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Mostra il contenuto con la massima reputazione da 06/08/2017 in Blog Entries

  1. Sabato pomeriggio, come di consueto, sul tardi parto per il Parco per scaricare le fototrappole. Lo faccio tutte le settimane ma ho saltato il giro quindi ci son 2 settimane di video e foto da scaricare. Però non mi lascio scappare l'opportunità di fare due foto. Ho il nuovo 800/6.3, non è proprio il suo ambito, però, magari, lungo fiume qualche limicolo compare, quindi lo infilo nello zaino e via. Il bosco è il solito macello di vegetazione; da aprile fatico metodicamente per tener aperto un sentiero, ma questo sabato dovrò buttarci dentro un'ora di sudore per farmi strada per l'ennesima volta. Giugno è così, opulento in tutto, nella bellezza del bosco ma anche nel caldo , nell'umido e nelle zanzare. Nikon Z9 ob. Sigma 24/1.4 Art +FTZ2 Arrivo al fiume, che trovo bene (finalmente). L'acqua scorre trasparente e placida su un letto di sassi puliti. Sono fradicio di sudore, quasi quasi, ma sì: mi butto dentro; mi spoglio biotto come mamma mi ha fatto e splash, qui non mi vede nessuno e ne approfitto per rinfrancarmi (serve). Ricomposti i pezzi, rivestito di tutto punto, stivale bucato incluso, cerco una barena per appostarmi, saran si e no le 19.20 e di luce ce n'è in abbondanza. il fiume trasparente, invitante. Nikon Z9, ob. Sigma 24/1.4 Art +FTZ2 una barena che potrebbe andare bene per appostarmi. Nikon Z9 ob. Nikon F 200/2 VR II +FTZ2 Apro il treppiede e monto l'800/6.3 a spiare la sponda opposta e le acque basse della riva sabbiosa davanti a me; il sole alle spalle, e nessuna nuvola a sciupare il tramonto, cosa voglio di più. Il punto è buono, ma lo so da 25 anni, ed ecco che arriva un bel corriere piccolo (bordo occhio giallo): E' tranquillo , è segno che mi son mimetizzato bene, la rete verde fa il suo mestiere. E l'800 anche! questo obiettivo è fatto proprio per minuscolezze come il corriere; evviva il ritaglio DX a cui accedo con un click (ma che figata questa Z9). La mira di fuoco becca bene l'occhietto bordato di giallo e lo tiene con risolutezza, peccato che l'uccellino è un po' scazzato, si mangia 2 bacherozzi e sta lì immobile, dandomi le spalle. Lo mollo per cercare altrove, arrivano i germani che in questa stagione stanno subendo la muta e sono veramente brutti da vedere, oltre che difficili da riprendere. Fa ridere che per riprendere il germano del Sesia io, da sempre, abbia dovuto fare i salti mortali, eppure c'è una ragione, la ragione della doppietta. Corriere piccolo. Nikon Z9 in DX ob Nikon S 800/6.3 Gitzo GT3541LS Arca B1 Germani nervosi in muta stagionale. Nikon Z9 in DX ob Nikon S 800/6.3 Gitzo GT3541LS Arca B1 Vabbè, potrei già prendere il sentiero del rientro, sono le 20.20 e per il tempo dedicato ho già di che essere soddisfatto. Ma le anatre si allarmano e si scostano dalla riva opposta, qualcosa le ha disturbate: è un capriolo maschio che pascola le fronde lungofiume. Lo seguo con il tele, va verso sud diventando sempre più piccolo. Per scrupolo con l'occhio dell'800 risalgo la sponda, ed ecco un altro capriolo, una femmina adulta, lei invece va verso nord quindi si avvicina. La aspetto e scatto FX, DX, ho da scegliere, le fronde sono una iattura e ce n'è sempre una su un occhio o sul naso. La femmina prosegue il suo percorso fino al greto ed esce di vista, è finita davvero, alzo la testa ma vedo un'altra macchia arancione di là dal fiume tra i salici. E' un capriolo femmina ma giovane. Strano di solito stanno i coppia, madre e figlia, fino a... a non so quando. Capriolo maschio. Nikon Z9 in FX ob Nikon S 800/6.3 Gitzo GT3541LS Arca B1 Capriolo femmina. Nikon Z9 in DX ob Nikon S 800/6.3 Gitzo GT3541LS Arca B1 Capriolo femmina juv. Nikon Z9 in DX ob Nikon S 800/6.3 Gitzo GT3541LS Arca B1 La giovane capriolo segue le impronte della femmina adulta, ma sta a debita distanza. Strano, penso, normalmente sono a vista. Seguo la giovane su su verso nord fino al greto. Ancora uno scatto e il capriolo si ferma. Rigida sulle zampe guarda davanti a se, orecchie tese in avanti, sicuramente c'è qualcosa, magari una volpe. Poi succede qualcosa che non mi aspettavo ed è documentato nelle foto seguenti. Nikon Z9 in FX ob Nikon S 800/6.3 Gitzo GT3541LS Arca B1. ISO 6400 f/6.3 1/200s VR ON, sono le 21.20 del 17 giugno. In tutta evidenza il capriolo adulto è la madre della giovane e la sta allontanando, ma la figlia avrebbe ancora piacere della compagnia materna. Nella fuga vengono dritte verso di me e raggiunta una certa distanza mi "percepiscono" e si danno alla fuga scomposta. Ho appena il tempo di fare due primi piani che mi raccontano quanto sia feroce il tormento che i caprioli subiscono ad opera dei tafani In tanti anni di osservazioni mi bastano le dita di una mano per contare le volte in cui ho assistito ad un comportamento di relazione etologica. E' già difficile fotografare qualcosa, ma ben di più è assistere, in presa diretta, alla vita quotidiana delle specie selvatiche. In pochi minuti ho visto con i miei occhi qualcosa che accade, nel segreto dei nostri boschi, tutti gli anni. E' la fine dell'adolescenza e l'ingresso nella vita adulta di una giovane capriolo. Del resto in queste settimane le mie fototrappole hanno registrato le novità di stagione ben descritte nel video che chiude il post. Per parlare di fotografia, devo puntualizzare 2 aspetti - era buio e l'f/6.3 è una bella fatica per la Z9, bene avrei fatto ad aggiornare il firmware alla rev 4.0 che dichiara miglioramenti in aggancio soggetti scuri su campo scuro; ho perso un bel po' di scatti per indecisione della messa a fuoco e qui era tutto scuro. - l'800 f/6.3 è un obiettivo fantastico ma questo non è il suo campo di battaglia. Lo sapevo, ma contavo di rientrare prima del crepuscolo. Queste riprese sono risolte dal 600/4 o dal 400/2.8 TC per concludere, 50 euro di fototrappola ha visto questo 35_PLS-FTPM_0510.AVI Valerio Brustia Nikonland giugno 2023
    27 punti
  2. E' una frase fatta , ma comunque una gran verità. Come quella che afferma che l'equipaggiamento più importante sta alcuni centimetri dietro il mirino. Spesso si fotografa a caso soprattutto, purtroppo, nella fotografia naturalistica dove, attratti dal soggetto ci si dimentica del contorno, ci si dimentica di fare attenzione, di valutare alternative, di pre-vedere il risultato, di sperimentare, insomma, di pensare. Ne abbiamo parlato e scritto in non so quanti articoli e tutorial, io ne ho discusso soprattutto per la macro. In questo blog cercherò di non ripetermi, ma farò esempi di come il fatto di pensare di spostarsi di qualche centimetro o di qualche passo, pensare di cercare un'occasione migliore, una luce diversa, possa fare la differenza. Le foto sono tutte mie, così non si offende nessuno . Cominciamo con delle Damigelle. Point and shoot (inquadra e scatta) stile compatta porta di solito a risultati... inguardabili e siamo tutti d'accordo. Non c'è bisogno di grande analisi per dire che è un orrore di foto? Bene. Facciamo un passo avanti qualitativamente, abbiamo un macro, dei tubi, una lente, insomma proviamo a fare qualcosa di più interessante, ma presi dal soggetto, o semplicemente distratti, insomma senza guardare, non è che escano foto migliori: Presto, il cestino! Ma questa damigella ci piace tanto, se ne sta lì ferma, ci lascia avvicinare, riproviamo ad ingrandimento maggiore: Un po' meglio, ma poco. Rendiamoci conto che o si tolgono i fili d'erba o la foto sarà al massimo così (per me da scartare). Dobbiamo impegnarci in un "salvataggio" successivo, clonando e trafficando sopra e sotto? Se volete, oppure ci si rende conto che le damigelle sono tante e se ne sceglie una su un posatoio migliore e si cura meglio l'inquadratura: Mezzo metro più in là sullo stesso cespuglio, ecco sfondo migliore e curando l'inquadratura, si sfuoca l'addome in modo che non risulti tagliato (non è la stessa dell'altro blog, eh): C'è differenza? Un altro esempio, L'Orthetrum albistylum, Il soggetto è bello, ma ripreso da lontano stando in piedi, il risultato non è così bello: C'è addirittura una foglia davanti all'addome, nella zona posteriore, ingannati dalla visuale del mirino (fa rima con cestino)? Avvicinandosi un po' ma soprattutto inginocchiandosi: Un po' meglio vero? Non ho pulito il puntino di sporco ed il peluzzo sul sensore, lo so, ma sono foto didattiche, che vogliono spiegare una cosa diversa, tutti sappiamo cosa fare dei puntini pre o post... . Questa foto (ripulita dei puntini ) è dignitosa. Bella uguale a tante altre che ho fatto. Però, volendo, si può fare di più, osservare (che è un sinonimo di guardare) il comportamento e vedere che il posatoio è un punto di decollo e di atterraggio, quindi si può riprenderlo appena atterra ad ali alzate per una foto più di effetto. Ed allora: Cambiamo soggetto, camminando incontro questi quattro marangoni minori -grazie a Gianni per la correzione nell'identificazione, distrattamente li avevo presi per dei Cormorani-sui rami nell'acqua. Punto e scatto, ecco quattro Marangoni nell'acqua del fiume. Passabili. Ma se provassi a cercare un punto diverso? Mi sposto di due metri o poco più: E' meglio? E' peggio? E' diversa. I Marangoni diventano elemento grafico con il monocolore dell'acqua. Sempre natura, ma con un pizzico di interpretazione. Questa mi stuzzica anche la fantasia, voglio farne una versione in bianco e nero, cosa che che con quell'altra non avrebbe avuto senso, non avrebbe reso quel che avevo immaginato. Magari piace solo a me. Spero tantissimo che abbiate colto il senso di questo mio blog. In tutti i generi fotografici, anche con gli animali, metterci la testa va ben oltre il curare la messa a fuoco l'esposizione e così via. Le foto, a parte quella dei cormorani, sono diverse da quelle del mio blog precedente, non è un riciclaggio. Il discorso è rivolto a chi è alle prime armi, gli altri non si offendano, lo so che lo sanno già. Silvio Renesto
    26 punti
  3. DA quest’anno Alghero e Olbia ospiteranno la prova italiana del WRC ad anni alterni. E già da quest’anno le prove speciali si sono spostate verso la Gallura con qualche sorpresa che fa tanto vecchio Costa Smeralda. Solite levatacce con tanti chilometri in più da macinare e solite attese, ma non si esagera più come negli anni passati perché tutto è diventato più faticoso per me ed Enzo. La passione c’è sempre ma il fisico non la segue più per cui va bene svegliarsi alle 5 del mattino e infilare lo stradone, va meno bene spostarsi rapidamente da una speciale all’altra per incassare il pieno di foto. Non ce lo possiamo più permettere. Per cui abbiamo preferito concentrare il nostro lavoro in due sole giornate, venerdì e sabato. Tre sarebbero state troppe. Pazienza per il gran finale di oggi. Come anticipato le sorprese ci sono state con le due prove speciali di Terranova, quella col salto _ a mio avviso _ più spettacolare fra tutti quelli visti sinora e quella che racchiude il tratto più insidioso: la mitica e discesa Kitzbuhel con una esse veloce in mezzo al granito. Vietato sbagliare. E alle 8 in punto stiamo parcheggiando all’interno del cantiere forestale di Terranova, proprio di fronte alla caserma della Forestale, distante un centinaio di metri dal salto. C’è tanto pubblico ma tutto sommato un servizio d’ordine attento ma non invasivo. Il motivo per il quale questo salto è così interessante sta nel fatto che le auto arrivano a velocità elevata su asfalto che diventa sterrato proprio nel punto del salto. Lo show ha inizio… Nonostante il sole, il cielo non prometteva bene. Temporali sparsi, anche di forte intensità. E li abbiamo visti, da dentro l'auto. A Kitzbuhel però la pioggia era già passata prima dell'inizio della speciale. Una luce pessima. In compenso, fango in quantità industriale Ecco la famigerata Kitzbuhel, una discesa pazzesca con una esse insidiosa tra le rocce di granito e una pendenza impressionante. Si scende "a palla": quì i più bravi fanno il tempo, gli altri tolgono il piede dall'acceleratore. Non ci sono immagini per raccontarlo perchè se non la si vede non si ha la giusta percezione .... e sotto di lei, il fango... Takamoto Katsuta, uno che pensa col piede Tierry Neuville Dani Sordo Molta pioggia significa anche molti guadi e sarebbe stato questo l'obiettivo della seconda giornata, trovarne almeno uno Un raggio di sole alle 8,20 fa la differenza. Solo Zfc col 16-50, contenta di fare il bagnetto mattutino (io un po' meno contento). Il pomeriggio, invece, è tutto della D500. Le distanze di Loelle richiedono parecchi millimetri. L'attesa è meno faticosa del solito per via della temperatura accettabile viste le condizioni meteo. Cionostante quattro ore d'attesa per il secondo passaggio sono davvero tante. Tenuta da combattimento Arrivano.... Elfyn Evans Dani Sordo Sebastien Ogier Per la cronaca ha vinto Terry Neuville Anche stavolta è andata. Dovremo trovare nuove location per il prossimo anno o sperare in altre novità, giuto per non fare sempre gli stessi scatti. Copyright Enrico Floris 2023 per Nikonland Pezzo consigliato: Come Up For Air - Albert Cummings
    24 punti
  4. Fotografare i cervi al bramito è una cosa che mi ha sempre dato enormi emozioni. In particolare sono innamorato del momento in cui, nel buio fitto, li senti lontani. Mi trasmette un'eccitazione ed una tensione ancestrali. Ma è una fotografia difficile, che ha bisogno delle giuste condizioni e della giusta location. Quest'anno, dopo anni di insuccessi e grazie all'amico Alberto che ha trovato un posto fantastico, è andata molto bene. Condivido con voi alcune fotografie e un po' di ricordi che le accompagnano. Primo giorno, un sabato pomeriggio di tempo bellissimo - nonostante le previsioni meteo dicessero pioggia. A dire le condizioni peggiori, in particolar modo se sei al primo appostamento in un posto nuovo e non hai idea di quello che ti puoi aspettare. Ma nel bosco bramiscono.... quindi di corsa sotto la rete . Di quel pomeriggio ne salvo pochissime. L'aria calda è micidiale! Ma ad un certo punto, più in alto.... E' una coppia che per un po' di tempo starà posata, lontano. Molto emozionante vederli insieme! La giornata finisce. Lo sappiamo, le foto sono solo così così. Quando la luce non ti è amica e ti metti nel posto sbagliato puoi solo... sperare nella prossima occasione. Ed eccoci alla mattina dopo, pochissime ore di sonno, disturbate da una notevole agitazione. Colazione alle 4:00, si va via veloci perché per tornare lassù ci vogliono quasi 2 ore. Le previsioni danno bellissimo, speriamo di avere dalla nostra parte il fresco della notte, che ha una stellata splendida. Si sale nel bosco, al buio. Bramiscono un sacco. Arriviamo vicini alla radura di ieri che è ancora troppo buio. Vicinissimo a noi rumore di corna: combattono! Con molta cautela prepariamo il materiale, dobbiamo aspettare ancora. Ed ecco che succede l'imprevedibile, appena inizia a schiarire, prima ancora di riuscire davvero a vedere.... scende la nebbia. E' una fortuna notevole!!!! Ci appostiamo, angolo diverso rispetto alla sera che tiene conto sia della diversa angolazione della luce che di quello che crediamo di aver capito ieri sera... Sentirli bramire nella nebbia per poi intravederne le forme è stato bellissimo! Questa non è una bella foto... ma la posto lo stesso. Vederlo così vicino non capita spesso! Poi la nebbia si alza e la magia finisce. Occorre, ancora, rientrare. Ma si torna a casa. Venerdì un giorno di ferie, si torna sù! Luce ancora migliore, ma ad essere molto migliore, ancora, è il punto dove ci siamo appostati questa volta. Viene voglia di giocare un po', cercando inquadrature diverse... Le ultime due immagini sono dell'ultima mattina, meteo ancora diverso e cervi molto più lontani. E anche per quest'anno è finita.... ma il prossimo anno credo proprio che proverò a bivaccare lassù, dove arriva il primo raggio di luce Commenti, critiche e reazioni di qualsiasi genere sempre graditi!!!
    23 punti
  5. Era già in programma da qualche mese questo fine settimana nella riviera ligure di Levante, in quel di Bonassola, un paese a meno di 20Km da Monterosso al Mare, il primo dei borghi delle 5 Terre. Quello che non era in previsione è stata una temperatura talmente piacevole da spingere diverse persone all’ultimo bagno dell’anno e più che altro a giocare con le grosse onde che si infrangevano sugli scogli o si acquietavano sulla larga spiaggia quasi deserta. Quale occasione migliore per realizzare qualche bello scatto in tutto relax? Circa 35Km fra sabato e domenica, suddivisi in due passeggiate, verso Montaretto la prima e verso Vernazza ma in entrambi i casi i sentieri a mezza costa scoprivano degli scorci sul mare che ispiravano quella pace che stenti ad immaginare guardando un TG o sfogliando un quotidiano e senza bisogno di andare col pensiero in Ucraina o in Medio Oriente. Due giorni, due tramonti. Il cielo non era perfettamente sereno e le nuvole hanno contribuito a drammatizzare gli scatti.
    21 punti
  6. Il 26 ottobre u.s. mi sono recato al Salone dell’Auto e Moto d’Epoca a Bologna, in quanto appassionato dei tempi in cui le automobili avevano un’anima ed erano riconoscibili dal rombo dei motori, erano diverse esteticamente ed ogni costruttore aveva il suo stile inconfondibile. Ecco, non erano anonime e brutte come quelle odierne, anche se molto comode. Durante la visita al salone, circa 12 Km. di camminata fra i vari immensi stand, sono riuscito a riempire una scheda da 64gb con la Z 7 ed il 24/120, scattando in modalità silenziosa e Iso auto. La modalità silenziosa aiuta con i rari visitatori sensibili verso chi fotografa ed attendono lo scatto prima di avvicinarsi. Non sentendo rumore restano in attesa, permettendo al sottoscritto di fare varie foto con calma. Tuttavia, nonostante fosse il giorno di preapertura, con il costo del biglietto doppio rispetto agli altri giorni, il salone era, comunque, frequentato da una nutrita presenza di visitatori. Mentre riguardavo le foto notavo che, fino agli anni ’70/80 l’auto italiana non era seconda a nessun competitore europeo, per bellezza e per prestazioni. Infatti, eravamo validi competitori sul mercato e nello sport, dove spesso alle minori potenze rispondevamo con una maggiore fantasia. Purtroppo, nel 1980, quando Agnelli decise di affidare a Romiti (finanziere) la presidenza della Fiat, è iniziata la decadenza dell’industria automobilistica italiana. La Lancia che fino all’ora produceva la Thema fini in pochi anni a produrre solo la “Y”, la Fiat dalla Croma e la Uno, riuscì a partorire auto come la Palio e la Duna. L’’Alfa Romeo, che avrebbe dovuto essere un fiore all’occhiello, passò da un disastro all’altro, snaturata nei motori e nella tradizionale trazione posteriore (ripresa solo dopo la scelta di Marchionne al vertice delle Fiat). In pratica l’Alfa fu “Fiattizzata” come del resto anche la Lancia. Oggi, dopo il breve sussulto d’orgoglio infuso dal compianto Marchionne, gli Eredi della famiglia Agnelli hanno decretato la fine dell’auto italiana. Questa prefazione uesto mi è servita per introdurre una serie di foto, solo documentative, delle auto italiane presenti al Salone, a dimostrazione di quanto eravamo bravi nel settore e che hanno lasciato un segno nelle varie epoche di appartenenza. Inoltre, mi ha permesso di esternare la mia profonda delusione su quello che è accaduto ad uno dei settori trainanti della nostra economia. Dal 1900 al 1940 Fiat 18/24HP del 1908 Fiat Tipo 6 del 1910 Fiat 520 6C del 1928 Anche questa è una Fiat, la 1500 6C Turolla del 1938 come sopra Monaco Trossi con motore stellare di 16 cilindri a due tempi del 1935 Lancia Aprilia Boneschi del 1937 come sopra Alfa Romeo 6C 1750 SS del 1929 come sopra O.M. 665 S Superba del 1929 Auto Avio Costruzioni 815 (8 cilindri 1500 di cilindrata) del 1940 – La prima auto costruita interamente da Enzo Ferrari. Dal 1940 al 1960 Ferrari 166 MM (Mille Miglia) del 1950 come sopra Fiat 1100 S “Gobbone” del 1948 Anche questa è una signora Fiat, la 8V coupé del 1954 Lancia Aurelia B50 Vignale disegnata da Michelotto del 1951 Lancia D23 Spider Pininfarina 6C. del 1953 Lancia Aurelia B20 del 1953 come sopra Lancia D24 Spider Pininfarina 6C. del 1953 Lancia Appia C83 camioncino del 1957, eravamo bravi anche a fare i pick up Alfa Romeo 6C 2500 Sport – Cabriolet “Touringa” Superleggera del 1943 come sopra Alfa Romeo Corto Gara del 1952 coupé Touring superleggera Alfa Romeo 1900C SS coupé Zagato del 1954 Alfa Romeo Giulietta Sprint Veloce Coupé 1300cc del 1955 Alfa Romeo Giulietta Spider del 1958 come sopra, con a vista il bellissimo bialbero Alfa sopra e sotto - Alfa Romeo Giulietta Sprint Speciale (Carrozzeria Bertone ma disegnata da Franco Scaglione) del 1959 come sopra Alfa Romeo 2600 Sprint Carrozzeria Bertone disegnata da Giugiaro del 1960 Maserati A6 GCS barchetta del 1953 come sopra come sopra Maserati 420M/58 Eldorado Special del 1958 Maserati Birdcage Tipo 61 del 1959 come sopra sopra e sotto - Cisitalia 202 Pininfarina del 1947, una vettura è esposta al MOMA di New York Cisitalia 202 Mille Miglia Pininfarina del 1952 come sopra Dal 1961 al 1975 Ferrari 250 GT spider California passo corto del 1961 Ferrari 250 GTE Coupé 2+2 del 1962 come sopra sopra e sotto - Ferrari 265 GTB muso lungo del 1965 Come sopra Ferrari Dino 206 GT del 1968 Alfa Romeo Giulia TZ del 1964 come sopra sopra e sotto - Alfa Romeo Giulia Sprint GTA del 1965, sullo sfondo Carlo Chiti il creatore dell'Autodelta Alfa Romeo Giulia Super 1600 del 1965 Alfa Romeo Giulia GT Junior del 1967 Alfa Romeo GTV 2000 del 1972 Alfa Romeo GTV 2000 tributo GT AM del 1972 Alfa Romeo 33TT12 del 1975 sopra e sotto - Lo stupendo, anche esteticamente, motore bialbero in alluminio con i due carburatori doppio corpo Weber dell’Alfa Romeo. Bello anche come soprammobile. come sopra come sopra Lancia Flaminia Coupé GTL del 1961 sopra e sotto - Lancia Flavia Zagato del 1965 Lancia Flavia Coupé 1800 del 1966 sopra - Lancia Fulvia M&F special del 1969 -creata Da Claudio Maglioli e Cesare Florio per competere in gare come l’allora Targa Florio e la 1000 Km del vecchio Nurburgring Lancia Fulvia HF 1600 del 1970 Lancia Stratos del 1973 Osca 1600P sperimentale del 1963 Fiat Dino Spider 2.0 del 1969 Fiat Dino 2400 Coupé del 1970 Fiat 124 Spider Abarth del 1975 Maserati 3500 GT del 1963 sopra e sotto - Maserati Quattroporte del 1965 Maserati 3500 GTI Sebring del 1965 sopra e sotto - Lamborghini Miura P400S del 1968 In questa sede ho omesso di parlare di costruttori del calibro di De Tomaso, Iso Rivolta e Bizzarrini, in quanto vetture prodotte in Italia, ma spinte da propulsori 8V Chevy made in America. Auto comunque bellissime come le De Tomaso Mangusta e Pantera, la Iso Grifo, nonché la Bizzarrini GT 5300 Strada. Merita una menzione il Livornese Giotto Bizzarrini, al quale si deve anche la collaborazione su diverse auto ad iniziare dall’Alfa Romeo Giulietta, dalle Ferrari 250 Testa Rossa, 250 SVB, 250 California, fino alla 250 GTO. Per Lamborghini lavorò alla 350 GTV motore compreso, oltre a collaborare con Giugiaro per definire la citata Iso Grifo. Inoltre, con Carlo Chiti, entrambi fuoriuscita dalla Ferrari in modo burrascoso, fondarono l’ATS con i capitali del Conte Giovanni Volpi di Camerata, già titolare della Scuderia Serenissima. Oggi a dare lustro alle quattroruote “made in Italy” restano solo i marchi presenti nel Modenese, la famosa terra dei motori, che racchiude in un triangolo Ferrari, Lamborghini e Pagani, che producono supercar in numeri limitati. Non cito la Maserati perché adesso è in vendita pure il nuovo stabilimento voluto da Marchionne e quindi non voglio neanche immaginare che futuro avrà questo nobile marchio. Ps. Un grazie a chi ha avuto la costanza di arrivare fin qui. Mi preme, inoltre, precisare che al Salone sono rappresentati anche i più illustri marchi stranieri, che hanno esposto auto bellissime, restaurate o conservate in maniera maniacale.
