Vai al contenuto

Classifica

Contenuto Popolare

Mostra il contenuto con la massima reputazione da 24/03/2024 in Blog Entries

  1. Arcipelago Raja Ampat quella segnata in rosso è l'isoletta dove mi trovavo. Isola di Wai Un viaggio indimenticabile e spero di ritornare, ho lasciato tanti scatti ancora da fare, tante albe e tramonti immerso in quel mare che nonostante tutto resiste alla mano dell'uomo. La base è una piccola isola Palau Wai , di appena due KM di perimetro, molto piccola ma accogliente con una spiaggia di sabbia bianchissima, appena quel che serve per vivere in una dimensione totalmente a contatto con la natura, da qui ogni mattina si parte per le escursioni sopra e sotto il mare. Un paradiso si proprio un paradiso terrestre incontaminato a cavallo dell'equatore siamo a Nord-ovest dell'isola della nuova Guinea e fa parte della provincia della Papua Occidentale. RAJA AMPAT (che significa 4 re), è un arcipelago costituito da più di 1600 isole quasi tutte disabitate, del tutto sconosciuto al turismo di massa. Isole ammantate dalla giungla, clima tropicale, sabbia bianchissima, mare cristallino, fondali intatti, barriera corallina tra le più belle del mondo, lagune nascoste, in una solo immersione sono state fotografate ben 374 specie diverse di pesci, una biodiversità incredibile. Banchi di barracuda, carangidi, pesci pipistrello e lutiani convivono con tartarughe liuto (nidificano da ottobre a dicembre), pesci fucilieri, razze, squali epaulette, pesci pappagallo e cernie assieme a tanti altri pesci attratti dai coralli. Dagli ambientalisti Raja Ampat è stata definita 'fabbrica di specie', la capitale mondiale della biodiversità. Ospita 1459 specie di pesci e oltre 550 coralli duri (più del 75% del totale del mondo). Da qui le correnti trasportano le larve dei coralli fino all’Oceano Indiano e al Pacifico, permettendo di ripopolare altre barriere. Un vero paradiso per la fotografia naturalistica e subacquea . Nikon 800E … Nikon 8-15, Nikon 105 micro, Nikon d 60 macro, custodia Isotta
    20 punti
  2. A Castelsardo un rito diverso, generato dalla pietà popolare e che affonda le sue radici negli anni della dominazione aragonese. La processione del Lunissanti è la prima della Settimana Santa, si svolge il lunedì successivo alla Domenica delle Palme e dura un giorno intero. La pietà popolare esalta il carattere della manifestazione attingendo dalle proprie tradizioni e dalla propria cultura della fede evitando i dettami della liturgia e persino la presenza di un prete che la guidi. La Confraternita della Santa Croce custodisce i Misteri della passione di Cristo, gli strumenti del suo dolore: il calice, il guanto, la catena, la colonna, i flagelli, la corona di spine, la croce, la scala, il martello e la tenaglia, la lancia e la spugna, il teschio, il busto dell’ecce homo e il Cristo crocefisso. È trascorsa da poco l’alba quando nella concattedrale di Sant’Antonio Abate a Castelsardo viene celebrata la messa alla presenza dei confratelli di Santa Croce che termina con la benedizione degli strumenti del dolore di Cristo. È questo il momento per gli apostuli (ognuno dei quali porta con sé uno dei Misteri accompagnati ognuno da un gruppo di cantori che intonano il Miserere, lo Stabat Mater, il Jesus) di incamminarsi alla volta di Tergu, un piccolo centro dell’Anglona, diretti alla chiesa di Nostra Signora di Tergu. Arrivo verso le 11,30. L'ingresso sul selciato che conduce a Nostra Signora di Tergu e l'attesa degli Apostuli prima dell'ingresso in chiesa Ancora una messa e una nuova benedizione dei Misteri e poi ripartenza verso Castelsardo, sempre a piedi. I Cantori davanti all'ingresso di Nostra Signora di Tergu A Castelsardo l’ultima funzione alle 19 e alle 20 l’ultimo tratto, sempre in assenza delle autorità ecclesiastiche. La processione attraverserà il paese, totalmente al buio, con la sola illuminazione delle fiaccole. Non vado oltre con la storia perché è veramente difficile documentarmi su questa particolare manifestazione ma quello che sono riuscito a sapere lo avete appena letto. Per quanto riguarda invece l’aspetto fotografico ho dovuto necessariamente tenermi “leggero” perché la spalla destra è ancora dolorante e so che il recupero sarà particolarmente lungo. Per cui ho preferito usare la Zfc con una sola lente. La mattina ho scelto il 16-50 per via della maggiore duttilità e nonostante la giornata piovosa in luce non mi ha creato problemi. La scelta del bianco/nero, visti i colori inesistenti, l’ho ritenuta appropriata. Definire coinvolgente e quasi ipnotico il rito serale è riduttivo, bisogna assistere per capirlo. Una folla composta da fedeli e turisti provenienti da tutta Europa solo per assistere a questo evento. Un silenzio surreale, tanto che ho dovuto silenziare la Zfc, persino quel rumore finto dello scatto era fuori luogo. Documentarla è una sfida. Non si tratta di fotografare al buio, si tratta di fotografare il buio. Difficile stare sotto i 10000 ISO. In quelle condizioni il meglio di cui disponevo era il 24mm 1,7 che ancora una volta si è dimostrato lente di razza, sorprendente. Molti doppioni e anche molte immagini scartate perché sbagliate o magari per micromosso o perché semplicemente non mi piacevano. Le poche che propongo differenziate per momento e per scelta (b/n al mattino e colore alla sera) spero che rendano al meglio l’idea di una manifestazione che non si snoda lungo un tracciato segnato o immaginario ma scorre attorno alle persone, le circonda e le sfiora in un silenzio denso, rotto solo dalle litanie dei cantori, illuminato dalle fiaccole affidate alle consorelle (tutte bambine) precedentemente vestite di bianco dalle mamme all’interno del battistero e che hanno il compito di far luce con le torce sui passi degli apostuli. Ultime immagini per i Cantori Pezzo consigliato: Jubilee Street (Nick Cave) Copyright Enrico Floris 2024 per Nikonland
    16 punti
  3. Il 29 Marzo scorso ho beneficiato di una visita al Museo Horacio Pagani ed all’Atelier (la fabbrica), come lo chiama lui, dove si costruiscono auto da sogno, in un ambiente luminoso, bello, pulitissimo, proprio come una sartoria artigianale dove ti cuciono addosso un vestito, in questo caso, un’automobile. Auto uniche di nome e di fatto, costruite artigianalmente dalla più piccola vite in titanio, alla scocca di carbonio. Solo il motore, un 12 cilindri, turbo o aspirato viene prodotto su specifiche Pagani dalla AMG, il reparto sportivo della Mercedes Benz. La Pagani Automobili nasce 1998 e nel 1999 presenta al salone di Ginevra la Zonda C12. La vettura avrebbe dovuto avere tratti sensuali, combinando la sinuosità di una donna formosa con la linea aggressiva di un cacciabombardiere, l’espressione di velocità, tecnologia, esasperazione e ingegneria per eccellenza, prendendo come ispirazione stilistica le vetture di Le Mans di fine anni 80 inizio anni 90. La scelta del propulsore tenne conto del consiglio dell’amico Fangio che desiderava un Mercedes e Pagani, oltre a sposare l’idea del campione argentino, volle che fosse un V12. Motore che rappresenta la storia dell’automobilismo italiano. Naturalmente durante la visita all’Atelier è proibito fotografare, i cellulari vengono fatti riporre in armadietti sotto chiave, mentre è possibile fotografare nel museo. Le foto seguenti mostrano un po’ la storia recente del marchio e la sua evoluzione stilistica e tecnologica. Nel 1979 Pagani progettò una F.2. Il lavoro richiese un anno e si calcolò che vi fossero investite qualcosa come cinquemila ore di lavoro. La F2 Renault progettata da Pagani Nel 1998 nasce la Zonda. L’auto in mostra è il telaio n. 2 ed è detta “la Nonna”, un prototipo che ha fornito il terreno per lo sviluppo di tutte le auto prodotte fino ai giorni nostri. E’ stata il banco di prova per testare il motore V12 AMG M120, e tutte le soluzioni aerodinamiche e di materiali. Durante il suo sviluppo ha sempre mantenuto fede al concetto Leonardesco secondo cui Arte e Scienza possono camminare, mano nella mano. La vettura è stata restaurata e posta a riposo nel museo dopo aver percorso la bellezza di 550.000 Km. Zonda Zonda Zonda Il V12 a 60° M120, che equipaggerà anche i modelli successivi La Zonda S del 2000. Un anno dopo l’esordio della C12, venne presentata la Zonda S, che