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Blog Entries pubblicato da M&M

  1. M&M
    una delle ultime registrazioni di Seiji con l'inossidabile Martha
     
    ***








     
    ***
    Con pochi anni meno di mio padre e gli stessi più di mia madre, ho sempre considerato una specie di zio esotico, il "giapponese" ma di fatto bostoniano, Seiji Ozawa.
    Praticamente appena diplomato, dopo una carriera da pianista interrotta da un incidente in una partita di rugby, vola negli USA con Charles Munch, diventa assistente di Bernstein a Boston, cui succederà alla guida della famosa Boston Symphony ininterrottamente dal 1973 al 2003.
    Autore di prime assolute, vincitore di una interminabile serie di premi, in contatto con i grandi e grandissimi, come Bernstein, per l'appunto, Karajan (Ozawa era membro onorario dei Berliner), Abbado che sostituirà alla guida della Wiener Staatsoper, eclettico, viscerale, appassionato, vitale, coinvolgente trascinatore di grandi orchestre.
    Mi è difficile immaginarlo come negli ultimi tempi, ridotto a muoversi a fatica, minuto e quasi filiforme.
    Per nostra fortuna lascia una sconfinata eredità discografica. E' un punto su cui dovrebbero riflettere le superstar della classica di oggi, troppo impegnate a fare tourné e workshop per fermarsi a registrare.
    Non si fa un CD per fare soldi oggi, si fa per permettere a chi non può raggiungerti in teatro di ascoltarti.
    Oggi, domani, per sempre.
    Una cosa che tutti gli allievi di Karajan hanno imparato frequentandolo.

    Non a caso la discografia di Ozawa è impossibile da riassumere.
    Dirò solo che comprende tutto e che ogni lettura è degna di nota.
    Ma soprattutto dove il colore, la passione e l'emozione, allora troviamo Seiji Ozawa, il piccolo, grande, trascinatore di orchestre in concerti leggendari.
     


     
  2. M&M

    Recensioni : Novità dell'anno
    Segnalazioni del venerdì di uscite di nuovi dischi o di uscite precedenti sfuggite con due parole di presentazione.
    I dischi più promettenti poi saranno, eventualmente, recensiti approfonditamente.
     




  3. M&M
    La famiglia Bach fa musica, la domenica pomeriggio prima delle funzioni e dopo il pranzo.

    Bach è la musica, è sinceramente molto difficile consigliare la sua musica in soli dieci proposte.
    Ma si può provare.
    L'idea è di avvicinarla a chi è digiuno di Bach ma magari adora Chopin, Schubert, Mendelssohn, Liszt e Muzio Clementi.
    Scherzo, è una proposta per non specialisti. Senza offese per nessuno, evitando quanto potrebbe risultare indigesto a chi non è almeno preparato sul piano dell'ascolto.
    Ditemi che ne pensate, magari 
    ***
    1

    Six Concert avec plusieurs Instruments
    Ensemble Zefiro, Alfredo Bernardini
    Arcana 2018
    ***
    I sei concerti "brandeburghesi", perché dedicati a Sua Altezza Reale l'Elettore di Brandeburgo rappresentano il compendio della musica strumentale con più strumenti solisti dell'epoca di Bach, almeno secondo le partiture che passavano per le mani di Bach all'epoca.
    Bach non era come alcuni suoi contemporanei un viaggiatore. Non aveva la cultura cosmopolita di Handel e non era un celebrato musicista di corte come Telemann.
    Anzi, tra Dresda e Lipsia viveva alla periferia di quelle che erano le capitali della musica del suo tempo.
    Però ascoltando questi concerti, ricchi, vivaci, scritti per il tutti e per i soli, sentiamo la musica di Albinoni, dei Marcello, di Vivaldi.
    Musica condita in salsa francese, a cominciare dalla dedica e dai tempi alla francese - Polonaise, Menuet - ma strutturata con il contrappunto tedesco.
    Come dire la sintesi e la summa della musica strumentale per "orchestra" del tempo. Con formazioni da puramente cameristiche fino a comprendere trombe, corni, e tutti i fiati.
    Il cembalo per il basso continuo, nel quinto concerto produce uno dei primi esempi di concerto per clavicembalo e orchestra nella forma moderna che diventerà poi, attraverso i figli di Bach, il concerto per pianoforte e orchestra che abbiamo conosciuto poi.
    Ci sono cadenze, ci sono ritornelli. C'è sempre grandissima musica.
    Le interpretazioni disponibili sono innumerevoli. Quelle canoniche, quelle eretiche (ricordo persino quella di un giovanissimo Abbado più che altro impegnato tra Nono e Mahler, assolutamente lontano dalle scelte filologiche che iniziavano in quell'epoca).
    Ho scelto questa perché ad una compagine di musicisti eccezionali si unisce la lettura ortodossa all'italiana : con fioriture, abbellimenti, improvvisazioni, che, mi perdoneranno, ai molti musicisti del nord, non vengono altrettanto naturali, scaturendo così letture aspre, monocordi, troppo povere di invenzione per essere vere.
    I Sei concerti sono una prova straordinaria di conoscenza, di umanità, di virtuosismo (Bach stesso e i suoi figli potevano coprire la gran parte degli strumenti, esclusi i fiati) di inventiva autenticamente settecentesca ma che si presenta viva e ricca anche alle nostre orecchie.
    A differenza della maggior parte dei concerti grossi dell'epoca.
    ***
    2

    Sonate e partite per violino solo
    Christian Tetzlaff
    Ondine 2017
    ***
    Ho ancora vive le emozioni che la terza lettura del più assoluto tributo all'arte di toccare il violino mai scritto ha dato Christian Tetzlaff.
    Tetzlaff è normalmente freddo nella sua interpretazione. E il suono del suo violino non lo aiuta.
    Ma qui è entrato tanto intimamente dentro alle partiture da diventarne strumento.
    Una lettura personale, con accenti e tempi molto personali, anche discutibili sul piano formale.
    Ma anche senza chiamare in causa la solita, celeberrima Ciaccona (Bach usava il termine in italiano e non quello originale francese di chaconne), che certo ballabile non è, è veramente difficile staccarsene una volta cominciato ad ascoltare.
    Se fossero in vinile, quegli LP io li avrei già consumati.
    Anche qui le edizioni a disposizione sono un numero sconfinato. Ogni grande violinista ed ogni violinista che si crede grande si è cimentato o ha sognato di farlo con questo monumento.
    La multivocalità contrappuntistica ricreata con uno strumento monodico per concezione. Richiede all'esecutore - e all'ascoltare - capacità di concentrazione, di tenuta, di ... respiro, esagerate.
    Ma c'è poca musica in questo mondo che avvicina a ciò che c'è nell'altro come questa.
    Non l'ho messo al primo posto perchè, appunto, rispetto ai Sei Concerti, l'impegno richiesto all'ascoltatore può per molti risultare trascendente quanto lo sono le qualità che deve avere il solista per non darne una lettura banale.
    Con tutto il dovuto rispetto, non è pane per Joshua Bell (che per dare lettura della Ciaccona ha chiesto supporto  all'Accademy di San Martin in the Fields e ne è venuta fuori una tisana alle erbe).
    ***
    3

    Concerti per violino e orchestra
    Kati Debretzeni, violino
    English Baroque Soloists diretti da John Eliot Gardiner
    SDG 2019
    ***
    I concerti per violino e anche quelli ricostruiti per violino ma in origine scritti per uno strumento diverso (oboe, ad esempio) sono concerti all'italiana nei tempi, nella struttura e nello sviluppo.
    Ma intrinsecamente musica di Bach, non certo di Vivaldi.

    Ne abbiamo decine di raccolte, in stile filologico e non. Persino Oistrakh ne ha registrati.
    L'edizione che suggerisco è una visione parziale e contiene anche un concerto ricostruito (il BWV 1052 che c'è anche per clavicembalo) ma interpretata con tanta umanità sia dalla violinista che è il primo violino della compagine che la accompagna, sia dagli English Baroque Soloists diretti da John Eliot Gardiner che per Bach ha una malattia benigna.
    4
     

    Suite Francesi
    Murray Perahia, pianoforte
    Deutsche Grammophon 2016, formato CD
    ***
    Al pianoforte o al clavicembalo ?
    Poco importa purchè l'interpretazione abbia la carica umana e sensibile che ci mette l'eccellente Perahia nella sua recente lettura.
    Un doppio disco che si ascolta in un soffio, senza mai perdere una nota.
    Non c'è la cura maniacale nel tocco e nella diteggiatura di altre edizioni, né la lucida follia di Glenn Gould, ci sono invece fioriture, abbellimenti e arcate di ampio respiro.
    Ma soprattutto, una umanità rara.

    cercando lo stesso tipo di lettura, tranquilla, umana, sensibile, senza che sembri una corsa verso l'ultima nota, suggerisco al clavicembalo, questa volta, la lettura per la Bis di Masaaki Suzuki pubblicata nel 2003 nello sforzo ciclopico del giapponese di erigere una monumentale integrale-integrale di Bach sostanzialmente da solo e con il suo Ensemble.
    Anche solo per questo merita la considerazione che gli tributiamo.
    Le sei suite francesi sono un compendio dell'arte di toccare il clavicembalo secondo lo stile d'oltre Reno, secondo la visione di Bach nei suoi anni migliori.
    Brillanti, meno austere di quelle "all'inglese", sono un pezzo forte della formazione musicale tastieristica di tutti i tempi.
    Ma nelle innumerevoli edizioni, non mancano i casi di appropriazioni da parte di altri strumenti, come questa edizione particolare edita dalla Bottega Discantica di Milano, con l'arpista Cristiana Passerini che vi suggerisco se già, al pianoforte, le conoscete a memoria.

    ***
    5
    Senza voler far torto a Perahia, a Gould, a Leonardt, per le Suite Inglesi ricorro alla più bella edizione delle integrali di Bach - secondo il mio modesto avviso - edita dall'interprete stesso una ventina di anni fa.
    Infatti l'olandese Ivo Janssen ama così tanto Bach che non trovando chi gli stampasse i CD della sua integrale, se li è finanziati da se (ed io li ho comprati tra i primi).

    le sei suite inglesi qui sono prese con lo stesso feeling morbido, sensibile, deciso ma senza andare mai sopra le righe, di Perahia. Ma sono forse ancora più personali, sembra che ogni nota esca da una profonda meditazione personale.
    Non che manchino altre opinioni al riguardo, tutt'altro, ma se potete farlo, ascoltatevi l'integrale :

    e provate a scartare qualche cosa ...

    volendo restare controcorrente, per la versione clavicembalistica segnalo quella pubblicata nell'aprile 2020 da Musica Ficta con l'italianissimo Paolo Zanzu che nella foto che segue viene premiato dal Maestro Gustav Leonardt al Concorso Internazionale di Bruges

    ***
    6

    L'Oratorio di Natale
    Coro della Radio Svizzera, I Barocchisti, diretti da Diego Fasolis
    Brilliant Classics
    ***
    Io metterei SEMPRE questo disco al primo posto di qualsiasi classifica.
    E anche in questa proposta di dischi di Bach andrebbe al primo posto.
    Se non fosse che la disanima recita "fur alle" - "per tutti" e le Cantate non sono sempre per tutti.
    Ma se vogliamo affrontare Bach non possiamo escludere le cantate, almeno quelle sacre.
    E l'Oratorio di Natale è una raccolta di 6 cantate pensate per la settimana che va da Natale all'Epifania.
    Sono cantate differenti tra loro, alcuni raccolte e bucoliche, altre puramente celebrative con tre trombe e timpani.
    Tra le centomila edizione differenti che ci sono - e che io credo di possedere interamente ma me ne mancasse una ... c'è sempre Qobuz - quella che mi appassiona di più (io l'Oratorio di Natale l'ho fotografato durante le prove e poi durante il concerto in chiesa, cliccando sui timpani) è quella dei Barocchisti di Diego Fasolis.
    E' fresca, lucida, veloce, totalmente priva di ogni forma di retorica ma ... con l'inventiva e l'estro di chi conosce profondamente la musica italiana.
    La registrazione è un filo fredda con gli acuti in evidenza ma non si può avere tutto nella vita.
    ***
    7

    PSALM 51 BWV 1083 sullo Stabat Mater di Pergolesi
    Nancy Argenta e Guillemmette Laurens, Coro della Radio Svizzera, i Barocchisti, Diego Fasolis
    Arts
    ***
    Sempre andando controcorrente, propongo subito dopo l'Oratorio di Natale il Salmo 51, ovvero la versione tedesca di Bach dello strepitoso Stabat Mater di Pergolesi.
    Non è un plagio ma un tributo del più grande compositore tedesco (e di tutti i tempi) alla grandissima musica italiana che evidentemente gli capitava in mano.
    Se vi piace l'originale di Pergolesi questo è ancora più immanente, importante ... luterano.
    I Baorcchisti e Fasolis sempre molto limpidi eppure ricchi di inventiva. Voci assolutamente senza possibilità di critica IMHO.
    8

    Concerti per clavicembalo e orchestra BWV 1054, 1055, 1058, 1063, 1064
    Ton Koopman e The Amsterdam Baroque Orchestra
    Erato
    ***
    Torniamo allo strumentale con i meravigliosi concerti per clavicembalo e orchestra.
    Sono concerti virtuosistici che anticipano il concerto per pianoforte e orchestra che imporranno i figli di Bach al mondo musicale europeo.
    La contrapposizione tra il solista e il tutti lascia piano piano spazio all'unico strumento qui in evidenza - rispetto al modello del concerto grosso all'italiana o alla francese - con uno svolgimento ampio.
    Non c'è ancora la contrapposizione tra due temi antitetici ma lo sviluppo c'è tutto. Anche con accenni di cadenze.
    Per i due o tre li fuori che considerano ancora il clavicembalo uno strumento da gente incipriata e imparruccata e che non possono fare a meno di assopirsi appena lo ascoltano, ci sono evidentemente decine di versioni anche con il pianoforte al posto del cembalo.
    Io li considero un pò eretici ma si trova del buono anche in quello strumento, se lo strumento è buono e lo è altrettanto la mano di chi la suona (parafrasando le parole del vecchio Bach al giovane Fritz nella sua visita a Potsdam per salutare il figlio Emanuel).
    In questo caso vi suggerisco il garbo assoluto di David Fray sia nei concerti per un solo clavicembalo che in quelli - meravigliosi - per 2-3-4 da Vivaldi :


    che sono impagabili e strepitosi (anche per la presenza del Maestro Rouvier)
    9

    Orgelwerke (opere per organo) Vol. 1
    Peter Kofler, organo di San Michele a Monaco di Baviera
    Farao
    ***
    Accettato il clavicembalo, possiamo anche cercare di digerire l'organo.
    A me affascina l'idea dell'organista cattolico che suona un organo costruito da un cattolico nella chiesa delle più cattoliche città della Germania, la musica di un assoluto luterano.
    Questo disco è il primo volume di quella che credo diventerà l'edizione di riferimento per le opere organistiche di Bach.
    L'interpretazione è canonica e libera allo stesso tempo, l'organo sontuoso, la registrazione oltre i limiti fisici del supporto.
    Il programma è di quelli classici, senza troppa componente di corali da messa, quindi godibile anche per il profano.
    Naturalmente ci sono diecimilioni di altre edizioni disponibili. Voi fidatevi di me per questa.
     
    10

    Variazioni Goldberg
    Murray Perahia
    Sony 2000
    ***
    Escludiamo dal novero opere celebrali come l'Arte della Fuga o l'Offerta Musicale.
    Le messe, i mottetti, altre cantate, variazioni e trascrizioni di musiche altrui (come il meraviglioso concerto di Alessandro Marcello).
    Le partite, le toccate ... etc. etc.
    Un sito che si chiama Variazioni Goldberg in omaggio al fondamento della musica occidentale, non può che chiudere con queste.
    Anche qui abbiamo un milione di edizione, al cembalo, al piano, all'arpa, all'organo, all'orchestra d'archi, il quartetto, lo xilofono e il vibrafono.
     
    Io scelgo ancora l'umanità di Murray Perahia nell'edizione del 2000.
    Ma naturalmente non si può prescindere dall'aver almeno ascoltato una volta nella vita le variazioni di Glenn Gould edizione 1955 ...