    21 punti
  7. Ieri sera, 23 giugno, complice la serata in libertà ed un forte vento che garantiva aria povera di zanzare e caldo sopportabile, mi son recato al fiume anticipando di 1gg lo scarico foto-trappole. Intorno alle 21.00 ero appostato all'ombra di una siepe di poligono giapponese, sul greto che è crocevia serale di tutti i mammiferi del Parco delle Lame. Appostamento. Nikon Z9 ob Sigma 24/1.4 Art+FTZ2. Sono appostato da meno di 10min e sento un rumore delicato di sassi smossi ale mie spalle. Mi chino in posizione, porto la mano sulla ghiera zoom del tele il 200-400/4 VRII e la ruoto al minimo, voglio il massimo di campo inquadrabile. Non è un rumore di zoccoli quindi ho 3 opzioni: lepre, volpe e tasso, in probabilità decrescente. Ed infatti arriva una bella lepre. Muovo lentissimamente il tele sul treppiede per centrare l'inquadratura e mi fermo. E' a meno di 6 metri, scatto a 200 250mm, sono sufficienti. LE FOTO DELLA LEPRE CHE SEGUONO SONO TUTTE IN FORMATO PIENO FX e NON SONO CROP (IO NON "CROPPO" MAI) Arriva la lepre. Nikon Z9 ob NIkon AFs 200-400/4 VRII+FTZ2 @200mm , Gitzo GT3541LS Arca B1. Nikon Z9 ob NIkon AFs 200-400/4 VRII+FTZ2 @250mm , Gitzo GT3541LS Arca B1. Nikon Z9 ob NIkon AFs 200-400/4 VRII+FTZ2 @350mm , Gitzo GT3541LS Arca B1. La lepre non si avvede di me, si ferma a fare toletta: uno sciallo scatto scatto scatto. La lepre non vede benissimo, ma ha un ottimo udito e olfatto. Sono sottovento e NON FACCIO NESSUN RUMORE!!! Con la reflex questa situazione si sarebbe conclusa con tre foto e via. Nikon Z9 ob NIkon AFs 200-400/4 VRII+FTZ2 @400mm , Gitzo GT3541LS Arca B1. La lepre si pulisce per bene contorcendosi ed assumendo forme che nessuna AI implementata nella fantastica Z9 riesce a decifrare. Ho piacere che Nikon faccia campagna a favore dell'intelligenza NATURALE, ed ecco che sono chiamato ad usarla, attraverso il pollice che attiva il menù scelta messa a fuoco: via il wide S + bestie persone cose e dentro il punto Singolo. Da qui in poi è un inseguire con il joystic l'occhio della lepre. WIDE S BESTIE PERSONE COSE: mette a fuoco il groppone. Nikon Z9 ob NIkon AFs 200-400/4 VRII+FTZ2 @400mm , Gitzo GT3541LS Arca B1. Forme inconsulte per l'AI della Z9. per beccare l'occhio ho dovuto ricorrere alle vecchie pratiche di joystic. Nikon Z9 ob NIkon AFs 200-400/4 VRII+FTZ2 @400mm , Gitzo GT3541LS Arca B1. Eh qui nemmeno io sono riuscito a beccare l'occhio. L'intelligenza Naturale mi ha detto di fotografare lo stesso Nikon Z9 ob NIkon AFs 200-400/4 VRII+FTZ2 @400mm , Gitzo GT3541LS Arca B1. La toilette dura circa una manciata di minuti, poi la lepre riparte per i suoi vagabondaggi. Solo più tardi, all'orizzonte sulla lingua di sabbia dove mi ero appostato sabato scorso, quando la luce s'è ridotta tanto da pretendere i 16000 ISO, ricomparirà in compagnia di una collega, ma solo dopo un passaggio di un capriolo in fuga dai tafani e sotto l'occhio alieno di una coppia di svassi che ha deciso di stazionare al fiume (è la prima volta che vedo degli svassi nel Sesia) Capriolo maschio in fuga dalla tafaneria. Nikon Z9 in DX ob NIkon AFs 200-400/4 VRII+FTZ2 @400mm , Gitzo GT3541LS Arca B1. Un raro svasso. Nikon Z9 in DX ob NIkon AFs 200-400/4 VRII+FTZ2 @400mm , Gitzo GT3541LS Arca B1. ISO 16000 1/160 f/4 Carosello di Lepri. Nikon Z9 in DX ob NIkon AFs 200-400/4 VRII+FTZ2 @400mm , Gitzo GT3541LS Arca B1. ISO 16000 1/160 f/4 benvenuta la notte. Nikon Z9 ob Sigma 24/1.4 Art+FTZ2, Gitzo GT3541LS Arca B1. ISO 800 1.3s f/8 CONSIGLI fotografici della lepre ----------------------------- "'SCULTA AL STUPID" Z9 santa subito, l'ho già detto. Mi piace però osservare che in questa occasione ho avuto l'accortezza di indovinare l'obiettivo giusto per l'occasione corrente. In questo caso avere un'ottica zoom è stato fondamentale. Certo, altrettanto utile è stato che fosse f/4 per il contesto crepuscolare, ma la cosa interessante è che questo zoom è uno zoom IMMOBILE. Capiamoci: con il vecchio 200-500 queste foto le avrei fatte ugualmente, salvo per un piccolo dettaglio: l'allungarsi dell'ottica, date le corte distanze di ripresa, avrebbe potuto farmi individuare, perché la lepre non ci vede bene, non legge il giornale, ma i movimenti li percepisce benissimo. Dico questo perché il nuovo Nikon 180-600 è stato intelligentemente realizzato in modo da non allungarsi. Ai futuri possessori di questo obiettivo auguro incontri come questo che sono fotograficamente appaganti oltre che spassosi (la lepre è buffa forte) Il mimetismo è fondamentale, ma va accompagnato con la scelta del punto di ripresa adeguato. Ero all'ombra di un cespuglione di poligono, e la rete, i vestiti, hanno creato un buon tutt'uno che mi ha reso invisibile, salvo per quel non identificato animale che ho sentito arrivare da nord ovest e che deve aver odorato l'afrore di Autan portato dal vento. Ho sentito i sassi smossi e qualcosa allontanarsi. Meglio uscire senza vento, ma nella sera del 23 giugno 2023 ho gradito molto l'aria in movimento, altrimenti sarei ribollito. comunque ... fa un po' caldino ... magari perdo i sensi
    21 punti
  8. Ultimamente su Nikonland sono state fatte alcune proposte, tutte puntualmente cadute nel disinteresse generale. Mi è venuta voglia di fare anch'io una proposta per vederla cadere nel disinteresse generale. STO SCHERZANDO. Propongo seriamente un'iniziativa che spero verrà seguita perchè so per certo che su Nikonland non c'è solo chi si limita a discutere di come va o non va quell'aggeggio, di che cosa ha assolutamente biogno di acquistare poi al massimo deposita le foto in modo impersonale come un atto fisiologico, o come un bombardiere, una serie che cade dall'alto, senza una parola, senza nemmeno mettere un nome al file. Su Nikonland, lo so, non c'è solo questo, c'è chi sa fotografare bene, e bene vuol dire con la testa e col cuore, che ci mette del suo, che vuole dire qualcosa, questo indipendentemente dal risultato che può essere un capolavoro, oppure no. Lo so perchè ho visto le loro foto e mi hanno toccato, guardandole mi sono detto, qui c'è sentimento, qui c'è passione, qui c'è forza! Ma tanti altri in mezzo alle n mila foto "standard" si saranno trovati a dire ecco, questa sì che dice qualcosa! A voi mi rivolgo. FINITA LA PREMESSA PASSIAMO ALLA PROPOSTA In questo blog metterò una mia foto per inizare, e poi ne aggiungerò se serve, foto che non sono necessariamente le migliori (nemmeno sgorbi però), ma che credo di aver fatto con la testa e col cuore, spiegando il perchè. Vorrei che faceste lo stesso anche voi, seguendo una semplice regola: Evitare i riferimenti strettamente personali cioè quelle foto che dicono qualcosa solo all'autore. Questi riferimenti hanno due facce: la prima sono i legami personali: mogli, mariti, amanti, figli, nipoti, animali di casa. Per quanto li si ami, non è detto che significhino qualcosa per gli altri, anzi. La seconda sono le passioni specialistiche, collezionistiche ecc. io non metterò foto come quella dell'Aromia moschata (un insetto) anche se a me dice molto. E adesso ci rifilerà il solito gatto... INVECE NO. Una delle foto di cui sono in assoluto più contento è questa: Perchè? Perchè il grande dinosauro fa sognare i bambini e quello nella foto letteralmente avvolge un bambino, che legge con avidità la disascalia, così che il dinosauro gli si fa vivo nella testa e non è tutto: a fianco suo nonno lo aiuta a capire (conoscendo i bambini potrebbe anche essere il contrario), ma quel che importa è che gli è vicino, nella foto c'è la tenerezza del legame fra i due, dentro la cornice fantastica del grande Dinosauro, con il bianco e nero rafforza la magia. NON è una crisi narcisistica, non è una questua di cuoricini, è la spiegazione del perchè sono convinto che questa foto dica qualcosa di più del solito, poi chi la guarda può sentire o no le stesse cose, chi lo sa, qualcuno può pensare che è orribile ed io un illuso. Adesso non la sfida, ma la proposta: avete una, due, centomila foto che secondo parlano al cuore? Mettetele nelle risposte di seguito. Mettetele qui e raccontate perchè. Il vostro pensiero è migliaia di volte più significativo più FOTOGRAFIA di qualsiasi discorso di lenti ed inquadrature. Senza contare che è un esercizio importantissimo anche per chi le propone. Mi fermo qui e aspetto. Io di VOSTRE foto che parlavano al cuore ne ho viste su Nikonland, anche meglio delle mie, mi sono fermato a lungo a guardarle, a lasciarmi toccare dall'emozione, perchè non raccontarle voi stessi? Non trinceratevi dietro "non sono capace di scrivere", La foto vi dice qualcosa? scrivetelo, anche in poche righe. Se l'iniziativa cadrà nell'oblio, pazienza, potrei proseguire con altre mie, però avrebbe meno senso, sarebbe un'occasione (di crescita) perduta per chi vorrebbe vederle e capirle di più, ma soprattutto per chi non ha voglia di raccontarsi e di riflettere. PS Potrei pubblicare e commentare (previo permesso) foto di altri che ritengo significative, ma sarebbe comunque la mia lettura, non quella dell'autore, e dovrei impegnarmi in una ricerca che potrebbe escludere e potenzialmente offendere qualcuno quindi ... no.
    20 punti
  9. UNA narrazione semplice, teatrale originata da riti apotropaici propri delle antiche civiltà dell'area mediterranea. La ragione che deve dominare sull'istinto animale che alberga in ognuno di noi. La bestia (Boe, il bue) e l'uomo (Merdule*, il guardiano dei buoi). L'uomo tiene a bada la bestia con un bastone (su mazzoccu) e la lega a se con un laccio di cuoio (sa soca). La bestia resiste, si ribella e lotta con forza ma l'uomo ha la meglio e la sottomette. E' a questo punto che appare una terza figura a occupare la scena in questo immenso teatro che è la piazza e appare dal nulla, tra la gente. E' una figura femminile cupa, vestita di nero, Sa Filonzana** che stringe nella mano un fuso con avvolto un filo di lana, il filo della vita che lei sola ha il potere di spezzare, quindi ordina alla bestia di morire. Uno stato di morte apparente perchè poi la bestia si ridesta e ricomincia a lottare. Questo ci insegna che non è possibile uccidere la bestia senza uccidere anche l'uomo. Con i nostri peggiori istinti conviviamo tutta la vita ma sarà sempre la ragione a prevalere. Maschere inquietanti, ombre antiche che danzano intorno al fuoco, immerse nell'abbraccio di una folla festante, un altro Carnevale in Sardegna è iniziato. - La notte tra il 16 e il 17 gennaio segna l'inizio del Carnevale in Sardegna. Nei centri dell'isola si accendono i fuochi di Sant'Antonio e le maschere compaiono. Le maschere di Ottana sono queste, Boes, Merdules* e Sa Filonzana**. Amatissime dalla comunità ottanese che in questa notte si stringe attorno ad esse con gioiosa partecipazione. * Su Merdule. Si ipotizza che tale nome sia composto da due parole di origine addirittura nuragica mere (padrone) e ule (bue), quindi padrone del bue. Ma non esistono certezze perchè si va a ritroso nel tempo di alcune migliaia di anni forse all'epoca degli etruschi o forse prima. ** Sa Filonzana. E' sicuramente una figura inquietante e che in passato era particolarmente temuta: non è una figura propria della tradizione sarda ma si suppone sia stata importata da altre culture mediterranee, ricorda le Moire greche che avevano il potere di decidere del destino degli uomini. All'imbrunire l'accensione dell'immenso falò con un addetto della Protezione Civile che lancia un secchio di accelerante sulle fiamme (e un fotografo di passaggio che mi si para davanti all'improvviso) ... e inizia l'attesa, le fiamme dovranno essere ben alte Poi, un suono di campanacci ci avvisa che sos Boes stanno arrivando ... seguiti da sos Merdules Le bestie corrono e gli uomini tentano di trattenerle e tranquillizzarle ma una carezza non può bastare... ...si ribellano furiosamente tentando di liberarsi. La lotta ha inizio L'uomo ha la meglio, sottomette la bestia e improvvisamente, avvolta in un mantello nero, appare Sa Filonzana la quale, spezzando il filo della vita avvolto nel fuso che tiene in mano ordina alla bestia di morire Uno stato di morte apparente che dura pochissimo, quel tanto che basta perchè il calore del fuoco ridesti la bestia che riprende a lottare, inarrestabile. Ancora una volta. In un nuovo Carnevale a Ottana. Un evento che si ripete ogni anno. Uno spettacolo emozionante e una bella sfida per chiunque voglia documentarlo con una fotocamera tra le mani. Veramente incredibile la partecipazione popolare, soprattutto dei più giovani che non mostrano solo affetto nei confronti di queste maschere ma si sentono parte di questa storia antica. Sono per loro le ultime immagini di questo lavoro che finalmente, dopo tanti anni, sono riuscito a produrre. I ragazzi si avvicinano al fuoco e "rubano" pezzi di legno già carbonizzati con i quali si sporcano la faccia e li porgono anche ai bambini, con grande disperazione delle mamme che poi li dovranno lavare L'allegria di una ragazza, anche lei con la faccia sporca di carbone ... e uno sfondo nello smartphone non ce lo vogliamo mettere? Copyright Enrico Floris 2023 per Nikonland
    20 punti
  10. Arcipelago Raja Ampat quella segnata in rosso è l'isoletta dove mi trovavo. Isola di Wai Un viaggio indimenticabile e spero di ritornare, ho lasciato tanti scatti ancora da fare, tante albe e tramonti immerso in quel mare che nonostante tutto resiste alla mano dell'uomo. La base è una piccola isola Palau Wai , di appena due KM di perimetro, molto piccola ma accogliente con una spiaggia di sabbia bianchissima, appena quel che serve per vivere in una dimensione totalmente a contatto con la natura, da qui ogni mattina si parte per le escursioni sopra e sotto il mare. Un paradiso si proprio un paradiso terrestre incontaminato a cavallo dell'equatore siamo a Nord-ovest dell'isola della nuova Guinea e fa parte della provincia della Papua Occidentale. RAJA AMPAT (che significa 4 re), è un arcipelago costituito da più di 1600 isole quasi tutte disabitate, del tutto sconosciuto al turismo di massa. Isole ammantate dalla giungla, clima tropicale, sabbia bianchissima, mare cristallino, fondali intatti, barriera corallina tra le più belle del mondo, lagune nascoste, in una solo immersione sono state fotografate ben 374 specie diverse di pesci, una biodiversità incredibile. Banchi di barracuda, carangidi, pesci pipistrello e lutiani convivono con tartarughe liuto (nidificano da ottobre a dicembre), pesci fucilieri, razze, squali epaulette, pesci pappagallo e cernie assieme a tanti altri pesci attratti dai coralli. Dagli ambientalisti Raja Ampat è stata definita 'fabbrica di specie', la capitale mondiale della biodiversità. Ospita 1459 specie di pesci e oltre 550 coralli duri (più del 75% del totale del mondo). Da qui le correnti trasportano le larve dei coralli fino all’Oceano Indiano e al Pacifico, permettendo di ripopolare altre barriere. Un vero paradiso per la fotografia naturalistica e subacquea . Nikon 800E … Nikon 8-15, Nikon 105 micro, Nikon d 60 macro, custodia Isotta
    19 punti
  11. Credo che ognuno di noi, almeno ogni tanto, abbia piacere di vedere come è considerato quello che fa rispetto a quello che fanno gli altri. Non mi capita spesso, di solito vado per la mia strada, soprattutto in fotografia, ma oggi si vede che era il mio momento. Allora che ho fatto? ho provato a fare ricerche con google, esattamente come quando sono in cerca di informazioni per me... ma su argomenti coperti da miei articoli recenti. Immagino di voler comprare una Z9 per il mio prossimo safari. Quindi Google "Safari Z9"... Insomma, argomento complicato: 4 video su Youtube; un po' di immagini; ecco come primo articolo di testo il mio Serengeti! E se ci voglio portare il 600/4? mi ricordo di avere fatto un mucchio di inconcludenti ricerche per capire se un 600/4 è la lente giusta o no per i safari. Google? Taac, alcune MIE immagini, seguite dall'articolo di presentazione sul 600/4 e dall'articolo sul Seregeti. E se cerco se la Z9 va bene per la Namibia? E per le Svalbard? Scusate, volevo condividere un po' di felicità con voi. E dire che a scrivere qui, redazione o Nikonlander, siamo in pochi... ma quello che scriviamo è unico al mondo!
    19 punti
  12. Percorro la A5 in direzione di Aosta e giunto a Verres esco dall’autostrada e inizio a percorrere la SR45 che mi porta a Estoul dove posso lasciare la macchina. Sebbene gli impianti di risalita abbiano colonizzato tutta l'area compresa tra la Testa Grigia ed il Monte Bettolina, la valle d'Ayas presenta 35 itinerari, di cui 7 nella zona del Monte Rosa, tutti oltre i 4000 metri. Ma io non sono così montanaro e, proprio da Estoul, un gruppo di gite più modeste, ma piacevoli, conducono alla Punta Palasina, al Bieteron ed alla Punta Valfredda, inoltre non ho programmato una gita di un giorno ma pernottando al Rifugio ARP a 2.446 metri. Fotograficamente parlando era la prima uscita con il 70/200 f/2.8 S in abbinamento alla Z6II (nell’attesa che arrivi la mia Z8) mentre per le riprese ad ampio respiro ho scattato col 14-30 f/4 S. Non so se devo definirla fortuna o sfortuna ma le mie gite fotografiche in montagna sono sempre state caratterizzate da una spiccata variabilità metereologica e quella dello scorso weekend non è stata da meno, con una forte pioggia dalla serata di sabato e per tutta la notte. Nel tardo pomeriggio, speravo che gli stambecchi si avvicinassero al rifugio e prima che il temporale si scatenasse sono andato a cercarli. Diversi esemplari erano scesi lungo il costone per cercare erba, arbusti e germogli e nonostante gli enormi spazi di approvvigionamento due di loro hanno trovato il modo di incrociare le corna. Il Rifugio Arp è collocato alle pendici della Punta Valfredda, ma domenica, vista la splendida giornata assolata, ho preferito puntare ai sentieri verso i numerosi laghi di Palasina e l’omonimo colle da cui è stato possibile godere di una magnifica vista sul Cervino e sul Plateau Rosa. Sulla strada del ritorno sono riuscito a immortalare anche una bella marmotta. Libera ispirazione per gli altri scatti che mi hanno permesso, ancora una volta, di apprezzare la qualità degli obiettivi Nikkor serie Z.
    19 punti
  13. E' da tempo immemorabile che non partecipo più in maniera attiva a Nikonland.. non che prima producessi molto.. ma qualche cosina ogni tanto saltava fuori, il giorno 13 maggio ho fatto un viaggio di duecento chilometri, tra andata e ritorno, sono andato a ritirare il mio ultimo libro.. prodotto rubando le ore di sera.. peccato una cosa, potrete vedere il suo spessore, e parte della copertina, visto il soggetto.. la mia nipotina, il volume è del formato 250 x 220, alto 35 mm, la copertina è legata e cucita, quindi niente colla per tenere assieme le pagine, la grammatura è di 200 gr/mq carta patinata bianca, per un totale di 192 facciate, pari a 12 sedicesimi; tantissime fotografie con la Z 50, ove non è stato possibile.. gli smartphone più disparati, il che ha portato ad equilibrismi impensati.. gli scatti in jpg, provare per credere.. non sempre PS li rileva.. e allora bisogna industriarsi per farli digerire.. In totale sono stati prodotti tre esemplari, i due scatti li ha fatti il tipografo per avvisarmi che erano pronti, la soddisfazione è stata grande Domenica pomeriggio, quando chiamati a casa nostra figlia marito e nipote, mia figlia si è commossa.. e mio genero mi ha detto: hai fatto un gran bel lavoro.. quì le fotografie si vedono.. con i nostri smartphone.. sono evanescenti sinchè ci sono.. Ora ho iniziato il secondo volume.. il primo viaggia da poco prima della nascita ai tre anni e due mesi, il secondo.. conto.. spero di arrivare ai sei anni.. ............................................................................................................................ vi aggiungo quattro pagine, due con immagini e due con il testo, questa è l'introduzione.. così tra qualche anno quando sarà in grado di capire, leggerà. Questa è l'unica pagina il cui non vi sia la piccolina... in questa ho cercato di sfutttare alcuni scatti fatti dai genitori, li ho messi in maniera che sembrasse una storia e ci ho aggiunto del mio.. Invece questa è il nostro commiato per questo libro, poi.. se vi sarà la fortuna, il caso.. o cosa diavolo volete voi che si possa fare un seguito.... beh, sarebbe bello.. Ora invece lancio un'appello.. se alcuni di voi che guardate/leggete queste poche righe, volete alla vostra maniera imitarmi, lascerete un bel ricordo tangibile ai vs cari.. Eliminiamo dalla ipotetica lista , uno per tutti.. Il Massimo V. in casa sua.. vi saranno miriadi di testimonianze.. grazie a tutti. Roby c4
    19 punti
  14. Mezzo metro, al massimo 2 è la profondità in cui ho realizzato tante fotografie subacquee, sia in mare che in acqua dolce. Confesso di essere qui a scrivere di questo perchè ho un po' di nostalgia; le foto di questo post sono già passate per Nikonland ma non sono qui nel blog, mi sembra corretto farne una sintesi (brutale) e metter qui la "bandierina". Da sopra il mobile spunta la sacca rossa della muta stagna, sta lì muta, in tutti i sensi, però da lì silenziosamente mi parla delle piccole avventure di riprese subacquee nelle acque di casa. Sì perchè fotografare in un fiume non è proprio uguale ad affittare un posto barca, con jacket e bombola, eh no, non si tratta MAI di fotografia subacquea secondo i sacri crismi dei brevetti sub, ma di vere spedizioni che non richiedono titoli ADVANCED - OpenWATER ma zaino, scarponi ed un po' di sano movimento. Spesso le condizioni di ripresa sono proibitive, visibilità di pochi centimetri, situazioni che richiedono un po' di fantasia per riuscire a fotografare qualcosa. E se il gioco è difficile, è più bello. Tritoni blu a 2000 metri. Aiutato da mia moglie e dall'amico Davide, ho potuto fotografare i tritoni alpini in un lago della Val d'Ossola. L'occasione fu un fine settimana con il meteo perfetto e un lago gonfio d'acqua (non è più ovvio). Il tritone è un anfibio non particolarmente timido, ma per riempiere l'inquadratura il 105 micro in DX è stata la scelta giusta. Altri Tritoni, speciali, ma al livello del mare. In Sardegna vivono diverse sottospecie di Geotritone. Più piccolo e dai colori assolutamente differenti da quelli del tritone comune (crestato), è un animaletto delicato che sopravvive nei corsi d'acqua dell'isola. Ebbi la fortuna di individuare un luogo perfetto per fare delle riprese e ne approfittai. Ad aiutarmi mia moglie Laura, senza di lei le foto più divertenti non ci sarebbero. Il torrente dell'Ogliastra in cui mi sono immerso ha pozze abbastanza anguste, ho allora armato la D800 con l'unico fisheye di cui disponevo, il Nikon 10.5 f/2.8 DX, da cui ne è uscito un crop forzato a 16mpx. Per le riprese macro utilizzai invece la D300 con 105micro AFs accoppiato al TC14II, un cannoncino perfetto per non disturbare il timido anfibio sardo. Mi potei permettere una focale così lunga perchè l'acqua del torrente era straordinariamente limpida. Muddy water, toad free. No, no, non centra il re del Blues e nemmeno il software per DBR, è una faccenda di fotosub. Marzo non è un mese che invoglia abluzioni, tanto più tuffarsi in una pozza fangosa incastrata sulle prealpi valsesiane; eppure quando arrivai sulla riva del laghetto non esitai un momento, preparai l'equipaggiamento e splash, nel brodo marrone, tra i rospi. La pessima visibilità, in certi punti dell'ordine di 10 cm, mi impedì di effettuare riprese macro, utilizzai solo lo zoom Nikon AFs 18-35/3.5-4.5 con la lente correttiva Sea&Sea. Spinsi al limite le possibilità di ripresa catturando immagini abbastanza nitide solo grazie alla notevole pdc dei 18mm, perchè i soggetti erano al di sotto della minima messa a fuoco. Bei momenti, bellissimi ricordi, felice di condividerli e lasciarne traccia qui su Nikonland, tra fotografi che come me usano Nikon per cavalcare le loro piccole e grandi avventure.
    19 punti
  15. Qui: https://www.nikonland.it/index.php?/forums/topic/4080-con-il-100-400mm-z-si-fa/ Avevo pubblicato delle foto tanto per far capire la grande versatilità di questo zoom per il naturalista (e non solo), in questo Blog approfondisco un po' di più, non tanto con le parole ma con le immagini, quello che si può fare, in questo caso da appostamento fisso. Classico Picchio Rosso leggermente ambientato: Tortora Comune La voglio leggermente più ambientata? Verdone: Fringuello e riflesso (e pure un'ape): Capinera femmina al bagno: Bagnetto a due (Cinciallegre) Ma se voglio posso cambiare completamente soggetto, con disinvoltura: Api all'abbeverata: Oh, un Ramarro maschio in amore (lo so perchè ha la gola blu)! Ramarro femmina: Lucertolina alla pozza: La foto più simpatica di oggi: Ramarro maschio in amore ...con Ape! Qualità di immagine? Voi che ne dite (crop immagine precedente)? Se devo trovare un difetto in questo zoom è che... devo renderlo al proprietario. CIAOOO! Ancora grazie a Mauro Maratta per avermi prestato il suo 100-400mm.