sfoderava un poderoso motore V12 60° AMG M120 sette litri con 555 CV di potenza per un peso complessivo di Kg. 1280. La vettura, oltre al propulsore potenziato, presentava una vasta serie di migliorie tecniche e fu la prima auto stradale realizzata completamente in fibra di carbonio a vista. Zonda S Zonda S Zonda S Zonda S La Zonda F del 2005 dedicata a Juan Manuel Fangio. La F è una sorta di antologia filosofica delle idee di due persone sensibili che hanno elaborato concetti semplici e pratici. La vettura tecnicamente è un pezzo unico fatto di carbonio, leghe di alluminio, titanio, avional, cromo-molibdeno, pelli selezionate. Alcuni di questi materiali sono lavorati utilizzando la migliore tecnologia, per altri la migliore mano d’opera. Monta un propulsore V12 60° AMG M120 sette litri ancora più evoluto con 602 CV per un peso cpl. di Kg. 1230. Zonda F Zonda F Zonda F La Zonda Cinque Roadster del 2010. La vettura è la prima auto stradale ad essere costruita con una nuova generazione di struttura ultra rinforzata in fibre composite di carbonio mescolato al titanio, ancora più leggera, resistente ed aerodinamica. Il motore V12 60° AMG M120 sette litri eroga 678 CV, abbinato ad un cambio sequenziale a 6 rapporti per un peso cpl. di Kg. 1210. Zonda Cinque Roadster Zonda Cinque Roadster Zonda Cinque Roadster Zonda Cinque Roadster La Zonda R telaio n. 007 del 2009 - Nel 2006 Pagani iniziò a progettare una vettura estrema, basata sulla Zonda F e destinata all’uso in pista. Corsaiola di carattere, sfoggia comunque finiture degne di un grande “orologio” ricco di 3270 componenti nuovi tra cui il telaio in carbo-titanio, i bulloni in ergal e titanio, le barre anti sfondamento, l’impianto di estinzione, i sedili omologati FIA e conformi allo standard HANS e il cambio robotizzato in magnesio XTRAC a 6 marce, con velocità di cambiata di 20 ms. Il motore V12 60° AMG M120 sette litri eroga 750 CV, per un peso cpl. di Kg. 1070. Zonda R Zonda R Zonda R Zonda R Zonda R Nel 2011 nasce la Huayra dall’esperienza accumulata attraverso la realizzazione della famiglia Zonda si riflette negli otto anni di studi e perfezionamenti, alla continua ricerca delle migliori soluzioni tecniche, come il telaio in carbo/titanio. La nuova monoscocca centrale sulla Huayra è un design completamente nuovo realizzato appunto in carbo/titanio. Il serbatoio del carburante si trova integrato nella zona più protetta della monoscocca, alle spalle del pilota, rinforzata dalla cellula di sicurezza in differenti compositi balistici. I controtelai Cromo/Molibdeno anteriori e posteriori offrono un eccezionale rapporto rigidità-peso, per permettere alle sospensioni di lavorare al meglio. Per la prima volta su una vettura stradale viene applicato un sistema di aerodinamica attiva. La vettura è spinta da un nuovo motore AMG M158 V12 a 60° biturbo, capace di sprigionare una potenza di 730 CV, per un peso cpl di Kg. 1350. Huayra Huayra Huayra Il nuovo motore AMG M158 V12 a 60° biturbo I vari modelli studio per arrivare alla Huayra definitiva La Zonda HP Barchetta del 2017 è una creazione, haute couture dell’arte automobilistica, presentata al Concorso d'Eleganza di Pebble Beach del 2017 come regalo al fondatore dell'azienda, Horacio Pagani, per il suo 60° compleanno e per commemorare il 18° anniversario della Zonda. La vettura, presenta una tecnologia di ultima generazione ed è alimentata da un motore a 12 cilindri di 7,3 litri, è capace di generare 789 CV con una coppia di 850Nm, sviluppato da Mercedes AMG esclusivamente per Pagani, che promette un suono ancora più distintivo. I materiali utilizzati, derivati dalla continua evoluzione tecnologica di Pagani Automobili, permettono una sensibile riduzione del peso (cpl Kg. 1250) e prestazioni eccezionali. Zonda HP Barchetta Zonda HP Barchetta Zonda HP Barchetta Zonda HP Barchetta La Zonda HP Barchetta REVO del 2022 è un esemplare unico e rappresenta il connubio fra la Zonda HP Barchetta e la Zonda Revoluciòn. Monta un motore V12 60° aspirato AMG M120 che eroga 800 CV e 750Nm di coppia e con un sound emozionante, fornito dagli scarichi in titanio rivestiti in ceramica. Nonostante sia una vettura da pista, niente è lasciato al caso ed anche il più piccolo dettaglio è curato maniacalmente, come i componenti in alluminio anodizzato blu ricavato dal pieno. Zonda HP Barchetta REVO Zonda HP Barchetta REVO Zonda HP Barchetta REVO Zonda HP Barchetta REVO Zonda HP Barchetta REVO Nel 2022 nasce la Huayra Codalunga - Nel 2018, due collezionisti Pagani chiesero a Horacio ed al Pagani Special Projects di realizzare una vettura codalunga, un progetto speciale e su misura. L’idea era una Hypercar elegante, semplice e pulita nel design, un modello da esporre ai concorsi d’eleganza internazionali proprio come un’opera d’arte. Una prova sfidante per il team che concettualmente è partito dalla Huayra Coupé e ha cominciato a togliere e levigare la carrozzeria per renderla del tutto curvilinea, rimuovendo ogni appendice aerodinamica e dettaglio aggiuntivo. Sotto il cofano posteriore di oltre 3,5 mq, più lungo di 360 mm rispetto alla coupé, si cela un V12 AMG capace di sviluppare 840 Cv ed 1.100 Nm coppia dai 2000 ai 5600 rpm. Il cambio è sequenziale trasversale a sette rapporti, con differenziale a controllo elettronico ed albero di trasmissione sviluppato dal mondo racing. Il gruppo volano-frizione è costituito da frizione a triplo disco, più leggera e con minore inerzia. Equipaggiata con lo stato dell’arte dei sistemi materiali compositi avanzati, Codalunga raggiunge il peso piuma di 1.280 kg a secco. Huayra Codalunga Huayra Codalunga Huayra Codalunga Huayra Codalunga Huayra Codalunga Huayra Codalunga - Particolare dell'interno Huayra Codalunga Nel 2022 nasce “Utopia”. Horacio Pagani aveva le idee chiare su che cosa dovesse rappresentare, ma preferì chiedere ai suoi migliori clienti, a coloro che attendono con entusiasmo ogni sua creazione, di esprimere i propri desideri. Avevano già automobili dalle prestazioni straordinarie, che cosa mancava ancora? Due le parole che ritornano nelle loro risposte: semplicità e piacere di guida. Allora ecco che lo sviluppo del nuovo progetto C10 va in controtendenza rispetto ai trend del momento. Niente alimentazione ibrida, niente batterie pesanti, solo un esuberante motore V12 AMG biturbo di 6.0 litri che eroga 864 CV e una coppia di 1100Nm. Nessun sistema a doppia frizione, solo un puro cambio manuale o sequenziale XTRAC a sette rapporti. Tutto questo per offrire un’auto che mette al centro il guidatore, una hypercar che risponde al meglio a ogni sua azione creando una perfetta sintonia tra uomo e macchina, una ricerca che si trasforma in puro piacere di guida, un’esperienza “classica” definita in modo nuovo. La Utopia è stata costruita intorno a una nuova monoscocca realizzata in Carbo-Titanio HP62 G2 e Carbo-Triax HP62 con rollbar integrato a scomparsa. Alla monoscocca sono collegati i telaietti anteriori e posteriori in lega di acciaio al cromo/molibdeno e la rigidità torsionale è cresciuta del 10,5% rispetto alla Huayra. Pure le portiere si aprono verso l'alto e in avanti e non ad ala di gabbiano come la stradale precedente. Una soluzione che era stata anticipata dalla Huayra R. Un ulteriore spunto d'interesse della Utopia risiede nei due elementi superiori dell'ala posteriore: i profili, attivi e indipendenti l'uno dall'altro, lavorano di concerto con le sospensioni semi-attive per offrire le massime prestazioni nella guida dinamica. Il tutto racchiuso in un peso cpl. di 1.280Kg. Le foto seguenti sono state riprese dal portale “Quattroruote” in quanto la Pagani Utopia, vettura attualmente in produzione, non era presente nel museo e neppure nello Show room. Abbiamo potute vedere l’auto solo nell’Atelier in fase di costruzione, senza poterla fotografare. Utopia Utopia Utopia Alcuni particolari distintivi del marchio Anche il telaio di questo banco ottico è un progetto Pagani Le notizie sopra riportate sono state tratte dai pannelli appesi nel museo riguardanti la storia del marchio, dalle didascalie nei pressi delle auto che illustrano e dal sito ufficiale della Pagani. Le foto sono state eseguite con Nikon Z 8 e 24-120/4 tranne quelle relative alla Pagani Utopia riprese dal sito ufficiale di Quattroruote.