  4. M&M

    Bach Kantatenwerke
    Cantata monumentale - circa 40-44 minuti - complessa e complicata.
    Composta a Waimar nel 1713 ma rivista poi a Lipsia in più occasioni.
    Ha un organico ampio ed è sostanzialmente divisa in due parti, la prima caratterizzata da profondo sofferenza (lutto) mentre la seconda è più leggera e termina in un coro di grande gioia e speranza.
    Si compone di 10 brani dopo una iniziale sinfonia che dura circa 3 minuti.
    La prima fonte autografe la classifica come "Concerto" "Per ogni tempo" e pare che nella sua prima veste di Weimar sia stata composta per le esequie di una donna della corte, celebrate l'8 ottobre 1713 nella chiesa di San Pietro e Paolo.
    Questa prima versione era probabilmente composta dai soli cinque numeri vocali (coro iniziale, due arie intervallate da due recitativi, coro finale).
    Ampliata l'anno successivo e riproposta il 17 giugno 1714 per la Terza domenica dopo la Santa Trinità (nel ciclo di cantate mensili sottoscritto da Bach), con i recitativo-duetto e l'aria e coro finali.
    Durante gli anni di Cothen probabilmente fu ulteriormente rivista e ridata in occasione di una visita di Bach ad Amburgo quello stesso novembre (occasione infausta, venendo a quattro mesi dalla scomparsa della prima moglie di Bach ma intonata all'occasione della prima stesura e al tono commiseratorio della prima parte della cantata stessa).
    Quindi rivista definitivamente a Lipsia dopo alcune ulteriori riprese a Cothen a conferma dell'amore dell'autore per questo lavoro.
    La revisione comunemente rappresentata oggi è quest'ultima di Lipsia con l'aggiunta della sinfonia iniziale.
    In questa versione (1723) abbiamo soprano, tenore e basso, coro a quattro voci complete e un organico che comprende  tre trombe e timpani per il movimento finale, quattro tromboni  ( solo nel Movimento 9 e solo nella 5a versione a doppie voci nella quinta strofa del corale), oboe, due violini, viola, e basso continuo con fagotto e organo esplicitamente prescritto.
    L’influenza italiana poteva essere immediatamente percepita nella musica di Bach durante la sua permanenza a Weimar. Nel coro di apertura di questa cantata, "Ich hatte viel Bekümmernis", si possono sentire chiari echi di uno dei concerti di Vivaldi.
    Ma se nella prima parte i toni sono particolarmente drammatici, nella seconda si sentono spesso tratti quasi operistici.
    La sinfonia altro non è che un adagio da un concerto per oboe e violino, forse perduto, dell'epoca.
    Il duetto tra primo violino e oboe concertanti è ripetuto nel corso della composizione.
    Il primo coro é un movimento fugale impostato sulla parola "Ich" ripetuta dalle quattro voci che poi si perde in una polifonia libera.
    Anche il coro finale inizia con un mottetto polifonico che poi sfocia in una fuga fatta di permutazioni con la prima tromba.
    Le entrate sono 14 - il nome J.S.Bach in notazione musicale - doppio di sette, secondo la cabala della vittoria pasquale di Cristo dell'Apocalisse.
    Quindi composizione grandiosa, vicina agli oratori e al Magnificat, di cui esistono decine di interpretazioni di pregio.
    Citiamo al solito quella di Gardiner (secondo Volume del ciclo del Pellegrinaggio, SDG del 2010), oltre a quella pregevole di Suzuki (vol. 2 del ciclo BIS del 2000).
    Immanente e solenne quella di Herreweghe per harmonia mundi del 1990.
    Ma ce ne sono sia di più recenti e filologicamente informate che meno, più antiche, come la classicissima di Karl Richter del suo ciclo di Monaco.
    Ma dovendone preferire una su tutte, citeremmo quella di Shunske Sato nella celebrata edizione in corso della benemerita Netherlands Bach Society, disponibile su Youtube.
    Brillante, a tratti effervescente, severa ma non troppo, con momenti di pura elevazione concertistica, praticamente con tutte le parti inappuntabili.
  5. M&M
    Busoni, Brahms, concerti per violino e orchestra
    Francesca Dego, violino
    BBC Symphony Orchestra diretta da Dalia Stavevska
    Chandos, 1 marzo 2024, formato 96/24 via Qobuz
    ***
    Quando è morto Brahms, Busoni aveva circa l'età che aveva Brahms quando è nato Busoni.
    Era nel pieno della maturità e come tutta la generazione di compositori mitteleuropei del suo tempo, viveva bel culto del grande tedesco.
    Nonostante Liszt, Wagner e l'arrivo della nouvelle vague francese e austriaca.
    All'epoca della composizione del suo concerto per violino, per Busoni, Brahms era il riferimento dei conservatori, l'apice del triangolo Bach-Beethoven-Brahms.
    Eppure nessuno assocerebbe nella stessa frase Brahms e Busoni, tanto sono compositori opposti.
    Contorto ma semplice, Brahms, quasi ascetico spesso. Complicato, eccessivo, esagerato, Busoni.
    Abbiamo una prova nella trascrizione della Ciaccona di Bach dei due. Brahms trascrive semplicemente la sua mano sinistra, senza aggiungere nulla alla partitura originale.
    Busoni invece la riscrive in senso sinfonico.
    La stessa cosa che ha fatto rivedendo buona parte dell'opera tastieristica bachiana, mentre la ripubblicava all'inizio del '900.
    Lo fa in senso lisztiano e per certuni, Busoni è il più grande pianista dopo Liszt.
    Spesso è eccessivo anche in quello ma per me la riscrittura del Preludio e Fuga BWV 552 di Bach fatta da Busoni va nel senso Bachiano del brano, oltre il segno ma non oltre il significato.
    Insomma, io sono legato al Busoni appassionato conoscitore della musica dei secoli precedenti, un pò meno per le sue creazioni, effettivamente spesso fuori ... dal vasino.
    Questo concerto per violino, pensato pensando a quello di Brahms è invece una pura composizione tardo romantica. Niente a che vedere con Sibelius o con Nielsen ma lo possiamo considerare un vero gioiello, purtroppo sempre fuori repertorio.
    Dove vediamo troppi concerti di Mozart o di Vivaldi o di Bruch, forse questo Busoni qualche volta ci può stare.
    Ringraziamo Francesca Dego che lo ha ripescato.
    Perché ?
    Per il suo legame con Brahms che in questa edizione è concreto.
    Brahms, nella tradizione classica ha omesso le cadenza dal suo concerto. Dove ha lasciato lo spazio ha semplicemente messo un punto. Lasciando che fosse il solista a fare la sua.
    Naturalmente quella del dedicatario Joseph Joachim passa come riferimento. Ma c'è una interminabile sequenza di cadenze, passate e recenti per il concerto di Brahms - l'imperatore dei concerti per violino - ognuna a suo modo, giusta.
    Ruggero Ricci credo che sia riuscito a registrarle tutte, se non vado errato. Compresa la "sua". E poi c'è quella di Heifetz, di Ysaye, Kreisler.
    Francesca Dego in questa sua interpretazione del concerto di Brahms usa la cadenza di ... Busoni.
    Che studiò anche violino, come Beethoven e Brahms ma che come Beethoven e Brahms aveva il pianoforte sempre in mente.
    Busoni non ne era particolarmente orgoglioso. Confidava alla moglie di aver rubato da Beethoven il duo con i timpani.
    Poco male perché Brahms stesso confessava a Joachim di aver rubato da Beethoven.
    Insomma, il concerto di Busoni, molto originale, specie nel secondo movimento, potrebbe essere stato anche scritto da Brahms, se fosse vissuto fino al '900.
    Mentre Busoni sentiva particolarmente suo quello di Brahms, e nel suo concerto si sente.
    Non è plagio e proprio respirare la stessa aria ed essere immersi nello stesso humus.
    Busoni è italiano ma la madre, grande pianista, era in parte tedesca. E Ferruccio si formò nell'ambiente culturale tedesco.
    Non sappiamo esattamente quando Brahms e Busoni si incontrarono. Ma Brahms consigliò a Busoni da chi studiare contrappunto e poi scrisse una lettera di raccomandazione in suo favore per Carl Reinecke a Lipsia, dove Busoni si perfezionò.
    Brahms perse poi interesse per il giovane ribelle e Busoni per il vecchio conservatore.
    Ma il giorno del funerale di Johannes dopo essere stato tra chi aveva portato la bara in spalla, suonò il concerto in re minore Op. 15 del vecchio maestro in suo ricordo.
    Anche il concerto di Busoni è dedicato ad un amico violista, Henri Petri, che non a caso aveva studiato con Joachim. Così si chiude il cerchio.
    In vita di Busoni il suo concerto ebbe grande successo, anzi, fu tra i suoi più celebrati brani. Poi sbiadì alla memoria.
    Del concerto di Brahms è inutile parlare. E' talmente elevato che si può permettere di guardare gli altri con la condiscendenza che il suo autore mostrava per gli altri, almeno quando era sobrio.
    Francesca Dego nelle sue note al disco ammette che se è costretta a confessare chi sia il suo autore preferito, dice con convinzione che è Brahms.
    Ha suonato tutto il repertorio e il concerto in re maggiore all'età di quindici anni con quello che sarà suo marito che l'accompagnava al pianoforte nella prima lettura.
    L'uso dei tempi annotati da Joachim, veloci, hanno reso il suo approccio meno reverenziale di quanto ci si aspetterebbe.
    Qualcuno dice che non si dovrebbe portare in pubblico prima dei quaranta anni, come se il vecchio barbuto fosse li a guardarti.
    Così il concerto è "maschio" quanto deve, senza quell'autocompiacimento che spesso si trova in altre letture.
    Bello e frizzante.
    Mentre per quanto riguarda il concerto di Busoni porto proprio le note della Dego :
    "Busoni compose il suo Concerto in re maggiore quando aveva trent'anni ed era immerso in un turbinio di impegni concertistici attraverso l'Europa. È dedicato a Henri Petri, allievo di Joachim, e permeato con lo spirito del capolavoro di Brahms, allusioni che a volte emergono in modo diretto
    omaggio e talvolta come spettro inevitabile. Il trillo sospeso prima del violino – dopo aver vagato su e giù per la tastiera in una cadenza prolungata – raggiunge il nobile e il tema solenne nel primo movimento potrebbe culminare altrettanto facilmente nel tema del concerto di Brahms e l’impennata dell’oboe
    presenzia nell'introduzione al secondo movimento, insieme al melodico letterale e citazioni ritmiche nell’ultimo movimento coda, fornisce un'atmosfera personale ed esilarante svolta a quel classico. La Cadenza che Busoni scrisse per il primo movimento del concerto di Brahms (che, ovviamente, ho scelto di suonare
    in questa registrazione!) utilizza anche linee e tecniche soluzioni simili a quelle del suo concerto. Quando ho iniziato a studiare ed eseguire il lavoro di Busoni, il fatto che questi due concerti erano così strettamente intrecciati uno dei motivi per cui me ne sono innamorato.
    È un gioiello di per sé, ma il fatto è che utilizza una tela così tradizionale per uso personale e le idee innovative non fanno altro che renderlo più attraente. Busoni si considerava di più un compositore tedesco che italiano ma la sua anima e l'essenza sgargiante di un vero virtuoso (secondo solo a Paganini  nella storia
    storia della musica italiana !), risuona in questo gioioso e pezzo assurdamente impegnativo. Credo che se Liszt avesse scritto un concerto per violino avrebbe contenuto questo tipo di energia e intenti (e, come quello di Busoni, denso e armonico secondo movimento originale da morire !).
    Essere in grado di registrare il concerto per violino di Brahms è un sogno e una pietra miliare per tutti violinista e sento che con il “mio” Brahms è così non voglio competere con tanti splendidi versioni disponibili ma invece di dichiarare il mio amore e la mia storia con il mio concerto per violino preferito.
    ll Concerto di Busoni, invece, è un lavoro raramente eseguito, portato in studio solo una manciata di volte. Rappresenta un diverso tipo di responsabilità, che mi ha spinto a voler riscoprire ogni dettaglio di questa musica come se non fosse mai stata suonata Prima. Mi sento privilegiata di averlo potuto fare
    in compagnia della straordinaria Orchestra Sinfonica della BBC, che hanno portato la loro esperienza, la loro profondità di suono e una storia dell'eccellenza per Brahms da un lato, e la loro tecnica completa la gioiosa curiosità di Busoni dall'altro."

  6. M&M

    Recensioni : Musica da Camera
    Ferruccio Busoni  Quartetti per Archi n.1 Op. 19 in Do maggiore, n.2 Op. 26 in Re minore - Pellegrini Quartett
    CPO, settembre 1994, formato 44.1/16

    ***
    “L'idea popolare secondo cui i suoi sforzi creativi fossero semplicemente il risultato dell'ambizione ultima di un virtuoso, quando non rimanevano più allori da conquistare nella sua sfera personale, è del tutto errata. Non ci sono dubbi che se fosse stato un musicista meno brillante, la sua musica avrebbe ricevuto maggiore attenzione. Questa è la grande tragedia della carriera di Busoni... Il significato di Busoni come compositore è stato spesso gravemente sottovalutato. Era riccamente dotato di talenti naturali, e possedeva poteri fenomenali in termini di padronanza tecnica e versatilità di risultati."
    Al conservatorio di Lipsia dove è andato su raccomandazione scritta al suo collega Carl Reinecke, Busoni studia il contrappunto e si perfeziona.
    Ha occasione di conoscere Chaikovsky, Mahler, Grieg e Delius.
    E' il 1886, il suo genio inquieto non gli permette di stare più di un anno a lezione ma si ferma tre anni in quella città.
    Sono di quegli anni (lui è intorno ai venti di età) questi due quartetti, composizioni giovanili per qualsiasi altro musicista meno dotato ma se tutta la sua opera giovanile fosse catalogata in senso cronologico questi sarebbero l'Opp. 208~221.
    Ci siamo capiti.
    Già nel 1890, a 24 anni, riceve l'incarico di insegnare al Conservatorio di Helsinki dove conosce Sibelius. Poi vince il premio Rubinstein ma rinuncia alla carica a Mosca per intraprendere la carriera di concertista in giro per il mondo, America per lo più.
    Quando torna in Europa si ferma a Berlino. Non ha trenta anni ma è più che maturo artisticamente.
    Se il primo quartetto è una composizione in tono maggiore che deve molto a Schubert e a Mendelssohn anche se l'intreccio contrappuntistico è chiaramente bachiano, il secondo ha un debito nei confronti di Brahms.
    Il Quartetto per archi n.2 in re op.26 risale al 1889, l'ultimo anno trascorso da Busoni a Lipsia, momento in cui non studiava più al Conservatorio. Il Quartetto inizia con un Allegro energico massiccio e molto potente . Dopo 3 accordi all'unisono, il violoncello produce un tema minaccioso che viene suonato su una nota di pedale bassa e lunga nel 2° violino e una serie di crome frettolose della stessa altezza nella viola. C'è un immediato senso di urgenza. La tensione cresce man mano che questo tema viene sviluppato. All'improvviso, un secondo tema furioso ed eroico di potenti crome esplode mentre la viola e il 2° violino ne presentano ciascuno una misura e mezza in un passaggio virtuosistico. Troviamo tonalità tradizionali sapientemente intervallate dalla modernità e la musica è praticamente irta di idee originali e insolite. Il secondo movimento é un beethoviano, Andante con moto , è molto più tradizionale. Inizia come un duetto adorabile e malinconico tra il violoncello e il primo violino. Segue un Vivace assai . È uno scherzo che potrebbe essere la musica perfetta per un inseguimento frenetico lungo un passaggio buio ma illuminato da torce sotto un castello medievale. Busoni apre il finale con un'introduzione, Andantino . È pensieroso anche se non minaccioso e non ha alcuna relazione con lo stato d'animo del movimento principale, Allegro con brio (mitt Humor) . Il primo tema è affidato al solo violoncello e lo sviluppo inizia con una breve fuga che viene progressivamente dilaniata da un processo di disintegrazione cromatica. Per essere il 1889, qui si possono trovare molte tonalità avanzate e nuove idee ritmiche che preludono al primo quarto del secolo seguente.
     
    Non stento a definirlo un capolavoro, molto originale e perfettamente riuscito. Dovrebbe essere nel repertorio stabilmente, almeno quanto i quartetti di Britten o di Bartòk.
    Ma è il salto tra i due quartetti, distanti cronologicamente di un triennio che mostra una maturazione sorprendente.
    Ovviamente queste composizioni non sono affatto frequentate.
    Questa del Pellegrini Quartett è a mio avviso la migliore scelta, quella del Quartetto Italiano è disponibile ma a me sembra mancare della normale profondità di quella straordinaria compagine.
    Esiste anche un altro disco del The Busoni String Quartet che non mi sembra di questo livello.
    Qui c'è coesione, tensione, rispetto, inventiva, ritmo.
    Tutto quello che serve per rendere un servizio a quello straordinario compositore.
    Registrazione eccellente anche se in normale formato CD.
     