    19 punti
  16. NON è un test tecnico, non può esserlo, non ho le conoscenze per farlo e men che meno l'ambizione di farlo. Piuttosto lo classificherei come test emotivo se mi passate la definizione. Ho sempre fotografato _ lo sapete _ con fotocamere aps-c (salvo qualche rara occasione). Di tutte quelle che possiedo (non mi sono mai liberato di nessuna di esse) ho apprezzato i pregi e sopportato i difetti. Ho iniziato con la D80 che riusciva a rendere i colori brillanti anche sotto un acquazzone; ho apprezzato la straordinaria colorimetria della D7100 e la capacità del suo sensore di produrre tonalità dense quasi fosse una full-frame; per approdare infine alla D500, la meraviglia delle reflex DX di Nikon. Oggi ho deciso di muovere qualche passo nel mondo Z prima del trapasso definitivo acquistando la piccola Zfc perchè ero troppo curioso di scoprire con cosa avrei avuto a che fare negli anni a venire. Ricordo che il passaggio dall'analogico al digitale fu nella giusta maniera traumatico considerando il divario netto tra la pellicola e il sensore che ha modificato universalmente il modo di scattare foto ma anche _ e soprattutto _ il modo di lavorarle cancellando definitivamente la camera oscura e rendendo il nostro lavoro più rapido e pulito pur costringendoci a studiare un po' per imparare almeno le basi della post produzione giusto per riuscire a tirare fuori dai RAW la maggior parte delle informazioni. Miracoli del progresso. Stavolta è diverso. Potrei uscire da questo discorso con una citazione dal film Pulp Fiction: “... non è lo stesso fottuto campo da gioco, non è lo stesso campionato e non è nemmeno lo stesso sport”. Ma vi rispetto troppo per liquidarvi con una tale semplificazione. E poi non vi è nulla di semplice. Eppure i comandi sono gli stessi, l'ergonomia la conosco a memoria e il menù è quello di sempre, rapido e intuitivo. E io fotografo sempre allo stesso modo, stesse regolazioni, stessa interpretazione della luce. Ogni volta, su ogni scatto.... e invece è proprio questo che non va bene. E impiego un bel po' di giorni e un bel po' di prove prima di capirlo. La piccola Zfc reagisce in maniera diversa dalle altre digitali che possiedo e che uso. Eppure dovrebbe avere lo stesso sensore della D500, un sensore che conosco bene e col quale ho confidenza. Ma non c'è verso. La cosa più sconcertante è l'autonomia di pensiero della Zfc (e questa me la dovete passare per forza). Perchè decide lei come elaborare il file: Nitidezza straordinaria e colori reali e brillanti in favore di luce Colori neutri con luce laterale e di bassa qualità, quasi fosse una Leica distante una manciata di parsec dalle curve Kodak alle quali ci ha abituato Nikon Colorimetria da interpretare nei controluce ma tratti netti e una qualità che fino a questo momento era appartenuta esclusivamente a fotocamere equipaggiate con sensori FF E la lettura WB Auto che pare quasi zonale? Nessuna reflex è scevra da condizionamenti nella fotografia notturna e in presenza di luci artificiali di varia natura. La temperatura colore è condizionata sempre dalla fonte luminosa preponderante. Ma questa Zfc riesce ad isolare tutte le fonti di luce e a garantire una lettura diversa per ogni zona del fotogramma.. Mai visto un WB Auto con una tale estensione dinamica. Da non credere. Del rumore, poi, è meglio tacere. Nessuna scheggia di colore vagante solo una grana, sottile e perfettamente definita anche agli alti ISO e senza correzioni. L'unica foto che ho scattato a tarda sera rientrando a casa. C'era di tutto: neon, tungsteno, led e persino la luce naturale del crepuscolo. Le ha riconosciute tutte. ISO 4500, 1/30 f. 16 E' pur vero che noi fotografi amiamo spesso catturare scene che fanno parte del nostro immaginario, scattiamo ciò che vorremmo vedere e non ciò che è realmente. Inevitabilmente la nostra post produzione inizia proprio con lo scatto, con quel terzo di diaframma in più o in meno, con quell'ombra che vogliamo più netta o quel colore che vogliamo più cupo ma che deve anche risaltare, richiamare l'attenzione. Imperfezione e creatività sono elementi difficili da disgiungere e sono umani. Questa piccolina però non lo capisce, fa di testa sua. E produce immagini sempre perfette. Un dubbio mi assale: sarà mica che dovrò pensare come lei per ottenere ciò che voglio? E' davvero questo che mi ha dato Nikon? Parrebbe proprio di sì. Pazza Idea non vuole partire, il solenoide del motorino d'avviamento è morto e la Zfc si specchia sul contagiri tristemente immobile. Questo è il plasticotto 16-50. Chissà cosa potrebbe fare la piccolina con l'annunciato 12-28, non riesco ad immaginarlo Ci sarà da faticare, me ne farò una ragione. Indietro, di certo, non si torna. Copyright Enrico Floris 2022 per Nikonland Miracle, Rocky Athas Group
    19 punti
  17. Oggi voglio parlarvi di uno strumento molto utile per chi cerca un effetto scenico senza doversi portare appresso macchine pesanti ingombranti o addirittura ghiaccio secco. Una mini macchina del fumo, ma mini solo in dimensioni. Ha le dimensioni di una bomboletta per capelli ma un sacco di potenziale, la danno a 30W di potenza, c'è anche un modello da 40W che a mio parere non ne giustifica il sovrapprezzo e le sovradimensioni. Semplicemente a batteria portatile con la sua custodia semirigida piena di accessori, tubi telecomando e 6 boccette di fluido da 12ml ...eh sì avete letto bene, un flacone di collirio che produce tantissimo fumo. Così se prima avere la nebbia od il fumo richiedevano di portarsi dietro kg di attrezzatura adesso potete potenzialmente usarlo ovunque. Ho fatto qualche prova rapida in studio.. perdonate l'approssimazione delle foto che non sono still Life ma solo prove al volo.. vedremo sul campo come si comporterà e se avrà dei limiti operativi che fino ad ora non ho rilevato, molto più rapida di una macchina del fumo praticamente istantanea, e non richiede ghiaccio secco per creare la nebbia bassa.
    18 punti
  18. Sono poco più di 3 settimane che mi diverto con la Z8 e mi sembra di averla da sempre. Dopo un po' di studio iniziale e una volta settata per quello che voglio fare, il resto è uro divertimento. Devo solo preoccuparmi di inquadrare il soggetto, al resto ci pensa lei con il suo autofocus "telepatico" (come mi diceva oggi Silvio). Il passaggio dalla D810 è stato rapido e felice. Quello che apprezzo di questa fotocamera più di ogni altra cosa è l'autofocus: affidabile e reattivo, sbaglia davvero pochissimo, e con copertura di tutto il fotogramma. A seguire la stabilizzazione che permette di scendere molto con i tempi e per finire il display orientabile, per me una novità. che permette molta versatilità nelle riprese. Questo capolavoro di tecnologia ha tutto quello che da tempo sognavo in una fotocamera. E magicamente mi ha fatto tornare la voglia di fotografare! Qui di seguito qualche foto fatta per le strade di Milano. Tutte con il 24-120 f/4. Milano, CityLife. Milano, CityLife. Milano, Porta Volta. Milano, Passeggiata Boris Pasternak. Milano, Porta Volta. Un gruppo di ragazzi mi ha chiesto di fotografarli e io li ho accontentati! Milano, Via Paolo Sarpi. Milano, Via Paolo Sarpi. Milano, Via Paolo Sarpi. Milano, Via Paolo Sarpi. Milano, Via Paolo Sarpi. Altissime modelle asiatiche. Milano, Via Paolo Sarpi. Milano, Via Paolo Sarpi. Milano, Via Paolo Sarpi. Un bravo musicista di strada. L'accoppiata con la foto precedente dei due ciclisti mi fa venire in mente un verso di una canzone di Paolo Conte:"i sax spingevano a fondo, come ciclisti gregari in fuga" Milano, Via Paolo Sarpi. Un spettacolo di strada. Milano, Via Paolo Sarpi. Milano, Via Paolo Sarpi. Milano, Piazza dei Mercanti di domenica mattina. Milano, Galleria Vittorio Emanuele. Due poliziotti a cavallo (e che cavalli! erano delle bestie bellissime!) posano per un fotografo (immagino per qualche calendario). Di lì a poco uno dei cavalli avrebbe sbavato copiosamente sul fotografo. La Z8 ha messo a fuoco sull'occhio del cavallo. Milano, Via Palazzo Reale. Milano, CityLife. Milano, CityLife. Milano, CityLife. Milano, Galleria Vittorio Emanuele. Milano, Via Santa Radegonda. Milano, Via Santa Radegonda. Milano, Piazza del Duomo. Milano, Piazza del Duomo. Milano, Piazza del Duomo. Milano, Piazza del Duomo. Milano, Piazza del Duomo. Milano, Piazza del Duomo. Milano, Via Torino. Milano, Via Torino. C'è anche qualche foto a colori: Milano, Porta Nuova. Milano, Galleria Vittorio Emanuele. Milano, Galleria Vittorio Emanuele. La variopinta signora che si fa in selfie in bicicletta mi ha fatto molto ridere! Milano, Piazza del Duomo. Milano, Piazza del Duomo. La vie en rose! Spero di non avervi ammorbato con tutte queste foto. Avevo un po' di ritardo da recuperare!
    18 punti
  19. Ho scritto questo articolo su Nikonland.eu nell'ormai lontano ottobre del 2013. L'ho scritto con il cuore - come mi commentò all'epoca Silvio Renesto - perché allora credevo. Oggi non più. Ciononostante, è possibile che presto o tardi il vecchio sito salti per aria per obsolescenza incurabile e mi spiacerebbe che si perdesse per sempre. Per cui, per i pochi che lo leggeranno, eccolo qui, parola per parola. E' una copia conforme al netto del differente format della piattaforma. *** Quegli occhi di Alida Valli in quel particolare ritratto mi hanno sempre affascinato. Molto ma molto prima di conoscere l'autore. Lo dico senza timore, invidio molto Arturo Ghergo per la possibilità che ha saputo conquistarsi di fotografare il meglio dei volti italiani dell'epoca d'oro. I suoi ritratti sono icone o i personaggi da lui ritratti sono diventati icone. E' lo stesso, tanto è il significato nella nostra memoria collettiva delle sue fotografie di tanti e tanti personaggi, specialmente femminili tra gli anni trenta e cinquanta del passato secolo. Non andrei oltre a parlarne e mi fermerei per ore a discutere anche semplicemente di questi tre straordinari ritratti : Alida Valli Luciana d'Avack Rossana Martini (prima miss Italia nel 1948) Un fondale in gesso, due luci fisse da 500 W. Pose lunghe con un banco ottico in legno e lastre da 18x24. Che guardino in camera mentre siedono (o fingano di guardare altrove) : ancora una splendida Alida Valli o guardino altrove mentre sono distesi : un conturbante Massimo Girotti all'apice della carriera le pose sono dinamiche e trasmettono forza, passione, vita, la tensione di un'epoca. Non sono naturali come ce le potremmo aspettare da persone di tutti i giorni ma nemmeno ingessate e di maniera come erano ritratti i divi del cinema dell'epoca. Certo, direte, facile far posare una attrice, è il suo mestiere. Ma da Ghergo andavano anche celebrità ed aristocratici della società più in vista dell'epoca : la Principessa Marella Caracciolo, poi Agnelli Papa PIO XII "Santo Padre, dovreste provare a benedire utilizzando solo tre dita, per la Santa Trinità" , fu il suggerimento che Arturo Ghergo diede al Papa prima di questo ritratto. E da quel giorno divenne normale per quel Papa benedire in quel modo, come il suo ritratto di Ghergo ricordava ogni giorno. Sono innumerevoli i ritratti di celebrità di Arturo Ghergo. La figlia Cristina ha curato due mostre pubbliche a Milano e a Roma nel 2012, con 350 ingrandimento degli originali sia in bianco e nero che a colori. Ci sono tra gli altri Sophia Loren, Silvana mangano, Gina Lollobrigida, Alida Valli ma anche Alcide De Gasperi, Papa Pio XII, Luigi Einaudi, l'Aga Khan, Pietro Badoglio, perfino Giulio Andreotti. Ma anche Edda Ciano Mussolini, il Duca Marco Visconti, Francesca Ferrara Pignatelli di Strongoli, i fratelli Bulgari, le sorelle Fontana. *** Se fosse andato in America probabilmente Arturo Ghergo avrebbe raggiunto fama planetaria e le sue "creazioni" pubblicate su Vogue ed Harpers Bazaar. Forse avrebbe fatto amicizia o sarebbe stato in concorrenza con Irving Penn. Ma veniva dalla provincia italiana (era nato a Montefano, Macerata nel 1901) e il suo punto di arrivo e di svolta fu Roma, dove si svolse tutta la sua carriera. Non gli vanno certo bene le cose all'inizio. Nel 1929 la crisi arriva anche nell'Italia fascista che ancora non aveva superato le difficoltà del dopoguerra. Sono anni difficili ma la scelta di prendere il già noto e centralissimo studio di Via Condotti al n. 61 lo premiano con il tempo. Lui lavora per i suoi clienti, per chi lo cerca per avere un ritratto nello stile originale e ricercato di Ghergo. In quell'Italia autarchica non c'erano riviste di moda e dell'America di Hollywood arrivavano solo le cartoline dei divi e qualche raro numero di Variety di contrabbando. Là era la produzione che controllava anche le immagini delle celebrità. Un ritrattista stipendiato eseguiva ritratti già durante le fasi di ripresa dei film, negli stessi set. il tipico ritratto hollywoodiano sponsorizzato da Camel : Gary Cooper, 1936 Non possiamo sapere cosa sapesse di quel mondo a Ghergo che comunque si inventa autonomamente la via italiana per il glamour, fatta di sessioni estenuanti in studio e ancora più estenuanti fasi di post-produzione. Già perchè se l'immagine in ripresa è costruita ad arte con la luce e si studia il soggetto finchè la luce non lo interpreta come lui vuole interpretarlo ... è in camera oscura, in stampa e in ... quella che oggi chiameremmo post-produzione che si crea l'immagine di Ghergo. Eleonora Rossi Drago Senza Photoshop ma usando acidi e lamette per lisciare il negativo, mascherature e bruciature in stampa, e poi ancora pennelli ed inchiostri direttamente sul lavoro stampato, Ghergo e poi il suo stampatore di fiducia, puliscono la pelle, tolgono le imperfezioni, stringono la figura, alzano e curvano, piegano. Aggiungono ombre che non ci sono, accentuano luci che appena si intuiscono. Gli occhi scintillano, le forme vengono intagliate ... Marella Agnelli Caracciolo Marina Berti set e sfondi semplicissimi, addirittura spogli ma attenzione agli accessori e all'abbigliamento. Nelle foto di Ghergo c'erano i gioielli e gli abiti degli atelier più famosi, come quello delle celebri sorelle Fontana qui immortalate dallo stesso Ghergo e che inventarono il pret-a-porter italiano vestendo le più eleganti donne del mondo (Grace kelly, Audrey Hepburn, l'abito di Linda Christian nel matrimonio con Tyrone Power a Roma, Soraya, Ava Gardner) Come in questa serie : Consuelo Crespi Mariella Lotti Francesca Strongoli una aristocratica di cui mi sfugge il nome in abito da sposa ma certamente il suo massimo apice lo raggiunge nel glamour dove anche dive note per il carattere angelico diventano sensuali : come la protagonista del film di Blasetti "Quattro passi tra le nuvole", Adriana Benetti, nota come "fidanzatina d'Italia" tra il 1938 e il 1946 Rossella Falk Elli Pravo Elisa Cegani Valentina Cortese Isa Pola Francesca Pignatelli di Strongoli ma soprattutto Isa Miranda, trasformata in una Marlene Dietrich all'italiana : Probabilmente l'alchimia con Alida Valli, trasferitasi a Roma durante la guerra deve essere stata particolare. Entra nello studio con il suo volto e ne esce con 20 fotografie che raprpesentano 20 donne diverse. Le due già presentate sopra : e queste : oggi diremmo casual o fitness utilizzando termini inglesi ma è una dea incorporea quella che indossa questo abito da sera elegantemente sensuale e misteriosa anticipando il Senso di Luchino Visconti Tornando alla mondanità più austera e ai personaggi pubblici. Giannalisa Feltrinelli con le figlie le duchesse d'Aosta-Aimone Edda Ciano Mussolini il giovane Giulio Andreotti ai suoi primi passi in politica Alcide De Gasperi Luigi Einaudi il giovane Re Hussein di Giordania Trascuro le foto dell'era a colori della Dolce Vita romana (Sofia Loren, Lollobrigida & Co.) e le foto per pubblicizzare le pellicole della Ferrania che appartengono ad un periodo meno originale dell'attività di Ghergo che alternò alla fotografia anche la pittura di tipo cubista, per mettere ancora due ritratti in b&n, differenti nello stile ma sempre con una impronta evidente : Monica Vitti a inizio carriera l'attrice berlinese Vera Bergman Io continuo a restare ammaliato dagli occhi di Alida Valli cui il pennello del grande Arturo Ghergo, antesignano e maestro dei fotografi glamour nostrani di oggi, ha dato forma e vita immortale : segnalo che i due cataloghi delle mostre romane e milanese sono in vendita presso Amazon ma in via di esaurimento ... Ghergo è morto nel 1959 dopo trenta anni di attività romana di cui non si perderanno mai le tracce. Lo studio è stato mantenuto aperto dalla figlia Cristina fino al 1999. MI ricordo di averlo notato nel mio periodo romano di fine anni '80. Una vetrina misteriosa che nascondeva sogni.
    17 punti
  20. Sono quasi fuori da una brutta faringite causata presumo dall' aria condizionata dei treni o degli uffici dove lavoro (ci hanno trovato dei neandertaliani congelati). Uscita da "convalescenti" perciò, ma con risultati più gradevoli del previsto. Dopo una puntata rapida all'isola del Pepe Verde a trovare un'amica dagli occhi nocciola e il pelo di colore grigio piombo (la vedremo prossimamente), mi dirigo verso questa fontana nella Biblioteca Degli Alberi, vicino Piazza Gae Aulenti. Quasi soprendente quante cosine si possono fare qui se ci si porta la Z8 (qualsiasi Zeta, ma anche D, ma anche Canon, Fuji...) ed il 24-200mm anzichè le bricioline. Partiamo dal banale: Andiamo un pochino sul più elegante: Per scoprire cose curiose: Che si prestano ad interpretazioni personali Per finire con del puro divertimento: Coppia al bagno Che diventa triangolo (ma lei la conoscevi?) Dov'è il bagnino qui? Ma avevate prenotato tutti? Un paio d'ore rilassanti (contando il Pepe Verde) ma creative. Un sacco di vita per essere una fontana (c'erano anche delle libellule). Tutte foto scattate con la Nikon Z8 ed il Nikon 24-200mm Z, tranne la prima che è stata scattata con il nikon Z 12-28... Hummm... la Gallinella d'acqua l'ho fotografata col 300mm f4 pf.
    17 punti
  21. In occasione della riedizione della Mille Miglia ha fatto la sua prima vera uscita con il sottoscritto la Nikon Z 8, per cui dopo un po’ di prove per settare il tutto e per avere il mio solito confort operativo, è arrivato il giorno di provarla sul serio. Dopo aver raccontato e mostrato le foto della manifestazione, esprimerò le mie modeste sensazioni d’uso, per quelle approfondite arricchite anche di particolari tecnici rimando ai test che effettueranno in modo mirabile i nostri Mauro e Max. La Mille Miglia è una competizione nata nel 1927 come gara di velocità dall’intuizione di Giovanni Canestrini, Franco Mazzotti, Renzo Castagneto e Aymo Maggi, nonché meravigliosamente ricordata con una canzone (Mille Miglia) da Lucio Dalla nel 1992. Oggi la 1000 miglia è diventata una corsa di regolarità per auto storiche che attraversa scenari unici della nostra Italia. Un viaggio tra il calore del pubblico e l’entusiasmo dei partecipanti. Un’esperienza di una settimana per pezzi unici di arte e design in movimento, lungo il classico percorso da Brescia a Roma e ritorno. L’edizione 2023 della Mille Miglia Storica si è svolta in 5 tappe in altrettanti giorni, con partenza ed arrivo a Brescia. Ho potuto ammirare il passaggio delle vetture nel corso della terza tappa del 15/06, quando sono transitate in Toscana e precisamente nel corso della “passerella” che hanno fatto transitando per le vie centrali San Quirico d’Orcia. Quest’anno le vetture ammesse alla partenza erano 443 (senza considerare le vetture del “Ferrari Tribute 2023” e quelle elettriche (che ci stavano come il cavolo a merenda), delle quali 357 classificate all’arrivo a Brescia e 58 non classificate, per cui si presume che solo 28 abbiano abbandonato la competizione per noie meccaniche o altro. Un risultato eccezionale considerato la tipologia delle vetture partecipanti. La gara è stata vinta per il secondo anno consecutivo dall’equipaggio Vesco Andrea e Salvinelli Fabio su Alfa Romeo 6C 1750 SS del 1929, che sono stati in testa fino dalla seconda tappa. Oltre all’assoluto, hanno vinto la loro categoria di appartenenza (Cat. 1 vetture dal 1923 al 1930) ed anche il premio Villa Trasqua (foto sotto). Dietro l’Alfa dei vincitori, sul podio anche due Lancia Lambda Spider Tipo 221 del 1927 con al secondo posto la coppia Gianmario Fontanella e Annamaria Covelli (foto sotto) ed al terzo posto l’equipaggio Andrea Belometti e Gianluca Bergomi (foto sotto) Al primo posto della seconda categoria (auto dal 1931 al 1946) si sono classificati Peli Osvaldo e Moceri Giovanni su Alfa Romeo 6C 1750 GS Spider Zagato del 1931 (foto sotto) Al primo posto della terza categoria (auto dal 1947 al 1957) si sono classificati De Angelis Ermanno e Del Gaudio Nunzia su Cisitalia 202 S MM Spider del 1947 (foto sotto) Il miglior equipaggio femminile è stato quello composto da Silvia Marini e Irene Dei Tos a bordo di una Bugatti T 40 del 1929, che hanno conquistato la Coppa delle Dame per il secondo anno consecutivo e chiudendo al ventisettesimo posto assoluto (foto sotto) Il trofeo per nazioni è andato all’equipaggio olandese Houtkamp John, Houtkamp Van Bussel Micheline su Alfa Romeo 6c 1750 SS Zagato del 1929, che hanno vinto anche il Trofeo Gaburri (foto sotto) Vincono, infine, il Trofeo Gaburri per auto moderne Andrea Milesi e Giordano Mozzi con una F8 Spider del 2022. Di quest’auto non dispongo di foto, perché non ho fotografato le Ferrari moderne, ma solo quelle storiche. Legenda: sulle foto che seguono il numero fra parentesi dietro l’equipaggio è la posizione in classifica generale O.M. 665 Superba del 1925 – Domenico Battagliola e Emanuel Piona (12°) O.M. 665 MM Superba 2000 CM3 del 1929 – Lorenzo e Mario Turelli (15°) O.M. 665 MM Superba 2000 CM3 del 1929 – Roberto Miatto e David Borchia (11°) Bugatti T37 A del 1927 – Foresti Cesare e Foresti Pietro (37°) Fiat Balilla 508S Coppa D’Oro del 1935 – Bussolati Maria e Kahane Elizabeth Ann - 6° nella Coppa delle Dame e 350° nell’assoluto, ma senz’altro prime per eleganza. Vedi anche foto seguente. Lancia Lambda Spider Tipo 223 passo corto del 1928 – Wouter Lammerse e Emiel Putman (89°) Bugatti T37 A del 1927 – Matteo Belotti e Ingrid Plebani (48°) Sumbeam Super Twin Sports del 1926 – Michel Laarman e Madelief Laarman (234°) Chrysler 75 del 1929 – Stephen Bruno e Kim Bruno (108°) Alfa Romeo 6c 1750 SS Zagato del 1929 – Aliverti Alberto e Valente Stefano 3° classificati nel Trofeo Gaburri e 4° nell’assoluto e vincitori del trofeo Chopard. Bugatti T40 del 1929 – Umberto Ferrari e Ronzoni Mauro (34°) Alfa Romeo 6C 1750 GS Carrozzeria Sport del 1930 – Gaetano ed Andrea Maffei (27°) Alfa Romeo 8C 2300 Monza del 1933 – Roderick e Isobel Jack (218°) Alfa Romeo 6C 1750 GS Spider Zagato del 1931 – Shawn e Leanne Till – Il miglior equipaggio statunitense classificatosi al 35° posto nell’assoluto Alfa Romeo 6C 1750 GS carrozzeria Brianza del 1932 – Axel Marx e Andreas Interbitzi – Miglior equipaggio Svizzero classificatosi al 66° posto. Fiat 513 Coppa Alpi Spider Sport del 1932 – Alessandro Pietta e Giuliano Donin (75°) Alfa Romeo 6C 1750 GS Spider Zagato del 1931 - Hendricus Goddijn e Corinne Vigreux (110°) Delahaye 135 CS del 1937 - Vincent Tourneur e Laure Fiat (121°) Alfa Romeo 8C 2300 MM Spider Zagato del 1931 – Clive Joy e Gregor Fisken (337) Lagonda M45 Rapide del 1934 – Howard Bellm e Danny Metha (NC) – L’auto che segue, la Lancia Aprilia Berlina 1350 del 1937 – Georg Geyer e Sebastian Klackl è l’equipaggio austriaco meglio classificato (64°) Fiat 1100 (508 C) Sport Speciale del 1937 – Francesco Siccardi e Matteo Kamata (278°) Alfa Romeo 6C 1750 GS Spider Zagato del 1931 - Alejandro Pablo Oxenford e Jose Luis Celada (58°) Jaguar XK140 FHC del 1955 - Jeffrey Morgan Gault e Jones Kent (173°) Alfa Romeo 6C 2500 SS Spider Colli del 1947 - Stefan e Norbert Rybczynski (NC) Cisitalia 202 S MM Spider del 1947 – Bruno e Riccardo Marini (38°) Alfa Romeo 6C 2500 S Cabriolet Pininfarina del 1947 – Olindo Deserti e Maurizio De Marco (74°) Alfa Romeo 2600 MM Spider Zagato “SF” del 1931 - Robert Defares e Volkert Struycken (NC) Fiat 1100 Hard Top Ala D’Oro del 1947 – Rob Peters e Colin Bolle (207°) Cisitalia 202 S MM Spider del 1947 – Marc Niederkorn e Frank Becker (109°) Cisitalia 202 SC Berlinetta Pininfarina 1948 - Volkert e Max Doeksen (86°) O.S.F.A Faccioli Fiat 750 S del 1948 – Alex Von Mozer e Robert Nijhof (304°) Talbot-Lago T26 GS del 1949 – Roland De Boer e Frans Kramer (183°) Healey 2400 Silverstone (E-Type) del 1950 – Kristian Thorpe e Adam O’Leary, 105° assoluti ed equipaggio inglese meglio classificato. Ferrari 195 Inter coupé Ghia del 1950 – Niklas e Jacqueline Pohl (NC) BMW 328 del 1938 – Johan e Hans Beerlandt (177°) a loro è andato il premio dello sponsor Ginion Group Chrysler 75 del 1929 – Michel Decremer e Marie Claire Martens 45° assoluti ed equipaggio belga meglio classificato. D.B. Citroen Spider 1945 – Stefaan Bettens e Isabelle Moriaud (NC) Ferrari 166 MM Berlinetta Vignale del 1950 – Tim Weller e John Ronald Bergius (217°) Mercedes Benz 710 SSK del 1930 - Marcus Breitschwerdt e Broich Patrick (196°) Healey 2400 Silverstone (E-Type) del 1950 – David Atcherley e Richard Poole (120°) a loro è andato il premio dello sponsor Retro Rally Group Maserati A6 GCS/53 Fantuzzi del 1955 – Filip Baert e Stefhan Eigenmann (333°) Lagonda Lg 4.5 French Grand Prix Team Car – Matthias Laqueur e Oleg Shardin (330°) Cisitalia 204 spyder sport del 1948 – Ikuro e Yumiko Matsuba (283°) Jaguar XK 120 OTS Roadster del 1951 – Varia Stefano e Biondetti Andrea (51°) Ermini 1100 Sport del 1927 - Kusano Kazoyoshi e Haruaki Kumagai (231°) Ferrari 250 MM Spider Vignale del 1953 – Andreas e Nathalie Pohl (322°) Aston Martin DB2 Vantage del 1953 – Klaus-Hasso Heller e Dennis Niheage, 53° assoluti ed equipaggio tedesco meglio classificato Ferrari 250 GT Europa del 1954 – Eric e Hannah Hereema (NC) Jaguar XK 120 OTS Roadster del 1951 – Lorenzo e Gianfranco Ronchi (145°) Porsche 356 1500 del 1952 – Stefano Brendolan e Marco Corbetta (73°) Ferrari 212 Inter Europa Pininfarina del 1953 – Maurizio Zanni e Luca Stefanini (26°) Hw (Poi Hwm) Hw Alta-Jaguar del 1951 - Eddy Duquenne eJos De Vuyst (289°) Porsche 356 1500 Speedster del 1955 – Romain Dumas e Zhu Ilona (344°) Chi fotogafa chi? S.I.A.T.A 208 CS Spider Corsa del 1952 – Raffi Najjarian e Luca Fontana (170°) Mercedes Benz 300 SL (W198) del 1955 – Giovanni Fassi e Paolo Zanardi (135°) Mercedes Benz 300 SL (W198) del 1955 – Marco Cefis e Matteo Zanetti (78°) Jaguar XK 120 OTS Roadster Light Weight del 1950 – Nigel e Ellanah Griffiths, 180° assoluti e premiati dallo sponsor The Fast Lane Club Ferrari 250 MM Berlinetta Pininfarina del 1953 – Diego Meier e Giacomo Balzarini (239°) Jaguar XK 120 OTS Roadster Light Weight del 1950 – Kevin e Alexander Obrien (240°) Triumph TR2 Sports del 1954 – Silvano Maria Zaglio e Andrea Bonomelli, 142 assoluti e vincitore del premio Guest Fiat 500 C “Topolino” del 1951 – Martin Utberg e Sacha Philippe Andre Rauscher (343°) Ferrari 500/750 Mondial Spider Scaglietti del 1955 - Dieter Roschmann e Ulrich Boenisch (NC) Mercedes Benz 300 SL (W198) del 1955 – Wilfried e Robin Porth (49°) e vista dietro Arnolt Bristol Bolide del 1954 – Frederic e Eugenie Derumeaux (NC) Ferrari 166 MM Spider Vignale del 1953 – Josef Eim e Richard Britten-Long (248°) Maserati A6 GCS/53 Spider Fantuzzi del 1955 – Jutta Roschmann e Gabriele Buerger (NC) Fiat 514 S del 1931 – Giorgio Ciresola e Stefano Franchini (61°) Mercedes Benz 300 SL (W198) del 1956 – Karl Wendlinger e Charles H. Metcalfe (281°) Healey 2400 Silverstone (D-Type) del 1949 – Claudio e Matteo Gelli (269°) Delahaye 135 S del 1936 – Henricus e Bastienne Van Den Anker (349°) Siata 208 S Spider del 1953 – Robert e Micah Davis (280°) Osca MT4 1100 2AD del 1954 – Mark e Lotte Juliette Noel Thieme (131°) Alfa Romeo 1900 SSZ Zagato del 1955 – Rainer Wolf e Robert Peil (296°) Ferrari 340 America Spider Vignale del 1952 – Henk Jacobs e Sarah Lewald Lotte (356° penultimi classificati) Ferrari 750 Spider Monza Scaglietti del 1955 – Marco Pagni e Terence Donnelly (352°) Lancia Aurelia B24 Spider “America” Pininfarina del 1955 – Jeffrey Thompson e Andrea Camiolo (186°) Fiat 500 Sport del 1939 – Bernd Schwengsbier e Sabine Reber (262°) Osca MT4 1350 2AD del 1955 – Marc Rollinger e Laurent Schandeler (216°) Abarth Fiat 750 Berlinetta Zagato del 1957 – Fernando Arena Guedea e Marta Costantini (275°) BMW 507 del 1957 – Claude Poncelet e Martine Henricote (168°) Osca S 187 - 750 del 1956 – Pieter Van Adrighem e Carola H. Berkel (288°) Lancia Aurelia B24 Spider “America” Pininfarina del 1955 - Pier Roelof Evert Bijlsma e Monique Emma Lauwaert (334°) Austin Healey 100/6 del 1957 – Paul Rose e Stephen Owens (161°) Abarth Fiat 750 Berlinetta Zagato del 1957 – Cornelius Necas e Ruby Roubinek (127°) Le foto di queste meraviglie a quattro ruote sono state tutte scattate con la Nikon Z 8 abbinata al 24-120/4. Un’accoppiata che sembra nata per stare insieme, da come è bilanciata e cade bene in mano. Tra l’altro, la Z 8 rispetto alla Z 7 essendo un poco più larga mi fa arrivare le dita della mano sinistra proprio sulla ghiera dello zoom, evitandomi di muovere erroneamente quella della messa a fuoco e non è poco. L’abitudine ai pulsanti è stata quasi immediata, in fondo è una Nikon e come tutte le Nikon hanno un feeling comune, poi con il tasto “i” si comanda quasi tutto. La cosa più entusiasmante è senz’altro l’autofocus. Qui la Z 8 rispetto alle sorelle minori è su un altro pianeta, impostando AFC - area AF Auto ed il riconoscimento veicoli, fa tutto lei e non perde un colpo, permettendo al fotografo di concentrarsi solo sul soggetto. Qui per arrivare ad avere fiducia nel sistema ho perso del tempo inutilmente, volendo controllare come e se funzionava correttamente. Ma quello che non funzionava ero io, che non sono alla sua altezza e velocità di esecuzione. Altra novità è il mirino in tempo reale, che mi ha consentito di evitare le diverse foto che ottenevo con le auto senza un po’ di muso o senza un po’di coda. Tanta ma tanta roba. Sia chiaro, non è che le foto adesso le faccio meglio di prima, no, ma il lavoro, oppure il piacere di scattare le foto, viene molto agevolato ed il peso non è un problema. Come non è un problema il riscaldamento del corpo macchina. In un’assolata mattinata, la macchina sempre accesa, con inserita una Prograde Cobalt da 161 Gb, la Z 8 e la scheda sono rimaste a temperatura ambiente, scaldate solo dal sole e dalle mani del sottoscritto. Per finire, anche l’orizzonte artificiale finalmente è diventato, in entrambe le modalità, non invasivo e adesso è comodo e piacevole da usare. Dimenticavo, la batteria ha svolto il suo lavoro ed è morta nel pomeriggio mentre fotografavo un paesaggio, dopo cinque ore consecutive di macchina accesa e 1800 scatti. Sicuramente, avrete pensato che per fare queste foto bastava ed avanzava anche la mia vecchia Z 7 o anche una Z 50, ma volete mettere il godimento nell’usare questa nuova e attraente bestiolina. Un grazie sentito a chi è arrivato sin qui.