    14 punti
  4. I cancelli della base di Istrana di venerdì 5 aprile sono stati aperti per la cerimonia dell’addio all’AMX, che lascia definitivamente l’Aeronautica Militare dopo 35 anni di servizio (1989), e dopo aver volato per la prima volta nel maggio del 1984. L’AMX è stato un progetto congiunto tra Italia e Brasile, che ha coinvolto, all'epoca, tre aziende: Aeritalia, Aermacchi ed Embraer, ed è stato impiegato dalle aeronautiche militari di Italia e Brasile. E’ stato prodotto in più di 200 esemplari in versione monoposto per l’impiego operativo - nei ruoli bombardamento e ricognizione - e biposto per l’addestramento. La sua storia è iniziata proprio nella base di Istrana, dove il primo esemplare fu assegnato nel 1989 al 103esimo Gruppo Volo. Il velivolo AMX ha operato in diversi teatri operativi all'estero ma ha dato un contributo importante anche in ambito nazionale, dov'è stato utilizzato in missioni di ricognizione fotografica in casi di emergenze e pubbliche calamità e a supporto di operazioni di contrasto ad attività illecite sul territorio. A lui sono stati attribuiti due nomignoli nel corso della sua vita: Ghibli per la Forza Armata e “Topone” per chi è stato a contatto con lui. Uno di questi è stato Alessandro Floriani che ha volato sull'AMX per quasi 7 anni (dal (dal 1998 al 2005) come pilota da combattimento e come istruttore di tattiche operative. Durante il viaggio in pullman verso Istrana e ritorno, ha rammentato alcuni aneddoti del periodo in cui lo pilotava e con commozione ha ricordato l'incidente del 2001 nel quale perse la vita il Colonnello Davide Franceschetti, suo amico e capopattuglia. A farci compagnia, oltre ad Alessandro, c'erano anche una trentina di dipendenti dell'ex Aermacchi, ora Leonardo, che ci hanno invece raccontato delle loro esperienze sui modelli iniziali dell'AMX e sui successivi adeguamenti ed aggiornamenti. Purtroppo il mio invito per la tribuna d'onore è andato smarrito e quindi sono rimasto a terra e oltremodo lontano dallo speaker che raccontava cosa stava accadendo. Non mi è ancora capitato di fotografare una manifestazione a favore di luce ed anche questa volta non è stato differente, inoltre la giornata era un misto di nuvole con un sole pallido che si palesava ad intermittenza. Non mi è dato sapere a questo punto se fosse a causa della meteorologia che la PAN ha volato con soli 4 aerei ma era la festa dell'AMX e quindi ho deciso di dedicare questo spazio a lui, per quanto mi è stato possibile, vista la mia posizione alquanto disagiata. Oltre a qualche passaggio dedicato in esclusiva ai 5 AMX, ce ne sono stati un paio in parata, con i quattro aerei della PAN e con i successori dell'AMX stesso, un Tornado, un Eurofighter e un F35 L’Aeronautica Militare ha voluto celebrare questa giornata con un aereo commemorativo per l’evento del phase-out come si usa chiamare in gergo tecnico questa fase e non poteva mancare la versione con una livrea speciale. Sulla deriva sono presenti un pilota che saluta al fregio avvolto dal tricolore, elementi che contraddistinguono l’#AeronauticaMilitare, e la frase “Volatus ad astra, memoria in aeternum”. Dietro la cabina di pilotaggio, sulla fusoliera, sono raffigurati una bussola e un mondo stilizzato a rappresentare il contributo nelle missioni dentro e fuori dai confini nazionali. Infine, sul muso troviamo l’araldica della Forza Armata. Per tutta la manifestazione non c'è stato il ritmo frenetico di un airshow e del resto non lo era! Infine un ultimo passaggio in parata per la pattuglia AMX e poi l'atterraggio. A volare per l'ultima volta sull'AMX anche il Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Generale di Squadra Aerea Luca Goretti e il Comandante del 51° Stormo Emanuele Chiadroni (il quinto della fila) Alla cerimonia d'addio hanno preso parte oltre diecimila persone e, come affermato dal Generale Goretti, dopo 35 anni di onorato servizio, può ora "godersi la pensione".
    13 punti
  5. Immagini di un viaggio in Norvegia a metà settembre 2023. Cosa dovrebbe colpire maggiormente l'estremo Nord se non la luce, anzi le luci. Per gli antichi abitanti del Nord, le luci di queste terre sono intrise di magia mistica. Immagino le sensazioni che poteva provocare l'aurora polare mille anni fa. Anche oggi, nonostante le spiegazioni scientifiche, continua ad affascinare. Qui, tra montagne aspre e maestose, laghi specchianti, fiordi profondi e tutte le tonalità di verde, i sensi si acuiscono, favorendo la contemplazione ed un approccio fotografico più meditativo.