    Antonio Pellegrini- Thomas Hofer – violino Fabio Marano - viola - Helmut Menzler violoncello
    [questa è l'attuale formazione del quartetto Pellegrini, diversa da quella della registrazione]
  7. M&M

    Recensioni : Masterpieces
    Richard Wagner, trascrizioni per pianoforte dall'Oro del Reno, La Valchiria, La Caduta degli Dei, Parsifal, Tristano
    Di Louis Brassin, Felix Mottl, Franz Liszt, Zoltan Kocsis e Nikolai Lugansky
    Harmonia Mundi, 8 marzo 2024, formato 96/24, via Qobuz
    ***
    Che Nikolai Lugansky sia uno dei più straordinari pianisti del nostro tempo, non lo dico solo io.
    Con il tempo ha perso un pò dell'ardore giovanile ma ha guadagnato enormemente in profondità.
    L'ho capito con il disco dedicato a Cesar Frank del 2020 e mi scuso di averlo fatto in ritardo.
    Qui abbiamo una prova che però va oltre, perché qui il pianista si appropria personalmente di pagine complicate già in originale, difficilissime da rendere al pianoforte.
    Perché tolto Liszt, che era innamorato del genero Richard e che lo faceva apparire quasi una sorta di semidio della scena musicale del suo tempo - con grande scorno del vecchio Brahms che detestava tutta questa sceneggiata - gli altri trascrittori di Wagner hanno più che altro popolarizzato le partiture per renderle potabili ad amatori e pianisti accompagnatori di cantanti in cerca di un futuro wagneriano quando le audizioni con l'orchestra erano rare.
    Ma qui abbiamo ben altro, queste sono prove d'amore che accentuano ancora di più la curiosità che - almeno in questa vita - non potrò soddisfare, di sentire l'altro appassionato interprete di Wagner che però ha lasciato quasi nulla di registrato (mentre sappiamo che passava notti intere alle prese con Tanhauser e Siegfried), ovvero l'ineffabile Glenn Gould.
    La selezione qui è facile, dal prologo dell'oro/anello del Reno si arriva dritti alla morte di Sigfrido e la cadute degli dei. L'amore dell'algida Brunilde per l'unico eroe capace di suscitarle vera passione, l'amore di Isotta per il suo traghettatore Tristano.
    L'amore ascetico dell'eroe puro Parsifal, scevro da ogni carnalità.
    Il pianismo di Lugansky trascende ogni considerazione tecnica, permea l'anima, scolpisce la forma sonora e la offre, dono supremo, a chi è capace di ascoltarlo.
    Non è musica per tutti, già nella sua forma originale, dove il suono puro e viscerale di Wagner è preludio al canto rivelatore della trama. Qui siamo oltre, è comunicazione non verbale. Lo scopo ultimo della musica.
    Lugansky non ci arriva, va ben oltre.
    L'unico rammarico è che abbia usato l'arrangiamento di Liszt per l'idillio dei due amanti maledetti di Cornovaglia. Sono sicuro che lui é capace di fare altrettanto.
    Ma certo, dalle lacrime che mi bagnano entrambi gli occhi, posso confermare che si tratta di un trio inarrivabile : Richard, Ferenc e Nikolai.
     
    Ma prima di indugiare oltre nel meloframmatico, facciamo parlare l'amico Nikolai Levic (lo considero praticamente un cugino moscovita, nato, qualche anno e solo qualche giorno dopo di me e Prokofiev) [traduzione automatica]
    "Alcune persone potrebbero essere sorprese nel vedermi dedicare un album a Wagner. Ma mi ha affascinato per lungo termine. Ricordo ancora il primo grande impatto che Wagner ebbe su di me: avevo appena compiuto diciotto anni o più diciannove ed erano gli albori dei compact disc.
    Con i pochi soldi che avevo mi comprai un CD di estratti The Ring con la Cleveland Orchestra diretta da George Szell in uno dei miei primi viaggi all'estero. È stata una rivelazione, e da allora Wagner non ha mai smesso di affascinarmi. Anche la sua personalità è sorprendente: non ne conosco nessun altro artista della storia che aveva una tale forza creativa, un'energia così sconfinata. Al punto da non permettere mai alcuna critica – e chissà quanto di ciò ha ricevuto da lui durante la sua vita – rimane senza risposta, punto per punto. È come se tutto ogni ostacolo, ogni tragedia personale, gli dava una forza ancora maggiore. Come artista – e come uomo – era così sicuro di sé, dell'importanza di ciò che aveva da offrire al mondo!
    Ho tre opinioni diverse sulla sua musica, a seconda di quando l'ha composta. C'è stato il primo periodo, quando scriveva la sua Sinfonia in do maggiore e numerose opere per pianoforte; e se ci limitiamo a guardare oltre questi pezzi, non vedo come c'era qualcosa di promettente in loro. Poi sono arrivati Rienzi, Der fliegende Holländer, Tannhäuser: ecco la musica oscilla tra il buono e l'ispirato. Infine, tutto ciò che ha scritto da Lohengrin in poi è puro genio.

    Questo è molto insolito per un compositore: nella maggior parte dei casi si possono individuare i semi del genio nelle primissime opere di lui. Lo so è in questo periodo finale della sua produzione, e in particolare nelle scene del ciclo monumentale Der Ring des Nibelungen, che mi hanno scelto di presentare qui.
    Mi è difficile riassumere in poche righe tutto ciò che accade nelle quattro opere che compongono l'Anello.
    Dobbiamo ricordare che, con lui, le cose sono spesso molto binarie: hai l'energia nera da un lato e l'energia bianca dall'altra. È così che funzionano i miti: ci sono eroi e personaggi oscuri; buono e cattivo. Per me, la nozione chiave di l'Anello è l'antagonismo tra il potere associato alla ricchezza da un lato, e l'amore dall'altro.
    L'anello può esercitare il suo immenso potere solo se la persona che lo possiede ha rinunciato all'amore. Questo è molto profondo idea, valida oggi come lo era nel Medioevo! Per Wagner non c'è differenza tra ideale, amore platonico e carnale. Das Rheingold inizia con Alberich che rinuncia all'amore per mettere le mani sull'oro.
    Il primo brano che suono, "Entry of the Gods into Valhalla", costituisce la sezione conclusiva di Das Rheingold. È una scena del trionfo: Wotan, il sovrano degli dei, prende possesso del palazzo che si è fatto costruire dai giganti Fasolt e Fafner, due fratelli che si uccideranno a vicenda per ottenere l'anello d'oro, che Wotan dona loro dopo aver rubato ad Alberich. Ma Alberich ha lanciato una maledizione sull'anello. Per questo passaggio ho combinato quello di Louis Brassin trascrizione con la mia versione delle ultime grida delle Figlie del Reno, che lamentano la perdita del loro oro. Il secondo il pezzo, questa volta interamente di mano di Brassin, è la 'Magic Fire Music', che chiude Die Walküre. Qui Wotan punisce la sua amata figlia Brünnhilde per avergli disobbedito. La addormenta e la circonda di un fuoco invalicabile:
    solo chi oserà penetrare in questo cerchio magico potrà risvegliarla. Questo è ciò che dice il giovane Siegfried, l'impavido eroe, andrà bene. (Per inciso, vale la pena notare che l'anello sembra aver perso il suo potere quando Siegfried ne prende possesso di esso. Naturalmente è vero che Siegfried e Brünnhilde sono appassionatamente innamorati – il loro amore sembra aver trionfato sulla maledizione.)

    Poi passo direttamente alla fine dell'Anello, con quattro estratti dal Götterdämmerung. La prima scena è tratta da il Prologo dell'opera: 'Alba'. Siegfried e Brünnhilde si risvegliano dopo una notte d'amore. Questo è un numero splendido, luminoso e pieno di energia. Corrisponde alla forza vitale dell'eroe, che sente il bisogno di cercare il suo destino altrove – gli eroi sono viaggiatori, hanno bisogno di esplorare il mondo. Il che ci porta al secondo brano che interpreto: "Il Reno di Siegfried".

    Viaggio'. Dopo questo interludio incredibilmente brillante arriva la “Marcia funebre di Siegfried”, un pezzo grandioso. Il mondo ha perde l'eroe più radioso della storia, viene assassinato vigliaccamente, e sua moglie Brünnhilde chiede vendetta. IL la scena finale dell'opera la mostra mentre si uccide su una pira, trascinando con sé il vecchio mondo contaminato. E l'anello potrà finalmente ritornare al suo posto in fondo al Reno. . . 
    Questa scena illustra una meravigliosa redenzione attraverso l’amore. Spesso vengono tracciati parallelismi con la vita di Wagner, e sappiamo che egli attribuiva grande importanza al successo sociale, il denaro e il potere che il denaro fornisce. Ma l'essenziale per lui era l'amore: amore umano, amore per la musica, amore per
    arte. Questi numeri mi perseguitano da tempo: ho concepito queste trascrizioni più di venti anni fa, e le ho messe gli ultimi ritocchi solo pochi giorni prima delle sessioni di registrazione.
    Successivamente ascolto due trascrizioni del Parsifal. La "Musica della trasformazione" del primo atto, che mostra i cavalieri preparandosi a svelare il Graal, la coppa da cui Gesù Cristo bevve il vino e lo condivise con i suoi discepoli nell'Ultima Cena. Ogni volta che i cavalieri desiderano celebrare questa cerimonia, il loro condottiero Amfortas soffre un dolore atroce come il suo la ferita si riapre. La ferita gli ricorda anche il suo peccato: fu colpito perché desiderava il bello Kundry! Segue qui il finale dell’opera: Parsifal è divenuto un valoroso cavaliere, e un saggio, sant’uomo, ora capace di curare Amfortas dalla sua ferita e il mondo dai suoi peccati. Qui ho utilizzato la meravigliosa trascrizione del grande pianista ungherese Zoltán Kocsis. Per la “Transformation Music”, invece, ho basato la mia performance su una partitura del direttore d'orchestra Felix Mottl, caro amico del compositore che partecipò alla realizzazione del primo Ring completo
    a Bayreuth nel 1876.

    Quando si parla della musica di Wagner, viene spontaneo pensare alla sua ispirata gestione dei timbri orchestrali. Ma è fantastico le opere vanno ben oltre questo singolo aspetto, per raggiungere l'universalità. Ecco perché l'idea di presentarne alcuni dei suoi più momenti affascinanti al pianoforte, farli miei, per così dire, mi sembra del tutto legittimo. È vero esistono almeno due concezioni di trascrizione: o si rimane fedeli all'originale con lo scopo di farne a conosciuto il proprio lavoro e diffondendolo al più vasto pubblico possibile, come avveniva quando non esistevano registrazioni o trasmissioni radiofoniche; oppure c’è un modo più libero e più aperto di lasciare che il pianoforte prenda il sopravvento su questi straordinari narrativa con le proprie risorse. Idealmente, per me, una trascrizione per pianoforte dovrebbe essere un'opera a sé stante. . . Nel caso di Wagner, quindi, l'ideale non è mantenere assolutamente tutte le voci orchestrali presenti nella partitura originale, ma per fare delle scelte e trovare un equilibrio che preservi la forza emotiva della musica. Liszt ne è un perfetto esempio ambivalenza: la maggior parte delle sue trascrizioni avevano essenzialmente lo scopo di promuovere i compositori che ammirava. Ma alcuni di essi si tratta di veri e propri capolavori pianistici, come Isoldens Liebestod, che è un vertice assoluto! È la fine di uno
    delle più grandi opere della storia, e probabilmente uno dei pezzi più belli mai scritti sull'amore e la passione. L'amore è presentato come ciò che conta di più, un’emozione che si eleva al di sopra di ogni moralità, “al di là del bene e del male”. L'amore che lega
    i nostri due protagonisti, simboleggiati dal filtro d'amore che bevono all'inizio dell'opera, li superano. Anche dopo la morte di Tristano, quell’amore non si spegne. Isotta non ha altra scelta che seguirlo, in una sorta di sacrificio d'amore. . . "
    NIKOLAI LUGANSKY
    ***
    Non ho molto altro da aggiungere.
    Immodestamente sono anche io caduto nelle maglie di Wagner più o meno all'età di Nikolai (ma una decina di anni prima), già in vinile e grazie a Von Karajan, prima con Rienzi e Tanhauser, poi con l'Anello. E infine con Parsifal che però resta lontano dalla mia indole (come i Maestri Cantori e Lohengrin). Per Tristano, la colpa é di Kleiber !
    Nonostante quello che dice Johannes, credo non sia disputabile la potenza della sua musica e il livello della passione umana che c'è dentro.
    Questo disco è su quel piano, anche in quello puramente tecnico. E' un monumento che Lugansky ha eretto per se stesso e per noi.
  8. M&M
    Provare delle cuffie per riferirne a persone che non si conoscono non è impresa facile.
    Chi lo fa con nonchalance (il web ne è pieno, non parliamo di Youtube) è un millantatore o uno che mente sapendo di mentire.
    E chi inventa vocaboli o paragoni incomprensibili lo fa solo per buttare fumo negli occhi.
    Non parliamo di quando si fa un confronto tra due apparecchi.
    Passi se sono diametralmente differenti. Ma quando parliamo di cuffie top alimentate da un amplificatore over-the-top, ci vuole umiltà.
    E tempo.
    Quindi datemi tempo, vi prego.
    Cercherò di essere soggettivamente il più obiettivo possibile.
    Ma la musica e la sua riproduzione è il più grande amore della mia vita.
    Nato quando sono nato e che morirà quando le mie orecchie mi precederanno là dove sono Bach, Beethoven e Brahms.
     

    a sinistra, le HIFIMAN Arya V1 con i nuovi cuscinetti, a destra, le HE1000 Stealth.
    Sotto ai cavi, il supercarrozzato Audio-GD R27 HE.
     
    ***
    Per ogni considerazione generale sulle HE1000, la cui stirpe alligna sin dal 2015, rimando al precedente articolo :
     
     
    Come suonano le HIFIMAN HE1000 Stealth ?
    Come tutte le magnetoplanari aperte.
    Il suono è aperto, chiaro, brillante con un campo sonoro ben sviluppato (per quanto possibile nelle cuffie).
    I bassi sono estesi ma neutri, non sono cuffie da "bassisti", lo dice chiaramente la risposta in frequenza e lo conferma l'ascolto.
    Il pedale di un grand'organo si sente perfettamente fino in fondo, manca l'elemento tellurico, ci si aspetterebbe di sentire le panche vibrare.
    Estesissimo ma chiaro.
    Chi si aspetta da cuffie del genere un effetto speciale ascoltando musica elettronica o techno, ha sbagliato candeggio.
    Ma l'articolazione è estremamente più raffinata.
    In generale, lo dico senza snobismo, le HE1000 si comportano come ammiraglie.
    Non sono per un ascolto casuale e richiedono "orecchie educate" per farsi apprezzare.
    E una alimentazione di livello.
    In un primo momento le ho provate in parallelo con Arya ed HE400 SE con un SMSL 400DO, buon tutto in uno impostato su ES9038 e con una buona sezione di amplificazione.
    Forse il miglior apparecchio di questo tipo sotto ai 500 euro.
    Ebbene, non riuscivo a trovare differenze, pur dannandomi a cambiare tracce.
    Insomma, a costo di sembrare banale, non sono strumenti banali all'ascolto.
    Ci vuole orecchio. E ce ne vuole parecchio (cit. !).
    Ma soprattutto ci vuole un motore equivalente.
    Per questo anche con l'Audio-GD R28 (un all-in-one che si mangia tutte le creature asfittiche da meno di due chilogrammi di cui si riempiono la bocca gli "influencer" su UTUbe) mostrava un pò la corda.
    E quindi ho approfittato di uno scontone dell'IVA per sostituirlo con il fratellone R27 HE, un apparecchio che oltre ad avere il doppio dei moduli R2R vanta anche una alimentazione introvabile sulla terra.
    E alla fine, mentre le cuffie si scioglievano e le mie orecchie si "educavano", ho capito quello che il Dr. Fang ci vuole dire.
    Come i Master Chef lui non svela le ricette segrete ma propone tanti piatti sulla tavola, con tante fragranze diverse, molte volte simili ma non così sovrapponibili.
    Lui sa che i palati, come le orecchie, hanno gusti differenti. E i più raffinati non si accontentano della stessa pietanza tutti giorni.
    Un vero appassionato di cuffie avrà più strumenti, ognuno adatto ad un tipo di ascolto, di umore, di giornata, di occasione.
    Gli altri modelli di HIFIMAN sono di impressione più immediata. Queste richiedono più tempo per capirne l'essenza.
    E se una volta il loro costo era tale che questo poteva già svelare una parte del loro segreto, adesso che sono sullo stesso piano delle "sorelline" Arya, bisogna rifletterci sopra.
    Insomma. Preparatevi ad abbassare o ad alzare il volume. Dipenderà da molti fattori diversi.
    ***

    Silje Nergaard : Be still My Heart
    Abbondanza di sibilanti su una voce in primissimo piano.
    Pianoforte abbastanza esile. Riverbero complessivo che porta ad apprezzare la scena nel suo spazio, nonostante la voce sia proprio a centro-sinistra. Come se lei vi guardasse di tre quarti da sinistra.
    Volume che deve essere abbassato di parecchio.
     