    17 punti
  22. Sinceramente non so se oggi i nonni raccontano ancora le storie ai loro nipotini. O se lo fanno i loro padri e mamme, impegnati come sono con i loro smartphone, le loro call e gli orari di lavoro. Io da bambino, con mio fratello, ho avuto la fortuna di avere un nonno con una grande fantasia. E un papà che amava le fiabe quanto me. E il supporto - limitato, perché i soldi erano pochi - di Arnoldo Mondadori Editore, casa cui sono rimasto legato per quei libri illustrati pieni di animali coraggiosi ed eroi senza tempo. E subito dopo Topolino con il quale ho imparato a leggere. Sono cresciuto così e devo molto a tutta quella fantasia e a quel tempo passato ad ascoltare storie. E più avanti a fantasticare le mie. Che continuo ad inventare appena chiudo gli occhi. *** Finito l'amarcord, qui siamo su Nikonland e parliamo di fotografia o di argomenti attigui. Qualche giorno fa l'Admin ha pubblicato un articolo sulla Versione 24.6 di Photoshop che include il riempimento generativo ereditato da Adobe Firefly, la piattaforma di generazione automatica di immagini con motore di Intelligenza Artificiale. ne ho sperimentato le potenzialità e mi è venuto in mente che avrei potuto saggiarne a fondo le potenzialità solamente usandolo per illustrare una fiaba tutta mia. Non c'è alcuna fotografia, i fotografi presenti non se la prendano e non invochino il garante delle arti e dei mestieri. E non si preoccupino nemmeno gli illustratori. Un mio caro amico che fa l'illustratore di professione, fattura intorno ai 700-800 euro per ogni tavola fatta a mano. Ho visto che un suo collega australiano sta vendendo gli artbox fatti ad olio per una nota casa di modellismo a 7-8000 dollari l'una. La mia fiaba di tavole ne ha tante. E nasce per essere gratuita, un dono del cuore fatto da me ... ai papà e ai nonni che non sanno raccontare le storie. Più che ai bambini di oggi che non conosco e che non avrò mai l'occasione di conoscere. Quindi, lo giuro, nessuno perderà il lavoro a causa del mio test. Avrei potuto illustrarla da me ? Si, probabilmente si. Ma mi ci sarebbero voluto probabilmente 2 o 3 anni. Mentre qui ho impiegato 4 giorni a fare tutto ... ! *** Due parole tecniche prima di presentare le tavole della storia che uscirà come uno dei numeri di Nikonland Magazine, e quindi stampabile on-demand liberamente e senza copyright. Ho pensato al soggetto. Poi ho generato con il prompt di Adobe Firefly tante, tantissime illustrazioni mano a mano che pensavo ai dettagli della storia. Quindi ho scelto quelli più adatti che ho modificato, ingrandito, riquadrato, corretto, montato usando la versione beta di Photoshop. Adobe Firefly ha una tecnologia interessante e con un grande potenziale ma è anche estremamente acerbo. Diciamo almeno 18 mesi dietro ai concorrenti. Che pure hanno ancora del potenziale da recuperare. Soprattutto nelle scene dinamiche, negli arti, nelle mani e nei volti, occhi. Etc. Tutti quei dettagli che invece fanno premio sulla qualità delle illustrazioni. Ma nel complesso io sono soddisfatto e curioso di vedere cosa potrò fare nel 2025. Con un computer più potente, server più potenti, tecnologia più sviluppata e ... speriamo, magari finalmente con la fibra in casa (manca quel metro dal pozzetto davanti al cancello fino dentro a casa mia. Ma sembra che sia la distanza più complicata da colmare ...). *** George e l'avventura nel bosco. Soggetto, testo e illustrazioni del sottoscritto. Senza alcuna finalità commerciale (come consentito dal contratto di Adobe Firefly). *** Spero vi possa essere utile o di spunto. Se non altro, per curiosità. (PS : io sono un bambino cresciuto per questioni anagrafiche. Nella realtà sono rimasto idealmente in età prescolare. No, non sono malato, é che sono felice solo quando posso giocare liberamente)
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  23. Mauro Maratta e Max Aquila hanno appena scritto due articoli molto ben fatti che ci raccontano come le piccole Nikon con le loro Ottiche possono bastare e avanzare se non si ha la necessità o la possibilità di avere corredi di maggiore formato, ma si ha un po' di "manico". Il mio amico Gianni Ragno ne è convinto da tempo, tanto da averlo già detto in un'intervista: E siccome il suo occhio nello street è più acuto del mio (strano, i ragni dovrebbero essere miopi ) ecco una selezione dei suoi scatti dall'uscita insieme a Mauro e me di Domenica mattina, lungo il Naviglio Grande. Tutte le foto sono state scattate con la Nikon Z50 ed il 16-50 Z: Chi non vorrebbe in casa un tappeto così ? I colori che puoi tirar fuori dal 16-50. Quasi un quadro di quadri, tempi cupi... Un po' di street "vero". Love is all we need! Per salutarci: pure incontri alieni! Ma In compagnia si fotografa meglio? Foto di Gianni Ragno. Alla prossima!
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  24. «Gli olivi del lascito a Santa Croce sono stati i primi a bruciare e il fuoco è già come quello dell’inferno» (Grazia Deledda dal racconto L'incendio nell'Oliveto, per il Corriere della Sera) Poco più di un anno è trascorso dal giorno del disastroso rogo del Montiferru dal quale scaturì mio blog L'estetica del fuoco, lo ricorderete, scritto con grande sofferenza. Ciò che non sapete è che il mio lavoro proseguì anche nei mesi seguenti durante i quali riuscii a produrre centinaia di immagini oggi relegate in una cartella del mio archivio, a imperitura memoria. Allora evitai di scrivere, forse perchè era la parte più dolorosa del racconto, del terribile destino che spettò al Patriarca, un olivastro millenario a qualche chilometro da Cuglieri. Un albero bellissimo, rigoglioso, oltre 20 metri di altezza col fusto che aveva una circonferenza di 10 metri. Una pianta antica che ha visto scorrere la nostra storia senza mai muoversi dal luogo nel quale era nata. Che attirava migliaia di visitatori ogni anno. Non solo turisti, anche tanti sardi i quali avevano sempre piacere di ammirare quel prodigio della natura. Non potevo crederci, Pensai che chissà quante volte nella sua lunga vita avesse conosciuto il fuoco e fosse sempre sopravvissuto. Quando l'Università di Cagliari rese noto che sarebbe stato forse possibile recuperarlo ebbi qualche dubbio ma comunque volli andare a vedere cosa stava accadendo in quel sito. Trovai i tronchi bruciati, alcuni tagliati con la motosega ma posizionati con ordine. Ciò che rimaneva del Patriarca era coperto da una rete fitta che doveva rappresentare l'ombra dell'impenetrabile chioma. Ai tronchi ripuliti dal carbone erano stati collegati tanti tubicini, flebo che attingevano medicine e nutrienti da un serbatoio posizionato su un muro a secco. A me parve subito una follia, il solito modo per ottenere finanziamenti e portare avanti una ricerca che non avrebbe prodotto alcun risultato. Ma una volta tanto, con grande sorpresa, ebbi il piacere (e anche la gioia) di ricredermi. Il 13 giugno scorso il grande annuncio: il Patriarca, l'oleastro millenario di Sa Tanca Manna è ancora vivo. Ma come? Le foto che sto pubblicando non lasciano spazio a dubbi. Qualcosa mi sfugge e allora provo a documentarmi, cerco di capire cosa sia successo in questo anno e come abbia lavorato il professor Gianluigi Bacchetta, docente di botanica e direttore dell'orto botanico dell'Università di Cagliari. A lui e alla sua équipe va il merito dell'importante recupero. Così appariva a prima vista il sito dopo la "cura" Sono trascorsi mesi dal rogo, undici mesi di cure e di attenzioni e il Patriarca ha ricominciato a vegetare. Già da aprile si era notata una certa attività di fotosintesi sotto corteccia in alcuni ceppi, ben protetti e ombreggiati anche con teli di juta inumiditi, irrigazione a goccia per le radici ancora sotto il suolo e la somministrazione di amminoacidi levogiri tramite flebo. A smentire gli scettici come me, il 13 giugno ben tre polloni già millenari, col Dna della pianta che li aveva generati venivano illuminati dalla luce del sole. Tecnicamente e scientificamente il Patriarca era vivo. Rinato dalle proprie ceneri. Lo dico senza vergogna, ma quando fotografai i polloni sentii un groppo in gola: la mano dell'uomo, la stessa che con stolta crudeltà aveva privato della vita quell'albero millenario ora gliela stava restituendo. Un potere assoluto che ancora l'umanità non dimostra di meritare. Può apparire cosa di poco conto ma l'albero simbolo del Montiferru che si affaccia a una nuova vita infonde grande coraggio e nuova forza a questa comunità laboriosa che tanto ha sofferto e tanto sta ancora pagando per quel terribile incendio. E fra un migliaio di anni _ se tutto andrà bene _ i posteri potranno ancora ammirare il Patriarca in tutto il suo splendore. Pezzo consigliato: Tree, Oafur Arnalds Copyright Enrico Floris 2022 per Nikonland L'immagine di apertura è su licenza CC Creative Commons, solo divulgativa e senza fini di lucro poichè non disponevo di un'immagine nel mio archivio
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  25. Chiara ha sottoposto una delle foto che mi aveva fatto a luglio ad un paio di concorsi, e in uno abbiamo strappato una honorable mention. C'è da dire che le honorable mention in questo IPA sono metà di mille, ma comunque è stata una soddisfazione Qui il link: https://www.photoawards.com/winner/zoom.php?eid=8-219391-21
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  26. Come da titolo, ma non ci è riuscito nemmeno stavolta Andiamo con ordine. Nelle settimane precedenti Ross ha cominciato a ventilarmi la possibilità di uno shooting remoto, e di vederci per tale occasione perché mi considerava "esperto" del genere poiché ne avevo fatto uno lo scorso anno. Dopo qualche giorno mi disse di tebermi libero per domenica 11, senza possibilità di replica. "Molto bene", dico io, "mi libero di un appuntamento già preso così siamo a posto". Arriva il giorno dello shooting e sembra di pescare l'intero mazzo di Imprevisti del Monopoli. Si comincia al mattino con febbre da cavallo che si trascina da venerdì notte, e per un problema collegato sono praticamente vestito per andare i pronto soccorso. Avviso Ross, che giustamente mi dice di correre in PS e tenerlo aggiornato. Per fortuna il problema da PS si risolve da solo (circa), e con tachipirine come caramelle la febbre scende. Confermo quindi a Ross che nel pomeriggio può venire tranquillamente. Ross arriva, finalmente conosce mia madre (ci teneva tipo da sei anni), io ho preparato il PC e sono in postazione in studio. Sento che Ross traffica in salotto, viene da me e mi dice che ci son problemi di connessione, io rispondo ok, ci beviamo intanto un aperitivo. Andiamo in salotto. Mi trovo davanti Sabi con una candelina in mano che canta "Happy Birthday to you" (Kennedy puppa!). Fingo di non avere l'arresto cardiocircolatorio che ho per qualche secondo, la saluto come si conviene e soffio sulla candelina. Poi siccome Ross è Ross, la candelina è una di quelle che non si spengono, quindi momenti ilari a mie spese fin da subito. Poi da lì, un po' di relax... come stai, come non stai, non ci vediamo da un sacco di tempo e insomma sembra quasi che l'ultima volta ci si sia trovato l'altro ieri. E' andata a finire che lo shooting è stato molto poco remoto e molto divertente (perdonate la qualità non "da portfolio" delle foto, ma sono praticamente come scattate) Momento top: foto n.6 con Sabi nuda sul balcone che saluta verso una delle rotonde più trafficate di Lecco raccogliendo una sinfonia di clacson. Ah, questione zia: in realtà ha visto Sabi solo a fine shooting, quindi era già vestita. Niente foto della zia basita, mi dispiace Questioni tecniche sulla Z fc, a seguire. E' stato il primo shooting "serio" con la nuova macchina e devo dire che, finché è durata, si è comportata egregiamente. Il principale punto a favore è senza dubbio la leggerezza, in mano sta come una piuma; il secondo è il display regolabile, soprattutto per me. Avendo fatto l'intero shooting da seduto (con Ross che mi muoveva di qua e di là ) l'altezza di ripresa sarebbe stata estremamente limitata senza il display basculante. Con esso, invece, si può usare la fotocamera ad ogni altezza senza la necessità di dover per forza guardare nel mirino. Per il resto, c'è stata ancora qualche incertezza nel trovare alcune opzioni ma niente di insormontabile. Dicevo "finché è durata", perché a metà è andata in rosso la batteria (mi era stato detto che serviva per un Backstage e vedendo la batteria a tre tacche la sera prima, non l'avevo caricata). Per fortuna Ross mi ha prestato la sua Z6 II e tutto è proseguito liscio Di nuovo, un grazie gigantesco a Ross per la sorpresa clamorosa e inaspettata, e so che ci è voluta anche parecchia organizzazione e... segretezza! Per fortuna non ho deciso di rimandare, mi sarei mangiato le mani fino ai gomiti. Doverosa, Menzione d'onore sempre per Ross anche per avermi scarrozzato per casa in lungo e in largo, compreso un numero per superare il gradino per uscire in balcone, che pensavo di finire di sotto
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  27. Per una volta non sono il fotografo ma il soggetto. Una mia cara amica è passata a trovarmi e questo è il risultato. Volevo tenerne qualcuna per il contest "fuori dalla comfort zone", ma probabilmente sarebbero state fuori tema. Comunque, un grazie immenso a Chiara, che ha saputo non solo farmi sbottonare su un aspetto un po' difficile di questi ultimi giorni, ma me l'ha resa molto facile e mi ha pure fatto divertire Per il lato tecnico, alcune sono fatte con la mia D700, altre con iPhone. (spoiler: sto ancora messo meglio di quel che sembra, in realtà).