    12 punti
  6. Era da un po' di tempo che volevo capire cosa fosse meglio per la "mia" caccia vagante in valle e dunque li ho portati tutti e tre, il lungo (800mm f6,3) il corto (600mm f6,3) e il pacioccone (180-600mm f6,3) alla fine ho avuto conferma delle tre cose che avevo pensato in precedenza! 1) che conoscendomi avrei quasi sempre avuto in mano l'ottica sbagliata nel momento giusto! 2) che per la poca confidenza delle nostre specie l'obiettivo più lungo è il più adatto nella maggioranza dei casi 3) il 600mm f6,3 è un piacere da usare per la sua velocità di puntamento in ambienti particolari (barca) o angusti ma non ti da gli ingrandimenti dell'800mm 180-600 focale 380mm t1/2000 f6,3 ISO560 600mm f6,3 t1/2000 ISO 220 800mm f6,3 t1/2500 ISO 800 Purtroppo il difetto principale delle lenti di fresnel è lo sfocato duro ma sopratutto la dispersione della luce nei riflessi, ecco un esempio Tuttavia con la funzione sfocatura di Adobe Camera Raw si riesce ad attenuare molto l'effetto
    11 punti
  7. I Misteri di Trapani sono da 400 anni la celebrazione del Venerdì e del Sabato Santo che ripercorre gli eventi della Passione e Morte di Gesù Cristo. Le origini spagnole del rito, simillime a quelle andaluse, portano alla rappresentazione delle fasi della Via Crucis attraverso una processione cui partecipano le Confraternite religiose della città, ognuna legata a un ceto mercantile o artigianale, con 20 raffigurazioni scultoree (i Misteri) delle fasi della Passione, comprese alcune neppure citate nei Vangeli, come la Separazione dalla Madre, messa in scena dal ceto degli Orefici, che a Trapani ha tradizioni antichissime di potenza economica. I gruppi scultorei vengono portati in processione, uscendo il Venerdì Santo alle 14 dalla Chiesa delle Anime del Purgatorio, situata tra il porto ed il centro storico, e vi rientreranno il Sabato Santo dopo un giorno intero di processione attraverso la città, con le Maestranze delle Corporazioni di un tempo (abolite dai Borboni perchè all'origine dei Moti di indipendenza del 1820-21), oggi rinominate ceti. La caratteristica andatura ondivaga della processione (annacata) è accompagnata dalle marce funebri suonate da altrettanti gruppi musicali, alcuni davvero enormi, che accompagnano ognuna delle venti "vare" sulle quali svettano le raffigurazioni delle fasi della Passione di Cristo. Misteri TP 2024.mp4 Il capo dei portatori dà il tempo delle manovre attraverso uno strumento legato al polso, la "ciaccula" molto simile alle nacchere andaluse, per sollevare, abbassare la vara ed anche nelle manovre di girata più ardue, attraverso i vicoli del centro storico trapanese, molto simili ad un dedalo arabo. La partecipazione alla processione è ambitissima e coinvolge tantissimi bambini, oltre ai portatori che fanno parte delle singole Maestranze, di provenienza delle più varie, dai commercianti più fiorenti agli operai dei cantieri del porto ed ai lavoratori "a giornata". Oltre all'enorme numero di musicisti partecipanti ai gruppi musicali che accompagnano le vare: la loro musica è protagonista della trance mistica che in una celebrazione così lunga, pervade tutti i partecipanti e fedeli. L'impegno è solenne e durissimo, a causa delle condizioni atmosferiche pasquali delle più varie (ieri ed oggi soffiava scirocco a trenta nodi e 27 gradi) e per la durata immensa della processione che finisce più di 24 ore dopo il suo esordio. I visitatori vengono da tutto il mondo ed i fotografi sono tantissimi. Negli anni si sono alternati nomi notissimi della fotografia di reportage italiana e straniera, tra i più noti, Josif Koudelka, Franco Zecchin e Letizia Battaglia, Ferdinando Scianna e molti altri. Questa volta sono intervenuto per fotografare con i due 20mm per Nikon Z in mio possesso, il mio Nikkor ed il Viltrox di Mauro, accompagnati dal Nikkor Z 70-200/2,8 per i dettagli sui soggetti. Non sono rimasto per tutta la notte, ma sono ritornato al mattino presto, prima che le vare rientrassero in chiesa. E sono andato a fotografare alcuni tra i gruppi più venerati, tra i quali quello dell' Addolorata, che chiude sempre la processione, con la sua funebre veste addosso alla statua che, come molte delle altre, risale al 1700. Durissimo monito all' Umanità intera. Buona Pasqua a tutti ...! Max Aquila photo (C) per Nikonland 2024
    11 punti
  8. Nella mia zona, le copiose piogge di quest’inverno e il clima mite stanno favorendo delle straordinarie fioriture, come non se ne vedevano da parecchi anni. Oltre alle orchidee, immancabile soggetto di fine inverno è il dente di cane, Erythronium dens-canis, elegante fiore di bosco. Li trovo sul Baldo in un castagneto abbandonato a 800 metri sul livello del mare. Quest’anno ce n’erano migliaia ed erano sommersi dalle primule, assieme a tantissime epatiche e violette. Sono tutti scatti singoli, perché un’aria dispettosa non mi ha permesso di fare focus stacking. Alcune foto le ho fatte in MF perché l’AF con l’aria non riusciva ad agganciare il pistillo centrale. Ho passato un pomeriggio felice, come un bambino a Gardaland. Spero vi piacciano. Nikon Z7 e 2.8/105 MC S, F. 3,3, 1/800 sec., ISO 64 Nikon Z7 e 2.8/105 MC S, F. 3,5, 1/640 sec., ISO 64 Nikon Z7 e 2.8/105 MC S, F. 5,6, 1/160 sec., ISO 64 Nikon Z7 e 2.8/105 MC S, F. 4,5, 1/160 sec., ISO 64 Nikon Z7 e 2.8/105 MC S, F. 9, 1/125 sec., ISO 250 Nikon Z7 e 2.8/105 MC S, F. 3, 1/640 sec., ISO 64 Nikon Z7 e 2.8/105 MC S, F. 3,2, 1/125 sec., ISO 64 Nikon Z7 e 2.8/105 MC S, F. 3,2, 1/320 sec., ISO 64 Nikon Z7 e 2.8/105 MC S, F. 3,2, 1/2000 sec., ISO 64 Spuntato dentro un tronco. Nikon Z7 e 2.8/105 MC S, F. 3, 1/200 sec., ISO 64 Nikon Z7 e 2.8/105 MC S, F. 3,5, 1/500 sec., ISO 64 Nikon Z7 e 2.8/105 MC S, F. 3,2, 1/250 sec., ISO 64 Nikon Z7 e 2.8/105 MC S, F. 3,2, 1/200 sec., ISO 64 Nikon Z7 e 2.8/105 MC S, F. 3,2, 1/500 sec., ISO 64 DA EST Nikon Z7 e 2.8/105 MC S, F. 3,5, 1/640 sec., ISO 64 DA OVEST Nikon Z7 e 2.8/105 MC S, F. 3,2, 1/500 sec., ISO 64
    10 punti
  9. Se vi piace il nord... ISLANDA. Ghiaccio, fuoco, acqua e colori. (ma anche BN) Vi propongo una presentazione di immagini raccolte in questo magico paese. Sulla scia dei consigli di Riccardo (e del figlio!). Buona visione, ed ascolto. p.s. non vuole essere una promozione turistica, non mi pagano. non è una guida turistica, lonely planet le fa meglio. semplicemente è quello che mi ha colpito durante un viaggio, che, come tutti gli altri, è stato organizzato e gestito in autonomia. islanda 2010 short.mp4
    8 punti
  10. Il 17 marzo scorso assieme ad un amico (purtroppo non Nikonista), siamo andati a fotografare la corsa del “Treno del Sale”. Treno storico con partenza da Pisa ed arrivo presso la stazione di Saline di Volterra, dove era prevista una visita guidata e riservata ai soli viaggiatori del treno (oltre 490 persone) alle cave di salgemma. Le prime foto sono state fatte presso la stazione di Riparbella, dove era presente un’area di ristoro e una modesta esposizione di mezzi d’epoca. Altre immagini sono state effettuate in un tratto rettilineo prima dell’arrivo alla Stazione di Saline di Volterra. Il convoglio era trainato con una meravigliosa locomotiva 640-003 del 1907 invertita, al tempo destinata alla trazione dei treni viaggiatori veloci. Dopodiché, non potendo entrare nelle cave di salgemma, ci siamo diretti verso il suggestivo Comune di Peccioli (provincia di Pisa) dove si trovano quattro maestose sculture, alte da 5 a 9 metri, realizzate in polistirene, poliuretano espanso e rivestite di fibre di cemento resistente agli agenti esterni. Sono i Giganti di Peccioli, enormi strutture umanoidi realizzate dal gruppo “Naturaliter” nel 2011 e che simboleggiano la rinascita dai rifiuti. Due dei quattro giganti sono stati inseriti all’interno del Triangolo Verde in località Legoli (impianto di smaltimento rifiuti), trasformando un luogo associato alla distruzione in un’icona di rinascita. Le gigantesche sculture, raffiguranti figure umane note come “Presenze”, non solo decorano l’impianto, ma simboleggiano anche la trasformazione del luogo. . Il Triangolo Verde è un’area che va ben oltre la semplice definizione di discarica, tanto che viene definita un impianto di interramento controllato. Gestita con attenzione dall’azienda Belvedere SPA. Questa struttura si distingue per il suo approccio innovativo all’ambiente e alla sostenibilità. Infatti è una delle discariche più grandi della Toscana ed un avveniristico impianto di smaltimento e trattamento dei rifiuti che produce utili e non emana cattivi odori. Il “sistema” Peccioli, smaltendo, trattando e riciclando rifiuti è riuscito addirittura a ricavarne cultura. Questo luogo però non è soltanto un sito di smaltimento, è molto di più. Oggi, questa area si è trasformata in un vero e proprio centro polifunzionale, dove la creazione di energia pulita costituisce solo una parte del suo impatto positivo. Qui si tengono congressi, sfilate di moda, concerti all’interno di un anfiteatro incantevole e tanto altro ancora. . Un’altra statua è situata presso l’anfiteatro Fonte Mazzola, pensato come un teatro greco antico che ospita duemila persone, immerso nel verde delle colline circostanti. L’ultima statua è posta sul tetto di un edificio che ospita l’”Incubatore di Imprese”, lungo la strada provinciale “La Fila”, struttura che accoglie le aziende che puntano all'innovazione tecnologica, nonché uffici e servizi legati all'attività di laboratori di ricerca. La gestione è affidata in convenzione alla società di gestione dei rifiuti anzidetta Belvedere S.p.A.. Peccioli, comunque, non è solo conosciuto per i Giganti, ma anche per la bellezza del borgo, le opere che lo caratterizzano e la buona cucina. Ma questa è storia per un altro articolo. Tutte le immagini sono state scattate con una Nikon Z 8 con il 24-120/4 ed il 70-200/2,8 solo per quelle con il treno ripreso nel rettilineo prima della stazione di saline di Volterra.