    Rach 39/5, Babayan, DG
    Pianoforte gigantesco, acuti metallici, basso lungo, esteso ma in secondo piano.
    Volume che corre su di 15 punti.
     

    Diana Krall, California Dreamin'
    Minchiapapà, voce in primissimo piano e violini "elettrici" in attesa delle percussioni che si sommano, calde, ritmiche.
    La voce resta li in mezzo, con quella vaga venatura roca, visto che la Signora nel 2014 aveva già i suoi anni.

    Janine Jansen : Prokofiev, concerto per violino n.2, secondo movimento
    Conosco lo Stadivari del 1707 di questa registrazione come se fosse un vecchio amico.
    Qui rispetto al solito ha una voce un filino più stridulo e nervosa.
    In compenso i bassi pizzicati di accompagnamento sono di un volume ascoltato solo con i 15'' finora.
    L'effetto lacrima facile di Mauro arriva comunque subito dopo. Non ci posso fare niente. E' meglio dell'estratto di cipolla !

    L'organo della Thomaskirche di Lipsia riempie l'aria e sembra che riempia anche quella della piazza antistante e che il vecchio Bach stesso si possa alzare la da dove riposa.
    Pedale possente, medio deciso, acuti che risuonano. Tolgo il saluto a chi non riesce ad apprezzare una fuga a tre voci come la 548.
    Non ce la faccio a staccare l'ascolto devo andare oltre ... forse il più grande complimento che possa fare ad uno strumento di ascolto mentre lo provo.
    Si può separare ogni nota del pedale anche se il volume è oltre 60 e i manuali stanno asciugando letteralmente la cera dalle candele.
    Commozione e applausi a scena aperta. A Bach, a Bohme, a Fang.
    Ma mi sto distraendo e sono andato alla meravigliosa fuga in Re maggiore BWV 532 che anche io, nel mio piccolo, strimpellavo quando avevo dita buone ...

    Joni Mitchell/Herbie Hancock/Norah Jones : Court and Spark
    Pianoforte squillante e un pò metallico, bassi possenti, piatti spettacolari, voce chiara nella sua tonalità naturale.
    Meglio abbassare un pò il volume. La voce resta chiara, la scena ne acquista in naturalezza.
    Molto naturale il sax.
    Anche Edith & The Kingpin, con Tina Turner si apprezza di più ad un volume più moderato ma per ascoltare ogni nuance dell'accompagnamento dovrete sacrificare qualche pò di udito.
    La batteria è tridimensionale e si sente il sax soffiare.
    Anche Amelia, con la stessa Joni Mitchell è allo stesso livello. Dal vivo.
    Sul piano del test, è bellissimo avere a disposizione nella stessa registrazione e sullo stesso set, voci così diverse, caratteristiche e conosciute.

    la meravigliosa registrazione dei Mottetti di Bach del Pygmalion ha una estensione di scena esagerata.
    Qui si individuano i gruppi di cantanti sulle voci quando intervengono (Komm, Jesu, komm BWV 229).
    Io però continuo a sentire delle squillanti un pò "cattive".
     

    AC/DC : Highway to Hell

    Devo ripartire tre volte perché un riverbero così non l'avevo ancora sentito in vita mia.
    La voce è più alta che dal vivo. Bassi che per me sono altro che presenti.
    Chi cerca di più, sinceramente avrà bisogno presto anche dell'apparecchio acustico ... !
     

    Il 24° capriccio di Paganini con l'Anselmo Bellosio del 1775 di Alina Ibragimova si fa apprezzare ad alto volume.
    Qui sento le inflessioni dell'archetto e il cambio di tono dello strumento che segue duttile la mano dell'artista.
    Bella prova. Registrazione di 10 piani sopra quella Decca della Jansen.
    ***

     
    Confronto sintetico
    Non vi annoio con la ripetizione dei miei commenti di ascolto. Le mie Arya sono più che rodate. Adesso le sto imparando a conoscere con i nuovi cuscinetti che, non si direbbe, ma ne hanno "arrotondato" il suono, incrementando il basso profondo e il medio.
    Restano meno sensibili delle HE1000 e quindi in un confronto immediato è necessario alzare il volume.
    Nel complesso e con le stesse tracce che vedete sopra, mi sembrano più indicate per un ascolto di tutti i giorni.
    Dove non si chiede di essere stupiti nell'immediato con una prestazioni eccezionale.
    Sono anche più portate a perdonare nefandezze di registrazione, specie lato acuti. Sibilanti e microfoni troppo ravvicinati risultano più addomesticati rispetto alle HE1000.
    Se dovessi usare solo poche parole per definirle direi naturali e umane.
    Questo aiuta a contenere la stanchezza di ascolto che, non so a voi, ma per me è sempre dietro l'angolo con le cuffie (io non sono proprio in grado di ascoltare cuffie chiuse per questa ragione).
    E rende piacevole continuare ad ascoltare musica.
    Un pò il carattere delle elettrostatiche.
    Le HE1000 Stealth al confronto sono decisamente più analitiche, portano in evidenza i dettagli, aumentano ed amplificano ogni contrasto.
    Sono, se mi permettete un paragone tirato per i capelli, una versione ad alta definizione VS una a definizione normale.
    Le HE1000 Stealth stupiscono per il microcontrasto e per l'impatto. Si sentono cose che non si sentono facilmente con altre cuffie (e quasi mai con i diffusori).
    Come se fossero dei monitor professionali mettono tutto in evidenza. Qualche volta troppo.
    La scena è più ampia. Molto di più.
    Il basso sembra più profondo, nella realtà è solo più veloce ed efficiente.
    Insomma, stupiscono. Ma un pò stancano per la loro brillantezza, per me, eccessiva. Secondo me hanno bisogno di maturare e di perdere un pò di eccesso di brillantezza per diventare compagne di tutti i giorni.
    Ma se vi volete stupire ed emozionare, avete orecchie buone e un amplificatore/DAC Top Of The Line, allora sono la scelta per voi.
    Potendo, io sceglierei una o l'altra a seconda dei casi. E a seconda di altri (per esempio con la musica da camera) sceglierò le elettrostatiche Jade II.
    Conclusioni
    Insomma, forse non ho risposto alla domanda.
    E' vero.
    Le HE1000 Stealth sono cuffie eccezionali. E se dovessi paragonarle ad un obiettivo Nikkor (in fondo siamo ospiti su Nikonland) le paragonerei al 138/1.8 S Plena.
    "Eccezionale ma non per tutto o per tutti".
    Lo stesso per queste cuffie. Con le Arya più simili al 50/1.2 S.
    Non pensate di comperarle perché sono le ammiraglie di gamma. Magari le Arya, le Ananda o le XS per voi saranno meglio.
    Io non vi so aiutare.
  9. M&M

    Recensioni : Opera
    Marc Minkowski e Les Musiciens du Louvre tornano a Händel con una registrazione integrale dell'opera Alcina del 1735.
    Il ruolo della protagonista è interpretato da Magdalena Kožená, che ritorna con Les Musiciens e il maestro Minkowski a vent'anni dal debutto con il Giulio Cesare dello stesso Handel.
    A lei si unisce un'eccellente cast di solisti, composto da Erin Morley (Morgana), Anna Bonitatibus (Ruggiero), Elizabeth De Shong (Bradamante), Alois Mühlbacher (Oberto), Valerio Contaldo (Oronte) e Alex Rosen (Melisso). 
    Pentatone 2 febbraio 2024, formato 96/24, via Qobuz
    ***




    Erin Morley al culmine della sua straordinaria interpretazione di "Tornami a vagheggiar"

    l'elenco dei cantanti al debutto alla Scala lo scorso giovedì 8 febbraio, unica data della tourné in corso di questa opera, in contemporanea con il lancio del disco, come si conviene, non solo per i tour delle rockstar.
    Il ritorno di Magdalena Kožená nel frattempo diventata una star mondiale alle origini che la lanciarono, splendida Cleopatra, proprio con Minkowski e i suoi musicisti nel 2003 nel più splendido dei Giulio Cesare disponibili su disco.

    cd Archiv che ho letteralmente consumato, con una compagine di voci semplicemente inarrivabile

    Minkowski davanti al sipario scaligero.
    Intanto Alcina è diventata un'opera di cartellone con molteplici incisioni, l'ultima che ricordo con Joyce Di Donato e Sonia Prina con Alan Curtis sempre per Archiv del 2009, oltre al video, lo stesso Minkowski con Anja Harteros e poi Rousset nel 2015 e Andrea Marcon, ancora nel 2015 con Patricia Petibon e Philippe Jaroussky.
    Nel ruolo di Alcina storicamente ci sono state, la prima in tempi contemporanei, Joan Sutherland, e poi Arleen Auger e Reneé Fleming più recentemente.
    L'opera, del 1734-1735, è l'estremo sforzo di Handel alla crisi della moda londinese per l'opera all'italiana con prime donne italiane.
    Le mode passano ma soprattutto gli eccessi delle primedonne (compresi i castrati) italiani che, dopo averne fatto la fortuna, abbandonarono l'impresario Handel al suo destino, tornando in continente, chi verso Parigi, chi verso Vienna o le corti tedesche.
    Al nostro caro sassone restò la sola Anna Maria Strada, da lui "scoperta" a Pisa in quegli anni e sulla cui voce ricamò Alcina.
    Della Strada dal Pò si dice che aveva la voce della Faustina in un corpo da porco. E movenze sceniche modeste.
    Ma probabilmente la voce bastava, insieme alla presenza del castrato Giovanni Canestini (Ruggiero), alla prima del 16 aprile 1735 al Covent Garden di Londra.
    La trama è poca cosa, ripresa da un episodio dell'Orlando Furioso di Ariosto, la maga Alcina incanta con un filtro d'amore Ruggiero che diviene pazzo per lei. Bradamante va in suo soccorso etc. etc. Alla fine la maga resta sola quando Ruggiero si riprende ed eroicamente rovina la fonte magica di Alcina.
    L'opera è un classico dell'epoca, di durata ipergalattica, includendo balletti ed intermezzi musicali.
    Questa registrazione dura nel complesso per 3 CD, ovvero 3 ore e 11 minuti per 86 tracce complessive.
    ***
    Andando al sodo, Minkowski si dimostra ancora più inappuntabile e i suoi musicisti sono ineffabili, specie nelle parti di accompagnamento solistiche che in questa composizioni sono ricchissime.
    Flauti, violoncello, liuto, semplicemente perfetti.
    Come il cast vocale, almeno nella parte femminile, una più brava delle altre. Gli uomini mi hanno lasciato una impressione un pò controversa. Specie il controtenore Muhlbacher (che ha la peggiore dizione italiana : gli altri sembrano tutti madrelingua a dispetto che invece i soli Anna Bonitatibus e Valerio Contaldo lo siano veramente).
    Nella realtà, se la Kozena è una Alcina matura e straordinariamente espressiva (un filo meno "isterica" di certe sue interpretazioni degli anni passati, probabilmente ben influenzata dalle altre cantanti) che sviluppa il personaggio in profondità quasi psicanalitiche (cfr. "Ah, mio cor") che si fa ascoltare fino all'ultima nota, dove ho alzato il volume è nelle entrate delle altre cantanti.
    Erin Morley è da capogiro, il suo "Tornami a vagheggiar" l'ho ascoltato decine di volte. Il suo repertorio di virtuosismi è veramente da primadonna.
    Ma sono tutt'altro che seconde scelte Elizabeth De Shong (Bradamante) che tocca emotivamente ( 'Vorrei vendicarmi') ed altrettanto espressiva è Anna Bonitatibus (Ruggiero).
    Sinceramente io applaudo la scelta dell'impiego di contralti e mezzosoprano al posto di contraltisti e controtenori. Ma è questione di gusti, naturalmente.
    Ma è un'opera tanto ricca di arie straordinarie e di momenti di grandissima musica che già una selezione sarebbe chilometrica.
    Edizione di riferimento ?
    Si, lo ammetto con fiducia, sebbene la registrazione mi sembra un filo al di sotto degli standard di Pentatone o forse perché la scelta di valorizzare l'insieme rende meno focalizzate le voci.
    Con il risultato che Magdalena riempie da lontano la scena e spacca l'aria mentre le altre, probabilmente più "tascabili" in termini di volume, si perdono un pò anche nell'ascolto in cuffia, non solo a monitor.
    Certo si tratta di un ascolto impegnativo ma sarebbe un peccato perderselo. Se amate Handel.
  10. M&M

    Scherzi a parte
    La vedrei al contrario, francamente.
    Avete voluto uscire dal mercato comune, cari inglesi, bene.
    Richiamando la canzonetta del 1934 a seguito delle famose sanzioni :
    Tutto quel che fai
    lo fai per gelosia,
    ex amica mia...
    Perché vorresti vivere anche tu
    quest'ora di eroismi e di virtù...
    Ma non lo puoi ed io lo so
    perciò mia cara canterò:
    Sanzionami questo
    amica tenace
    lo so che ti piace
    ma non te ne do!
    ma con davanti agli occhi l'atteggiamento sprezzante, egoista e sinceramente ... autarchico a discapito di tutto il resto del continente di cui volenti o nolenti fanno parte anche loro, gli inglesi dovrebbero essere lasciati al loro destino.
    E il tanto spettacolare vaccino studiato ad Oxford, probabilmente sperimentando sui topi fossili di epoca Tudor, per quanto mi riguarda, se lo dovrebbero tenere loro per sciacquarsi i piedi.
    Con le notizie che arrivano, moltissimi di quelli che fanno quel vaccino stanno veramente male (due giorni di febbre alta) e la percentuale di persone che sta benissimo ed improvvisamente muore di colpo, sarà anche marginale sui milioni di punture fatte ma al giorno d'oggi si comincia a non credere più a niente.
    Se Danimarca, Olanda e Germania stanno vietando o consigliando di evitare quel vaccino ai giovani virgulti di età inferiore ai 60 anni di cui a stento faccio ancora parte, io che sto bene e non ho contatti con nessuno, perché dovrei correre a prenotarmi per fare la coda e farmi inoculare la candeggina ?
    Sinceramente, cari inglesi, potete anche tenervelo. E in caso vi servisse qualche prodotto italiano, tipo il parmigiano o il Brunello di Montalcino, provate a venirvelo a prendere a piedi pagandolo in euro.
    Siete extracomunitari, mettetevelo in testa.
    Sanzionami questo ... 
  11. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Yoav Levanon : Rachmaninov Etudes-tableaux 39
    Warner Classics, 9 febbraio 2023, formato 96/24, via Qobuz
    ***
    Anticipato da settimane con l'emissione di assaggi, secondo la prassi per i dischi delle rockstar, somiglia ad uno di quelli anche per la durata, del tutto libera dall'idea di disco/cd "classico", vista la durata contenuta in soli 39 minuti.
    C'è chi suggerisce che avrebbero dovuto aggiungere anche gli altri studi op.33, come la gran parte delle altre registrazioni.
    Ma forse c'era impellenza di lanciare il ragazzo per le tourné del 2024.
    Yoav Levanon viene descritto come astro nascente del pianismo internazionale e se ne sta cercando di montare un fenomeno.
    Che poggia, per carità, su solide basi, l'altro disco già disponibile (stessa etichetta, del 6 maggio 2022 è veramente un "Monument for Beethoven").
    Yoav ha cominciato a studiare pianoforte all'età di Mozart ed ha adesso 19 anni.
    Ha già suonato con tanti partner importanti, tra cui Sergey Babayan.
    Studia ancora, ovviamente e negli ultimi anni si è perfezionato con due soggetti del calibro di Murray Perahia e Andras Schiff.
    Ha temperamento, mani d'acciaio (certe ottave ricordano quelle di Horowitz), tecnica sopraffina ma soprattutto una maturità e una delicatezza di lettura inusuali per un ragazzo.
    Se penso ai suoi coetanei nostrani, alla sottocultura in cui si abbeverano (la manifestazione canora nazionale della settimana scorsa è purtroppo una bandierina rivelatrice al riguardo) e all'assenza di un futuro sbocco di elevazione, dovrei essere disperatamente pessimista.
    Ma l'esistenza stessa di un personaggio come Levanon mi strappa un pensiero di speranza.
    Detto questo, andiamo ai nostri 38:52 di puro distillato di tecnica pianistica misticamente forgiata da Rachmaninov su fonti di ispirazione rimaste largamente sconosciute.
    Volutamente, perchè lo stesso Rachmaninov ha dichiarato di aver nascosto le chiavi di interpretazione dei suoi studi dietro ad una cortina di complicazioni tecniche perché ogni pianista le trovasse da se.