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  28. A feast for the senses, the sounds and sights of Hermaness are full of drama. Così il sito Visitscotland.com introduce questo luogo incredibile, estrema propaggine nord del Regno Unito. (immagine tratta da visitscotland.com) La riserva è molto grande per i nostri standard e girarla tutta è una vera e propria escursione, per la quale viste le estremamente mutevoli condizioni meteorologiche occorre essere bene attrezzati. Non è raro, infatti, partire con il sole e sperimentare venti fortissimi e veri e propri diluvi, così come partire con la pioggia e ritrovarsi dentro una splendida giornata. Per questo una giacca e scarponi realmente impermeabili sono indispensabili, così come un pile aggiuntivo e pantaloni pesanti. Insomma la solita regola del vestirsi a strati, alla quale aggiungerei abbondanti dosi di ottimismo e di perseveranza. (immagine tratta da nature-shetland.co.uk) Ho conosciuto questo luogo fantastico nel 2007, nel corso di un epico viaggio in camper. Epico perché è stato il mio primo viaggio specificatamente concepito ed organizzato per fotografare animali, perché sono state 5 settimane di vacanza - le più lunghe della mia vita adulta, tutte in camper con viaggio non-stop dall'Italia alle Shetland e, last but not least, perché nel team c'era mia figlia Margherita, all'epoca di due anni di età. Qui lei, equipaggiata di tutto punto, ha avuto la sua prima avventura. Si sa, col passare del tempo i ricordi diventano più dolci e quelli belli irresistibili. Così nel 2016 abbiamo deciso di tornare! Queste brevi note, quindi, hanno lo scopo di descrivere un luogo che da solo può giustificare una settimana di vacanza nella natura. Magari non in camper dall'Italia, anche il ritorno è stato così per motivi logistici, ma con uno dei voli che atterrano in un incredibile aeroporto, Sumburgh Head nel sud dell'arcipelago, la cui pista è attraversata dalla strada (vicino all'aeroporto c'è un'altra riserva RSPB dove vedere i Puffin, ma non in un ambiente speciale come a Hermaness). Allora, perché andare fin laggiù? perché questo ambiente incredibile... (Pano 152mpix, ottenuta con D810 e 70-200/4, scattando in verticale con focale 135mm 1/250 F8, 64 ISO, 8 foto) (tutte: D810 con 16-35/4 o 70-200/4) ... ospita due gigantesche colonie di Gannets (Sule), numerosissimi Puffin (Pulcinella di mare) e, in cima alla catena alimentare, gli Skua (Stercorario maggiore). Beh, non solo loro... Ma andiamo con ordine. Gli SKUA sono grossi uccelli marini dotti di ampie ali e coda corta, corpo massiccio, bruno con remiganti fasciate di bianco. Non sono buoni pescatori, ma veri e propri pirati dell'aria che attaccano in volo gli altri uccelli, per rubare il cibo che portano a terra per alimentare i piccoli. E, a volte, predano direttamente i piccoli delle altre specie. Attenzione: Lo SKUA è estremamente aggressivo e non esita a gettarsi in picchiata sul maldestro, ed in questo caso incauto, escursionista che dovesse avvicinarsi ai siti di nidificazione, che sono a terra nelle praterie erbose. (tutte D4 e 500/4, liscio e moltiplicato) Qui mentre attacca in volo una sula, molto più grande di lui: Ma non è lui, per me, la vera star di questo posto. Sono le Sule, uccelli marini molto grandi e dotati di un corpo affusolato ed un'apertura alare di poco meno di due metri. Pescano nell'oceano, gettandosi in picchiata a 100km/h da 50mt di altezza per raggiungere le prede. Nidificano in enormi colonie, impossibile mentre si è sul bordo non pensare a quanto è forte la vita. Immaginate essere su una scogliera alta diverse centinaia di metri, davanti all'oceano che pare infinito guardando decine di migliaia di uccelli schiamazzare, corteggiarsi ed allevare i piccoli. Indescrivibile a parole. Impagabile trascorrere qualche ora sdraiati sul bordo a binocolare la colonia, osservando il loro comportamento. (tutte D4 con 500/4, liscio e moltiplicato) Ma, per me, i più simpatici sono loro, i Pulcinella: (D4 a 500/4, liscio e moltiplicato; l'ultima D810 e 70-200/4) Perché mi sono simpatici credo sia evidente dalle fotografie, ma non sono solo carini. Sono dei duri. Basti pensare che, pur essendo alti solo 30cm per 400-600gr di peso, trascorrono a terra solo il periodo della nidificazione, in estate. L'inverno lo passano in mezzo all'oceano! Purtroppo, il cambio del clima inesorabilmente sta modificando il nostro pianeta. Nella penultima immagine gli osservatori più attenti avranno notato che i pesci nel becco non sono tutti piccoli. I Pulcinella faticano a trovare adeguate quantità di piccole Sand eels, e finiscono per pescare pesci più grandi che non sono adatti ad alimentare i piccoli. Per questo, negli ultimi anni, la popolazione di questi meravigliosi uccelli sta drasticamente riducendosi nelle colonie più a nord (Islanda e Shetland), senza purtroppo nessuna buona prospettiva sul lungo periodo. Massimo 5/11/2017
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  29. A Castelsardo un rito diverso, generato dalla pietà popolare e che affonda le sue radici negli anni della dominazione aragonese. La processione del Lunissanti è la prima della Settimana Santa, si svolge il lunedì successivo alla Domenica delle Palme e dura un giorno intero. La pietà popolare esalta il carattere della manifestazione attingendo dalle proprie tradizioni e dalla propria cultura della fede evitando i dettami della liturgia e persino la presenza di un prete che la guidi. La Confraternita della Santa Croce custodisce i Misteri della passione di Cristo, gli strumenti del suo dolore: il calice, il guanto, la catena, la colonna, i flagelli, la corona di spine, la croce, la scala, il martello e la tenaglia, la lancia e la spugna, il teschio, il busto dell’ecce homo e il Cristo crocefisso. È trascorsa da poco l’alba quando nella concattedrale di Sant’Antonio Abate a Castelsardo viene celebrata la messa alla presenza dei confratelli di Santa Croce che termina con la benedizione degli strumenti del dolore di Cristo. È questo il momento per gli apostuli (ognuno dei quali porta con sé uno dei Misteri accompagnati ognuno da un gruppo di cantori che intonano il Miserere, lo Stabat Mater, il Jesus) di incamminarsi alla volta di Tergu, un piccolo centro dell’Anglona, diretti alla chiesa di Nostra Signora di Tergu. Arrivo verso le 11,30. L'ingresso sul selciato che conduce a Nostra Signora di Tergu e l'attesa degli Apostuli prima dell'ingresso in chiesa Ancora una messa e una nuova benedizione dei Misteri e poi ripartenza verso Castelsardo, sempre a piedi. I Cantori davanti all'ingresso di Nostra Signora di Tergu A Castelsardo l’ultima funzione alle 19 e alle 20 l’ultimo tratto, sempre in assenza delle autorità ecclesiastiche. La processione attraverserà il paese, totalmente al buio, con la sola illuminazione delle fiaccole. Non vado oltre con la storia perché è veramente difficile documentarmi su questa particolare manifestazione ma quello che sono riuscito a sapere lo avete appena letto. Per quanto riguarda invece l’aspetto fotografico ho dovuto necessariamente tenermi “leggero” perché la spalla destra è ancora dolorante e so che il recupero sarà particolarmente lungo. Per cui ho preferito usare la Zfc con una sola lente. La mattina ho scelto il 16-50 per via della maggiore duttilità e nonostante la giornata piovosa in luce non mi ha creato problemi. La scelta del bianco/nero, visti i colori inesistenti, l’ho ritenuta appropriata. Definire coinvolgente e quasi ipnotico il rito serale è riduttivo, bisogna assistere per capirlo. Una folla composta da fedeli e turisti provenienti da tutta Europa solo per assistere a questo evento. Un silenzio surreale, tanto che ho dovuto silenziare la Zfc, persino quel rumore finto dello scatto era fuori luogo. Documentarla è una sfida. Non si tratta di fotografare al buio, si tratta di fotografare il buio. Difficile stare sotto i 10000 ISO. In quelle condizioni il meglio di cui disponevo era il 24mm 1,7 che ancora una volta si è dimostrato lente di razza, sorprendente. Molti doppioni e anche molte immagini scartate perché sbagliate o magari per micromosso o perché semplicemente non mi piacevano. Le poche che propongo differenziate per momento e per scelta (b/n al mattino e colore alla sera) spero che rendano al meglio l’idea di una manifestazione che non si snoda lungo un tracciato segnato o immaginario ma scorre attorno alle persone, le circonda e le sfiora in un silenzio denso, rotto solo dalle litanie dei cantori, illuminato dalle fiaccole affidate alle consorelle (tutte bambine) precedentemente vestite di bianco dalle mamme all’interno del battistero e che hanno il compito di far luce con le torce sui passi degli apostuli. Ultime immagini per i Cantori Pezzo consigliato: Jubilee Street (Nick Cave) Copyright Enrico Floris 2024 per Nikonland
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  30. Ciao a tutti,si è svolto ieri 7 Settembre,il secondo open day ad Istrana,evento inconsueto alle nostre latitudini, La giornata è stata soleggiata e ci ha dato modo di fare qualche scatto,eravamo presenti io,Alessandro e Riccardo ed abbiamo trascorso una piacevole giornata tra aerei e chiacchiere fotografiche e non. Purtroppo al solito,essendo Istrana in controluce pieno e con la luce balorda del giorno,non si è potuto fare granchè,inoltre ci si aspettava una più varia presenza di velivoli e invece abbiamo visto i soliti noti,AMX ed EFA.A onor del vero ci son stati passaggi veloci di una coppia di F-16 di Aviano,partenza di un F-35B diretto a Gioia del Colle e un passaggio di una coppia di Tornado alti,lontani e veloci.Se lo spettacolo è stato tutto sommato una ripetizione di quanto visto lo scorso Marzo,una volta di più,va annotato il fatto che per fare scatti ai velivoli ormai bisogna avere un 800mm; ecco quindi che per fruitori del sistema Z,l'800mm di Nikon potrebbe essere ciò che cambia le carte in tavola.Allego alcune immagini e aspetto di vedere anche quelle dei nostri bravissimi Alessandro e Riccardo.Tutte le foto con D3x e 400mmf2.8+duplicatore 2x. Qui l'F-35B con in evidenza il portello del ventolone che serve per il decollo verticale Lo Spad replica della Fondazione di Giancarlo Zanardo Due viste della replica del Ca3 di Giancarlo Zanardo,una delle sue opere meglio riuscite l'AMX in piena virata,ultimi voli per questo velivolo molto discusso in ambito AM e non solo Il vecchio (AMX) e il nuovo (EFA) assieme.... Le due coppie di EFA che hanno evoluito a lungo su cielo della base Passaggio a sorpresa di un solitario MB339 della PAN EFA in virata Passaggio in coppia per questi Eurofighter
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  31. Point Boset è un comune suff. piccolo.. or ora ha 174 abitanti, certo durante l'estate la popolazione aumenta e non di poco ma sono turisti, al sopraggiungere dell'inverno.. se ne vanno e magari pure prima, l'area del comune tecnicamente è di 33 Km quadrati, ma non vi avevo detto che è posto in Montagna.. con un torrente un pochino impetuoso in mezzo..l'Ayasse.. è situato nella valle di Champocher circa alla metà, la valle è lunga una quindicina di chilometri ed è alla sinistra orografica venendo da Bard verso Aosta, ma tutto questo vi chiederete a cosa porta? ma porta ai ponti.. vi ricordate il nostro ex reporter un pochino attempato? parlo di Clint.. che con la sua Nikon F fotografa i Ponti di Madison County.. però laggiù la lingua era il mericano, roba simile all'inglese, quì è il Patois, molto musicale simile al francese.. ma tanto non la capisco lo stesso.. per fortuna mia, la parlano solo i vecchi del posto. Ebbene, ma anche noi abbiamo cose simili.. a Pont Bosset si trovano: Gouglet, Ronchas, Frontiere, Ratus, vaseras, Frassineye per ultimo Savin.. cosa sono? ma i nomi dei loro ponti.. ora, trovare a casa nostra un paese piccolo.. con sette ponti non credo sia una cosa facile facile.. Questa mattina alzato di buon'ora.. ho portato la Zetina a prendere un pò d'aria.. partiti io e mia moglie, il cielo sopra di noi era sul coperto andante, il meteo per la Val D'Aosta prometteva bene.. passata Ivrea ci si addentra , e si incomincia a vedere una minor nuvolaglia.. ho sbagliato l'uscita, al posto di San Martin, sono uscito a Verres, tornato indietro di pochi chilometri alla destra vedo l'ingresso della val Champocher, dopo altri otto chilometri in salita con strade non esattamente larghe, si arriva.. ma ora parleranno le immagini.. Iniziando la salita ci si lascia alle spalle l'imponente Fortezza di Bard, distrutta da Napoleone Bonaparte quando invase il nostro paese.. ma non fu una cosa rapida, il forte resistette.. per diverso tempo La nuvolaglia che avevano sopra la testa.. Si entra nel paese, purtroppo poco dopo capii che ero, almeno per me.. dalla parte sbagliata.. Tutto il percorso pedonale con tanti bellissimi fiori.. Una sorpresa.. ricci di castagne... bellissimi.. Guardando poco dopo il bosco con i castagni alla mia destra, intravedo il primo ponte.. e proseguiamo, Ed ecco il palazzo del comune e visto il numero degl'abitanti, ospita anche l'ufficio postale.. Ora la mappa con il percorso per poter ammirare io ponti, purtroppo non era una cosa fattibile per me, la lunghezza del percorso mi bloccava.. che fare? chiedo e mi spiegano di entrare con la mia vettura alla fine del paese, più a monte.. Tornado indietro a piedi incrociamo una bellissima fontana.. Altra piccola e nera sorpresa.. non ci crederete lo sò purtroppo, ma il Mao mi ha chiamato.. ovviamente in Patois Micesco, e mi ha chiesto quando Silvio andrà a fotografarli, sono in diversi e lo aspetterebbero tutti contenti, ho risposto loro che metterò una buona parola.. vi sono una miriade di scale che scendono lungo la costa del paese, situato sulle pendici della montagna; ma.. magari scendere.. ma poi a salire come potre fare?.. abbandonato l'idea.. Le case sono così vicine una con l'altra, che i loro tetti proteggono in gran parte quando piove.. Tre scorci del paesino.. Ed eccoci al primo ponte in pietra, sotto ora scorre il torrente Ayasse Una serie di viste dai due lati con alcuni particolari E impressionante vedere l'acqua nel tempo come ha sagomato la pietra.. a prenderla in mano pare inconsistente.. ti scappa, mentre la pietra.. è per solida e dura.. ma con il tempo.. Ed ecco il secondo ponte.. con due arcate questo. Ecco il bacino formatesi sotto.. Ancora due viste.. Siamo al terzo ponte... purtroppo la strada è molto stretta, sono uscito al volo dalla vettura e, parcheggi.. non erano presenti.. E siamo arrivati al quarto ed ultimo, almeno per me.. il resto a piedi non era nelle mie possibilità, chiedo scusa ma non posso farci nulla.. Vedere questi specchi d'acqua.. mi viene da pensare ad una cosa.. conosco un Nikonlander che fà anche immersioni in acqua dolce, anche in laghi di montagna.. magari potrebbe trovare della fauna ittica particolare.. vedremo di avvisarlo.. " questo Nikonlander " si immagino che alcuni di Voi sappiano chi.. è... I segni su queste rocce sono.. fantastici.. a mio vedere.. A vederli così ondulati.. paiono fiumi d'acqua.. Non ho potuto avvicinarmi di più.. Il laghetto a valle del ponte.. Un particolare dello sfondo.. ora, sempre il nostro " Amico " di cui abbiamo accennato poco fà.. magari, potrebbe finire la mia opera, con i tre mancanti.. e fare altri scatti con " altri " punti di vista.. diamine.. è bravissimo.. e chissà cosa potrebbe trovare quà sotto.. Ho finito la tiritera.. ringrazio tutti quanti sono riusciti tra uno sbadiglio e l'altro.. a seguire quanto ho scritto.. però... Non è possibile lasciare la Val D'Aosta senza portarsi a casa il famosissimo Lardo di Arnad ed anche il loro spettacolare Formaggio... Buona notte a tutti.. Dimenticavo... ovviamente.. Zeta 50... e 16-50..
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  32. E’ una regione molto conosciuta, ma ciascuno ne ha una impressione diversa a seconda delle proprie sensibilità. ll mare, grande protagonista, le testimonianze di antichi insediamenti, i paesi vicini, si mescolano offrendo ai visitatori molteplici sensazioni. Vi propongo le mie attrverso le immagini che ho scelto. Sono 64. Prendetevi del tempo e lasciate correre i pensieri. Incominciamo dal viaggio, giusto per entrare nel clima. # 1 in avvicinamento r # 2 Fermata a Beaune # 3 tentazioni... # 4 Hôtel Dieu: ospizio per poveri costruito da Nicolas Rolin nel 1443. Completato nel 1452 in stile gotico con tetti policromi, è stato attivo fino agli anni 50 del secolo scorso. La sua storia è interessante per chi volesse approfondirla. # 5 # 6 # 7 tappa Noyers sur Cher # 8 all’indomani poco lontano il castello di Villandry: vuoi non vederlo? # 9 col suo giardino # 10 e laghetto annesso # 11 si riprende verso la côte sauvage in Bretagna # 12 e, verso sera... # 13 # 14 ...si arriva al porticciolo di Portivy, la meta: # 15 I giorni seguenti sono dominati dal mare in molti dei suoi aspetti (sono molte perchè mi piacevano tutte): calmo # 16 # 17 # 18 # 19 # 20 mosso # 21 spettacolare # 22 in combutta col cielo # 23 # 24 potente # 25 # 26 spumeggiante # 27 solo loro sono a proprio agio # 28 una vela sfida i marosi # 29 e questo le onde # 30 minaccioso # 31 # 32 oppure in bassa marea # 33 c’è pure il castello incantato (in ristrutturazione) # 34 o fonte di ispirazione per pittori: les aiguilles de Port-Coton # 35 struggente # 36 # 37 # 38 # 39 e dove c’è il mare ci sono i fari: faro della Teignouse # 40 faro Goulphar # 41 faro Pointe des Poulains # 42 # 43 # 44 faro porto di Haliguen # 45 per aiutare i naviganti... # 46 # 47 Le vestigia antiche a Karnac: una fila sterminata di menir # 48 # 49 # 50 anche le costruzioni moderne sono a volte curiose # 51 Un giro nella vicina Auray # 52 Per le viuzze #53 Alcuni particolari # 54 # 55 le porte colorate # 56 # 57 # 58 # 59 Dintorni di Quiberon: un celebre café # 60 Belle île en mer: approdo # 61 Veduta di Sauzon # 62 porticciolo di Sauzon #63 e, per chiedere in bellezza, la Riserva naturale di Sènè a cui avrei voluto dedicare molto più tempo (sarà per la prossima volta…) # 64 Uno dei suoi abitanti: anatra volpoca Che dire… da ritornarci.
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  33. Un rullino con la Nikon D3? Si, c’è sempre il modo di pensare al vecchio rullino da 36 pose. Nel Maggio del 2010 Kodak ha affidato al fotografo Steve McCurry l’ultimo rullino della famosa pellicola prodotto dalle sue fabbriche, per diapositive Kodachrome. Certo la cosa era simbolica ma il rullino di sole 36 pose allora, in piena era digitale con flash cards che salvavano migliaia di scatti, ha assunto un senso di arca artistica nelle mani di Steve che non ci ha pensato due volte a sfruttare l’occasione. In questo senso allora, presento oggi, il mio rullino con la mia Nikon D3. Solo che il criterio base di questa raccolta non e’ esclusivamente quello artistico. Si tratta di 36 scatti che tirano fuori il carattere di una macchina rivoluzionaria, presentata nell' Agosto dell'ormai lontano 2007. Scavando nei miei archivi ho tirato fuori le foto che secondo me rappresentano meglio le qualità e le caratteristiche tecnologiche di questo apparecchio, ovviamente filtrate dalle mie capacità espressive e tecniche. Qui sotto allora troverete degli scatti che ho fatto con la mia macchina in più di otto anni di utilizzo. La raccolta è sudivisa in vari settori della fotografia. Natura con foto di animali liberi ma anche riprese fatte allo zoo, Macro in campo ma anche allo studio, Street in bianco e nero, Ritratto a luce naturale, luce mista e luce totalmente artificiale e controllata, Sport, Giornalismo, Cronaca e per finire foto di Paesaggio. Insomma ogni tanto tirare le somme fa bene e ci sono vari modi e maniere per farlo. Io ho preferito di fare questo esercizio con la mia fedele Nikon D3 sviluppando un rullino da 36 pose che si e’ matturato in questo periodo di otto anni di uso sodisfacente. Il corredo Ho acquistato la D3 esattamente un anno dopo la sua uscita sul mercato e fa tuttora parte del mio corredo fotografico. L’ ho adoperata con i migliori obiettivi Nikkor dell’ epoca. - AFs Nikkor 17-35mm f/2,8D ED - AFs Nikkor 70-200 f/2,8G ED VR - AFs Nikkor 28mm f/1,8G - AFs Nikkor 50mm f/1,4G - AFs Micro Nikkor 105mm f/2,8G ED VR - AFs Nikkor 300mm f/2,8G ED VR - AF Micro Nikkor 70-180mm f/4,5-5,6D ED - AF Nikkor 85mm f/1,4D - AF Nikkor 180mm f/2,8D ED - AIs Nikkor 20mm f/2,8 - AIs Nikkor 35mm f/1,4 - AIs Micro Nikkor 55mm f/2,8 Mi sono fidato in pieno del suo sistema di controllo CLS (Creating Lighting System) dei lampeggiatori dedicati. Quattro Nikon Speedlights SB-800 controllati tramite l’ unità SU-800 hanno sempre funzionato bene e mi hanno permesso di modellare e dosare la luce come volevo io, specialmente nei ritratti. Le foto sono al classico formato 3:2 frame (formato del sensore). Alcune sono ritagliate nel formato wide 16:9. Natura 1. Cigno reale, Cygnus olor, Gennaio2009, Nikon D3, AFs Nikkor 300mm f2,8G ED VR, Iso 800, 1/6400s, f/2.8, VR On. Ripresa in sequenza ad alta velocità con cadenza di circa 9 fotogrammi al secondo in formato FX (36 x 24). La D3, in piena sintonia con il 300mm/2,8G ha una messa a fuoco fulminea e ti permette di fare cose del genere. 2. Rana verde maggiore, Agosto 2008, Nikon D3, AFs Nikkor 300mm f2,8G ED VR+TC-20EII, Iso 800, 1/1250s, f/11, VR On. 3. Biancone, Circaetus gallicus, Nikon D3, Afs Nikkor 300mm f/2,8G ED VR+TC-14EII, Iso 200, 1/8000s, f/4, VR On. Lago di Stymfalia in Grecia. Il VR del mio 300/2,8 funziona da vero bene. Mano libera con il TC-14EII montato e a bassi Iso. Risultato più che buono. La macchina mi ha permesso di seguire il rapace, senza perdere il fuoco e di avere sei-sette scatti buoni. Considerando il fatto che avevo montato il moltiplicatore, che in pratica toglie velocità alla messa a fuoco, devo ammettere che sono stato fortunato. Ma le impostazioni per l’ esposizione mi hanno restituito delle foto sottoesposte di almeno 2 diaframmi. Sono intervenuto con il Capture NX2 scegliendo lo strumento Color Control Point per schiarire la parte sotto l’ala ed il corpo del rapace senza toccare la luminosità del cielo. La correzione è stata di +2EV. Il file ha resistito e mi ha regalato tutta l’ informazione registrata dal sensore. 4. Svasso maggiore con i piccoli, Podiceps cristatus, Agosto 2008, Nikon D3, Afs Nikkor 300mm f/2,8G ED VR+TC-20EII, Iso 800, 1/1600s, f/11. Lago di Revine in Veneto. Uscita col canotto cammuffato per dare il minor disturbo possibile agli uccelli. Non potendo remare forte, per non spaventare l’ avifauna, sono stato in acqua piu’ di 6 ore. E’ stata una esperienza unica navigare tra gli svassi e la D3 mi regalava scatti cosi belli e ricchi di sfumature che non avrei potuto fare con la mia ex, la Nikon D2x. 5. Martin pescatore, Alcedo atthis, Ottobre 2008, Nikon D3, Afs Nikkor 300mm f/2,8G ED VR+TC-14EII, Iso 5600, 1/1000s, f/8, formato Dx. Foto scattata da un osservatorio faunistico. Avevo notato il passaggio del Martino che frequentava questo posatoio. Anche se la distanza non era tale da riempirmi il quadro sono ricorso al TC-14EII e per di più ho croppato in Dx. Il Martino non è mancato all’ appuntamento ed ho eseguito una sequenza a raffica di 15 fotogrammi. Ingrandimento al limite ma il risultato e’ accettabile. 6. Papavero, Maggio 2009, Nikon D3, Afs Nikkor 300mm f/2,8G ED VR, Iso 400, 1/800s, f/8, su treppiede con VR off. Una foto ravvicinata con un bellissimo sfuocato e una altissima risoluzione e dettaglio sulla parte centrale del papavero. Non ho voluto esagerare con il contrasto ed ho impostato Standard come picture control. 7. Piuma sull’ acqua, Agosto 2008, Nikon D3, Afs Nikkor 300mm f/2,8G ED VR+TC-14EII, Iso 800, 1/60s, f/16, -1,00EV, + SB-800 in iTTL regolato a -1,00EV. La foto è stata fatta quasi al livello dell’ acqua da un canotto in mezzo al lago alle 20:00 di sera, sottoesponendo apposta per annerire il più possibile l’acqua. Sono intervenuto sia per la staratura dell’ esposimetro per lo sfondo sia per la luce del flash con una regolazione di -1,0EV in ambedue i dispositivi. Ho sperimentato più scatti finche’ ho avuto il risultato voluto. Regolazione del picture control Monochrome in macchina. Allo zoo Certo che allo zoo non trovi gli animali come nella natura selvaggia, cioe’ liberi e super attivi. Pero’ hai la possibilita’ di vedere da vicino tante specie, studiare il loro attegiamento anche se in realta’ esso e’ condizionato dal fatto che sono in cattivita’. Per i fotografi e’ una buona occasione per esercitarsi faccendo ottimi ritratti ravicinati. Serve pazienza e tenacia. 8. Lemure, Nikon D3, Afs Nikkor 300mm f/2,8G ED VR, Iso 200, 1/1000s, f/2,8. Un ritratto di lemure che esalta gli occhi arancioni dell’ animale. Una foto quasi in bianco e nero. Il sensore della D3 restituisce delle sfumature mai viste per l’ epoca. 9. Uccello segretario, Sagittarius serpentarius, Nikon D3, Afs Nikkor 300mm f/2,8G ED VR, Iso 400, 1/3200s, f/2,8. Un momento caratteristico per questo particolare uccello con i ciuffi della testa tutti spiegati. Per eliminare il più possibile la rete della gabbia ho appoggiato la parte frontale dell’ obiettivo su di essa. Lo sfuocato non è pulito ma si presenta con una lieve trama diagonale che riproduce la matrice della rete. 10. Kookaburra, Dacelo leachii, Nikon D3, AF Micro Nikkor 70-180mm f/4,5-5,6D ED @ 180mm, Iso 640, 1/100s, f/5,6. I kookaburra sono ucceli che appartengono alla stessa famiglia a cui appartengono le varie specie di martin pescatore, per questo motivo tali uccelli vengono chiamati anche martin pescatori australiani. Questo esemplare stava vicino alla rete della gabbia e non si e’ mosso quando mi sono avvicinato. Ho appoggiato la parte frontale del mio obiettivo sulla rete. Regolando il diaframma a f/5,6 e con una zoomata a 180mm ho avuto questo primo piano con l’ uccelo staccato completamente dallo sfondo. Il sensore della D3 mi ha restituito un’ immagine di altissima qualita’, ricca di sfumature e un dettaglio con buonissima incisione che mi ha riconfermato per l’ enesima volta la qualita’ del mio Micro Nikkor 70-180mm. Dettaglio, crop al 100% 11. Scimpanzè, Pan troglodytes, Nikon D3, AFs Nikkor 300mm f/2,8G ED VR, Iso 400, 1/2500s, f/4. Macro 12. Vespa in rosso, Nikon D3, AF Micro Nikkor 105mm f/2,8G ED VR+TC-14EII @ 147mm, Iso 2500, 1/200s, f/16, -1,0EV. Nella macrofotografia di insetti e’ importante operare da una certa distanza senza infastidire il soggetto. Qui ho montato sul micro 105mm/2,8G il moltiplicatore 1,4x per avere un ingrandimento maggiore senza avvicinarmi di piu’. La focale e’ diventata 147mm e la messa a fuoco automatica si e’ rivelata un po’ piu lenta. Impostando un diaframma chiuso a f/16 ho dovuto alzare gli iso al valore di 2500 per avere un tempo di scatto relativamente sicuro. 