    8 punti
  11. Pur essendo molto soddisfatto del mio sistema Godox, vedendo tanti fotografi nel circuito della Formula 1 usare il Profoto A10 mi sono deciso ad acquistarlo per usarlo quelle volte che mi servisse un solo punto luce però, come tutti sappiamo, l'appetito vien mangiando e mi sono chiesto, perchè non comprare un trigger per poter togliere il flash della fotocamera e variare l'illuminazione? Cominciata la caccia su Internet ho subito scartato i due modelli Profoto, il primo, "economico!!!" 150 euro faceva solamente scattare il lampo, il secondo "completo" costava oltre 400 euro! Se una luce può essere diversa da un'altra per distribuzione, temperatura colore o ripetitività di potenza di emissione, un telecomando rimane sempre un telecomando! E come sempre succede, arrivo in Cina dove trovo questo Aodelan E4, non un oggetto stiloso come l'ultimo trigger Profoto ma facile e chiaro da usare come i trigger Godox! Restava un unico problema, sulle specifiche non era scritto essere adatto a Profoto A10 e Nikon Z8/9 ma solo ai modelli precedenti, a questo punto è venuta in aiuto mamma Amazon che per la cifra di circa 70 euro me lo inviava a casa con la possibilità di reso. Il tutto funziona perfettamente tranne che per lo zoom automatico che all'inizio mi ha lasciato perplesso, poi dopo un sonno ristoratore ho pensato ad un attacco di demenza senile! A cosa serve lo zoom automatico se il flash è staccato dalla fotocamera?
    6 punti
  12. Il 13 aprile è partita alle 8.30 dal piazzale Michelangelo a Firenze, la terza edizione del Circuito Stradale del Mugello, secondo appuntamento del Campionato Italiano Grandi Eventi 2024, che si snoda fra il capoluogo fiorentino, il Chianti e si conclude il 14 aprile all’Autodromo del Mugello, dopo aver percorso parte del circuito storico. Anche quest’anno ho scelto le strade del Chianti per vedere il passaggio dei sessanta equipaggi che si sono dati battaglia a suon di cronometro per accaparrarsi la vittoria, che ha premiato l’equipaggio Alberto e Federico Riboldi su Fiat 508C del 1937 della Franciacorta Motori (foto seguenti). Quest’anno mi sono appostato fra due curve che tagliano i boschi prima di arrivare al Castello di Albola (splendida fattoria nei pressi di Radda in Chianti), dove iniziano i meravigliosi vigneti del Chianti Classico. L’edizione di quest’anno a mio modesto parere, mi è sembrata un po’ più povera rispetto agli anni scorsi, nonostante la presenza dei migliori regolaristi a livello nazionale. Quello che è mancato è il contorno di auto dei “gentleman driver” che si iscrivono, ma poi fanno solo passerella, tuttavia è stato sempre un passaggio di auto interessante da vedere. Di seguito posto le foto delle vetture più significative, tutte scattate con una Nikon Z 8 ed il 24-120/4. Fiat 514S del 1930 – Fontanella Gian Mario/Covelli Annamaria – 6° classificati Fiat 514S del 1930 – Fontanella Gian Mario/Covelli Annamaria – 6° classificati Fiat 508C del 1938 – Passanante Mario/Molgora Alessandro – 2° classificati Lancia Ardea del 1941 – Moceri Giovanni/Dicembre Valeria - 4° classificati Lancia Ardea del 1941 – Moceri Giovanni/Dicembre Valeria - 4° classificati Lancia Lambda Spider Casaro del 1928 – Beccalossi Carlo/Marchionni Marzia Lancia Lambda Spider Casaro del 1928 – Beccalossi Carlo/Marchionni Marzia Lancia Lambda Spider Casaro del 1929 – Sisti Sergio/Gualandi Anna – 8° classificati Lancia Lambda Spider Casaro del 1929 – Sisti Sergio/Gualandi Anna – 8° classificati Bugatti T. 37 del 1929 – Miatto Roberto/Borchia David Bugatti T. 37 del 1929 – Miatto Roberto/Borchia David Fiat 508C del 1937 – Crugnola Roberto/Mentasti Annalisa 3° classificati Fiat 508C del 1937 – Crugnola Roberto/Mentasti Annalisa 3° classificati Fiat Balilla Spider Sport 508S “Coppa d’Oro” del 1933 auto già presente nel 2022 con un equipaggio femminile (Bussolati/Rotundo) e quest’anno, portata in gara da due maschietti di cui non si conoscono le generalità, in quanto non trasmesse negli elenchi forniti dall’organizzazione e neppure presenti fra i classificati. Fiat Balilla Spider Sport 508S “Coppa d’Oro” del 1933 Fiat 1100/103 del 1953 – Lui Luciano/Pizzi Paolo Alfa Romeo Giulietta Spider del 1957 – Soldo Giovanni/Messina Sabrina Morris Cooper S del 1968 – Pighi Giovanni/Cocca Anita Porsche 356 A Speedster del 1956 – Virdis Alessandro/Giordo Silvia Fiat 1300 del 1963 – Tattini Alberto/Sciolti Rossella Porsche 356 C del 1964 – Lambruschini Giorgio/Mancini Alessandro Innocenti Mini Cooper del 1973 – Converso Dario/Ameglio Federica Lancia Aurelia B20 GT del 1954 – Axel P. e Tatjana Assmus Lancia Lambda del 1928 – Massimo e Lapo Ermini – vincitore della Coppa Gentleman Fiat 508C del 1937 – Zanasi Massimo/Corneliani Corrado – 7° classificati BMW 328 del 1939 – John e Julie Herlihy BMW 328 del 1939 – John e Julie Herlihy Alfa Romeo 1900 CSS Touring del 1954 – Rogiers Raf/Reekmans Kurt Ford Anglia del 1962 – Aiello Alessandro/Buccioni Elisa Ferrari 250 Testa Rossa del 1958 – Paul e Olivier Schouwenburg Ferrari 250 Testa Rossa del 1958 – Paul e Olivier Schouwenburg Austin Healey 100/4 BN2 del 1956 – Chiarini Maurizio/Vancini Roberto Fiat 124 Sport Spider del 1972 – Paoli Stefano/Ricci Alessandro Fiat 124 Sport Spider del 1972 – Paoli Stefano/Ricci Alessandro Porsche 356C del 1964 – Ratti Michele/Lastrucci Gianpaolo Porsche 924 Turbo del 1983 – Notaras Polykarpos/Christopoulus Petros Ferrari 308 GTS del 1984 – Paolo e Francesco Prandini Steyr Puch 650 T del 1962 – Giacinti Roberto/Campatelli Serena Ferrari 208 GTS Turbo (1988) – Castello Aldo/Pascal Maria Teresa Di seguito ci sono le vetture nuove o seminuove che partecipano al "Tributo Circuito Stradale del Mugello". Porsche Carrera 4S del 1996 – Vania Parolaro e Ornella Pietropaolo – Vincitrici della Coppa delle Dame Ferrari 488 GTB del 2017 – Vergamini Fabio/Fabrizi Lisa – 2° classificati Ferrari 488 GTB del 2017 – Vergamini Fabio/Fabrizi Lisa – 2° classificati Ferrari 812 Superfast del 2018 – Mozzi Giordano/Giusti Marco – 1° classificati Ferrari 812 Superfast del 2018 – Mozzi Giordano/Giusti Marco – 1° classificati Porsche 911 Dakar del 2023 – Medaer Raf/Jans Anne-Mieke Ferrari F12 del 2013 – Eitel e Lorenzo Monaco – Vincitori della coppa Media del Tributo Ferrari 296 GTB del 2023 – Binder Frank/Van Zeujlen Bastaan – Primi fra gli equipaggi stranieri Ferrari 458 S del 2015 – Mancinelli Graziano/Barbieri Silvia Claudia Porsche 718 Spider del 2021 – Eichhorn Einz Jurgen/Wirth Michael Adesso non resta che attendere la prossima edizione della Mille Miglia Storica prevista per la metà di giugno, dove i partecipanti saranno molto più numerosi e con una notevole varietà di auto interessantissime.