     
    Fin dal primo studio Levanon dimostra una proprietà di linguaggio disarmante cui associa ritmo, elasticità, dinamica da concertista consumato.
    Nel terzo aumenta ancora di più la dinamica, forzando qualche passaggio ma mantenendo l'atmosfera libera e sognante, da corsa all'aria aperta.
    L'appassionato #5, sempre teso e intriso di disperante senso di perdita è più contenuto di altre letture, quasi che il pianista tenesse a freno le mani che solo in alcuni accenti e passaggi pestano come zappe sui bassi.
    Il #6 è lugubre nell'introduzione e rubato nell'evoluzione. Un crescendo di dinamica.
    Martellante il #9, secco, come di una danza di cavalli bardati in una giostra o nelle scuderie imperiali coperte d'inverno.
    Nei movimenti lenti (ogni composizione di questa raccolta è in tono minore, tranne il finale in Re maggiore) l'atmosfera descritta è sognate.
    In particolare nel #2 e nel #7 (la e do minore).
    Il 7 non mi sembra all'altezza del resto, preferisco il #8, sempre delicato, sognante, portato.
     
    Complessivamente è una prova di elevatissimo livello che dimostra la maturità di questo giovanissimo il cui futuro credo sia assicurato.
    Sarà bello risentirlo tra venti anni (ma non confido di esserci ancora).
    Certo è che se continuerà a crescere così, lo ascolteremo ancora in prove sempre più sfidanti.

     
    registrazione ricca di dinamica con bassi pieni che ho apprezzato di più in cuffia
    [capigliatura da novello Liszt e atteggiamenti da Mago Silvan ? Possiamo anche farne a meno ...]
  12. M&M
    L'uscita (9 febbraio 2024) del tanto anticipato minidisco dell'israeliano diciannovenne Yoav Levanon, mi ha dato l'estro per tentare una impresa impossibile.
    Discorrere di alcune delle interpretazioni di cui siamo in possesso oggi di questa composizione raffinata e colta del quarantaquattrenne Rachmaninov.
    Gli Etudes-Tableaux Op-39.
    Ultima composizione russa, scritta a Mosca durante il periodo appena precedente la rivoluzione di ottobre e quindi la fuga attraverso il lago ghiacciato verso Finlandia e Svezia. E poi l'America per ricostruire la, una nuova vita.
    La struttura è libera, il termine Etudes-Tableaux è originale di Rachmaninov, un tributo a Chopin.
    Sono miniature, microcosmi separati tra loro, ognuno ispirato da qualche cosa che non conosciamo.
    In una lettera, Sergei Vasilievic confidò al solo Respighi l'origine di cinque di queste composizioni che poté così orchestrarle con la tavolozza più articolata della grande orchestra.
    Ma resta musica pensata per lo strumento d'elezione del russo, la cui arte nel 1917 non era seconda a nessuno al mondo.
    La ricchezza ritmica, inventiva, emotiva, la varietà compositiva, il virtuosismo esecutivo e le necessità interpretative sono del massimo livello.
    Non alla portata di ogni pianista.
    Sebbene di questi e dei cugini dell'Op. 33 esistano moltissime incisioni.
    Ci sono letture tempestose di Sviatoslav Richter, appassionate di Gilels, telluriche di Horowitz che però non mi risulta abbiano registrato l'integrale.
    C'è il confanettone di Ogdon per la EMI che le contiene tutti (merita un ascolto a prescindere).
    Yuja, al posto di altri "american project" dovrebbe fare il piacere di registrarli prima che sia tardi, perché il suo 39/1 del 2018 è notevolissimo.
    E ne abbiamo altri, recenti e meno, di cui cercheremo di parlare qui, in questa pagina. Senza voler eleggere un vincitore ma limitandoci a cogliere qualche differenza, quando è possibile.
     

     
     






  13. M&M

    Recensioni Cuffie
    Dapprincipio le cuffie HIFIMAN avevano solo padiglioni tondi sovraaurali.
    Poi, fedeli alla tradizione Stax, da cui volente o nolente anche il Dr. Fang è influenzato, sono arrivate quelle a padiglione ovali circumaurale.
    Nulla di nuovo, appunto, c'erano le Stax serie Sigma e le Lambda. Io ho sempre preferito le Lambda, nonostante le Sigma fossero più rinomate (e costose).
    Le Sigma si diceva che avessero bassi più potenti ma fossero più scomode da indossare. Le Lambda più rilassanti in tutto, le puoi tenere una giornata in testa e ad un certo punto ti dimentichi dove le hai messe.
    Stessa cosa delle HIFIMAN. Si mitizza delle Susvara, le ammiraglie "circolari" da € 6.000. Io credo che le troverei sgradevoli come ho trovato sgradevoli le Sundara e le HE6 SE.
    Riesco a farmi piacere le HE400 perché sono tutto sommato comode e perché, per 125 euro, suonano veramente bene. Ma mai per più di un'ora in testa.
    Fortuna che le Deva, circolari anche loro, per essere comode le hanno fatto circumaurali con il padiglione bello grande e nessuna pressione sulle pareti della testa.
    Ma sto divagando, torniamo alle nostre.
    Le HIFIMAN HE1000 sono sempre state tradizionalmente le ammiraglie di questa serie. Caratterizzata per l'appunto da un grande padiglione a forma di uovo con la griglia metallica esterna a protezione.
    All'origine costavano oltre € 3.500 ed erano sinceramente inarrivabili. Per questo HIFIMAN fece le Edition X, cercando di portare quel suono e quella struttura su cuffie da € 1.800.
    Ma la vera popolarizzazione del concetto è arrivata con le Arya (€ 1.800) e le Ananda (€ 900). I prezzi che indico sono quelli del lancio, non quelli correnti.
    Le Arya offrivano quel tipo di suono a metà prezzo.
    Per me fu una tentazione irresistibile acquistarle al volo. E da allora le uso e le apprezzo (nonostante l'arrivo più avanti delle Jade II, le elettrostatiche che hanno sostituito le mie vecchie Stax SR-404 Lambda Signature ...).
    Ma HIFIMAN non sta ferma e delle HE1000 hanno fatto prima le V2 e poi adesso le Stealth, approfittando dell'introduzione prima dei diaframmi ultraleggeri "nano" e poi l'arrivo dei magneti "invisibili" che danno il nome alla serie Stealth, cui fanno parte queste cuffie in prova.
    Così oggi abbiamo che le HE1000 Stealth in pratica costano come le Arya Organic che non sono altro che le Arya Stealth con il fianchetto in similvinile tipo legno. Come le HE1000 Stealth.
    E le Ananda costano la metà e anche meno.
    E poi ci sono anche le Edition XS che costano la metà della metà.
    Chi siano adesso le ammiraglie non è più chiaro. Cosa comprare ? Chissà.
    Delle Arya Organic (io non le conosco come non conosco le Stealth) si dice che siano come le HE1000 ma più brillanti.
    E dire che a me sembrano già piuttosto brillanti le HE1000 Stealth.
    ***
    Finito questo panegirico che serviva non a confondere le acque e le idee di chi si ripromette di acquistare ... le cuffie giuste e tenendo a mente che secondo me ogni magnetoplanare suona meglio a prescindere e che per avere il meglio non si deve necessariamente spendere oltre 3000 euro (specie se non si ha una catena a monte all'altezza ....), andiamo al nostro bene.
    Che arriva in una scatola di cartonaccio nobilitato da una sola fascia stampata, segno di contenimento dei prezzi

    in fondo non importa, le scatole delle mie cuffie non suonano e poi, finiscono subito in mansarda a prendere polvere.
    Però una volta la presentazione di cuffie costose era molto più sontuosa ...


    le mie arrivano dall'eccellente negozio Playstereo di Pescara, spedite al volo (sono un esemplare b-stock, ovvero una scatola aperta per demo, inusate, come testimoniato dalla necessità di fare il rodaggio pieno di almeno 150 ore).
    Giustamente nella scatola c'è un pieghevole che implora il proprietario delle cuffie di evitare inutili supplizi alle cuffie, tipo mettere in loop un giro di batteria sintetica al massimo del volume.
    Il rodaggio va fatto semplicemente usandole con programmi musicabili ascoltabili. Le cuffie maturano in testa. Come le orecchie che le ascoltano.

    dentro alla scatola, una scatoletta che contiene i cavi e sotto, tra la schiuma, le cuffie.

    ecco qua l'intero contenuto della scatola.

    il cavo bilanciato è di buona qualità. Io non sono un fan dei cavi costosi ma il fatto che sia incluso (anche se non è il modello crystal-plus) è un vantaggio.
    Nelle Arya ho trovato solo il cavo sbilanciato e mi sono dovuto far costruire appositamente un cavo speciale da un artigiano londinese per la modica cifra di un paio di centinaia di euro.
    Che questa volta ho risparmiato. Al costo di € 1.320 ho sia le cuffie che i cavi. Un bel risparmio rispetto ai € 1.840 complessivi delle belle Arya.

    pin dorati, ovviamente

    le griglie esterne in argento brillante

    anche l'archetto ripete lo stesso motivo.
    Unica concessione la scritta HE1000 in nero.

    I cuscinetti sembrano di qualità migliore di quelli delle Arya che si sono sbriciolati costringendomi a cercare un ricambio (subito seguiti da quelli delle Jade II).
    Però la pacchianeria del finto legno stampato in vinile era proprio necessaria ? Si, per distinguere questa versione dalle precedenti due !

    dettaglio del marchio, dell'articolazione e del meccanismo di regolazione della dimensione dell'archetto.

    la banda sotto all'archetto ricorda un misto tra sughero e cuoio. Speriamo che duri ...


    dettaglio dell'interno del padiglione, molto sobrio. Quelle zebre dovrebbero proteggere i diaframmi da polvere ed intrusioni (è così, ho smontato le Arya e per danneggiarle bisogna penetrare con una lama)

    viste artistiche

     


    indubbiamente rispetto alla sobrietà austera delle mie Arya fanno la loro figura.
    Andiamo alle specifiche.
    cuffie aperte circumaurali altoparlante magnetoplanare impedenza 32 Ohm sensibilità 93 dB risposta in frequenza 8Hz-65KHz. peso: 458g. la risposta in frequenza che ho misurato con il mio sistema miniDSP Ears :

    mostra una estensione notevole lato basse frequenze, ben sotto l'udibile (ho tagliato il grafico sotto ai 20 Hertz ma è lineare effettivamente a partire dai 10 Hertz), e fino a circa 1250 Hertz.
    Dopo di che ha il classico avvallamento sulle medio-alte fino a circa 3.000 Hertz per poi livellarsi di nuovo e proseguire sugli acuti in salita.

    confrontate con le mie Arya mostrano una evidente maggiore sensibilità - confermata all'ascolto.
    Le Arya sono più lineari fino all'estremo ed hanno la stessa estensione sulle basse.
    Sono meno squillanti sugli acuti.
     

    alle Arya ho poi cambiato i cuscinetti - quelli vecchi si erano consumati : il vinile cinese si era letteralmente sbriciolato - e il suono è cambiato diventando più potente sulle basse e sui medi ma restando comunque più lineare di quello delle HE1000 Stealth.
    E' possibile che col tempo anche le HE1000 si linearizzino. Alla prova originale le Arya somigliavano decisamente di più a queste HE1000 che a ... quello che sono adesso.
    Quindi mai trarre conclusioni guardando la risposta in frequenza di un esemplare di cuffie nuove.
    ***
    Mi fermo qui con questa anteprima.
    Nei prossimi giorni la prova di ascolto comparata.
    Che ovviamente dovrete prendere con le pinze in quanto del tutto soggettiva.
    Vi anticipo che ad un certo punto, visto che facevo fatica a capire, ho cambiato il motore.
    E al tradizionale Audio-GD R28 ho avvicendato il più muscoloso Audio-GD R27 HE, avendo finalmente un responso credibile.
    Ma dovrete attendere ancora qualche giorno perché ve lo confidi ...
    Rimanete in ascolto !
  14. M&M

    Recensioni : Musica Strumentale
    Carlo Rizzi : Puccini, Suite sinfoniche
    Welsh National Opera Orchestra, direttore Carlo Rizzi
    Signum Classics, 9 febbraio 2024, formato 96/24, via Qobuz
    Nell'anno dell'anniversario di Puccini, il direttore principale della Welsh National Opera Carlo Rizzi ha creato nuove versioni puramente orchestrali di alcune delle sue opere più conosciute e amate. Rimanendo puro e fedele all'orchestrazione originale di Puccini senza nulla aggiungere per "coprire" qualsiasi percepibile mancanza di linea vocale, la brillantezza di Madama Butterfly, Tosca e altre opere di Puccini risplende in questo album di registrazioni in prima mondiale.
    ***
    Per gli amanti di Puccini (come il sottoscritto) può essere un sacrilegio (non è il mio caso) ma usando le parole dello stesso Carlo Rizzi (classe 1960, direttore d'orchestra cresciuto con Vladimir Delman al Conservatorio di Milano ma adesso gallese d'adozione) :
    “Spero che coloro che già amano Tosca e Butterfly possano godere dell’opportunità di concentrarsi interamente sull’orchestra mentre ascoltano, e che le persone che di solito sono più attratte dalla sala da concerto che dal teatro dell’opera siano ricompensate esplorando qualcosa di nuovo. Alla fine il mio unico obiettivo è condividere e celebrare Puccini con tutti loro” – Carlo Rizzi

    L'opera totale come l'ha concepita Puccini, estrema spettacolarizzazione degli stilemi wagneriani, pre-cinema e pre-Sanremo (!), fa passare in secondo piano la straordinaria maestria dell'autore in termini puramente sinfonici.
    Verrebbe naturale ascoltare semplicemente la musica, senza le parole. Viene sempre prima la musica delle parole. Le parole sono un'invenzione umana, per rendere la comunicazione univoca ma la musica è un linguaggio universale.
    Di qui questo esperimento, riuscito secondo me, di creare dalla musica di Butterfly e di Tosca due suite sinfoniche corrispondente, scritte ed interpretate qui da Carlo Rizzi.
    Naturalmente manca la linea vocale che però è molto libera in Puccini, semplicemente "uno strumento in più", non necessariamente "il solista".
    Sono 17 e 20 minuti, rispettivamente, cui si aggiungono due preludi sinfonici e un capriccio aggiuntivi.
    L'immaginazione di Rizzi è perfettamente coadiuvata dall'orchestra operistica del Galles, sconosciuta o quasi dalle nostre parti che esprime bene il carattere di questa musica.
    Registrazione ricca di dinamica sui miei monitor Adam Audio A77H pilotati dal mio nuovo Audio-GD R27 HE.

