
    Il cavo è fisso, non si può cambiare se non in fabbrica in caso di taglio o usura.
    E' rigido e si impiglia ovunque.

    in trasparenza mostrano una colorazione verde



    particolari delle regolazioni dell'archetto

    il verdolino della copertura del driver elettrostatico

    il cuscinetto è abbastanza simile a quello delle Edition XS. Anzi mi sembra che sia tutto molto simile a quel modello (da 387 euro)

     
    Smarcata la costruzione, andiamo al suono.
    Sulle prime mi sembravano aspre. Ho preferito subito loro le Arya Unveiled.
    Ma dopo un paio di mesi ho cambiato completamente idea.
     
    Intanto, come da mia abitudine, le misure :
     

    HIFIMAN Mini Shangri-La su miniDSP Ears

    a confronto le precedenti Jade II (dopo la cura con i nuovi cuscinetti che hanno incrementato il basso)

    confronto con varie misure alle Shangri-la stringendo oppure lasciando laschi i padiglioni sulle orecchie.
    Sono sensibili al trafilaggio d'aria laterale e la risposta sui bassi varia a seconda del grado di pressione.
    Passando da una all'altra con un brano identico, sfruttando il fatto che gli amplificatori delle elettrostatiche hanno sempre più di un attacco per cuffie, la differenza di risposta è evidente.
    Più piena e gonfia nel basso per le Jade II, più profonda ma meno potente nelle Shangri-la.
    Il medio - la voce - è più rifinita nelle Shangri-la, più elegante, più piacevole.
    Insomma, cuffie differenti abbastanza da qualificarle e definirle perfettamente.
    ***
    Dopo un rodaggio importante, non concedetevi mai un giudizio sommario su cuffie serie come queste, posso dare un giudizio complessivo.
    Sono cuffie di categoria superiore a quella che il loro prezzo suggerisce.
    Non ho mai ascoltato le HIFIMAN Susvara ma probabilmente le collocherei in quella fascia (~8000 euro) se si potesse fare una pesatura economica.
    Sono eccezionalmente chiare, di un nitore inaudito.
    Ogni strumento è ben definito e c'è intorno aria e spazio.
    Gli strumenti ad arco, le arpe, le voci, sono semplicemente eccezionali.
    Mai ascoltate prima così, tanto che viene difficile staccarsene.
    La fatica di ascolto è inesistente, salvo che non vi facciate prendere dall'entusiasmo e non alziate troppo il volume.
    La sensibilità comunque è elevata e non serve tanta potenza.
    Se la cavano bene con tutto e no si direbbe che il basso sia da elettrostatica.
    Giudizio complessivo
    Anche con l'heavy metal o l'hard rock si sente tutto a meraviglia.
    Il massimo lo danno con la musica acustica registrata in modo eccezionale.
    Sono di quelle cuffie che vi danno l'impressione di poter distinguere tra un file a 192Khz e uno a 96 o a 48.
    Ma senza le "fanfaronate" eccessivi - mi perdoneranno i loro proprietari - delle HE1000 di tutte le versioni.
    Chiare, chiarissime ma velocissime in tutta la gamma di frequenza. Così la musica vi arriva naturale così da sembrarvi senza intermediari.
    Anche in basso, si, certo, con cuffie dinamiche siamo da un'altra parte. Ma perdendo quella velocità e coerenza che qui invece sembra naturale.
    Tanto da riuscire a percepire il diverso livello solo con un confronto diretto ma senza mai che, ascoltando la musica, vi possa mancare qualche cosa.
    L'unico appunto lo faccio alla costruzione. Costano comunque 1250 euro, che diventano più del doppio se non avete l'amplificatore in casa.
    Non si può lesinare su dettagli che industrialmente non possono costare più di qualche decine di euro.
    Ma all'ascolto generano dipendenza. Io non ho mai ascoltato le Susvara. Chi le conosce, dice che queste suonano in quella categoria (e a questo punto, mi chiedo come possano essere le Shangri-la, quelle senior !)
    PRO: simili alle Jade II nella realtà sono cuffie di una categoria superiore. Fanno sembrare quelle, ordinarie e grossolane sensibili non serve alzare il volume, anzi, in genere si abbassa indispensabile avere una catena al di sopra di ogni sospetto per farle rendere. Costano una cifra ragionevole ma in tutto ci vogliono qualche migliaio di euri per farle galoppare suono naturale all'inverosimile, staccano le Arya Unveiled che, per me, sono le migliori planari che ho mai ascoltato il basso c'è, ka**o, non credetemi quando vi dico che le elettrostatiche non hanno basso. Queste hanno tutto quello che serve ! abbastanza comode ma più che altro, sono prive di fatica d'ascolto.
      CONTRO: sembrano di latta; costruttivamente non sono all'altezza del prezzo che costano necessitano di un front-end adeguato; non sono cuffie da telefonino o da DAP in single end e anche in questo caso direi che sarebbe sciocco spendere queste cifre per poi pilotarle con l'iPhone o l'iPad come mi pare che qualcuno cerchi di fare il cavo non intercambiabile potrebbe essere nel tempo un handicap tenuta del materiale da verificare nel tempo (non è mai stato un fiore all'occhiello di HIFIMAN) Impianto usato per la prova :
    Audio-gd DI24HE, alimentata via USB da un mini pc su cui gira Audirvana come player DAC Audio-gd R8HE Mk III collegato via cavo I2S Audioquest Amplificatore a valvole in classe A Stax SRM-006t cavo in dotazione confronto HIFIMAN Arya Unveiled con cavo artigianale inglese dischi ascoltati :
    dischi in grado di valorizzarne le capacità di dettaglio, nitore, definizione, timbrica, dinamica.
    Musica ben registrata, chiara, seria.
     





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