    5 punti
  13. quando si parla di tempo matto...al mattino clima estivo al pomeriggio spunta pure la neve.....
    5 punti
  14. Benjamin Britten quarantenne ritratto dal grandissimo Yousuf Karsh nel 1954. Si può amare oppure detestare. Credo sia difficile mettersi su posizioni mediane, oppure semplicemente trascurarlo. La sua importanza musicale è indubbia, di fondo è il più grande compositore inglese dopo Purcell (ma forse più grande di Purcell, con le dovute, evidenti differenze). Con buona pace dei tanti Elgar, Vaughan Williams, Walton & co. che hanno popolato il "rinascimento" musicale britannico di inizio XX secolo. I suoi lavori sono di indole introversa ma caratterizzati da episodiche esplosioni di pura potenza, simili a tempeste o deflagrazioni cosmiche. Eclettico, profondissimo - tra i massimi - conoscitori delle qualità cromatiche e coloristiche di ogni singolo strumento musicale, maestro dell'orchestrazione, del colore, degli accostamenti tonali ma al limite dell'atonale. Sarebbe potuto essere anche un grande stilista o un pittore ma sempre in bilico tra realismo assoluto ed accennato surrealismo. Estremo interprete delle pulsioni del secolo breve, senza indugiare troppo nello stucchevole narcisismo del linguaggio fuori dal mondo proposto dalla Seconda Scuola di Vienna ma nemmeno nell'eccessiva zuccherosa e autoindulgente nostalgia del perduto impero dei tardo-romantici compositori britannici della sua era. Benjamin e Peter, legati per tutta la vita Io non conosco e non amo particolarmente le sue composizioni operistiche e trovo ostiche certe sue pagine che però sono comunque somme in termini di pura scrittura musicale. Il suo travaglio personale traspare spesso, anche al di là delle influenze storiche (in primo luogo l'orrore per la guerra e i totalitarismi). Ancora di più le grandi amicizie musicali e di vita, oltre a Peter Pears, con Rostropovich, con Richter, grazie ad una naturale affabilità e bonarietà d'animo. Ottimo pianista, specie come accompagnatore, fine direttore d'orchestra, coltissimo. In vita inviso da molti colleghi e critici per le sue qualità compositive senza pari e perché troppo disinvolto cosmopolita, poco "inglese". In età matura scrisse musica complicata e abbastanza indigesta, io tendo a preferire le composizioni giovanili. Dichiarò più avanti che avrebbe potuto usare un linguaggio più difficile ma che questo avrebbe reso la sua musica non fruibile dalla maggior parte degli appassionati di musica mentre il suo obiettivo era farsi ascoltare. 1 Confesso che come tanti altri, l'ho conosciuto grazie alle proposte del grande Leonard Bernstein, specie nella bellissima "The young person's guide to the orchestra", ascoltata già alle scuole medie, insieme al solito "Pierino e il lupo". Al di là della sua destinazione "culturale" per giovani ascoltatori, le qualità di questa composizione sono inarrivabili. Per la profondità delle variazioni al servizio dell'orchestrazione che mette in luce tutti gli strumenti. la troviamo in questo sensazionale disco del 1961 con Bernstein anche nella sua felice e normale vita a New York, con la NY Philarmonic. Dal primo tema di Purcell alla fuga finale qui abbiamo la voce di un ragazzino che spiega l'ingresso degli strumenti ma sotto c'è tutta la consumata abilità di Bernstein che certo aveva grande ammirazione per il collega inglese. Ogni sezione dell'orchestra è valorizzata, anche negli strumenti più inusuali. Ma traspare l'amore per l'arpa e per le percussioni. Il bello dell'interpretazione è la doppia lettura, compositiva - e qui si sente tutto il Bernstein - nelle variazioni organizzate in prima lettura, fino alla fuga. E quindi nella versione divulgativa con lo speaker. Ma questo disco contiene anche una prima versione - molto tersa e diretta -dei fantastici Four Sea Interludes dal Peter Grimes. Bernstein li riprenderà a fine carriera, nel suo lancinante ultimo concerto con la Boston Symphony del 1991 con un accostamento coloristico estremo con la 7a di Beethoven. Altrettanto immancabile è la Passacaglia, sempre dal Peter Grimes. Insomma, un primo disco imperdibile che associa pagine orecchiabili ad altre meno dirette ma non meno interessanti. La registrazione è eccezionale con livelli di bassi e dinamiche straordinarie. Di ascolto più complicato, la tarda Suite on English Folk Tunes, Op. 90 che completa il disco. 2 anche se in questo cofanetto Britten è direttore e pianista, non è possibile arrivare a capirne la maestria, senza conoscerlo. Ci sono pagine sensazionali in queste 31 ore di grande musica. A cominciare da una umanistica e dolora Johannes Passion tradotta in inglese da Imogen Holst e Peter Pears (1972). C'è l'amatissimo NH Mr. Henry Purcell con The Fairy Queen (anche qui con l'intervento culturale della figlia di Holst e di Peter Pears). C'é il meraviglioso Mozart, con lui solista, con Richter e quello indimenticabile con Clifford Curzon. La Fantasia D940 di Schubert, con Richter. L'Arpeggione con Slava Rostropovich. E sempre con Slava, la sonata di Shostakovich. Benjamin, Peter e Dimitri ad Aldenburgh per il festival musical patrocinato da Britten (1966) 3 Tornando al compositore Britten, adoro questo disco Chandos anche se contiene solo le Variazioni su un tema di Frank Bridge, composizione giovanile dedicata al suo professore e mentore, morto durante il suo viaggio negli Stati Uniti sullo scoppiare della guerra. E' musica per archi ma qui il compositore dimostra già una consumata abilità di orchestrazione e riesce con le sole voci delle sezioni di archi a costruire architetture contrappuntistiche complesse, come dimostrato nella Fuga Finale. Attenzione, la scrittura di Britten non ha nulla a che vedere con il modello Mozart, non c'è niente di classico. Le radici arrivano piuttosto da Tallis e Purcell - in questo c'è una inglesità simile a quella mostrata da Debussy per i compositori francesi classici - fusa con le strutture moderne di Mahler e Berg e i colori di Strawinsky. Un impasto originale, difficile da decifrare ma onestamente affascinante, a mio gusto. 4 ma naturalmente tutta la musica di Britten si trova, con l'autore sul podio in una serie di cofanetti editi da Decca. Il Vol. 4, per esempio, comincia con il concerto per pianoforte Op. 10 interpretato da Richter con Britten che dirige, per l'appunto, la English Chamber Orchestra. Sono registrazioni effettuate tra il 1954 - inizio dell'era stereofonica - fino al 1976, morte di Britten. Possono essere considerate le edizioni "autentiche" ma non per questo sempre esaustive. Segnalo tra le cose curiose, le Diversioni per pianoforte (mano sinistra) Op. 21 con il grande Julius Katchen questo singolo contiene la celebre registrazione dei due concerti di Britten (mi ricordo quando lo comprai, tanti anni fa e altrettanto questo, appena passato in digitale sul "nuovo" CD (nuovo per gli anni '80) come questo, con le edizioni di riferimento delle suite per violoncello con Rostropovich 5 i quartetti di Britten compongono un mondo tutto loro. Aggiungerei anche il fanciullesco e schubertiano primo lavoro, senza numero d'opera, ma i 3 catalogati coprono tutta la parabola compositiva dalla giovinezza all'ultimo periodo, con il 3° composto pochi mesi prima di morire. Ascoltarli e come fare un viaggio per il novecento, dagli anni della speranza fino a quelli dell'oscurità della guerra fredda. Qui ho scelto l'edizione del Takacs Quartet per la registrazione bellissima di hyperìon. Ma amo molto anche quella più fredda e apollinea del Belcea che oltre ai quartetti contiene anche i 3 divertimenti. Sono composizioni che oscillano a tratti tra Purcell e Haydn e la frase dopo, volano verso Bartok e Shostakovich. Trascurando tutto quello che c'è stato in mezzo. 