     
    è un disco che vi segnalo come curiosità, magari trascuratelo se siete puristi. Ma se vi piace veramente Puccini pensate che sarebbe piaciuto anche a lui !
  15. M&M

    Recensioni : organo
    Bach : Opere per organo Vol. 1
    [Präludien & Fugen 536, 539, 541, 543, 545, 548, 550, 552; Choralpartita BWV 768; Pastorale BWV 590; Toccata & Fuge BWV 565; Choräle BWV 645-650, 654, 657 658 659-661, 699 704 711 714 715 717 722 729 730 731 738 740, 741 1112-1117-1120; Choräle BWV 639-644 (Orgelbüchlein); Kanonische Veränderungen BWV 749; Allabreve BWV 589; Triosonate BWV 528; Fugen BWV 575 577 579; Canzona BWV 588; Trio BWV 583; Fantasie & Fuge BWV 537;
    Concerti BWV 594 & 596; Fantasien BWV 570 572 573]
    Peter Kofler all'organo della chiesa di San Michele a Monaco di Baviera
    5 CD
    Farao Classics 2019, formato 96/24
    ***
    Bach all'organo non rappresenta semplicemente la tradizione musicale occidentale, ma oggi, di fronte ad un imbarbarimento globale, la conferma dello spirito della cristianità che ha creato e saldato insieme l'Europa, non importa la confessione di ciascuno.
    Accostarsi alla musica organistica, sia quella liturgica che quella più liberamente da "intrattenimento" del dopo messa, suscita lo stupore precipuo della musica barocca. Scopo primo ed ultimo di indirizzare l'ascoltatore nella contemplazione di qualche cosa di superiore.
    Anche quando non si è credenti.
    Peter Kofler, l'organista titolare della chiesa gesuitica di San Michele a Monaco, nella cattolica Baviera, al suo organo Riegler rappresenta a pieno tutto questo.
    Perdonatemi la retorica ma è stato un periodo di dischi veramente poco stimolanti e trovare questo cofanetto con sei ore sei di musica bachiana che nulla hanno da invidiare a Walcha o alla Alain è una boccata d'aria.
    L'organo è spettacolare senza essere eccessivo. Il tocco lieve senza eccesso di dramma o pathos. Come deve essere anche quando si suona la musica di un luterano in una chiesa cattolica romana.
    Ma soprattutto c'è il vero Bach. Quello che mette d'accordo tutti i credenti di ogni rito.
    Registrazione sensazionale (2017-2019). Applausi e consigliato senza riserve attendendo con tanta trepidazione i successivi volumi !
     
    Modificato 24 Ottobre 2019 da Florestan




  16. M&M

    Interpreti
    La clavicembalista Giulia Nuti ha insegnato alla Scuola di Musica di Fiesole, si è esibita come solista e in ensemble e ha registrato per diverse importanti etichette. È anche autrice di un importante libro sulla tecnica del continuo all'italiana.
    E' nata a Cambridge, in Inghilterra, nel 1976 ma è cresciuta a Firenze, mantenendo legami fortissimi con la Gran Bretagna. Ha iniziato a suonare il clavicembalo all'età di dieci anni.
    Ha studiato alla Scuola di Musica di Fiesole e poi alla Royal Academy of Music di Londra. Ha frequentato il Royal College of Music e poi il King's College di Cambridge, studiando organo, fortepiano e clavicembalo.
    Alla King's, ha completato un master, scrivendo una tesi sulla pratica esecutiva italiana nella musica antica per tastiera e ottenendo poi una posizione come insegnante del Queens' College, Cambridge.
    Ha trasformato la sua tesi in un libro, The Performance of Italian Basso Continuo, che è considerato un testo importante nel campo.
    Nel 1999 ha debuttato discograficamente con l'ensemble Modo Antiquo, suonando il clavicembalo nell'album di concerti grossi di Corelli.
    Dal 2007 al 2010, ha lavorato con il progetto Listening Gallery del Royal College of Music, fornendo musica appropriata per mostre storiche.
    Nel 2007 è entrata a far parte del corpo docente della sua alma mater, la Scuola di Musica di Fiesole, dove è rimasta dall'inizio degli anni '20.
    Modo Antiquo é solo uno dei principali complessi di musica antica con cui si é esibita frequentemente; ha suonato anche con Il Pomo d'Oro, Orfeo 55 e l'Accademia di Musica Antica. 
    Nel 2014,  ha pubblicato il suo album di debutto da solista per l'etichetta Harmonia Mundi; Les Sauvages: Clavicembali nella Parigi pre-rivoluzionaria ha ricevuto il Diapason d'Or in Francia.
    Ha ottenuto un altro importante riconoscimento nel settore discografico, il Preis der Deutschen Schallplattenkritik, per il suo album del 2017 Le Cœur & l'Oreille: Manuscript Bauyn, apparso sull'etichetta Arcana.
    Quindi ancora con Arcana nel 2022 con The Fall of the Leaf: English Keyboard Music on the Rucellai Virginal.

    il nuovo disco uscito il 19 gennaio 2024 per Arcana con le partite per cembalo di Bach

    il prezioso disco di musica inglese sul virginale Rucellai del 1575, Arcana del 15 aprile 2022
    Celebrando l'età d'oro della musica per tastiera inglese tra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo, questa antologia personale presenta opere dei più grandi compositori dell'epoca.
    Le accattivanti Pavane e Galliard di John Dowland, trascritte da Martin Peerson e William Byrd, sono punteggiate dalle abbaglianti variazioni di canzoni di John Tomkins, dalle danze vorticose di Thomas Morley e William Tisdall e dagli incantevoli madrigali ambientati da Peter Philips e altri.
    Il magistrale O Lord, in Thee is all my trust di John Amner contrasta con le evocative e tintinnanti variazioni di The Bells di William Byrd, che mettono in mostra i diversi stili di questi compositori.
    Questa registrazione estende l’opera di Giulia Nuti di registrazioni acclamate dalla critica su clavicembali storici; il suo recital solista "Le Cœur et l’oreille" (Arcana, 2017), registrato sul clavicembalo costruito da Louis Denis nel 1658, è stato insignito del "Preis der Deutschen Schallplattenkritik".
    In questa registrazione Giulia suona uno squisito virginale italiano del c. 1575.
     

    Le Cœur et l’oreille" (Arcana, 2017)
    Il Manoscritto Bauyn, una raccolta chiave di clavicembalo e altra musica del XVII secolo, mostra l'influenza di varie scuole di composizione sulla scrittura e sull'esecuzione dei grandi clavicembalisti della metà del XVII secolo.
    La registrazione comprende opere di Chambonnières e Louis Couperin, che mostrano i loro diversi stili che portarono Le Gallois (1680) a scrivere che "uno toccava il cuore e l'altro toccava l'orecchio", così come altri compositori contemporanei come Hardel e d'Anglebert .
    Il clavicembalo Denis del 1658 è lo straordinario protagonista di questa registrazione, in cui Giulia Nuti esplora le capacità espressive di uno dei primi clavicembali francesi a doppia manuale esistenti, mostrando come la raffinatezza strumentale consenta scelte esecutive.
    L'approccio è quello della pluripremiata prima registrazione solista di Giulia Nuti di musica per clavicembalo francese del XVIII secolo, Les Sauvages, registrata sul Taskin del 1788, che ha ricevuto un Diapason d'Or.
    Ascoltando questa musica attraverso la voce del clavicembalo Denis si accede al mondo sonoro a cui questi brani appartengono e dovrebbero essere compresi.

    Les Sauvage (DHM 2014), dedicato ai clavicembalisti francesi pre-rivoluzionari, prendere il titolo dalle variazioni di Jean-Francois Tapray sul celeberrimo brano di Rameaus (Les indes galantes).
     

    filologica nell'insieme la lettura delle sonate per cembalo e violino solo, senza basso, in cui Giulia Nuti accompagna Chiara Zanisi.
    Arcana, ancora 2017
    ***

    la copertina della tesi - trasformata in libro di testo e guida alla prassi esecutiva del Basso Continuo all'italiana - pubblicato da Giulia Nuti in Inghilterra.
     
    Artista estremamente raffinata, interprete coltissima e sensibile, dal tocco leggero e sempre intonato con il testo, didatta apprezzata.
    Una delle più interessanti musiciste italiane specializzate nel barocco internazionale.
    Mi sembrava giusto dedicarle una nostra pagina.

     
  17. M&M

    Recensioni : violoncello
    Anastasia Kobekina : Venice
    Sony, 2 febbraio 2024, formato 96/24
    ***
    Viaggio ideale a Venezia, con musiche di tutti i tempi e di svariati autori. Semplicemente un pretesto, non è un disco descrittivo.
    Ma la ragazza che compirà 30 anni il prossimo 26 agosto e che è fresca di contratto esclusivo con Sony é a mio parere (e non solo, ci sono firme più autorevoli disposte a sbilanciarsi) potenzialmente la migliore violoncellista della sua generazione e in grado di prendere il testimone dai vecchi in via di pensionamento.
    Tanto che la Fondazione Stradivari le ha prestato in comodato uno strumento meraviglioso del 1698 ( ma prima suonava un Giovanni Guadagnini del 1743)
    Ci sono momenti di poesia autentica in questo disco, secondo me il meglio è agli estremi (rinascimento e contemporanea), il suo suono è divino e con il suo talento può fare letteralmente qualsiasi cosa.
    Ho perso la testa per questa violoncellista ? Per la sua arte, si.
    L'avevo già notata in un'altra recensione, disco strepitoso del 2022
    Ma per restare più a terra vi segnalo anche il primo concerto di Dmtri e un Arpeggione dal vivo veramente vivo e palpabile (in entrambe le soliste).
    Speriamo che il contratto con Sony non presenti solo dischi "pseuo-a-tema" tipo quelli di Sol Gabetta & Co. ma vera musica strutturata.
     
     
  18. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Sibelius : sinfonia numero 4
    Santuu-Matias Rouvali dirige la Gothenburg Symphony Orchestra
    Alpha Classics, 19 gennaio 2024, formato 96/24
    ***
    Prosegue con cadenza più o meno biennale l'integrale delle sinfonie di Sibelius da parte della Gothenburg Symphony Orchestra con il brillante Santuu-Matias Rouvali alla sua testa.
    Si tratta di una lettura "autentica" per cui sembra di sentire "il canto del nord" come concepito dall'autore.
    La quarta è la più complicata delle sue sinfonie, di interpretazione ardua perché concepita in un periodo nero e problematico per l'autore.
    Non se ne esce se non si è respirata la stessa aria gelida.
    I toni scuri si stemperano tra i movimenti e da lugubre - con un inizio degno della "Caduta degli Dei" wagneriana - la composizione diventa distesa se non proprio trionfale.
    Il terzo movimento largo prepara ad un finale allegro che comincia con un accordo degli archi che poi concertano tra loro fino alla sottolineatura delle percussioni. C'è poi un bellissimo assolo del violoncello che chiama il pieno.
    Una sorta di canto degli uccelli, se vogliamo. La struttura compositiva è quasi espressionista e con essa Sibelius abbandona definitivamente la forma armonica tradizionale ma senza per questo "scendere sul continente" germanico, restando se stesso come diversamente non potrebbe essere.
    Completa il disco una coppia di schizzi altrettanto coloristici, la "Ninfa di legno" op. 15 e il celebre Valse Triste da Kuolema.
    La "ninfa" è un poema sinfonico di 22 minuti molto ritmico ed evocativo.
    Gran bel disco, passionale e viscerale come gli altri volumi della serie che speriamo si concluda presto con le ultime splendide 6a e 7a sinfonia 
    Registrazione scura ma strepitosa. Questa orchestra è molto sottovalutata. E il suo baton di prim'ordine.
      
    i tre volumi già pubblicati che vi consiglio tutti (più di quelli di Makela) se vi piace il grande finlandese.
     
  19. M&M

    Recensioni Cuffie
    Cuffie acquistate presso HIFIMAN Europe via Amazon, pagate 629 euro spedite a casa.
    All'uscita, queste cuffie, nel 2018, costavano 1800 euro.
    Rappresentano la seconda edizione delle mitiche HIFIMAN HE6 del 2010, famose per essere voraci di corrente, tanto che parecchi appassionati le utilizzano collegate ad un amplificatore per casse, all'uscita di potenza, per il tramite di un adattatore di impedenza.
    Il diaframma delle HE6 originale è a bassa sensibilità, pesante, rigido.
    La nuova versione non è così complicata ma resta la bassa sensibilità (circa 83 dB) che sull'impedenza di circa 50 Ohm richiede almeno 2 Watt minimo. Meglio 4 ...
    Il diaframma è circolare ed è caratterizzato da armature placcate in oro (di qui il maggiore peso e costo di produzione).
    Pesano. Circa 500 grammi.
    La struttura è quella tipica delle cuffie HIFIMAN con padiglione circolare.


    archetto e marchietto

    la caratterizzazione del modello

    dall'alto

    l'oro riluccica ... attraverso la griglia di protezione

    i terminali da 3.5 mm, tipici dell'ultima produzione HIFIMAN
    Eccole al banco di prova sopra al miniDSP Ears


    dettaglio del cavo in dotazione

    con il terminale XLR Neutrik

    nella scatola, unico accessorio, un adattatore XLR->JACK da 6.3 mm

    manuali e garanzie

    la scatola

    che è simile a quelle dei modelli di fascia alta. Si apre verso l'alto con una fettuccia in similpelle marrone

    l'interno è rivestito in simil-seta

    l'esterno è identico a tutte le altre scatole HIFIMAN


     
    Le prime impressioni.
    Non sembra un modello di questa fascia di prezzo (pensando ai 1800 euro originari al lancio).
    I padiglioni sembrano presi dalle HE400, l'archetto è pari a tutti i modelli della sua generazione.
    Il cavo è decisamente cheap, e tutto stropicciaticcio ...
    Ci sono i diaframmi dorati e poco altro.
    ***
    Andiamo alle misure.
    Sulle prime l'EARS non ne voleva sentire di ... sentirle ma poi ho calibrato meglio l'uscita e ci sono riuscito.

    la risposta effettivamente è estesissima, quasi piatta a 20 Hz, non ci saranno che 2 dB di calo rispetto ai 30 Hz.
    Sopra ai 100 Hz sale di 2-3 dB verso gli 800.
    Dopo c'è un avvallamento " a dorso di mulo" sulle frequenze medio-alte fino a 3000 Hz.
    Quindi la tipica fascia travagliata con un pizzo già a 4.000 Hz e poi vari picchi più in alto.
    Un confronto con altre cuffie dimostra a colpo d'occhio la differente sensibilità.