13. Cavalletta, Nikon D3, AF Micro Nikkor 105mm f/2,8G ED VR, Iso 2500, 1/250s, f/20, -0,3EV. 14. Fiore di Parnassia palustris, Nikon D3, AF Micro Nikkor 105mm f/2,8G ED VR, Iso 500, 1/250s, f/22, +0,3EV. Il fiore era illuminato dai raggi del sole e aveva lo sfondo completamente scuro. Ho regolato la misurazione della macchina in spot e dopo uno primo scatto ho corretto l’ esposizione di +0,3EV. Il micro 105mm/2,8G mi ha restituito un’ immagine con un bellissimo contrasto. Picture control regolato in Vivid 15. Conchiglia in studio, Nikon D3, Ais Micro Nikkor 55mm f/2,8, Iso 200, 15s, f/32. La conchiglia e’ stata fotografata con la tecnica di lightpainting in un piccolo studio improvisato a casa. Ho adoperato un cartoncino nero per lo sfondo, uno stecchino nero infilato nella conchiglia per tenerla in questa posizione e una piccola pila per disegnare con la luce. Tanti tentativi e tanta pacienza per poter avere immagini interessanti. Ovviamente la macchina era sistemata sul trepiede. Street in b&w Per fare fotografia di stada bisogna essere molto discretti e muoversi tra la gente senza dare nell’ occhio. La D3 essendo un’ ammiraglia e’ una macchina esattamente al contrario di tutto cio. E’ disegnata come un carro armato, e’ pesante, massicia ed e’ grande ma in compenso ha una risposta molto veloce, circa 0,12 sec. per l’avvio e 37 milesimi di sec. per il meccanismo di ritardo allo scatto e un mirino con circa 100% di copertura del fotogramma. 16. Venezia, Nikon D3, Ais Nikkor 35mm f/1,4, Iso 800, 1/250s, f/11, -0,3EV . 17. Venezia, Nikon D3, Ais Nikkor 35mm f/1,4, Iso 800, 1/40s, f/8. 18. Atene, Nikon D3, AFs Nikkor 17-35mm f/2,8D ED @ 24mm, Iso 800, 1/200s, f/8. Quel giorno me lo riccordero’ per sempre. Grandi proteste al centro di Atene con disordini dapertutto. Avevo documentato le proteste e stavo tornando verso casa. Fino a quel momento avevo fatto solo foto a colori. Appena ho visto questa macchina bruciata con il gruppo di polizioti ho cambiato subito l’impostazione del picture control a modalita’ Monocromatico ed ho puntato l’ obiettivo facendo un solo scatto, questo. La proggettazione del corpo macchina della D3 con i bottoni al posto giusto e con un’ interfaccia molto facile da imparare mi ha permesso di agire all’istante. E’ stata l’unica foto del giorno che ho fatto in b&w. Ritratto 19. Dimitri, Nikon D3, AF Nikkor 85mm f/1,4D E, Iso 800, 1/2000s, f/1,4, -0,7EV, luce naturale, WB manuale 5260 Kelvin. Mi ricordo che per fare questa foto e avere gli occhi di Dimitri a fuoco ho fatto parecchi scatti col diaframma impostato a 1,4. Chi ha avuto questo obiettivo sa cosa intendo. La messa a fuoco diventa molto indecisa e non è rapida per poter fare un ritratto espressivo e cogliere l’attimo. Quando però ci riesci il bokeh che offre questa ottica è favoloso. Un' ottica che ho amato e odiato allo stesso tempo. 20. Elena, Nikon D3, AF Nikkor 85mm f/1,4D E, Iso 3200, 1/100s, f/4,5, -1,0EV, luce artificiale non controllata, WB auto. Facendo una serie di foto a Elena ho insistito a scattare con questa precisa angolazione perche’ gli allineamenti del suo viso erano perfetti. Il problema col 85mm/1,4 e’ stato come sempre la messa a fuoco agli occhi. Come se non bastasse questo, dovevo regolare la profondita’ di campo, cioe’ il diaframma, in modo che risultassero tutti e due a fuoco, sperando nel fratempo che la mia modella non si stancasse. 21. Lisa e Cliò, Nikon D3, AF Nikkor 85mm f/1,4D, Iso 640, 1/60s, f/4, -1,0EV, 2xSB-800 in TTL + 1xSB-800 in manuale, WB flash. Ho fotografato le due amiche con un set di illuminazione composto da tre speedlights SB-800. Due flash laterali con difusori due ombrellini bianchi in TTL a -2,3EV e uno per illuminare lo sfondo regolato in manuale a 1/64 della sua potenza. Ho controllato i tre lampeggiatori tramite l’ unita’ SU-800. 22. Michele, Nikon D3, AF Nikkor 85mm f/1,4D, Iso 640, 1/60s, f/2.5, -2,0EV per lo sfondo, SB-800 in macchina (master) in TTL regolato a -2,3EV + 1xSB-800 remoto regolato in manuale a 1/16 della sua potenza controllato tramite il master. 23. Giovanna, Nikon D3, AFs Nikkor 28mm f/1,8G, Iso 1250, 1/60s, f/8, -1,0EV (per lo sfondo), SB-800 in macchina (master) in TTL a -1,0EV + 2xSB-800 in TTL a remoto, regolati a -1,0EV e controllati tramite il master, WB auto. Luce bassa e luce mista 24. Alessio Vassili, Nikon D3, AFs DX Nikkor 12-24mm f/4G @ 24mm, Iso 800, 1/10s, f/4, luce di due candele, misurazione spot. Uno dei primi ritratti con la mia D3. La novità dell’ epoca era il sensore full frame della macchina che garantiva qualità molto buone con sensibilità iso alta (fino a 6400 iso), basta pensare che il corrispondente della D2x era appena 800 iso. Per testare il sensore della macchina ho fatto questo ritratto a mio figlio utilizzando la luce soltanto di due candele (circa 24 lumen). Il risultato è eccezionale. Da notare che la candela più alta aveva il bordo alto e bianco che ha fatto da filtro ammorbidendo e distribuendo meglio il fascio di luce. 25. Alessio Vassili, Nikon D3, AFs Nikkor 28mm f/1,8G, Iso 200, 1/4s, f/4,5, SB-800 in macchina con cupoletta di diffusione, slow sync, TTL a -2,3EV. Un bel esempio di una foto a luce mista, situazione sempre critica per un sensore. Ho regolato il lampo in TTL con una sottoespozione di -2,3EV in modo che non fosse troppo forte. La macchina ha fatto un ottimo lavoro se pensate che il WB era semplicemente in automatico. 26. Cagnolino, Nikon D3, AFs Nikkor 28mm f/1,8G, Iso 400, 1/160s, f/16, -0,7EV (per lo sfondo), 1xSB-800 in macchina con cavo SC-17 in TTL a -0,7EV, WB in manuale a 5260 Kelvin. Un ritratto ambientato di un cagnolino simpatico. L’ angolo del 28mm e il diaframma stretto f/16 mi hanno fatto risaltare l’ambiente circostante, quasi una foto di paesaggio. Lampo con l’ SB-800 regolato in TTL tramite il cavo di prolunga SC-17 tenuto con la mano sinistra e regolato in maniera da non essere percepito. Infatti se non ci fosse il riflesso nell’ occhio del cane non sarebbe avvertibile l’ uso del lampeggiatore. Sport 27. Torneo di Sciabola maschile a squadre Coppa Acropolis, Atene Aprile 2014, finale Italia-Germania, Nikon D3, AFs Micro Nikkor 105mm f/2,8G, Iso 3200, 1/1250s, f/4, -1,0EV, WB in auto. Aldo Montano, vincitore della medaglia d'oro individuale ai Giochi olimpici di Atene nel 2004, fa una partita eccezionale quel giorno e recupera tantissimi punti. Una gara indimenticabile che finisce con la vittoria dei tedeschi con 45-44. Ho adoperato il 105mm/2,8G che con il suo veloce AF mi ha permesso di seguire gli atleti nelle loro esibizioni e acrobazie fulminee e la D3 lo guidava con elevata precisione e velocità. Giornalismo e Cronaca Lo zoom 17-35mm f/2,8 è un ottimo compagno per la D3 anche se il più moderno 14-24mm f/2,8 faceva scintille all’ epoca. Comunque il 17-35mm aveva un AF molto preciso e veloce senza indecisioni e mi ha restituito sempre foto di buona qualità. Il suo uso in situazioni che neccessitavano di essere dentro l’azione è stato per me molto determinante. 28. Manifestazioni di protesta, Atene Dicembre 2008, Nikon D3, AFs Nikkor 17-35mm f/2,8D ED @ 35mm, Iso 800, 1/2500s, f/8. 29. Manifestazioni di protesta, Atene Dicembre 2008, Nikon D3, AF Micro Nikkor 70-180mm f/4,5-5.6D ED @ 82mm, Iso 800, 1/3200s, f/8. All’ epoca tanti si lamentavano perchè la Nikon non produceva un obiettivo zoom 70-200 f/4 per avere un ottica meno pesante e meglio gestibile del massiccio e pesante 70-200/2,8. Io mi tenevo stretto il Micro 70-180/4,5-5,6D che faceva egregiamente il suo lavoro anche se era già vecchiotto per allora (figuriamoci oggi). Certo che la sua messa a fuoco era lenta ma la D3 era una signora ammiraglia e ha fatto del suo meglio come nel caso qui sopra. 30. Manifestazioni di protesta, Atene Dicembre 2008, Nikon D3, AF Micro Nikkor 70-180mm f/4,5-5.6D ED @ 180mm, Iso 800, 1/1250s, f/8. 31. Consegna della fiamma Olimpica al Brasile, Atene Aprile 2016, Nikon D3, AFs Micro Nikkor 70-180mm f/4,5-5.6D ED @ 70mm, Iso 400, 1/1250s, f/8. Gli euzoni, le guardie presidenziali greche, entrano nello stadio olimpico di Atene per far parte alle cerimonie della consegna della fiamma olimpica alla rappresentazione brasiliana. Questo stadio e’ tutto in marmo ed e’ stato costruito per ospitare le prime Olimpiadi moderne nel 1896. 32. Consegna della fiamma Olimpica al Brasile, Atene Aprile 2016, Nikon D3, AFs Nikkor 300mm f/2.8G ED VR, Iso 400, 1/800s, f/8, -1,0EV, VR on. Uso del 300mm a mano libera. Il VR ha fatto un ottimo lavoro, notare la fiamma della fiaccola com'è ben descritta. Ho impostato 400 iso in modo da avere in corrispondenza un tempo di otturazione veloce. WB in auto. Paesaggio 33. Biotopo di Strofilia’ nel Peloponneso, Nikon D3, AFs Nikkor 17-35mm f/2.8D ED @ 30mm, Iso 200, 1/800s, f/7, -0,3EV. 34. Lago di Stymfalia nel Peloponneso, Nikon D3, AFs Nikkor 17-35mm f/2.8D ED @ 35mm, Iso 2000, 1/200s, f/16, -0,7EV. 35. Lago di Stymfalia nel Peloponneso, Nikon D3, AFs Nikkor 17-35mm f/2.8D ED @ 28mm, Iso 1000, 1/320s, f/22. Foto dall’ interno del lago di Stymfalia fatta dal mio canotto canadese. La luce quel pommeriggio mi ha premiato con questa scena quasi surreale. La disposizione momentanea delle nuvole ha creato questa ombra pesante alle montagne circostanti. Nel canotto oltre il 300mm, che era montato sulla macchina, avevo anche il 17-35mm. Ho cambiato ottica e ho fatto una decina di scatti. 36. Venezia, Nikon D3, AIs Nikkor 35mm f/1.4, Iso 200, 1/2000s, f/4, -1,0EV. Paesaggio urbano a Venezia. Il leggero riflesso sul vetro a destra dell’ immagine da un senso di una seconda dimensione. La visione del 35mm nella foto di paesaggio mi piace moltissimo
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  34. Il 26 Settembre scorso sono ripresi i viaggi dei treni storici (sospesi causa covid dell’ottobre 2010) attraverso la ferrovia della Val d’Orcia, in uno dei territori più affascinanti della Toscana, decretato nel 2004 Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’UNESCO (dai calanchi dall’aspetto lunare, alle dolci colline viti-vinicole di Montalcino, dalle dure crete senesi, alle pendici settentrionali del Monte Amiata). L’evento della giornata denominato “Immersi nel Borgo”, vedeva la partenza del treno dalla stazione di Siena con transito da quella di Asciano, fino a quella di Monte Antico in provincia di Grosseto, per giungere a Buonconvento, dove era stata allestita in occasione una fiera locale. Il ritorno a Siena era previsto nel tardo pomeriggio. (Z 7 - 70-200/2,8 VR S a 70mm f. 5,6 t. 1/320 Iso 280) Nella foto sopra, il convoglio sta transitando, a macchina invertita, su uno dei ponti dopo aver lasciato la stazione di Asciano, in località Montalceto, e diretto a Monte Antico dove avverrà l’inversione della motrice ed il carico dell’acqua. La zona facente parte delle “Crete Senesi”, nonostante l’assidua cura dell’uomo, a causa di una mano umana sciagurata è stata interessata da un vasto incendio. (Z 7 - 70-200/2,8 VR S a 200mm f. 5,6 t. 1/160 Iso 125) (Z 7 - 70-200/2,8 VR S a 70mm f. 5,6 t. 1/160 Iso 72) (Z 7 - 70-200/2,8 VR S a 88mm f. 5,6 t. 1/160 Iso 110) (Z 7 - 70-200/2,8 VR S a 200mm f. 5,6 t. 1/500 Iso 160) (Z 7 - 70-200/2,8 VR S a 82mm f. 5,6 t. 1/160 Iso 100) (Z 7 - 70-200/2,8 VR S a 70mm f. 5,6 t. 1/160 Iso 90) L’arrivo del convoglio alla stazione di Buonconvento, formato da una locomotiva della serie 685 con tender che trainava cinque vagoni cento porte e un vagone misto postale/passeggeri. (Z 7 - 24-70/4 S a 70mm f. 5,6 t. 1/160 Iso 64) (Z 7 - 24-70/4 S a 65mm f. 5,6 t. 1/250 Iso 80) I macchinisti (Z 7 - 24-70/4 S a 70mm f. 5,6 t. 1/160 Iso 100) (Z 7 - 24-70/4 S a 44mm f. 5,6 t. 1/125 Iso 72) Il vagone misto postale/passeggeri (Z 7 - 24-70/4 S a 55mm f. 6,3 t. 1/125 Iso 64) Come si può notare anche dalle foto, il convoglio era al massimo della capienza permessa dalle norme anti covid. L’attuale viaggio e quelli previsti per ottobre sono “sold out”, salvo disdette, a dimostrazione della voglia delle persone a riacquistare una vita normale. (Z 7 - 24-70/4 S a 70mm f. 5,6 t. 1/250 Iso 100) La locomotiva appartenente al gruppo 685 è la versione a vapore surriscaldato della precedente serie di locomotive del gruppo 680 delle Ferrovie dello Stato di cui ricalca l'impostazione meccanica generale e le dimensioni. Fu costruita su progetto dell'Ufficio Studi di Firenze delle FS in 106 esemplari suddivisi in due serie successive dalla stessa Breda tra 1931 ed il 1934. La suddetta locomotiva a vapore surriscaldato (con surriscaldatore di tipo Schmidt) a semplice espansione, con 4 cilindri motori di cui 2 interni e 2 esterni ebbe un notevole incremento di potenza rispetto alla precedente versione a vapore saturo e doppia espansione arrivando a 1.250 CV che le consentivano una velocità massima 120 km/ora. La caldaia era a 12 bar di pressione e produceva un quantitativo di vapore orario di 10.200 kg. Il distributore del vapore era a stantuffi con distribuzione del tipo Walschaert. Dopo una sperimentazione su quattro locomotive, ad altre 30 unità di nuova costruzione venne applicata la distribuzione Caprotti. La struttura portante della locomotiva era costituita da un carro rigido gravante sulle tre grandi ruote motrici la cui sala anteriore costituiva assieme alla prima sala portante un carrello di tipo italiano in grado di traslare di 60 mm sul perno per facilitare l'inscrizione in curva. La sala posteriore portante invece poteva spostarsi trasversalmente di 20 mm. La locomotiva era in grado di fornire il riscaldamento a vapore per le carrozze viaggiatori rimorchiate. Il freno era ad aria compressa, di tipo continuo automatico e moderabile per la sola locomotiva. Il freno di stazionamento era sul tender. L'unità oggi in servizio, la 685-089, radiata dal deposito di Udine, venne conservata non funzionante al Museo Ferroviario di Trieste Campo Marzio per lunghi anni, fino a che nel 2008 venne intrapreso il ripristino presso il Deposito Rotabili Storici di Pistoia, per l'utilizzo nei treni storici. Queste locomotive, a detta degli storici del settore, “non furono le più grandi e neppure le più veloci, non furono le più potenti e nemmeno le più numerose, ma furono, semplicemente, le più rappresentative e diffuse locomotive a vapore delle Ferrovie dello Stato, unitamente ai gruppi che da esse derivarono”. (Z 7 - 24-70/4 S a 31mm f. 5,6 t. 1/250 Iso 125) (Z 7 - 24-70/4 S a 70mm f. 5,6 t. 1/125 Iso 72) (Z 7 - 24-70/4 S a 57mm f. 5,6 t. 1/250 Iso 64) Buoconvento è un comune della provincia di Siena e sorge nella Valle dell'Ombrone, alla confluenza del fiume Arbia nel fiume Ombrone sulla via Cassia. Insieme ai comuni di Asciano, Montalcino, Monteroni d’Arbia, Rapolano Terme e Trequanda forma il circondario delle Crete Senesi, oltre a far parte del circuito dei borghi più belli d’Italia. Il nome deriva dal latino “Bonus Conventus”, luogo felice, fortunato. I primi cenni storici si hanno intorno al 1100 e la costruzione delle mura iniziò nel 1371 e terminò 12 anni dopo, nel 1383. È il centro più importante della Val d’Arbia, testimoniato anche dalla podesteria che comprende 32 località e dal riconoscimento della cittadinanza senese concesso dai governatori della città nel 1480. Con la caduta della Repubblica di Siena, nel 1559 entra a far parte del Granducato di Toscana sotto i Medici. (Z 7 - 24-70/4 S a 44mm f. 5,6 t. 1/125 Iso 64) (Z 7 - 24-70/4 S a 62mm f. 5,6 t. 1/125 Iso 64) (Z 7 - 24-70/4 S a 24mm f. 5,6 t. 1/125 Iso 64) (Z 7 - 24-70/4 S a 70mm f. 5,6 t. 1/125 Iso 1100) (Z 7 - 24-70/4 S a 69mm f. 5,6 t. 1/125 Iso 64) (Z 7 - 24-70/4 S a 32mm f. 5,6 t. 1/125 Iso 64) (Z 7 - 24-70/4 S a 70mm f. 5,6 t. 1/125 Iso 125) (Z 7 - 24-70/4 S a 32mm f. 5,6 t. 1/125 Iso 64) In attesa della ripartenza del treno merita una visita la bella cittadina di San Quirico d’Orcia, dove sono esposte nelle vie principali e nel giardino degli “Horti Leonini” le sculture di arte moderna dello scultore albanese Helidon Xhixha, per celebrare i 50 anni della rassegna d’arte contemporanea. (Z 7 - 24-70/4 S a 70mm f. 9 t. 1/125 Iso 90) (Z 7 - 24-70/4 S a 70mm f. 9 t. 1/125 Iso 64) (Z 7 - 24-70/4 S a 38mm f. 9 t. 1/125 Iso 160) (Z 7 - 24-70/4 S a 47mm f. 9 t. 1/125 Iso 90) (Z 7 - 24-70/4 S a 26,5mm f. 9 t. 1/125 Iso 125) (Z 7 - 24-70/4 S a 26,5mm f. 5,6 t. 1/125 Iso 90) (Z 7 - 24-70/4 S a 58mm f. 9 t. 1/125 Iso 110) Anche la statua di Cosimo III dei Medici, appare interdetta da questa intrusione di sculture in tale contesto, ma anche Cosimo come il sottoscritto non si intende di arte contemporanea e per questo non siamo in grado di apprezzare la collocazione e le opere esposte. (Z 7 - 24-70/4 S a 34mm f. 9 t. 1/125 Iso 100) Collegiata dei Santi Quirico e Giulitta o Chiesa della Collegiata. La chiesa parrocchiale principale del comune. (Z 7 - 24-70/4 S a 30,5mm f. 9 t. 1/125 Iso 90) (Z 7 - 24-70/4 S a 24mm f. 9 t. 1/125 Iso 64) Alle 17,50 il treno storico riparte per la destinazione finale presso la stazione di Siena. (Z 7 - 24-70/4 S a 70mm f. 5,6 t. 1/200 Iso 90) (Z 7 - 24-70/4 S a 32mm f. 5,6 t. 1/200 Iso 80) (Z 7 - 24-70/4 S a 24mm f. 5,6 t. 1/200 Iso 125) (Z 7 - 24-70/4 S a 24mm f. 5,6 t. 1/200 Iso 110) (Z 7 - 24-70/4 S a 24mm f. 5,6 t. 1/200 Iso 90) Con la speranza che stavolta questa “ripartenza” dei treni storici sia solo la prima corsa e non l’ultima della tante previste di qui alla fine dell’anno. Sperando di non avervi annoiato, faccio miei complimenti a chi ha avuto la pazienza e la costanza di arrivare fino qui con la lettura di questo racconto.
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  35. No, non intendevo questo. Volevo dire che si può usare l'auto come un capanno mobile, o per appostamento fisso dove non ci sono capanni ma c'è la strada: Perchè l' auto può benissimo trasformarsi in un capanno. Addirittura un capanno vagante. Ha i suoi pro ed i suoi contro, come tutto, ma alle volte può consentire delle belle riprese. Non sto parlando dei safari fotografici come quelli africani in cui gli animali sono ormai assuefatti al corteo di fuoristrada zeppi di turisti ai quali non fanno quasi più caso, sto parlando di wildlife photography casalinga, qui da noi, con particolare riferimento, causa la mia posizione geografica, alla Bassa Lombardia ed al Novarese. Ma si applica con minime variazioni, anche alle altre regioni d'Italia, anzi da altre parti si può fare anche meglio. Prima di tutto le doverose considerazioni etiche e giuridiche: L'uso dell'auto come capanno non deve mai violare il codice della strada, le norme di sicurezza, mettere in pericolo se stessi e gli altri e tutto il resto. Deve inoltre rispettare la proprietà privata e naturalmente soprattutto l'ambiente. In decenni di capannomobile, io ed i miei amici non siamo mai usciti dalle strade consentite, asfaltate o sterrate che fossero, ma siamo rimasti sempre e solo dove la circolazione era senza restrizioni, mai introdotti nelle proprietà private senza chiedere prima il permesso, solo se e quando era possibile farlo. Tantomeno il fuoristrada selvaggio, devastatore ambientale, Assolutamente da non fare. Il nostro giocare non deve ledere la pace o l'integrità di nessun altro! E adesso cominciamo: Quale auto? Nei decenni di cui ho parlato sopra nel nostro gruppetto abbiamo usato molte auto diverse e l'esperienza ci ha insegnato che: NON occorre un SUV, anzi spesso è di impaccio, non siamo nel Tennessee, per cui le strade di campagna possono essere piccole, le aree dove fermarsi ... molto piccole. Piazzarsi con un macchinone che ingombra metà carreggiata quando dietro arriva una mietitrebbia... con gente che sta lavorando ...fate i vostri conti. Sconsigliate anche le supersportive ribassate , appena ve ne uscite dall'asfalto grattate tutto il grattabile che c'è sul fondo, con vostro dispiacere, immagino. . Il piccolo fuoristrada va benissimo, intendiamoci, ma non è necessario. Più che sufficiente una berlina compatta un minimo alta da terra. La trazione integrale può essere un utile backup, ma non ricordo ci sia mai servita. Senza scherzi, il miglior autocapanno che ho mai posseduto è stata la mia vecchia Renault Kangoo Pampa (non 4x4). Andava piano, beveva molto, senza troppo spunto, ma gli sterrati sassosi erano il suo pane e le dimensioni perfette. Aveva pure una piastra metallica a proteggere il motore. L'ho distrutta pian piano, con amore. Anno 2004(?), con la mia formidabile Kangoo Pampa sto entrando al parchegglio dell'Oasi delle Lame del Sesia (NO) e sì, per accedere al parcheggio si doveva superare un piccolo guado. Il vero requisito fondamentale per l'autocapanno è che non vi venga l'ulcera se per caso si riga la carrozzeria. Sulle strade sterrate, o fermandosi a ridosso dei cespugli, è facile che resti qualche segno sulla carrozzeria. A me non è mai importato troppo, sono ricordi delle avventure passate (ok, sono matto, l'ho detto prima io), Ma se sapete di essere di quelli che si disperano se la vostra auto non è intonsa come appena uscita dal concessionario, forse è meglio lasciar perdere. Occorrente per la fotografia vagante dall'auto: Un buon samaritano, cioè uno che si sacrifichi e guidi mentre l'altro o gli altri avvistano, fanno da copilota e... fotografano. Perchè o si guarda la strada o si guarda in giro, fare tutte e due le cose è vivamente sconsigliato. E' possibile fare a turno? E' possibile fare "i turni", nel senso che per un certo tragitto guida uno, poi ci si allontana, ci si scambia di posto e si ritorna indietro. Uscire dall'auto sul posto dove si fotografa vuol dire far sparire tutto immediatamente. Altro discorso è quando l'auto sostituisce un capanno fisso, allora si raggiunge un punto e ci si ferma, per cui la macchina è come un appostamento fisso e si fotografa tutti. Dalle parti di Biandrate (NO) fotocamera Nikon Dx col 300mm duplicato, in quattro su una Fiat Idea, con l'autista che superava abbondantemente i 120kg. Da fermi. la macchina era scossa come anzi più più che se dentro ci fosse un'orgia di orsi bruni. Gli ibis ci sopportarono per qualche minuto posi si spostarono di una ventina di metri. In macchina devi averlo lungo. Tranne rare eccezioni, le distanze sono maggiori che nei capanni fissi, quindi i 500mm in genere sono il minimo sindacale (poi capita che ti trovi il soggetto a due passi, ma è raro). Soprattutto se si fotografa vagando. Ci vuole qualcosa da interporre fra la base del finestrino e l'obiettivo, tecnicamente sarebbe il beanbag (sacchetto mimetico anche preformato, ripieno di qualcosa di sintetico, ma una volta si usava il riso), ne esistono diversi tipi ma va bene anche un cuscino,una sciarpa, insomma qualsiasi cosa protegga il barilotto dell'obiettivo dal bordo del finestrino ed assorba un po' le vibrazioni. Qui si parla di foto amatoriali eh, in commercio esistono affusti di ogni genere, da far invidia alle postazioni antiaeree, li ho visti e ho capito che per quel che faccio io sono eccessivi ed ingombranti. Le protezioni in neoprene non sono il massimo ma da fermi almeno proteggono il barilotto. Come fare per la fotografia auto-vagante? i copiloti devono aguzzare gli occhi, avvistare il soggetto da lontano e l'autista deve cercare di avvicinarsi rallentando gradualmente fino a fermarsi o quasi nella posizione migliore consentita dal rispetto di tutte quelle cose che ho scritto sopra in grassetto. In campo aperto siamo spesso in territori dove si pratica la caccia, quella non fotografica, e gli animali sono giustamente sospettosi. Qualsiasi cambiamento brusco, come fermarsi di colpo (a volte anche spegnere il motore) li mette in allarme, se poi pensate di estrarre e brandeggiare il teleobiettivo in prossimità dei soggetti... ripensateci. A loro sembrerà di vedersi puntare un oggetto allungato e scuro da cui non sanno se uscirà un clic o un pum, per cui nel dubbio... prendono il volo. Si inizia a puntare già da lontano, con i finestrini abbassati e si incomincia a scattare ancora prima di arrivare alla distanza utile. Ripeto, quello che fa fuggire i soggetti, a parte l'avvicinarsi troppo, è la rottura del ritmo, il cambiamento brusco, compreso il partire della raffica nelle DSLR. Lungo una Risaia nel Lodigiano, ci stiamo avvicinando lentamente e si comincia a scattare. Nikon D800 e 500mm equivalente (un 300 col TC17? non ricordo bene). No crop. Avvicinamento lento riuscito. Situazione di prima No crop. Stesso sito, stessa attrezzatura Sgarza Ciuffetto: Cicogna e garzetta Risaia novarese: Appena fermati, l'airone si è involato, ma questo ha consentito un bello scatto, mi è andata bene. Sotto, dalle parti di Biandrate, ero solo, avvicinamento lento e poi accosto, aspettando un attimo prima di spegnere il motore , un paio di foto interessanti: Airone Cenerino e Guardabuoi Nikon D500 e 500mm (750mm equivalenti). no crop Ibis e Guardabuoi, alquanto indifferenti, Nikon D500 e 500mm (ossia 750mmm equivalenti). no crop. Anche se non sempre si riesce ad arrivare vicino, si posssono comunque fare foto interessanti, suggestive: Lomellina, nikon D200 (!) e 400mm (600mm equivalenti). No crop. A volte succedono cose inaspettate: Stavamo tornando a casa, avvistata per caso, in un'area parcheggio della Provinciale. Doppio lato B: Lei e l'area parcheggio. Nikon D700, 300mm f2.8 e kenko 2x. La polvere bianca sul palo è brina. Se invece l'appostamento è fisso, si cerca di arrivare molto presto ci si ferma prima del sito per prepararsi e poi ci si piazza. Se si tratta di uccelli abbastanza confidenti e "pasturabili" diventa l'equaivalente dei capanni attrezzati, se invece sono soggetti più diffidenti ci vuole qualche accortezza, ad esempio un telo con cui coprirei finestrini opposti a la lato di ripresa, perchè la luce da dietro rivela le forme e i movimenti di chi c'è in macchina. E una riserva di pazienza. Gioco facile, soggetti attirabili (semini nelle fessure del tronco li vedete sotto), dalle parti di Castano Primo (VA): Nikon D7000, 400mmm (600mmm equivalenti) no crop. Brutta giornata invernale. Nessuna pasturazione, solo attesa per finire in bellezza: Nel Cremonese, una piccola cava di sabbia dismessa= Gruccioni, sono da solo, parcheggio la mia eroica Kangoo, e aspetto: Nikon D200 (!) 500mm 300+Tc (750mm equivalenti). Nel Ferrarese. Avevamo avuto una dritta: siamo parcheggiati a lato della strada, aspettiamo finchè lo vediamo arrivare: Ed ecco una delle foto di cui vado più fiero in assoluto, scattata dall'auto: Alla prossima!
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  36. Raccolta delle mie immagini migliori scattate nel 2021
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  37. Una notte a Venezia, sfidando il meteo pessimo, con tanti spunti e alcuni amici. Foto scattate con Z6 e 24-70/4 S, 14-30/4 S e il mio 21 Distagon Zeiss, che continuo a ritenere la mia ottica migliore e che spero un giorno possa esistere nativo per Z.