    ho messo anche le AKG K371 per dare una idea. A questo livello sono andate in clipping ed ho dovuto abbassare il volume di 20 punti per riallinearle.
    La sensibilità di quelle cuffie - chiuse, dinamiche e decisamente economiche rispetto alle due HIFIMAN di confronto - é di 114 dB a 32 Ohm. La bellezza di 30 dB sopra le HE6 SE.
    Ma ci interessa di più il confronto con le Arya allo stesso livello di alimentazione :

    le mie Arya sono meno presenti a 20 Hz (ma c'è musica a 20 Hz ?) ma molto più lineari sopra fino a 6-7000 Hz e anche sopra, nonostante a quelle frequenze oramai non ci sia più molto segnale registrato.
    La differenza di sensibilità è evidente : 8dB ai canonici 1.000 Hz, che coincidono con i dati di targa (83 contro 92 dB).
    ***
    Ascolto
    Ma prima qualche nota autobiografica.
    Ho quasi 61 anni e certo il mio udito non è più quello dei venti anni. E' evidente.
    Ho conosciuto le prime cuffie hi-end con un contatto illuminante con un modello di base Stax nell'oramai lontanissimo 1984.
    Con i concerti di Brahms per la coppia Barenboim-ZioGianniBarbirolli. Me ne innamorai.
    Ma il mio budget di primo impiego non mi permetteva di arrivare a delle elettrostatiche vere con tanto di elevatore di tensione dedicato.
    Ripiegai sulle ibride AKG K340, elettrostatiche sulle alte e dinamiche sulle basse.
    Che il negoziante - di un negozio che non c'è più da secoli - mi assicurò di aver venduto personalmente al Maestro Giulini.
    Le pagai l'equivalente con l'inflazione di circa 600 euro di oggi (250.000 lire per l'esattezza). Ma nella realtà credo che oggi una cifra del genere sia più vicina ad un valore reale di 1.000 euro.
    Che ritengo sia la cifra massima che debbano costare delle cuffie.
    A parte questo, il suono, l'ariosità, l'apertura delle cuffie planari per me è un dato obbligatorio con tutta la musica serie. Specie nella gamma vocale.
    Cuffie che debbono essere aperte perché sia del tutto estrinsecato il funzionamento a pistone planare del grande diaframma piatto di questi sistemi.
    Dopo Stax, sono diventato un fan di HIFIMAN, marchio cinese molto attivo sia sulle magnetoplanari che sulle elettrostatiche, con intere dinastie e generazioni di cuffie.
    Ci ascolto tutto. Ma la mia passione è il barocco, con il pianoforte e la musica sinfonica/cameristica del tardo romanticismo per la restante parte.
    Jazz e rock coprono si e no il 3% del mio tempo di ascolto.
    Chiarito il mio profilo, le mie aspettative restano che l'ascolto con le cuffie deve simulare per il più possibile dei sistemi tradizionali di diffusori - per quanto possibile - con in più il dettaglio e la precisione timbrica e di suono consentita dalle cuffie grazie alla breve distanza dall'orecchio e dalla più semplice catena musicale (niente cross-over, niente pasticci, segnale+amplificazione+driver).
    Il suono attorno ai ... padiglioni auricolari dipende molto dalle riflessioni tra le nostre orecchie e i diaframmi delle cuffie. Le cuffie chiuse fanno un lavoro opposto a quelle aperte.
    E via spropositando con queste ovvietà, senza mai dimenticare che ognuno di noi ha un udito diverso, non solo un differente gusto musicale.
    Questo a mente per dire che è inutile giudicare questi apparecchi dalle recensioni degli altri. Salvo che non ci siano dei punti del tutto coincidenti con più di una recensione di modelli che noi stessi conosciamo molto bene, sarà inutile considerare il parere di un altro senza ascoltare di prima mano noi quelle cuffie.
    Di qui la curiosità per queste HE6se dopo tutto l'hype del modello originale e la grande considerazione per questa riedizione.
    Che è uscita di produzione rapidamente mentre HIFIMAN ha dato fondo agli ultimi driver dorati disponibili, prima di dare via le macchine per produrli, con una successiva versione V2, che eredita l'archetto delle Deva e la finitura del padiglione in un pessimo viola shocking.
    Ok, Mauro, ma come suonano ?
    Ecco, al netto del fatto che sono da rodare e sono piuttosto rigide e al netto anche della differente sensibilità che mi obbliga nel passaggio con le Arya a regolare il livello per avere lo stesso volume, sono una delusione completa.
    Intendiamoci, mica suonano male, e che avete capito ?
    Solo che - che ne so, prendiamo lo scherzo della Nona - il colpo di timpano con le Arya sembra più voluminoso, più sontuoso, più ampio che quello, fermo e preciso delle HE6.
    In generale il basso delle Arya sembra più interessante, mentre quello delle HE6 sembra più tecnico e composto.
    Sugli alti, le HE6 sono più secche, mentre le voci sono indietro rispetto alla piacevolezza delle Arya.
    Ma nell'immagine le HE6 non ci sono, da nessuna parte. Sembrano cuffie chiuse.
    Ma non è che si voleva con le HE6 strizzare l'occhio a chi ama le cuffie chiuse ? E poi quando HIFIMAN è riuscita a fare planari chiuse le hanno dismesse ?
    Perché la tendenza adesso è fare diaframmi sempre più leggeri (stealth, nano etc. etc.) per migliorare il dettaglio a differenza delle HE, dure e pesanti che invece dovevano favorire il volume alle basse frequenze.
    Nella sostanza sono cuffie one-off che devono trovare - secondo me - l'amatore che si ritrovi con questo tipo di suono, guadagnando in piccole nuance dove si perde in quella naturalezza e facilità di ascolto tipico delle magnetoplanari mainstream HIFIMAN.
    Con l'aggravante che queste HE6se hanno i padiglioni sovraaurali e che necessitano di essere schiacciati sulle orecchie per avere un carico adeguato (cosa verificata anche in sede di misura).
    A conseguenza di cui la fatica di ascolto si somma a quella di indossarle.
    In conclusione. Le sto restituendo. Le mie Arya (per non dimenticare le Jade II, cuffie di una fascia superiore ma non paragonabili a queste), sono per me molto più gradevoli in tutto.
    Qualche recensore dice che le HIFIMAN HE1000se e Stealth riescono a mutuare le caratteristiche delle Arya con le HE6. Può essere ma se non lo sento con le mie orecchie, sinceramente non mi fido.
  20. M&M
    Rebecca Clarke, sonata per viola, sonate per violino e pianoforte
    Judith Ingolfsson, viola e violino
    Vladimir Stoupel, pianoforte
    Oemhs Classics, 19 gennaio 2024, formato 48/24

    ***
    Ho parlato diffusamente della sonata per viola, composizione del 1919 di Rebecca Clarke, un tempo sconosciuta e adesso pienamente nel repertorio di molti violisti.
    In questo disco la violista Judith Ingolfsoon si alterna alla viola e al violino, registrando anche le due sonate per violino, quella giovanile in un solo movimento in Sol maggiore e l'altra successiva in Re maggiore.
    L'interpretazione della sonata per viola che io conosco benissimo, qui è piuttosto compassata, smussando toni un pò drammatici ed aspri che spesso rileviamo in altre letture cui io sono più abituato.
    Qui i due offrono un'intesa più morbida e dolce, con tratti del piano di taglio impressionistico.
    Ma si tratta comunque di musica brahmsiana o post-brahmsiana all'inglese, sebbene scritta in pieno '900.
    Alla fine, pur con questi clair-de-lune contemporanei, si mostrano comunque convincenti. E' bello avere un taglio così differente.
    Sono una bella scoperta le due sonata per violino che mi erano del tutto sconosciute.
    La lettura è più classica e la particolarità è l'intonazione del violino che suona con una tonalità più vicina a quella della viola.
    Ricordo che Rebecca Clarke studiò violino e solo dopo, per gli auspici del suo maestro Stanford passò, con successo alla viola che in quell'epoca godeva forse del suo primo momento di grande spolvero.
    La sonata in Re maggiore è una composizione corposa, in tre movimenti (come quella per viola) della durata complessiva di circa 25 minuti ed è ricca di belle trovate, gusto, inventiva. Merita di essere riscoperta.
    La sonata in Sol maggiore è più aulica, inizia con un assolo del violino cui si aggiunge poi il pianoforte solo, quasi cantando in stile tradizionale inglese. E' pura musica romantica.
    Questo disco è registrato con i due strumenti in primissimo piano (l'ho ascoltata con due monitor Adam Audio) e su toni prevalentemente chiari. Ma con le cuffie l'impostazione non cambia molto.
    Tanto che questa intonazione descrive del tutto il disco.
    A me è comunque piaciuto molto e ve lo raccomando.
     

  21. M&M

    Recensioni Cuffie
    Ho provato nel 2020 il modello iniziale, con giudizio molto positivo.
    Riassumo le caratteristiche.
    Cuffie planari magnetostatiche con padiglioni circumaurali, dotate di modulo DAC/Bluetooth esterno, collegato alla presa dell'eventuale cavo.
    Il modulo dispone di porta USB-C per la ricarica, per l'eventuale collegamento ad un computer ma principalmente è un ricevitore BT, un DAC e un amplificatore per cuffie specifiche per le DEVA in un contenitore tanto piccolo e tanto leggero da poter essere ... portato in testa.
    Le DEVA Pro sono l'evoluzione di quelle cuffie ed appartengono alla generazione dei diaframmi con magneti Stealth, più leggeri e trasparenti.
    Non solo, il modulo Bluemini - come si chiama l'aggiuntivo elettronico - si permette adesso di avere una conversione R2R. Il tutto in 3x6cm !

    confezione e cuffie

    Bluemini R2R e Bluetooth

    ben evidenti sulla scatola le caratteristiche del Dongle incorporato.
    Queste cuffie comunque esistono anche in versione puramente cablata ad un prezzo inferiore.
    Vale la pena pensare a quelle ? Si, per le loro caratteristiche sonore e di comodità d'uso, se non serve l'uso wireless, si risparmia qualche decina di euro.
    Ma potendo io prendere le wireless.

    Stealth Magnets Design come tutte le più recenti HIFIMAN.
     
    L'estetica non è cambiata ma sono cambiati i colori.
    E' stato abbandonato - per fortuna ! - il color cammello del modello Deva sostituito da un più sobrio nero per i cuscinetti e per l'archetto. Mentre le armature dei padiglioni e le griglie restano color argento.



    i padiglioni restano di grande dimensioni - ad occhio sono proprio gli stessi, cambiano solo i driver - e di diametro abbastanza grande da circondare le mie orecchie senza toccarle.
    Io detesto le cuffie sovraaurali e già questo per me è motivo d'acquisto.

    dettaglio di una delle griglie di protezione esterna dei driver

    ed ecco qui il Bluemini. C'è il marchietto R2R in nero su nero, nella foto si vede poco.

    pulsante di accensione e porta USB-C. C'è poi una spia che ci comunica lo stato di carica e di connessione (qui è spenta).

    il marchio del modello DEVA Pro.
     
    ***
    Funzionalmente c'è una miglioria essenziale. Nel modello precedente non si capiva bene cosa succedeva quando si premevano i vari tasti.
    Adesso all'accensione una voce femminile in un inglese con pronuncia perfetta dice in modo chiaro "Power ON". Allo spegnimento, ovviamente, "Power OFF".
    Quando il modulo Bluetooth trova il trasmettitore a cui è stato accoppiato (la procedura sulle prime è poco intuitiva ma basta seguire le istruzioni e si riesce rapidamente), la vocina dice "Connected".
    Con il mio iPhone 15 Pro è questione di decimi di secondo perché si connetta.
    Nell'uso la connessione è stabilissima. Io uso da due anni queste cuffie per le mie passeggiate sciogligrasso e non ho mai avuto un attimo di perdita di segnale. Ascolto da Qobuz in formato CD e non ho nulla di cui lamentarmi.
    L'altra novità, basilare, oltre ai nuovi magneti e al diaframma alleggerito, è il modulo R2R che è imparentato strettamente con l'Himalaya che è installato nel DAC/Amplificatore desktop EF400.
    Si tratta di un apparecchio molto efficiente, dal suono caldo e suadente, perfettamente intonato con l'impostazione delle DEVA Pro.
    ***
    Per misurarle ho usato la connessione USB-C. Avrei potuto collegarle via cavo al mio Audio-GD R28 ma così avrei perso l'elemento DAC/Amplificatore interno.
    Ho fatto la stessa cosa con le DEVA che da quando ho le DEVA Pro sono state "declassate" a cuffie da computer, permanentemente collegate in USB-C.

    la risposta in frequenza è questa, piena sostanzialmente dai 60 Hz in su con un -3 dB a circa 45 Hz. Insomma come dei monitor da scaffale.
    Il precedente modello aveva qualche irregolarità in più

    ma a parte questo, sorpresa, sovrapposte le due risposte ...

    a parità di livello di preamplificazione abbiamo una sensibilità nettamente migliorata, oppure una potenza installata superiore, il che all'atto pratico è lo stesso.
    Siamo comunque a volumi d'ascolto.
    E vi devo dire che le DEVA Pro possono suonare molto forte con un volume di 50% del mio iPhone.
    Le differenze all'ascolto sono anche più marcate di quello che dice la risposta in frequenza.
    Anche perché non si può misurare l'ariosità del suono, il suo dettaglio, la leggerezza complessiva, l'impatto, una certa ... suadenza che le rendono più "sexy", acusticamente parlando, del modello precedente.
    Resta invariata la comodità nell'indossarle che riduce la fatica di ascolto praticamente a zero. Con il rischio di affaticare le orecchie per il troppo uso non perché siano fastidiose.
    ***
    Vale la pena di passare da un modello all'altro se uno ha già le Deva.
    Non saprei dire. Per me la differenza c'è, si vede, si sente, si tocca.
    Anche come cuffie da ascolto generico non itinerante sono fantastiche, sembrano di una categoria superiore (il prezzo su Amazon al momento è di € 259 mentre la versione senza Dongle viene "solo" € 179).
    E per me sono un best-buy assoluto di categoria e un affarone in termini reali.
    Le Ananda BT suonano meglio ? E' facile di si. Ma io non so se andrei in giro con le Ananda in testa ...
    Buon ascolto !

  22. M&M
    Saint-Saens : sonate per pianoforte e violino 1 e 2, fantasia in la maggiore Op. 124, berceuse in sib per violino e arpa
    Cecilia Zilliacus, violino
    Christian Ihle Hadland, pianoforte
    Stephen Fitzpatrick, arpa
    Bis, 3 febbraio 2023, formato 96/24
    ***
    Fino all'ultimo quarto del XIX secolo, la Francia non aveva alcuna tradizione di sonata classica, di alcun genere.
    Si faceva riferimento generico a quella tedesca o a quella italiana.
    Peraltro era proprio tutta la tradizione strumentale che mancava nella musica francese, tutta concentrata sulla Gran Opera e sulla sinfonia.
    In un certo modo, l'infausto esito della Guerra Franco-Prussiana e il sentimento anti-tedesco scaturitone, facilitò i musicisti francofoni desiderosi di creare una scuola nazionale antitetica a quella germanica (oltre che ovviamente alla detestata scuola italiana ... ma qui era storia vecchia, risalente ai secoli prima).
    Saint-Saens lamentava questa situazione e insieme ad altri colleghi - compreso il belga Franck - e più avanti Fauré, Debussy e Ravel, approfittò della nuova tendenza per dedicarsi alla musica strumentale.
    Non è un caso se, in relativa tarda età, si vedranno quasi tutte le sue composizioni di questo genere, sia cameristiche che concertistiche.
    Siamo nel 1871 e l'ultimo pezzo in programma in questo disco è del 1907. Camille era del 1833 ed era da tempo un compositore affermato.
    Il modello della prima sonata, Op. 75, in Re Minore (come la 9a di Beethoven) è un pezzo fortemente virtuosistico, praticamente nella forma in quattro movimenti, ma anche nella durata nel suo complesso, è di fatto una sinfonia a due strumenti.
    In questo momento, complice il vecchio Brahms, si scriveva sonata per pianoforte e violino, ma il violino è l'assoluto protagonista.
    In questa sonata ci sono fugati, cambi di ritmo e di tempo.
    I primi due movimenti sono due adagi, come nella 3a Sinfonia di Saint-Saens.
    La composizione è brillante come i concerti per violino e per pianoforte. In una parola, bellissima ed orecchiabile al primo ascolto.
    La seconda sonata, Op. 102 invece è l'opposto.
    Intima, graziosa, più mozartiana che brahmsiana, senza melodie troppo orecchiabili, sempre in quattro movimenti.
    Come diceva lo stesso Camille, richiede ... almeno otto ascolti per entrare nell'orecchio.
    Non è vero, naturalmente. Ma non è così immediata.
    Le due sonata ebbero successo sin dalla prima. Con l'autore al pianoforte, e due violinisti di gran fama, Martin-Pierre Marsick per la prima, nel 1886, e Pablo Sarasate per la seconda, nel 1896.
    La seconda sonata venne eseguita la stessa sera della prima del 5° concerto per pianoforte, detto l'Egiziano perché composto durante un soggiorno a Luxos.
    Come la sonata.
    Completano il disco due composizioni particolari, una fantasia per violino e arpa che dura la bellezza di quasi 15 minuti e che è veramente difficile da decifrare e una Berceuse del 1871, pensata per pianoforte e violino ma qui trascritta "tale e quale" per violino e arpa.
    Quest'ultima è di facile ascolto, è una canzoncina ben strutturata.
    La fantasia è del 1907 ed è stata composta a Bordighera ed è dedicata a due sorelle, entrambe raffinate musiciste, appassionate della musica di Saint-Saens che la eseguirono in pubblico scrivendone all'amico del grande successo ottenuto.
    Ma in fondo, seppure l'ispirazione sia italiana, si tratta di musica tipicamente francese.
    L'esecuzione della Zilliacus, è stupefacente, coadiuvata dal suo violino napoletano di Nicolò Gagliano.
    E' indubbio che sia la protagonista del disco.
    Sebbene anche i suoi partner (in particolare l'arpista britannico Fitzpatrick) siano all'altezza.
    Come è all'altezza la registrazione Bis, in linea con la sua splendida tradizione.
    In breve, un disco che può diventare un riferimento per queste sonata di Saint-Saens, con pochi rivali.
    Il che per una specialista di compositori nordici (peraltro è da qualche mese professore di violino all'Accademia Sibelius di Helsinki) sembrerebbe strano.
    Ma poi non così tanto, se consideriamo l'assonanza tra i compositori tardo-romantici come Sibelius/Nielse/Stenhammar e il nostro caro Camille.


     
  23. M&M
    Rebecca Clarke, chi era costei ?
    Violista e compositrice inglese nata nel 1886 a Londra. Studiò composizione al Royal College of Music con Stanford che le suggerì di dedicarsi alla viola per impadronirsi delle tecniche solistiche.
    Tra le prime musiciste professioniste sia in Inghilterra che negli Stati Uniti dove si trasferì 1916 restandovi bloccata per lo scoppio della Grande Guerra.
    E qui che comincia a comporre, firmando i suoi brani con uno pseudonimo maschile per non incorrere nel pregiudizio.
    Il suo impegno come compositrice prosegue grazie al mecenatismo di Elizabeth Sprague Coolidge

    Elizabeth Sprague Coolidge in un ritratto di Sargent del 1913
    La Clarke fu l'unica donna sovvenzionata dalla Coolidge che oltre ai concorsi per musica da camera, commissionava musica dalle firme più promettenti (segnalo che Malipiero vinse il concorso nel 1923).
    Negli anni '20 riprese l'attività concertistica in giro per il mondo e in Inghilterra, partecipando anche a programmi radiofonici della BBC e a qualche registrazione, riducendo l'attività compositiva che riprese limitatamente negli anni '40 negli Stati Uniti dove ancora era bloccata dalla nuova guerra.
    Pur essendo vissuta a lungo (morirà a New York nel 1979), le sue composizioni sono relativamente poche e il periodo più fecondo è quello appena successivo alla Grande Guerra. Per tutta la sua attività, pur avendo successo come musicista, soffrì del giudizio degli altri e in generale di disistima che per tratti era vera e propria depressione.
    Ha lasciato musica da camera e canzoni.
    La scoperta della sua musica è avvenuta dopo la sua morte, sostanzialmente alla fine del secolo ed è proseguita con la fondazione della Rebecca Clarke Society, nata per sostenere la registrazione e lo studio - comprese prime esecuzioni mondiali - della sua musica.
    Ma soltanto nel nuovo secolo, a 100 anni dal suo debutto la Clarke sta ricevendo il giusto tributo.
    Ascoltando la sua musica, si capisce quale passione l'animava, la stessa che ha portato i musicisti (uomini) della sua era, come Frank Bridge, Stanford, Vaughan WIlliams fino a Britten a dare un contributo fondamentale all'arte del '900.
     

    La sonata per viola e pianoforte
    La Sonata per viola e pianoforte di Rebecca Clarke stata presentata nel 1919, questa volta senza pseudonimo ma firmata dall'autrice, al concorso annuale di Elizabeth Sprague Coolidge.
    Su 72 brani presentati si guadagnò grande considerazione ma alla fine vinse la composizione di Ernest Bloch, probabilmente per evitare fraintendimenti visto che la sponsor del concorso manifestava una forte propensione per la composizione della Clarke e si volevano evitare favoritismi.
    Qualcuno arrivò anche a credere che Rebecca Clarke fosse uno pseudonimo di un compositore uomo in cerca di considerazione, forse perchè non si credeva - all'epoca - che una donna fosse capace di scrivere musica di quella potenza.
    Il brano ebbe comunque successo di pubblico e contribuì insieme al trio per pianoforte e alla rapsodia per violoncello degli anni successivi ad una certa notorietà per l'autrice. Si tratta dell'apice della carriera di Rebecca Clarke.
    La pubblicazione a stampa della sonata avverrà nel 1921, sempre negli Stati Uniti, certamente più aperti alla musica al femminile dell'Inghilterra.
    Il frontespizio reca una citazione della pesia Clarke ci dà un incipit sulla prima pagina della sonata, una citazione da La Nuit de mai (1835) del poeta francese Alfred de Musset:
    Poète, prona ton luth; il vino della jeunesse
    Fermente cette nuit in the veines de Dieu.
    La sonata si compone di tre movimenti :
    - I - impetuoso
    - II - vivace
    - III - adagio
    Il primo movimento è realmente impetuoso con una apertura veemente della viola cui fa seguito poi un dialogo con il pianoforte dall'atmosfera debussyana che ritroviamo anche nell'adagio finale.
    Diciamo che tutta la composizione ha cromie in stile Debussy ma l'aurea transnaturale tipica del francese è sostenuta da una concretezza tutta britannica. Nella forza la sonata ricorda quella coeva della sonata per violoncello e pianoforte di Frank Bridge, amico della Clarke.
    Il finale si libera in forma brillante, con fuochi d'artificio che si staccano completamente dall'inizio del pensoso adagio.
    La sonata si conclude quindi con la stessa forza che caratterizza l'inizio, riprendendo lo stesso materiale melodico con il pianoforte che incalza l'ossessiva tessitura della viola.
    Le due parti hanno infatti pari impegno e difficoltà, il linguaggio nell'insieme è molto originale, vive dell'humus in cui l'autrice si è formata ma con tratti decisamente originali e il carattere della sonata è realmente di grande intensità.
    Tanto che, finalmente, si è imposta nel repertorio dei migliori violisti del nostro tempo cui vengono richiesti al contempo carattere, virtuosismo e tecnica.
    Esiste una versione orchestrata di questa sonata, commissionata nel 2007 dalla Rebecca Clarke Society a testimonianza di una dignità ultra-cameristica ma non ho avuto modo di ascoltarla.

    Rebecca Clarke agli anni del debutto negli Stati Uniti.
    Edizioni
    Ho la fortuna di possedere svariate edizioni di questa sonata.
    La più anziana è quella del pregevole disco del 1993

    dedicato alle sonate per viola e pianoforte del 1919, eseguito splendidamente da Yishak Schotten con la moglie Katherine Collier
    Segue un disco altrettanto particolare del 2001, edito da Helios ed eseguito da Paul Coletti e Leslie Howard, una compagine britannica alle prese con musica puramente british per viola e pianoforte (Bax, oltre ovviamente a Frank Bridge e Britten, con Grainger e Vaughan Williams)

    Il disco Naxos del 2004 ha il pregio di comprendere altra musica da camera di Rebecca Clarke

    quasi una integrale che spazia per i decenni di attività compositiva
    Il disco della solita imperdibile proposta di Somm è del 2014 e contiene la sonata per viola suonata con il violoncello

    insieme a musica di Bridge, di Delius e di Ireland.
    La sonata già di pugno della Clarke è alternativamente eseguibile per viola o violoncello.
    Con quest'ultimo acquista toni più scuri che si traducono in un tono più "maschio" ancora, con una atmosfera decisamente calda e romantica, ben assecondata dall'intonazione dello strumento che suona Alexander Baillie.
    Arriviamo alle ultime due proposte per l'anniversario, che riprende le tre celebri sonate del 1919 (Clarke, Bloch, Hindemith) (2019)
     
    in una edizione molto decisa e brillante
    e quella estremamente passionale e viscerale data dalla coppia Marina Thibeault/Marie-Evé Scarfone che sotto al titolo "Elles", include anche musiche per viola e pianoforte (originali o trascritte) di altre musiciste come Clara Schumann, Fanny Mendelssohn, Nadia Boulanger con un intento chiarissimo (2018)

    aggiungo, non disponibili in disco ma liberamente fruibili sul web l'interpretazione di due dei migliori violisti in attività :
    Gérard Caussé

    e Antoine Tamestit

    due visioni differenti per impostazione e sviluppo, come è corretto che sia.
    Non dò preferenze di scelta lasciandone a voi la scoperta.
    Vi segnalo che i tempi variano dal più breve di poco più di 21 minuti al più lungo dei oltre 26 minuti (la versione per violoncello).
    Probabilmente per il mio gusto e per quello che credo sia il senso della composizione l'esibizione tutta al femminile che trovate anche qui tra i filmati di Youtube sia quella che idealmente leggo di più all'idea che ho io di Rebecca Clarke.
    Quella più equilibrata, la lettura di Tamestit.
    La più romantica al gusto di Earl Grey, quella al violoncello.
    La più impetuosa e maschile, quella di Coletti con Leslie Howard, a tratti al calor bianco.
    Ma soprattutto, datevi il tempo di esplorare una delle più affascinanti composizioni britanniche del XX secolo, per me al pari della sonata di Frank Bridge e capace di confrontarsi con il meglio della produzione inglese da Stanford a Britten.

  24. M&M

    Beginners Guide
    Quasi coetaneo di Brahms ma vissuto per due decenni anche nel nuovo secolo, Camille Saint-Saens è passato attraverso tutte le fasi del romanticismo maturo e tardo e oltre.
    In gioventù prodigio, in età avanzata reazionario. E per questo in qualche modo ostracizzato ed emarginato.
    Tanto che il suo successo è stato in larga parte dimenticato fino a che in repertorio resistevano pochissime cose, praticamente solo il Carnevale degli Animali e la Terza Sinfonia, spesso utilizzata per dare sfoggio della potenza organistica o per provare gli impianti audio.
    Eppure, appassionato, colto, conoscente di tutti gli strumenti musicali sia a livello tecnico che compositivo, maestro del colore, virtuoso egli stesso di organo, pianoforte.
    E dilettante astronomo e archeologo. Oltre che formidabile linguista. Per tacere della passione per matematica e filosofia.
    In gioventù strenuo sostenitore delle avanguardie musicali (oltre all'amato Schumann, anche Liszt e Wagner le cui opere, senza influenzarlo, erano da lui considerate il riferimento musicale dell'epoca).
    In vecchiaia grande oppositore dell'impressionismo francese e per questo detestato da Debussy (uno lo considerava atroce, l'altro maniaco sentimentale).
    Grande protagonista della scena internazionale, con amicizie vaste con i suoi contemporanei (celebri i duetti e i trii con Chaikowsky, Rubinstein, Bruch, Stanford). Affermato e vivace solista.
    A ottantasei anni era ancora capace di affascinare il pubblico sul palco al pianoforte.
    Amante dell'Africa, per turismo, con lunghi e felici soggiorni.
    A dispetto di un certo snobismo che lo taccia - appunto, vedi Debussy - di un certo sentimentalismo "fracassone", la sua musica è varia e in larga parte eccellente, sia sul piano tematico - dove non teme confronti - che su quello tecnico e in tema di sviluppo.
    Il contrappunto per lui non aveva segreti e per il colore non aveva bisogno di andare ad Arlès o osservare giardini di ninfee, possedeva una palette sconfinata.
    Questo il mio amore per Camille Saint-Saens musicista, uomo per il resto molto controverso nella sfera personale.
    In questo articolo ci tengo a scegliere alcuni dischi proprio per approfondire il suo sterminato catalogo musicale. Escludendo proprio Le Carnival, le opere (io detesto l'opera francese, di tutti i tempi : sono italiano !) e il complesso di composizioni a tema, poemi sinfonici e simili.
    Ma bastano i concerti e la musica da camera per apprezzare la statura di uno dei più importanti compositori romantici.
    1)

    cominciamo con i tre concerti per violino e orchestra.
    Il terzo è straordinario ma anche gli altri due sono semplicemente molto belli.
    Le integrali sono poche ed io conosco bene solo questa, con uno splendido Andrew Wan accompagnato a Montréal da Kent Nagano.
    La registrazione è aperta ma col violino ci sta.
    2)
    Le sinfonie sono molto interessanti ma non del tutto facili da digerire al primo colpo.
    Ma la terza effettivamente è di statura mahleriana, mantenendo quella forza, quel vigore e quell'ottimismo viscerale tipico di tutta la musica del francese.
    Le edizioni sono tante, quella che scelgo è la versione "francese" con l'Orchestre National de France diretta da Cristian Macelaru con l'eccezionale Olivier Latry all'organo (Latry è il titolare di Notre Dame de Paris).

    per la terza, come alternativa con una coppia inedita ed irripetibile, questa di BR Klassik

    con Mariss Jansons in una delle sue ultime interpretazioni che accompagna la splendida Iveta Apkalna
    3)
    con Saint-Saens ci accomuna la passione per lo straordinario timbro caldo del violoncello

    in questo disco Emmanuelle Bertrand avvicina il precoce - e straordinario - primo concerto con le due ultime sonate per violoncello e pianoforte.
    E' virtuosismo estroverso. Singolare come il concerto abbia tono minore mentre le due sonate siano rispettivamente in Fa e Re maggiore.

    il 2° concerto è roboante e cavalleresco ma qui in questo disco Chandos c?è Truls Mork ad ammorbidirlo.
    E anche se dopo il 1° concerto da una impressione un pò sconcertante ... dopo arriva, si lo so, avevo detto che l'avrei escluso ... il Carnevale con Louis Lortie ed Hélène Mercier.
    E il disco si chiude con due splendidi "capricci" a tema, con un Lortie veramente in grande forma.
    Africa è semplicemente ... mozzafiato.
    4)
    e questo non può che introdurre i miei amati concerti per pianoforte.
    Una volta trovare i concerti di Saint-Saens in disco era un'impresa, c'erano alcune edizioni di riferimento e basta.
    Ma ultimamente la scelta è arrivata a livelli di eccezionalità.
    Grazie all'ultima generazione di pianisti francesi, Chamayou, Kantorow e, appunto Lortie.



    ma c'è anche una lettura particolarmente maschia dell'inglese Grosvenor

    ma farei torto a tutta la Francia (Mai sia !) se non citassi l'edizione di rifermento con Pascal Roge al piano e Charles Duoit sul podio

    i concerti per pianoforte di Saint-Saens per me stanno al pari di quelli di Brahms, sovrastano tutti quelli degli altri romantici e possono andare a paragone per varietà e peso, con quelli di Beethoven (lo so, sono un eccentrico !).
    5)
    il disco che segue di Chandos, contiene le prime due sonate (quelle complete) per violoncello e pianoforte

    che potrebbero bastare per la passione che Christian Poltéra mette nel suo archetto.
    Tra i "bis" c'è un bellissimo "Cigno" dal Carnevale
    6)
    composizione giovanile (Op. 14) e piuttosto cupa nel suo incipit "maestoso" è in realtà un laboratorio di armonia e di contrappunto che pone le basi per le successive composizioni di Saint-Saens, con una parte pianistica estremamente complessa e virtuosistica (siamo a livelli di Brahms o di Shostakovich)

    tra le edizioni scelgo questa del Quartetto di Cremona con Andrea Lucchesini, molto solida.
    Che contiene il più matura quartetto n.1 Op. 112 (il primo quartetto nel 1899, cioé ad oltre 60 anni di età), in Mi minore che fa fede nella tessitura alla chiave particolare.
    Non vi sembra l'ultimo Beethoven ? Ascoltatelo bene ...
    7)
    i tre amici Capucon, Chamayou e Moreau ci consegnano per Erato un disco straordinario

    che contiene tre gemme, la sonata per violino e pianoforte n.1, la sonata n.1 per violoncello e pianoforte e, insieme, il trio n. 2 che potrebbe stare al pari di una sinfonia di altri autori romantici.
    Disco da 5 Diapason !
    8)

    disco straordinariamente vario questo di hyperion con il Nash Ensemble che contiene tra le altre cose, la sonata per fagotto, quella per oboe e quella per clarinetto.
    Composizioni molto delicate dell'ultima maturità (1921).
    Nello stesso disco quartetto e quintetto con pianoforte.
    Gran bel disco, registrato splendidamente.
    9)
    disco raro che incorpora tutte le composizioni con violino e violoncello solista in un volume solo

    dai solisti e dell'orchestra reale belga.
    Aggiungo lo straordinario Introduzione e rondò capriccioso per violino ed orchestra, in questo caso dell'altrettanto straordinario Perlman

    nel volume dedicato alla musica francese dalla Emi Classics (c'è anche la Havainese : meravigliosa).
    Non dimentichiamoci del Saint-Saens di Perlman con Barenboim sul podio :

    10)
    chiudo con una alternativa

    in questo disco giovanile di Yuja Wang c'è la trascrizione per pianoforte solo della Danse Macabre di Saint-Saens scritta da Horowitz.
    La registrazione è orribile ma la lettura è straordinaria.
    Ne esiste una versione, forse ancora più originale (con lo zampino di Franz Liszt e di Sudbim stesso)

    Ovviamente non si può dimenticare l'originale :

    qui inserita in una serie di ouverture, marce e composizioni varie per orchestra, scritte in chiave spettacolare
    o trascritta più regolarmente per violino e pianoforte

     
    Ma per me Saint-Saens è una scoperta continua, quindi non è detto che la lista non continui nei prossimi mesi o anni, con nuove proposte oltre queste ideali "10".
    Il mio consiglio è di esplorarlo, andando oltre la superficie e fuochi artificiali. Troverete autentiche trovate geniali di un grandissimo compositore.
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