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  38. Per un periodo,da metà anni 90 alla fine degli stessi,negli States,operò una aerolinea che si distingueva per la livrea dei propri velivoli.La Western Pacific,una piccola compagnia che operava dal Colorado con rotte dal Pacifico al Mississippi,era nota tra i viaggiatori per i suoi coloratissimi velivoli che sponsorizzavano resort o altre attività turistico/commerciali.Così dopo averne visti alcuni,presi l'abitudine di portare con me in cabina,una piccola compatta per fare qualche scatto, qualora ne avessi incrociato uno in aeroporto e così nacquerò questi scatti,viziati dalla presenza dei vetri degli oblò non sempre puliti.....ma comunque almeno il ricordo resta. buona visione. Stardust è uno dei tanti casinò presenti in quel di Las Vegas.. Qui la livrea celebra la famosa serie dei cartoni Simpson Qua invece abbiamo la sponsorizzazione di una compagnia di autonoleggio Qui si celebra Durango Springs,una cittadina del Colorado Questo invece pubblicizza un museo dedicato ai cow-boy sempre a Durango Springs,Colorado Sam's Town,invece pubblicizza una catena di Hotel e sale a gioco presenti in diverse città,i nomi di alcune delle quali si leggono in fusoliera sotto i finestrini Questo invece pubblicizza una stazione sciistica in quel di Durango,Colorado Questa invece è la pubblicità del Womack's Casinò a Cripple Creek in Colorado
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  39. In un sabato pomeriggio sono andato a visitare questo museo da poco riaperto dopo un lungo lavoro di ammodernamento; di seguito il resoconto con una selezione di immagini, forzatamente ridotta rispetto al numero di aerei e reperti visibili nel museo. Per le foto ho utilizzato il 24-120 f4 Z su Z8, solo per alcune immagini il Samyang 14 f2.8 Z. Innanzitutto i cenni storici e le caratteristiche del luogo: Il Museo Storico dell'Aeronautica Militare ha sede a Vigna di Valle (Bracciano), è intitolato a Luigi Bourlot, ed è la più antica infrastruttura aeroportuale italiana. La sua posizionare le sponde del lago è originata dal fatto che il lago stesso fu, a partire dai primi anni del secolo scorso, sede di un reparto del genio militare impegnato delle prime sperimentazioni con barchini a propulsione e, successivamente, i primi idrovolanti. Successivamente l'area è stata base di appoggio per dirigibili, sempre mantenendo la vocazione sperimentale rispetto alle tecnologie del volo con applicazione militare. Dal 1945 sede di un reparto di Caccia Marittima e di un gruppo di volo del soccorso aereo. L'inaugurazione sotto forma di museo è avvenuta il 24 maggio 1977, ha subito vai ammodernamenti e adeguanti nelle strutture che lo compongono fino ad arrivare all'attuale suddivisione. Tra l'altro è anche presenta una sezione che si occupa del recupero e restauro di velivoli storici al fine di conservare il patrimonio aeronautico nazionale. Attualmente la superfice espositiva coperta ammonta a circa 16 mila mq suddivisa in 5 hangar, quasi tutti collegati tra loro da gallerie coperte, ed organizzati secondo un ordine temporale, oltre ad un settore esterno. Un pannello esplicativo dell'intera area del complesso, si notano in blu i padiglioni espositivi che sono l'unica parte accessibile al pubblico. Hangar Troster Ospita i reperti ed i velivoli che vanno dalle prime sperimentazioni sul volo fino alla fine della grande guerra. La struttura è arrivata dall'Austria nell'ambito della riparazione danni di guerra. Ed è anche interessante perché permette di vedere l'ambiente di lavoro dello stesso periodo storico degli aerei all'interno. Dai primi barchini idroplani (impressionate pensare su cosa salivano i nostri bisnonni) impiegati nelle prime sperimentazioni, alle repliche degli aerei Wright ai veicoli impegnati nella prima guerra mondiale. In una teca sono preseti simulacri delle bombe e delle armi imbarcate su questi velivoli. BARCHINO IDROSCAFO IMPIEGATO NELLE PRIME SPERIMENTAZIONI LHONER L127 IN FORZA ALL'ESERCITO AUSTRO UNGARICO PREDA BELLICA SPAD S. VII AEREO DA CACCIA - AEREO FRANCESE MA IMPIEGATO ANCHE DAI NOSTRI PILOTI TRA I QUALI FRANCESCO BARACCA DALLE BACHENE DEGLI STRUMENTI DELL'EPOCA SIAMO STATI PRECURSORI ANCHE IN CAMPI CHE SAREBBE STATO MEGLIO EVITARE SIMULACRO DELLA BOMBA CIPELLI Hangar Velo (collegato da un breve tunnel ispirato alla struttura di un dirigibile. Ospita i velivoli in uso tra le due guerre mondiali, nonché alcuni idrocorsa (idrovolanti da competizione) utilizzati per la Coppa Schneider, tutti progetti Fiat e Macchi. Sono presenti, disposti in un area dedicata, oggetti risalenti alle spedizioni polari dei dirigibile Norge e Italia, comandati da Umberto Nobile; nonché reperti della squadriglia di idrovolanti impegnata nelle grandi traversate atlantiche comandate da Italo Balbo. LE TECHE CON I CIMELI DELL'EPOPEA DEI DIRIGIBILI E DELLE MISSIONI A LUNGO RAGGIO GLI IDROCORSA FIAT E MACCHI AEREO ADDESTRATORE CAPRONI CA100 Hangar Badoni Ospita i velivoli impiegati durante la seconda guerra mondiale e nel periodo immediatamente successivo. L'edificio risale al 1930, anche qui in perfetta attinenza con il suo contenuto. UNA FOTO D'EPOCA DEGLI HANGAR CON GLI IDROVOLANTI SCHIERATI SULLA RIVA DEL LAGO MONOPOSTO DA CACCIA MACCHI C300 POSIZIONATO SOTTO L'ALA DI UN SIAI S.82PW MARSUPIALE UNA FOTOMOTRAGLIATRICE PRODOTTA DA OTTICA MECCANICA ITALIANA IL RELITTO DI UN RE2000 FALCO, COSTRETTO ALL'AMMARAGGIO NEL 1943 E RECUPERATO NEL 2013, ESPOSTO NEL MUSEO DOPO L'OPERA DI RESTAURO VEDUTA DALL'ALTO DI UNA PARTE DELL'HANGAR Hangar Skema Ospita buona parte dei mezzi più recenti, dai veicoli sperimentali ad una raccolta di cimeli che testimoniano l'impegno italiano in campo astronautico. VEDUTA DAL'ALTO DEL PADIGLIONE SKEMA ELICOTTERO AGUSTA BELL AB47G-2 IN SERVIZIO DAL 1954 AL 1978 ELICOTTERO AGUSTA SIKORSKY SH-3D/TS Hangar 100 (il più vicino all'ingresso, ma conviene visitarlo per ultimo) Ultimo padiglione per data di costruzione, è stato realizzato con i lavori ultimati nel 2023, circa 1800mq di esposizione coperta. Ospita aerei di ultima generazione affiancati ad aerei più anziani in esercizio dagli anni 50 e ad alcuni aerei in uso alla pattuglia aerea acrobatica nazionale. E' presenta una teca con caschi da pilota di varie generazioni, dai caschi in pelle fino agli ultimi modelli. In un altra una raccolta di oggetti dalle missioni spaziali. SELEZIONE DI CASCHI DA PILOTA IN USO ALL'AEROUNATICA PARTICOLARE DI UN CASCO IN PELLE CON RESPIRATORE PIAGGIO P166M AERMACCHI MB339 PAN IN VISTA FRONTALE ED ALLE SUE SPALLE LA CODA DI UN EUROFIGHTER TYPOON LO STESSO MB339 IN VISTA LATERALE, ACCANTO SI INTRAVEDE LA CODA DEL G91 PAN IL TYPOON A FIGURA INTERA IL MUSO DI UN PANAVIA TORNADO LA DIVISA DI VOLO DI LUCA PARMITANO E LA COMBINATA UTILIZZATA DA ROBERTO VITTORI NEL 2005 DURANTE LA MISSIONE ENEIDE A BORDO DELLA ISS Area all'aperto Sono esposti alcuni aerei dismessi; nel prato antistante il lago sono state posizionate opere a ricordo di figure significative o di aviatori caduti, come gli equipaggi che tentarono di portare soccorso al dirigibile Italia. BIMOTORE DOUGLAS C-47DL SKYTRAIN ACCANTO LA VECCHIA GRU PER IL SOLLEVAMENTO PRIMA DI BARCHINI E POI DI IDROVOLANTI UN GRUMMAN S2F-1 ANTISOMMERGIBILE Il museo ha anche un bar con area ristoro ed una struttura coperta più piccola, con esporti vari modelli di motori aeronautici, spezzoni di cabine di aerei e cimeli vari. Per non dimenticare l'abitacolo dell'F104 liberamente accessibile ed un simulatore di volo dove sperimentare il pilotaggio di un caccia moderno (non ricordo se un EFA o un F16). Il parcheggio per il pubblico è scoperto e rialzato, diciamo che la visita è agevole (anche per i disabili, essendo il museo attrezzato anche sotto questo aspetto) ma si cammina; io credo che un appassionato di aeronautica avrebbe validi motivi per passarci una mezza giornata. Non è possibile salire su nessun velivolo, sono però tutti ben osservabili e, negli hangar più grandi, visibili anche dall'altro grazie a dei camminamenti rialzati. Insomma il costo del biglietto è assolutamente giustificato ed anche la location, lungo le rive meridionali del lago di Bracciano, contribuisce molto alla qualità del tempo impiegato. Spero di avervi fatto venire voglia di visitare il museo, grazie per la lettura e per i commenti.
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  40. Nel mio blog sul Gracchio, Gianni ha scritto in un commento che conosceva il posto e non gli piace per niente. Ho risposto che ha ragione e qui propongo un reportage "sul posto" come spunto di discussione (se mai qualcuno ne avesse voglia). Il "posto" è il Passo dello Stelvio, ci sono andato proprio su indicazione di Gianni, che ringrazio, perchè lì è abbastanza facile avvistare e fotografare il Gipeto, nonostante sia una zona turistica frequentatissima da escursionisti, ciclisti, bikers, camperisti e altro. Avvistare e fotografare il Gipeto è stata un'emozione grandissima, non l'avevo mai avevo visto libero se non a distanze enormi, finalmente ho potuto ammirarlo da vicino nel suo ambiente e fare delle foto, anche se non eccelse, ma per me importanti per ricordare questo momento e condividerlo. Potrebbe finire qui e saremmo tutti contenti (noi umani almeno, al Gipeto probabilmente non interesserebbe affatto ). Ho invece deciso diversamente, di non fermarmi alla bellezza del soggetto e mostrare anche l'altra verità, quello che rende il posto sgradito a quelli cone Gianni e come me. La metto in chiave umoristica per non essere pesante (o pedante?) ma la riflessione è seria. Che splendide vedute! di sicuro il tuo respiro si allarga ed il cuore è in pace. No. Anche perché le foto non riproducono i rumori. Questa strada è percorsa incessantemente da migliaia di motociclisti che fanno il passo in direzione Bormio o viceversa Bolzano. Veduta splendida ma acusticamente sembrava di essere in pista. Persino il giorno dopo ho avuto in testa il rombo delle moto. Al passo fanno tappa per un bratwurst con i crauti (buono anche per i fotografi, devo ammettere) una birra (una sosta in bagno?) e ripartono. Non ho niente contro i bikers (se non mi schiantassi mortalmente tre-cinque minuti dopo averla inforcata, mi piacerebbe anche avere una bella moto vintage), sto solo mostrando che la realtà spesso è diversa da come una singola foto potrebbe far pensare, per lo più il naturalista sceglie di concentrarsi sull'aspetto naturalistico, sul soggetto che gli interessa, giustissimo, ma per una volta ho deciso di mostrare convivenza e contraddizione fra natura e uomo. Il Gipeto, anzi i Gipeti, sono del tutto liberi, arrivano dai loro luoghi di nidificazione, lontani dal Passo, lo sorvolano periodicamente per vedere se c'è qualcosa da mangiare. Anche perchè dagli alberghi spesso buttano rifiuti (ragione della presenza di centinaia di gracchi, ma Gipeti mangiano ossa, per cui è strana la cosa). Il punto migliore per fotografare è appena sotto una piattaforma panoramica, dove delle rocce fanno da sedile improvvisato a quei fotografi o birdwatchers che, come me, hanno i calli sul didietro come i Babbuini , mentre gli altri si attrezzano meglio con seggiolini... perchè l'attesa spesso è lunga. Un trio di birdwatchers, anche il cane è concentratissimo. E' lui che "fa" la foto. Non ha molto a che vedere col discorso, lo so, ma mi piaceva troppo . Non c'è niente di male in questo assembramento di wildlifers , almeno credo, però lungo il sentierino che porta sotto la piattaforma, poco più di un solco, ho visto degli "affioramenti di rocce vetrose" che non sono per nulla in accordo con la geologia del luogo: In pratica ci sono qua e là accumuli di cocci di bottiglie frantumate, fra cui occasionali coperchi di lattine rose dalla ruggine e altra immondizia del genere. Di sopra ci sta gente con i camper, Di sotto ci stanno i fotografi. La mia permanenza è stata troppo breve per capire se i responsabili di questo disgusto siano da cercare fra i camperisti, fra i fotografi o fra tutt'e due. O altri passanti sconosciuti. Ma qualcuno è stato ed ha pensato di creare mini discariche negli avvallamenti anzichè portare i rifiuti con sé. Voglio credere che nessun fotografo che si definisce NATURALISTA faccia queste sconcezze ma... specialmente negli ultimi tempi con la nascita della fotografia naturalistica "di massa" (un ossimoro fattosi realtà ), chi lo sa. Nei due giorni in cui mi sono fermato, gli avvoltoi si sono fatti vedere molto poco perchè sopra le nostre teste ronzavano dei droni (vietati, mi pare, nei parchi naturali). Si fosse trattato di Aquile, bestie più pragmatiche, i droni sarebbero stati aggrediti e fatti a pezzi , ma gli Avvoltoi, più timidi, preferiscono starsene alla larga. Conclusione: L'incontro con il Gipeto è stata una grande emozione NONOSTANTE il posto, sono quindi molto contento di esserci andato. Potevo anche limitarmi a pubblicare le foto wildlife e raccogliere apprezzamenti, critiche, cuoricini (o indifferenza) per quelle, ma la penso come Valerio Brustia, la fotografia è anche indagine e documento; in questo caso mi è sembrato giusto metterci anche il resto. La discussione che vorrei seguisse, mi piacerebbe incentrata su quanto sia frequente, quasi inevitabile, oggi (e difficile) questa integrazione fra l'aspetto antropico, umano, e la natura, oppure sulla necessità di consapevolezza per poter conservare, e perchè no, anzi apprezzerei interventi anche sul ruolo che può avere il nostro (mio, vostro, non troppo in astratto) essere fotografi nel divulgare, nell'educare, nel rendere consapevoli gli altri, andando oltre al "soggetto" quando si pena sia il caso di farlo. Evitiamo se possibile, i luoghi comuni.
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  41. 16 giugno 2020. Sono assente da Nikonland da parecchie settimane. Come tutti voi sono stato frenato dal lockdown la cui fine, purtroppo, è coincisa con l'inizio del mio periodo di letargo fotografico per via delle condizioni di luce che per tutta l'estate non sono esattamente il meglio che un fotografo vorrebbe. Per diversi giorni ho cercato un argomento buono per popolare il mio blog e alla fine l'ho trovato. Piuttosto ostico e capirete perchè. Diciamo il classico passo più lungo della gamba, ma è difficile scrollarsi di dosso un'idea quando arriva. Si parla di un'opera architettonica dimenticata da molti, quella che viene definita la Cupola di Antonioni, disegnata dall'architetto Dante Bini nel 1969 e realizzata a Costa Paradiso, a margine di un agglomerato residenziale d'élite, appunto per Michelangelo Antonioni. In realtà le cupole sono due, una più piccola. Ma la proprietà venne divisa e la più piccola, in seguito, ceduta. Come dicevo l'argomento è ostico perchè entrare nel merito delle filosofie di progettazione applicata di certi geni dell'architettura Made in Italy è per me estremamente complicato. Ma sono rimasto talmente affascinato da quest'opera che devo assolutamente sforzarmi di scrivere questo pezzo evitando il più possibile di scrivere stupidaggini. L'opera in sé richiama costruzioni già presenti in Italia, sin dal primo dopoguerra, esattamente a Milano, le famose case Igloo della Maggiolina. Diversa è la tecnica di costruzione: nel caso della Maggiolina le case Igloo erano costruite in mattoni e sorrette da losanghe in acciaio. Mentre la cupola costruita da Bini sfrutta una tecnica realizzativa da egli stesso ideata e denominata Binishell che consiste in un'unica colata di calcestruzzo su una forma d'aria sollevata a pressione (sostanzialmente forme prerealizzate e gonfiate ad aria). Facile oggi a dirsi e farsi, assolutamente geniale nel 1969. Ma Dante Bini (classe 1932) era e continua ad essere un visionario. Oggi viene definito l'architetto delle piramidi e un motivo c'è: ha ideato la più colossale opera architettonica mai pensata e realizzata dall'uomo, quella che viene definita Piramide di Tokyo, un'immensa struttura a forma di piramide, appunto, alta 2.004 metri, sorretta da nanotubi in carbonio e in grado di accogliere 1.000.000 di persone che _ se realizzata _ avrà un costo di 554 miliardi di euro, inizio lavori nel 2030, fine lavori nel 2110. La Cupola di Antonioni Il primo impatto con questo incredibile manufatto produce un certo disappunto. Sembra uno sfregio ambientale insanabile, su un costone di roccia e vegetazione che precipita in acqua, già largamente degradato dalla presenza di centinaia di villette che si affacciano su un mare invivibile, esposto a tutti i venti del quadrante occidentale. Incomprensibile. La cupola è fortemente degradata e in stato di abbandono, i segni del tempo sono largamente visibili. Sorprende subito il corridoio sospeso che porta all'ingresso. Ed è in questo momento che questo manufatto esercita tutto il suo fascino e riesco ad immaginare la casa del futuro, una cupola completamente rivestita di pannelli solari, una superficie inattaccabile dall'acqua che non ristagna sul tetto ma scivola per gravità; resistente al vento che, per quanto forte, non può far altro che scorrergli attorno. Interessante la seduta a destra dell'ingresso ricavata da un blocco di granito e la singolare finestra La curiosità cresce e scendo pochi scalini che mi conducono dabbasso, dove intravedo una porta aperta... ... la oltrepasso e mi ritrovo in un incredibile open space, una zona giorno piuttosto ampia e perfettamente illuminata. Ma come è possibile illuminare ciò che a prima vista appare come un bunker impenetrabile persino ai fotoni? Le soluzioni sono semplici ed estremamente efficaci: un'enorme vetrata che segue la curvatura della cupola e un "oculo" centrale che proietta dentro la luce del sole. Tanto basta. L'oculo non ha mai avuto un vetro, si capisce perfettamente. E perpendicolarmente ad esso è posizionato un piccolissimo giardino che quando piove viene innaffiato naturalmente. Molto difficile fotografarli assieme e mostrarli. Credetemi, è stata l'unica volta in vita nella quale ho desiderato di avere un decentrabile montato sulla baionetta. .. Forme inimmaginabili, luci e ombre che si fondono e talvolta creano contrasti netti. Pavimenti e scalinate basse, irregolari rigorosamente in pietra e il movimento creato sulla parete circolare dall'intonaco, anch'esso irregolare, volutamente steso con la spatola (ho tirato un po' la struttura perchè risaltasse) e in grado di generare movimento perchè un'unica parete liscia diversamente diventerebbe terribilmente occlusiva e claustrofobica. Trovo che l'architettura talvolta diventi l'arte dei particolari dove niente deve sfuggire. Michelangelo Antonioni la commissionò come rifugio per se e per Monica Vitti. E Dante Bini fece un lavoro eccellente, ahimé curandosi poco dell'ambiente circostante. Ciononostante ritengo che debba essere recuperata. Come dicevo, il Fondo Ambiente Italiano sta cercando di acquisirla e restaurarla. Sicuramente è un'opera di grande valore architettonico e anche storico. Mi auguro che il FAI riesca ad ottenere i finanziamenti necessari. D'altronde, a vedere in che stato versa, non credo che gli eredi Antonioni (se ne esistono, non so) interessi qualcosa. Perchè il Bianco e Nero Perchè gli Anni Sessanta facevano tanto Nikon F e scatti in b/n con forti contrasti. Un po' di nostalgica immaginazione non guasta mai. E poi credo che luci e ombre generate dalla matita di un architetto risaltino meglio col monocromatico. Invece le curve un po' esasperate sono opera mia (potete dissentire liberamente, ci mancherebbe) Conto di ritornarci perchè ho la sensazione di non aver finito il lavoro. Qualche volta mi capita. Buona visione a tutti Un pezzo appropriato mi pare Time Machine di Devon Allman ------------ Tutte le immagini sono realizzate con Nikon D7100 e Tamron 17-50 f.2,8 in luce ambiente. Copyright Enrico Floris per Nikonland
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  42. "Sono Lighea, sono figlia di Calliope.Non credere alle favole inventate su di noi:Non uccidiamo nessuno, amiamo soltanto." ( La sirena di G.Tomasi di Lampedusa) Non sono guizzi di pesci argentati, non sono le onde cristalline che si infrangono laggi˘ dove il mare bacia l'azzurro del cielo, sono loro,le mitiche sirene .Il mare le ha rapite per non farle fuggire dal suo liquido abbraccio. Eterne seduttrici, amanti appassionate, splendide madri dalle cui viscere nasce la vita.Esseri fatati che solcano gli oceani e si librano nelle loro profondit‡ per poi ritornare in superficie e regalare agli uomini, immaginari, meravigliosi scenari e donare loro la bellezza di un mondo incantato, dove l'amore Ë l'immortale sovrano. Ma le sirene sanno anche spogliarsi dalle apparenze, dalla storia terrena e dal tempo che ne segna l'avvicendarsi degli eventi, esse, immortali creature del mare, racchiudono nel loro corpo di donna e di pesce il passato e il presente, la passione dell'amore puro e la saggezza della madre.Come il mare Ë detentore di intimi segreti, di realtà insospettate, di storie vissute, di vita e di morte, le sirene, estrema rappresentazione mitica dell'eterno femminino, racchiudono con il loro essere donna, millenari segreti della natura.Il mare le avvolge delicatamente, esse sanno come accondiscendere alla sua volontà, sanno volare tra le acque senza ali, scendere e poi risalire, lasciarsi andare o lottare contro le correnti.La natura Ë donna, la natura, risultanza perfetta di amore, poesia e arte, si fonde con il femmineo sentire.L'acqua dà la vita all'uomo, la vita nasce dalla donna, la donna torna all'acqua. Il suo sentire interiore, immortale come la sirena, sfuggire sempre alla ragione prima che essa possa catturarlo e imprigionarlo. Da molto tempo ormai tengo nel cassetto questo progetto ...è ora di farlo girare, conoscere, sentire le opinioni, anche brutali... Il lavoro è di 40 immagini, tutte realizzate con modelle amiche che si sono prestate al gioco.
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  43. Sei giunta:hai fatto bene:io ti bramavo.All’animo mio,che brucia di passione,hai dato refrigerio.(Saffo) Versi pretenziosi? Probabile, ma per Giove come aspettavo da mesi una sessione come questa. Una modella come la splendida Ginevra, Ross organizzatore clamoroso, Mauro e Pietro compagni di scatti che migliori non si può: una giornata che è un puro distillato Nikonland. Sfido a trovarne altrove
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  44. QUANTO sia stato realmente terribile quel soggiorno in Sardegna per Honoré de Balzac probabilmente non lo sapremo mai. Era il marzo del 1838 quando il grande scrittore trovò a Marsiglia un imbarco per l'isola. La meta da raggiungere era il sito di estrazione mineraria dell'Argentiera “... abbandonato dai tempi della scoperta dell'America”, scriveva a Ewelina Hańska, la donna che amava e che sposò qualche mese prima di morire. Nelle sue intenzioni vi erano il recupero e lo sfruttamento delle miniere di piombo e argento e in effetti in quegli anni l'attività estrattiva avrebbe potuto rendere bene, tanto da rimettere in sesto le finanze dello scrittore. Benestante sì, ma indebitato fino al collo e perseguitato dai creditori per via della cattiva abitudine a spendere molti più denari di quanti ne guadagnasse, che già erano tanti, proventi dell'attività di scrittore, drammaturgo ed editore. L'affare non andò mai in porto. Battuto sul tempo da un amico al quale, con scarsa prudenza, aveva confidato il motivo del viaggio. L'Argentiera ai suoi occhi e in quello stato d'animo per l'affare sfumato deve essere apparsa un luogo triste, oscuro e deprimente. Un villaggio minerario abbandonato circondato da un'estesa e impenetrabile foresta di lecci per attraversare la quale occorrevano giorni. Strutture in legno marcescente Gallerie che sventrano la montagna e sbucano su spiagge nere lambite da un mare infido Scogliere imponenti che si palesano improvvise protette alla vista da un velo di nebbia Attorniate da secche occultate in un palmo d'acqua prole affilata che si mostra solo quando non vi è più tempo per raddrizzare la barra Mulinelli enormi, capaci di inghiottire in pochi minuti un mercantile di buona stazza e il furioso sibilare del vento che accresce la ferocia delle acque dalle quali emergono orribili mostri e lugubri presagi ... mentre nel medesimo istante, a terra, sotto la pioggia un raggio di sole illumina beffardamente l'Eldorado svanito sparso su una mulattiera Una distesa di microscopiche particelle di materiale che brillano sfiorate dalla luce che penetra le dense nubi Ci provo con poche immagini a ricreare quelle atmosfere angoscianti. L'Argentiera e il suo mare non faticano a mostrarsi in tutta la loro cupa e spaventosa bellezza, pur addolcita dalla mano dell'uomo e dal trascorrere del tempo. A dispetto di ciò che lo scrittore francese narrò di quei giorni che non riuscì mai a dimenticare. You Know, You Know - John McLaughlin, Mahavishnu Orchestra Copyright Enrico Floris 2022 per Nikonland
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  45. Con questo blog mi piacerebbe iniziare una serie di interventi, molto rarefatti, uno ogni tanto, ma tantissimo, per raccontare qualche storiella con animali protagonisti, con una morale, come le favole di Esopo. Solo che non racconterò favole, ma storie vere, verissime. L'anno dopo la mia nascita, cioè nel 1959, uno scienziato russo ebbe l'idea di provare a creare delle volpi domestiche. Attenzione non di addomesticare delle volpi, ma di selezionare una "razza" di volpi non timorosa dell'uomo, fiduciosa e non aggressiva. Un po' come successe nella preistoria col Lupo e il Cane. Ma la Volpe non è un animale sociale come il Lupo, perciò non adatta all'addomesticamento. L'idea dello scienziato era indagare se con una selezione genetica forte si sarebbe potuto ottenere varietà domestiche anche da animali "inadatti". Per comodità scelse di lavorare sulla Volpe Argentata, che non è una specie a sè, ma è una Volpe Rossa dal mantello particolarmente scuro, una mutazione che interessa circa il 10% delle Volpi Rosse, un po' come il Leopardo o il Giaguaro e la Pantera/Giaguaro Neri. Le Volpi Argentate in Russia (ma anche altrove) vengono allevate e reincrociate per fissare il carattere del pelo scuro, per poi farle riprodurre, crescere in gabbia e alla fine massacrarle per farne pellicce pregiate (qualche voce malevola, non confermata, ha sostenuto infatti che uno scopo collaterale sarebbe stato quello di facilitare gli allevatori, creando volpi più trattabili). Essendo allevate era più facile reperire gli esemplari rispetto ad andare a catturarne di liberi. Così lo scienziato iniziò a girare per gli allevamenti e scegliere quei cuccioli che sembravano meno aggressivi e meno timorosi dell'uomo. Li allevò, li fece riprodurre incrociandoli fra loro, selezionando ad ogni generazione quelli sempre più docili. Ci vollero 50 generazioni, un po' più di quarant'anni e finalmente fu ottenuta la volpe domestica, docile ed affettuosa, scodinzolante proprio come un cane, solo che... ecco... non sembrava più molto una volpe, argentata o meno. Cos'è successo? Fino agli anni '70 c'era la convinzione che ogni gene corrispondesse ad una porzione specifica di DNA e selezionasse un dato carattere, quindi si pensava a selezionare un gene per la docilità. Da qualche decennio sappiamo che non è per niente così. Le cose sono enormemente più complesse e ogni mutazione può avere effetti diversi, a volte nessuno, altre piccoli, altre ancora imponenti effetti a cascata. La docilità e la riduzione in generale dell'aggressività dipendono anche da dosaggi di diversi ormoni, alcuni diminuiscono, quelli che regolano le risposte aggressive, altri aumentano, ma non la faccio lunga, il succo è che le mutazioni possono avere effetti a cascata su tutto l'individuo. Quando si cerca di modificare il carattere di un animale ad esempio verso la docilità e la socievolezza, si selezionano flussi ormonali diversi che portano a modifiche sia del carattere che fisiche: si fissano tratti infantili (ad esempio il cane ha la fronte sporgente, mentre il lupo e la volpe hanno la fronte spiovente) e curiosamente, anche la pezzatura del mantello e le orecchie pendenti, entrambi caratteri assenti nelle specie selvatiche, probabilmente perchè svantaggiosi in natura. Morale: se da una parte è dimostrato che la domesticazione di una specie selvatica anche potenzialmente inadatta si può ottenere tramite selezione genetica, quello che si è dimenticato è che il prodotto finale è ...un'altra cosa. Dopo (sopra) e prima (sotto). Ovviamente il discorso sfruttamento per le pellicce, se mai fosse stato vero, è andato a quel paese... Un esempio piccolo piccolo per far capire una questione molto grande: La natura è complessità, prima di prendere iniziative anche a fin di bene, ad esempio per l'ambiente, bisogna stare molto, ma molto attenti e pensarci almeno un paio di volte. Non esistono soluzioni semplici. Se vi interessa che scriva altre storie così lasciatemi un feedback in merito, così mi so regolare. Foto e disegno presi da Internet a solo scopo divulgativo, i copyright spettano agli aventi diritto.
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  46. Il tempo passa, non vi sono dubbi su questo.. poi dopo aver subito le varie ed eventuali imposizioni ( in fondo giuste ) per il contenimento del covid, ecco che appunto per questo.. ho fatto la prima vaccinazione, malgrado il tempo non certo bello di quel giorno, la z 50 era nella mia tasca; pochi giorni dopo la regione Lombardia è passata di colore, e dovendomi spostare tra casa e ospedale, la prima volta.. non ho fatto nulla.. ma la seconda invece, come una liberazione avevo con me le ultime cose rimaste nel tempo; la Z 50 e le sue due ottiche che onestamente ho usato solamente il 50-250 e pure con l'addizionale 5T. Non sono cose da fantascienza.. ma liberatorie invece si.. non ho usato il cavalletto, e il vento era implacabile.. ma mi sono divertito, era tanto che non mi succedeva.. questa era la prima barriera.. passata questa, erano altre le barriere da by-passare però, dopo un'ora e mezza.. il famigerato astra zeneca me lo sono preso.. quanto vedevo davanti a me, atteso 20 minuti.. che non morissi sul posto, mi lasciarono andare.. alcuni fiori fatti in una rotonda di Basilio, il comune confinante all'ospedale dove mi reco.. questa è con la 5 T e pure questa... ho beccato un'amica di passaggio.. verso casa ho costeggiato alcune risaie, peccato che la strada sia veramente stretta e purtroppo trafficata, quini è stata fatta " al volo " Era tempo che non scattavo al di fuori delle mura domestiche.. grazie di aver avuto la pazienza ed il coraggio di vedere le mie robe...
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  47. Piemonte e Liguria sembra vogliano contendersi il primato della "sfiga da alluvione". Questa volta è toccato al Piemonte orientale, qualche giorno di pioggia concentrato sul bacino idrografico del Sesia e si sono contati morti e milioni di euro di danni. Un'alluvione flash, questa di inizio autunno 2020, in confronto agli 8 giorni di pioggia consecutivi del novembre del 1994, e la cosa deve indurre maggiore inquietudine. Ma queste sono faccende degli uomini, per i fiumi, per le aste fluviali, i rigonfiamenti stagionali sono una benedizione. Sul Sesia "era" normale attendersi un paio di piene annuali, piene in grado di spostare milioni di tonnellate di ciottoli e sabbia in una vera azione di pulizia biologica del corso fluviale . Negli ultimi anni il meccanismo si è inceppato, i pioppi hanno colonizzato greti e gerbidi ed il fiume è rimasto inchiodato al letto tracciato venti anni fa, un letto che, nei rami laterali, appariva fangoso e lontano dalla natura di torrente sub alpino quale è il Sesia. Questo fino a domenica 3 ottobre 2020. Nella notte tra sabato e domenica 3 ottobre il livello del fiume ha superato (di poco) l'argine orientale come si vede dal deposito lasciato sulla strada arginale. Più a monte ha rotto il contenimento inondando i campi. All'interno dell'argine, nel bosco del parco delle lame, l'acqua ha raggiunto livelli record, andando ad inondare punti dove nemmeno nel lontano 1994 era arrivato. Dall'argine ho osservato l'acqua color caffè e latte turbinare con violenza in punti dove meno di una settimana prima passeggiavo con il treppiede a spalla. Fiducioso nei miei stivali a cosciale ho provato ad addentrarmi lungo la stradina d'accesso, ma dopo due soli passi la profondità era tale da non poter proseguire. costretto al rientro mi riprometto di tornare appena il fiume rientrerà nel suo alveo normale. E così il 10 ottobre sono nel parco a misurare l'effetto della piena sul bosco di San Nazzaro. Uno shock, giuro. In 25 anni di alluvioni e bizze del fiume ne ho viste tante, ma questa volta è diverso, questa volta il fiume si è schiantato sui miei sentieri, cancellandoli completamente. La topografia del luogo che conoscevo non esiste più, non ci sono più i riferiementi ultra decennali che mi consentivano di orientarmi anche nel buio pesto. La pista principale è stata cancellata, la radura grande dove pascolano i caprioli semplicemente non esiste più. Per tentare di rendere l'idea del "prima" ho cercato in archivio qualche immagine di luoghi noti. Spero possa rendere il senso di straniamento che ho io. INGRESSO DEL PARCO 2011-ESTATE 2020 INGRESSO PARCO 10 OTTOBRE 2020 STRADA DI ACCESSO 2011-ESTATE 2020 STRADA DI ACCESSO 10 OTTOBRE 2020 GUADO DELLA LAMA GRANDE ESTATE 2019 GUADO DELLA LAMA GRANDE 10 OTTOBRE 2020 LAMA GRANDE SETTEMBRE 2020 LAMA GRANDE 10 OTTOBRE 2020 RADURA A NORD DELLA LAMA GRANDE LUGLIO 2019 RADURA A NORD DELLA LAMA GRANDE 10 OTTOBRE 2020 In sostanza, come sospettavo, luoghi come la Lama grande non hanno subito particolari effetti, anzi sono stati ripuliti dal fango di sedimentazione che negli anni condurrebbe all'interramento dello specchio d'acqua. Questa Lama resiste da troppi anni, segno che il fiume ogni tanto arriva fin qui. Per il bosco invece è differente. L'azione dell'acqua corrente ha strappato via il terreno portando alla luce il sottostante, antico, greto fluviale. Molti alberi hanno perso il loro ancoraggio e sono stati sradicati andando a creare enormi accumuli di detriti, accumuli che hanno prodotto un effetto benefico verso il bosco a valle. Evidentemente le dighe di detriti producono una importante riduzione della velocità dell'acqua depotenziando l'azione di dilavamento del terreno. Ciò riduce rischio di sradicamento degli alberi più a valle come dimostra l'immagine seguente dove il passaggio dell'acqua non ha neppure piegato le erbacce. Più a valle ho registrato i segni di fango sui tronchi ed uno spesso strato limo depositato, tutte evidenze di una lenta sedimentazione cioè di un flusso d'acqua molto calmo. Capriolo di passaggio Cinghiali al trotto In questa immagine si vede molto bene il massimo livello raggiunto dal fiume. Ebbene, i miei piedi si trovano a 4.5 m sopra il normale livello del Sesia. Lo strato di fango ha reso evidente la rapida "ricolonizzazione" del bosco da parte di tutti i suoi abitanti. Cinghiali, caprioli, nutrie, tassi e volpi sono rientrati nel loro bosco. Nutria e ratto Volpe Tasso Con una certa difficoltà (non ci sono più i passaggi che conoscevo) sono comunque riuscito a raggiungere il fiume. Paradossalmente il corso principale non ha subito particolari alterazioni, in altri termini data l'azione sul bosco mi sarei aspettato qualcosa di più, invece il fiume è sempre quello di prima. Riporto qualche immagine di confronto. ESTATE 2020 OTTOBRE 2020 ESTATE 2020 OTTOBRE 2020 Faccio solo osservare che la cuspide di ciottoli della foto di Ottobre si trova 60-80 metri più a valle rispetto alla stessa cuspide ripresa in estate. La piena ha ripulito il fiume ma ha anche spostato, come previsto, incredibili quantità di materiale. Il fiume ora è semplicemente splendido. ---------------------------------------------- Tornando invece alle tristi vicende umane, poiché l'Italia si sta facendo notare in tutto il mondo per i suoi ponti stradali, non poteva mancare in questa occasione una ulteriore conferma di una qualche perdita di consuetudine con il calcestruzzo. Da Romagnano per andare a Gattinara, per un po' si dovrà fare il giro largo.
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  48. L'edizione 2020 in effetti si sarebbe dovuta svolgere a giugno, come ogni anno, ma a maggio ancora non si sapeva se e quando. Solo ai primi di luglio correva voce che il mese prescelto sarebbe stato ottobre. Naturalmente a campionato ridotto perchè molte prove del mondiale sono saltate proprio per i lockdown imposti in molte nazioni in quasi tutto il circuito. Ma la tappa italiana è sempre stata tra le più sicure, in parte per la chiusura dei confini per chi proveniva da stati non classificati sicuri e in parte per il “bluff” concordato con la FIA dal governatore della Sardegna che ha annunciato totale chiusura al pubblico. Cosa ovviamente impossibile, ma che è servita a scoraggiare l'arrivo di molti appassionati. Quest'anno doveva andare così. Complicato il programma. Prove speciali ridotte, orari improbabili e controlli attenti (soprattutto sulle mascherine). Ma quando mai mi sono lasciato scoraggiare? Nella prima giornata una prova speciale che non conoscevo e che attraversava un cantiere forestale meraviglioso, nei pressi di Castelsardo. Speravo meglio, con Enzo Cossu (bravo fotografo e nikonista, col quale normalmente ho piacere di lavorare) avevamo fatto un sopralluogo lungo tutta la speciale un mese fa, ci sembrava un'ottima scelta. Ahimè, così non è stato. Luce pessima con metà del tracciato in ombra e una foschia veramente fastidiosa. Ho preferito orientarmi sulle immagini ambientate, giusto per fare qualcosa di diverso e che non facesse troppo ringhiare. In piedi su una roccia, e con le ginocchia scassate... queste cose non le dovrei proprio fare, ma ancora non riesco a trattenermi. Veibi-Andersson su Hyundai i20. Primo anno per quest'auto e va veramente forte. Erano due le i20 in gara, l'altra affidata all'equipaggio russo Gryazin-Aleksandrov. Una scenografia pazzesca. Mi riprometto di tornarci con più calma... magari rischiando meno Me lo sentivo dentro che questa foto l'avrei dovuta fare, un primo piano degli americani Sean Johnston e Alexander Kihurani... ancora ignari di quanto sarebbe accaduto loro il giorno dopo.... ....... il giorno dopo. Nella "speciale" di Loelle. E io ero c'ero. MA CHE CULO ANCHE LORO... CHE SONO RIPARTITI Tre giorni di sveglia alle 4 del mattino, tutto il giorno in piedi o sdraiato in terra con la testa poggiata sullo zaino, l'attesa infinita e i crampi.... qualcosa la dovevo incassare, per giusto diritto. Noi fotografi siamo dei cercatori. Se cerchiamo, prima o poi, troviamo. Amen. Ma tant'è... lo spettacolo deve continuare. La grinta di Thierry Neuville nella speciale di Tergu, quasi al volo prima di rientrare a casa. Terzo e ultimo giorno all'Argentiera, in quella che _ per il paesaggio che attraversa _ viene considerata la più spettacolare tra le prove del mondiale e per questo molto difficile da documentare per i fotografi non ufficiali. Cioè noi. Ce ne faremo una ragione, per ora qualche idea ancora l'abbiamo. Anche senza un passe appeso al collo. Intanto un doveroso omaggio alla coppia Solberg-Mikkelsen, apripista veloci .... e agli irriducibili amici della polvere Sebastien Ogier Veibi-Andersson Gryazin-Aleksandrov Tanak-Jarveoja E l'arrivo spettacolare di Dani Sordo, vincitore in Sardegna per il secondo anno consecutivo. Stavolta "spinto" dal maestrale. Un traversone in prossimità del traguardo mi mancava. ----------- Copyright Enrico Floris 2020 per Nikonland
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  49. Il Gufo delle nevi, o Civetta delle nevi come viene chiamato qui da noi, è un uccello della famiglia degli strigidi. Si ciba prevalentemente di piccoli roditori e, contrariamente alla maggior parte degli altri appartenenti a questa famiglia, ha abitudini diurne. È molto grande, circa 150cm di apertura alare per 60cm di lunghezza. Harry Potter, con Edvige, l'ha reso noto al vasto pubblico (piccola annotazione: l'esemplare utilizzato nel film in realtà è un maschio, riconoscibile perchè le femmine hanno un piumaggio con diffuse piume nere mentre i maschi sono quasi del tutto bianchi). Io ho iniziato a sognare di fotografarla nel 2015, guardando e riguardando Arctique di Vincent Munier - per me un capolavoro assoluto. È stato amore a prima vista! Ma è solo nel gennaio del 2017 che il sogno inizia a materializzarsi, quando il mio amico Nico mi dice di aver finalmente trovato, in Ontario - Canada, il contatto giusto, la guida cioè che può accompagnarci a fotografarla. La nostra amica, infatti, d'estate nidifica nella tundra artica ma d'inverno si sposta verso sud, alla ricerca di condizioni ambientali meno severe e di maggiore disponibilità di cibo. Infatti, la zona rurale vicino Ottawa, dove sono stato, è una distesa a perdita d'occhio di campi di grano e allevamenti di bestiame, che è evidentemente in grado di sostenere una imponente popolazione di topolini. Lo vorrei, è ovvio, ma purtroppo non è possibile partire subito: ingestibile un'altra settimana di assenza per famiglia e lavoro - mentre ne parliamo siamo in Finlandia - per non parlare del budget! Per questo stabiliamo di organizzare la partenza nella settimana a cavallo tra gennaio e febbraio 2018, che almeno sulla carta dovrebbe consentirci le giuste condizioni ambientali. Pochi ma importanti passaggi nell'organizzazione: Contattare gli amici comuni per costituire il gruppo con il quale dividere le spese e le attività organizzative. Alla fine saremo in 4, oltre me Nico, Nicola e Pino. Dotarsi del giusto abbigliamento, per poter stare fermi all'aperto con temperature che possono raggiungere i -30°C (in realtà la temperatura più bassa che abbiamo avuto è stata -23°C; per l'occasione ho comparato un piumino TNF Himalaya ed un paio di scarponi Sorel Glacier XT, entrambi veramente caldissimi). Selezionare il materiale fotografico, per essere il più vicino possibile ai limiti delle compagnie aeree, che nel mio caso è ormai piuttosto consolidato: un grandangolo, che non ho usato ma "non si sa mai", medio tele e supertele - cioè 16-35/4, 70-200/2.8 e 500/4; 2 corpi macchina - D5 e D500 (quest'ultima ha preso il posto della D810, rimasta a casa, ed è stata una positiva sorpresa. L'ho avuta in prestito il giorno prima della partenza dal mio amico Leonardo e mi sono trovato così bene che al ritorno gliel'ho comprata). Tenere i contatti con Marc, la guida, fissare il B&B dove abbiamo alloggiato ed il noleggio dell'auto. Definire i voli. Qui ho fatto un errore che poteva avere conseguenze irreparabili. Per l'ingresso in Canada occorre oltre al passaporto un permesso, l'ETA, questo lo sapevo e l'ho richiesto via internet mesi prima della partenza. Quello che non sapevo, ed ho scoperto al check in, è che transitando da Newark, senza uscire dall'aeroporto, è necessario anche dell'ESTA, analogo permesso per entrare negli Stati Uniti, in assenza del quale sarei stato reimbarcato. L'ho fatto sul portatile al check in di Malpensa, imbarcandomi in aereo per ultimo! E ora le foto, tutte con D5 e D500, su 500/4 e 70-200/2.8.
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  50. Il 29 Marzo scorso ho beneficiato di una visita al Museo Horacio Pagani ed all’Atelier (la fabbrica), come lo chiama lui, dove si costruiscono auto da sogno, in un ambiente luminoso, bello, pulitissimo, proprio come una sartoria artigianale dove ti cuciono addosso un vestito, in questo caso, un’automobile. Auto uniche di nome e di fatto, costruite artigianalmente dalla più piccola vite in titanio, alla scocca di carbonio. Solo il motore, un 12 cilindri, turbo o aspirato viene prodotto su specifiche Pagani dalla AMG, il reparto sportivo della Mercedes Benz. La Pagani Automobili nasce 1998 e nel 1999 presenta al salone di Ginevra la Zonda C12. La vettura avrebbe dovuto avere tratti sensuali, combinando la sinuosità di una donna formosa con la linea aggressiva di un cacciabombardiere, l’espressione di velocità, tecnologia, esasperazione e ingegneria per eccellenza, prendendo come ispirazione stilistica le vetture di Le Mans di fine anni 80 inizio anni 90. La scelta del propulsore tenne conto del consiglio dell’amico Fangio che desiderava un Mercedes e Pagani, oltre a sposare l’idea del campione argentino, volle che fosse un V12. Motore che rappresenta la storia dell’automobilismo italiano. Naturalmente durante la visita all’Atelier è proibito fotografare, i cellulari vengono fatti riporre in armadietti sotto chiave, mentre è possibile fotografare nel museo. Le foto seguenti mostrano un po’ la storia recente del marchio e la sua evoluzione stilistica e tecnologica. Nel 1979 Pagani progettò una F.2. Il lavoro richiese un anno e si calcolò che vi fossero investite qualcosa come cinquemila ore di lavoro. La F2 Renault progettata da Pagani Nel 1998 nasce la Zonda. L’auto in mostra è il telaio n. 2 ed è detta “la Nonna”, un prototipo che ha fornito il terreno per lo sviluppo di tutte le auto prodotte fino ai giorni nostri. E’ stata il banco di prova per testare il motore V12 AMG M120, e tutte le soluzioni aerodinamiche e di materiali. Durante il suo sviluppo ha sempre mantenuto fede al concetto Leonardesco secondo cui Arte e Scienza possono camminare, mano nella mano. La vettura è stata restaurata e posta a riposo nel museo dopo aver percorso la bellezza di 550.000 Km. Zonda Zonda Zonda Il V12 a 60° M120, che equipaggerà anche i modelli successivi La Zonda S del 2000. Un anno dopo l’esordio della C12, venne presentata la Zonda S, che sfoderava un poderoso motore V12 60° AMG M120 sette litri con 555 CV di potenza per un peso complessivo di Kg. 1280. La vettura, oltre al propulsore potenziato, presentava una vasta serie di migliorie tecniche e fu la prima auto stradale realizzata completamente in fibra di carbonio a vista. Zonda S Zonda S Zonda S Zonda S La Zonda F del 2005 dedicata a Juan Manuel Fangio. La F è una sorta di antologia filosofica delle idee di due persone sensibili che hanno elaborato concetti semplici e pratici. La vettura tecnicamente è un pezzo unico fatto di carbonio, leghe di alluminio, titanio, avional, cromo-molibdeno, pelli selezionate. Alcuni di questi materiali sono lavorati utilizzando la migliore tecnologia, per altri la migliore mano d’opera. Monta un propulsore V12 60° AMG M120 sette litri ancora più evoluto con 602 CV per un peso cpl. di Kg. 1230. Zonda F Zonda F Zonda F La Zonda Cinque Roadster del 2010. La vettura è la prima auto stradale ad essere costruita con una nuova generazione di struttura ultra rinforzata in fibre composite di carbonio mescolato al titanio, ancora più leggera, resistente ed aerodinamica. Il motore V12 60° AMG M120 sette litri eroga 678 CV, abbinato ad un cambio sequenziale a 6 rapporti per un peso cpl. di Kg. 1210. Zonda Cinque Roadster Zonda Cinque Roadster Zonda Cinque Roadster Zonda Cinque Roadster La Zonda R telaio n. 007 del 2009 - Nel 2006 Pagani iniziò a progettare una vettura estrema, basata sulla Zonda F e destinata all’uso in pista. Corsaiola di carattere, sfoggia comunque finiture degne di un grande “orologio” ricco di 3270 componenti nuovi tra cui il telaio in carbo-titanio, i bulloni in ergal e titanio, le barre anti sfondamento, l’impianto di estinzione, i sedili omologati FIA e conformi allo standard HANS e il cambio robotizzato in magnesio XTRAC a 6 marce, con velocità di cambiata di 20 ms. Il motore V12 60° AMG M120 sette litri eroga 750 CV, per un peso cpl. di Kg. 1070. Zonda R Zonda R Zonda R Zonda R Zonda R Nel 2011 nasce la Huayra dall’esperienza accumulata attraverso la realizzazione della famiglia Zonda si riflette negli otto anni di studi e perfezionamenti, alla continua ricerca delle migliori soluzioni tecniche, come il telaio in carbo/titanio. La nuova monoscocca centrale sulla Huayra è un design completamente nuovo realizzato appunto in carbo/titanio. Il serbatoio del carburante si trova integrato nella zona più protetta della monoscocca, alle spalle del pilota, rinforzata dalla cellula di sicurezza in differenti compositi balistici. I controtelai Cromo/Molibdeno anteriori e posteriori offrono un eccezionale rapporto rigidità-peso, per permettere alle sospensioni di lavorare al meglio. Per la prima volta su una vettura stradale viene applicato un sistema di aerodinamica attiva. La vettura è spinta da un nuovo motore AMG M158 V12 a 60° biturbo, capace di sprigionare una potenza di 730 CV, per un peso cpl di Kg. 1350. Huayra Huayra Huayra Il nuovo motore AMG M158 V12 a 60° biturbo I vari modelli studio per arrivare alla Huayra definitiva La Zonda HP Barchetta del 2017 è una creazione, haute couture dell’arte automobilistica, presentata al Concorso d'Eleganza di Pebble Beach del 2017 come regalo al fondatore dell'azienda, Horacio Pagani, per il suo 60° compleanno e per commemorare il 18° anniversario della Zonda. La vettura, presenta una tecnologia di ultima generazione ed è alimentata da un motore a 12 cilindri di 7,3 litri, è capace di generare 789 CV con una coppia di 850Nm, sviluppato da Mercedes AMG esclusivamente per Pagani, che promette un suono ancora più distintivo. I materiali utilizzati, derivati dalla continua evoluzione tecnologica di Pagani Automobili, permettono una sensibile riduzione del peso (cpl Kg. 1250) e prestazioni eccezionali. Zonda HP Barchetta Zonda HP Barchetta Zonda HP Barchetta Zonda HP Barchetta La Zonda HP Barchetta REVO del 2022 è un esemplare unico e rappresenta il connubio fra la Zonda HP Barchetta e la Zonda Revoluciòn. Monta un motore V12 60° aspirato AMG M120 che eroga 800 CV e 750Nm di coppia e con un sound emozionante, fornito dagli scarichi in titanio rivestiti in ceramica. Nonostante sia una vettura da pista, niente è lasciato al caso ed anche il più piccolo dettaglio è curato maniacalmente, come i componenti in alluminio anodizzato blu ricavato dal pieno. Zonda HP Barchetta REVO Zonda HP Barchetta REVO Zonda HP Barchetta REVO Zonda HP Barchetta REVO Zonda HP Barchetta REVO Nel 2022 nasce la Huayra Codalunga - Nel 2018, due collezionisti Pagani chiesero a Horacio ed al Pagani Special Projects di realizzare una vettura codalunga, un progetto speciale e su misura. L’idea era una Hypercar elegante, semplice e pulita nel design, un modello da esporre ai concorsi d’eleganza internazionali proprio come un’opera d’arte. Una prova sfidante per il team che concettualmente è partito dalla Huayra Coupé e ha cominciato a togliere e levigare la carrozzeria per renderla del tutto curvilinea, rimuovendo ogni appendice aerodinamica e dettaglio aggiuntivo. Sotto il cofano posteriore di oltre 3,5 mq, più lungo di 360 mm rispetto alla coupé, si cela un V12 AMG capace di sviluppare 840 Cv ed 1.100 Nm coppia dai 2000 ai 5600 rpm. Il cambio è sequenziale trasversale a sette rapporti, con differenziale a controllo elettronico ed albero di trasmissione sviluppato dal mondo racing. Il gruppo volano-frizione è costituito da frizione a triplo disco, più leggera e con minore inerzia. Equipaggiata con lo stato dell’arte dei sistemi materiali compositi avanzati, Codalunga raggiunge il peso piuma di 1.280 kg a secco. Huayra Codalunga Huayra Codalunga Huayra Codalunga Huayra Codalunga Huayra Codalunga Huayra Codalunga - Particolare dell'interno Huayra Codalunga Nel 2022 nasce “Utopia”. Horacio Pagani aveva le idee chiare su che cosa dovesse rappresentare, ma preferì chiedere ai suoi migliori clienti, a coloro che attendono con entusiasmo ogni sua creazione, di esprimere i propri desideri. Avevano già automobili dalle prestazioni straordinarie, che cosa mancava ancora? Due le parole che ritornano nelle loro risposte: semplicità e piacere di guida. Allora ecco che lo sviluppo del nuovo progetto C10 va in controtendenza rispetto ai trend del momento. Niente alimentazione ibrida, niente batterie pesanti, solo un esuberante motore V12 AMG biturbo di 6.0 litri che eroga 864 CV e una coppia di 1100Nm. Nessun sistema a doppia frizione, solo un puro cambio manuale o sequenziale XTRAC a sette rapporti. Tutto questo per offrire un’auto che mette al centro il guidatore, una hypercar che risponde al meglio a ogni sua azione creando una perfetta sintonia tra uomo e macchina, una ricerca che si trasforma in puro piacere di guida, un’esperienza “classica” definita in modo nuovo. La Utopia è stata costruita intorno a una nuova monoscocca realizzata in Carbo-Titanio HP62 G2 e Carbo-Triax HP62 con rollbar integrato a scomparsa. Alla monoscocca sono collegati i telaietti anteriori e posteriori in lega di acciaio al cromo/molibdeno e la rigidità torsionale è cresciuta del 10,5% rispetto alla Huayra. Pure le portiere si aprono verso l'alto e in avanti e non ad ala di gabbiano come la stradale precedente. Una soluzione che era stata anticipata dalla Huayra R. Un ulteriore spunto d'interesse della Utopia risiede nei due elementi superiori dell'ala posteriore: i profili, attivi e indipendenti l'uno dall'altro, lavorano di concerto con le sospensioni semi-attive per offrire le massime prestazioni nella guida dinamica. Il tutto racchiuso in un peso cpl. di 1.280Kg. Le foto seguenti sono state riprese dal portale “Quattroruote” in quanto la Pagani Utopia, vettura attualmente in produzione, non era presente nel museo e neppure nello Show room. Abbiamo potute vedere l’auto solo nell’Atelier in fase di costruzione, senza poterla fotografare. Utopia Utopia Utopia Alcuni particolari distintivi del marchio Anche il telaio di questo banco ottico è un progetto Pagani Le notizie sopra riportate sono state tratte dai pannelli appesi nel museo riguardanti la storia del marchio, dalle didascalie nei pressi delle auto che illustrano e dal sito ufficiale della Pagani. Le foto sono state eseguite con Nikon Z 8 e 24-120/4 tranne quelle relative alla Pagani Utopia riprese dal sito ufficiale di Quattroruote.
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