6 ritengo il concerto per violino di Britten tra le pagine più belle scritte in questa struttura, non solo nel XX secolo. Tra le tante edizioni disponibili, quella che mi appassiona di più è l'edizione con Paavo Jarvi alla testa della LSO che accompagna la straordinaria Janine Jansen. Ma ci sono tante altre versioni interessanti, da quella di Vilde Frang alla recentissima di Isabelle Faust. E non escluderei quella all-british con Tasmin Little e la BBC Philarmonic diretta da Edward Gardner, pratocinata da BBC Radio e con Howard Shelley che suona il concerto per pianoforte il suono Chandos vale sempre il prezzo del "biglietto". 7 Ho citato il disco per violoncello DECCA con Rostropovich ma ci sono tanti dischi moderni molto interessanti. Questo del grande Truls Mork ci regala una registrazione "lavish" della sonata per violoncello op. 65 unendola a letture bellissime delle sonate di Debussy e di Frank Bridge mentre un altro disco magistrale e molto british è l'integrale delle suites con Jamie Walton per Signum Records. La registrazione è eccezionale, l'interpretazione chiarissima, tersa, essenziale. Bellissima (anche se la musica è complicatissima da seguire). 8 non vorrei assolutamente dimentica questo disco, altrettanto british, ancora Chandos, che qui cito per la bellissima e leggera Simple Symphony. E' l'Op. 4 del catalogo e questo ce le dichiara come giovanile, giustamente inserita insieme ad una bella e chiara versione delle variazioni coeve su un tema di Frank Bridge. Completa il disco un oscuro preludio e fuga Op. 29. Nove minuti e mezzo di assonanze e dissonanze a metà tra il tonale e l'atonale, contrappuntisticamente però ineccepibili. 9 le radici tardo rinascimentali inglesi (e quindi italiane) nella musica vocale di Britten sono fuse con la visione coloristica contemporanea anche quando hanno tematiche religiose. A Ceremony of Carlos unisce virtuosismi corali al suono delicato dell'arpa. L'impasto è bellissimo, specie in questa edizione dei The Sixteen. 10 Io credo che la sonorità particolare della voce e la sensibilità di Ian Bostridge sarebbero piaciute a Sir Benjamin Britten. In questo disco che contiene la serenata per Tenore, corno e archi, è accompagnato da Sir Simon Rattle. Il disco EMI/Warner è completato dalla più giovanile Les Illuminations e dal notturno crepuscolare Op. 60 e ci offre il modo di uscire da un circolo che sarebbe potuto continuare ancora più a lungo con altre letture ed interpretazioni di musica raffinata, colta, originale, irripetibile. Non per tutti i palati. Non era questo lo scopo di Britten, ma per chi lo riuscisse ad intendere, si.
    2 punti
  15. Si sa che io non sono un grandissimo appassionato della musica del primo romanticismo e che Chopin e Liszt, in linea di massima, mi sono antipatici. Questione di gusto musicale, preferisco la musica precedente e quella seguente e di retaggio. Ai miei tempi sembrava che esistesse solo Chopin, quello più sdolcinato, iper-romantico, crepuscolare. Che a me è andato subito a noia, preferendogli Bach o Brahms, oltre al più eroico Beethoven. Però naturalmente se non proprio tutto, ho ascoltato a lungo la musica di Chopin, ho riso come un matto - anche in concerto - alle trovate banali dei due concerti per pianoforte. Mi sono soffermato sull'interpretazione di studi e preludi. "Quasi" quanto per le migliori pagine di Rachmaninoff o Scriabin che invece apprezzo (specialmente il primo, e, dell'ultimo, le prime composizioni). Con questo articolo voglio approfittare dell'uscita dell'eccellente disco Decca con gli Etudes proposti dal nuovo enfant prodige Yunchan Lim per parlarne e fare ammenda. Cercando anche confronto con le altre proposte precedenti, almeno quelle per me più significative. Due parole sulle due raccolte. In parte pagine giovanili - i primi Etudes dell'Op. 10 - in parte più tarde, sono composizioni-manifesto in quanto si elevano dalla dimensione di musica scolastica destinata allo "studio" alla Czerny o alla Clementi. Perché in definitiva descrivono l'architettura della rivoluzione pianistica apportata da Chopin e poi ripresa dai tardi russi alla fine del secolo. Da cui di fatto non si è più tornati indietro. Entrambe le composizioni sono state dedicate all'amico Liszt che, almeno per l'Op. 10 le ha portate orgogliosamente in concerto. I "sottotitoli" o "nomignoli" sono stati aggiunti successivamente dagli editori o da altri pianisti, cavalcando la grande popolarità di queste pagine, tra le più eseguite e celebri di Chopin. Probabilmente più dei Preludes, Nocturnes, Ballades e C. Sono composizioni slegate tra loro che presentano vari livelli di difficoltà. Non trascendenti ma abbastanza da essere considerati impegnativi da portare per intero in concerto, almeno fino agli inizi del secolo scorso. Poi abbiamo avuto pianisti eccezionali come Cortot che l'hanno fatto, dando l'apertura agli interpreti di tempi più vicini a noi. Generalmente le due raccolte vengono registrate insieme in disco mentre una terza raccolta ancora più slegata, viene eseguita più raramente. Gli esempi a nostra disposizione sono tanti, di pianisti di livello ed autorevolezza diversi. Cavallo di battaglia per alcuni, alla ricerca di notorietà per altri. Coronamento di maturità per altri ancora. Ci sarebbe modo di parlare di ognuno in dettaglio ma io non ho abbastanza nozioni per farlo. Non è il mio pane e quindi non casco nel tranello. Vado invece a presentare i miei "campioni" per parlare delle loro interpretazioni, pregando gli interessati, già a conoscenza - i più forse - di queste proposte, di aggiungere la loro. Gli altri, di approfondire se lo gradiranno. L'ascolto è piacevole ma comunque impegnativo, in disco le due raccolte occupano 24 tracce, per circa un'ora, almeno nell'ultima lettura. Non sono i due volumi del Clavicembalo ben Temperato che richiedono ben altra tenuta. Nè i preludi e fuga di Shostakovich o il Ludus Tonalis di Hindemith. E' musica complessa sul piano esecutivo ma orecchiabile per tutti. Motivo per cui è forse l'ultima delle mie scelte quando ascolto musica per puro piacere e svago ... (?). Sono cresciuto con questo disco, comprato in LP da Ricordi a Milano quando ero ancora alle superiori. E' il Pollini impegnato politicamente, quello eroico degli anni '70. Mi dicono che la sua interpretazione del 1960 sia superiore. Ma non l'ho mai ascoltata e Pollini non l'ha autorizzata finché ha potuto. Esiste, mi pare, in una sorta di bootleg ma non so dire di che qualità sia sul piano della ripresa (parliamo dei tempi della vittoria al premio Chopin di Varsavia). Il suono è quello secco - formato CD - della casa gialla di quel periodo. Ma meno peggio di altre (microfoni vicini alle corde e riverberi a gogo). La durata complessiva è di 55 minuti (1972) dello stesso periodo é la lettura impetuosa di Vladimir Ashkenazy quando era tra i maggiori pianisti della sua generazione al mondo, eclissando sul piano discografico colossi come Richter, Horowitz e Gilels. La durata è di un'ora e 2 minuti. Il suono è un pò più caldo ed avvolgente di quello DG, non è il massimo della Decca ma si può ascoltare bene in questa rimasterizzazione in 192/24. Murray Perahia ne ha dato lettura già con la CBS, oggi Sony Classical. Il suono - qui in formato CD - è più pianistico delle due versioni Decca/DG, più avvolgente e caldo e asseconda la maestosa lettura, in uno dei tanti gloriosi momenti di uno dei miei pianisti preferiti di tutti i tempi che ho - stranamente - scoperto solo dopo averlo sentito dal vivo al Conservatorio di Milano, una trentina di anni fa. La durata di un'ora e 16 minuti ci informa di cosa siano per Perahia queste pagine. Tutt'altro che banali veicoli di fama. (2002) andando a tempi più moderni abbiamo l'edizione per Erato del giovane, allora, Nikolai Lugansky che dopo aver proposto un Rachmaninoff abbagliante, verso i ventisette anni, affrontava nel solco della tradizione di Neuhas/Gilels/Richter/Nikolayeva gli Etudes di Chopin. Siamo ancora in formato CD, il suono è pulito e terso. Lui è spettacolare nel gettare "il cuore oltre l'ostacolo" è nel suo periodo migliore, secondo me, e anche quando mette l'atletica oltre il sentimento è splendido. Siamo a un'ora e 5 minuti in tempi più recenti, il fenomeno Youtube Valentina Lisitsa viene invitata da Decca - oggi è ostracizzata perché considerata, pur cittadina americana, filoputiniana - a registrare i suoi cavalli di battaglia. E oltre al "solito" Rachmaninov lei riunisce in questo album gli studi di Chopin e di Schumann. L'unione del colto poeta tedesco con il rivoluzionario esule polacco è accettabile sul piano storico, meno, secondo me, sul piano stilistico. Chopin è un precursore di un mondo nuovo, Schumann è un figlio ribelle di Beethoven che trova nella follia un senso alla morte del padre. Comunque sembrerà eretico metterla con gli altri ma in fondo la sua lettura non è male, se non per intero ci sono momenti elevati. Il suono è secco ma ci aiuta la ripresa digitale e il master in 96/24 arriviamo al fenomeno Yunchan Lim, ancora con Decca, qui in un sontuoso 192/24 molto ravvicinato ma non doloroso - un altro mondo rispetto al disco della Lisitsa, là abbiamo un pianoforte sul palco, qui siamo tra i trefoli delle corde ! - la sua lettura, molto libera nei tempi dura circa 58 minuti. Ed è certamente la più matura di tutte in relazione all'età dell'interprete. Volendo dovrebbe essere la sua, quella vincente, parlo di età, considerando che l'Op. 10 per Chopin è stata pensata e confezionata nei primissimi anni di attività compositiva e concertistica. Ho già messo le mani avanti dicendo che non sono attrezzato sul piano tecnico ed interpretativo per approfondire ogni singolo studio e la sua lettura da parte dei singoli pianisti che ho selezionato. Ma per descriverne complessivamente la lettura - senza critica - si. Trovo Pollini ancora oggi nel suo periodo di grazia di quegli anni, più eroico e "umano" del successivo, specie quello ascetico del post-Abbado. La mia familiarità con il suo disco probabilmente mi trae in inganno ma mi piace ancora oggi la chiarezza del suono, la dizione separata ed udibile dello sviluppo armonico, rispetto all'arpeggio. La dinamica e la ritmica che nel mio immaginario lo avvicina a quello che poteva essere Chopin dal vivo. Il suono è chiaro, con piena assonanza tra il suo pianismo e il sound engineer. Brillante e un pò narcisistico l'Ashkenazy del 1975, tutto compiaciuto del suo di suono. Morbido anche nei momenti "rivoluzionari", pesta come un fabbro senza darlo apparentemente a vedere. Il suono è in primo piano, squillante, rispetto a Pollini le due mani sono più fuse tra loro. Istrionico ma elegante. Più vicino a Schubert e al Beethoven intimistico, anche o soprattutto allo Schumann casalingo, questo Chopin di Perahia. Il suono è bosendorfeggiante, caldo, poetico. Le due mani suonano insieme e i suoni che producono danzano nell'aria. C'è tanta dinamica ma non è fatta per stupire. Sono bellissime le crome che si inseguono nell'aria (in questo momento sto ascoltando il 7/10 e non c'è virtuosismo che tenga in confronto all'eleganza di questo modo di suonare). Il tutto dura ben venti minuti in più dei due precedenti. Sarà un difetto o un pregio ? Il Lungansky del 2000 è elegante, virile - direi proprio maschio - estroverso, nonostante la proverbiale introversione del pianista, le due mani qui si inseguono e si rubano le note una con l'altra. Non c'è un momento in cui pare che l'abbia presa troppo di petto, del resto il tempo complessivo è più vicino a quello di Perahia che a quello di Pollini. La Rivoluzione del 12/10 non sembra ancora scoppiata, oppure è solo il riverbero di qualche cosa di vissuto direttamente e non dall'estero ... Questo disco è stato criticato dagli editori di Gramophone, modestamente io non mi sento di condividere quel pensiero. Tanto è personale questa lettura, pur rimanendo classica. Valentina ce la mette tutta. Non vuole necessariamente esagerare e secondo me è molto brava. Però non è omogenea e quando é necessario trovare spazio in pause che non ci sono nella partitura va un pò in crisi. Appartiene ad un'altra era ma forse è anche il tocco femminile che rende differente la sua palette. Io però non la sottovaluto. Mi piace. Finiamo con il nuovo genio che ci da dentro fini dalle prime ottave. Vladimir (Horowitz) gli fa un baffo, l'1/10 è sorprendente ma il 10/25 va oltre l'umano. C'è però troppo riverbero, troppo pedale di risonanza (una cosa che per me, cembalista/organista andrebbe abolita ... o limitata per regola alla Gould), troppo fragore. Troppo Liszt. La sua è una esibizione sopra le righe. Fantastica e tecnicamente inarrivabile. Ma sinceramente ci sono dei momenti che mi pare che ... non sappia più cosa dire. Per carità, mica fa schifo. Anzi. Però mi piacerebbe esserci per risentirlo quando avrà quarantanni (a differenza di Lugansky che, adesso che ne ha 50, mi piace di più in Wagner e Franck rispetto a Rachmaninov e Chopin). Ecco ho già abusato del vostro tempo abbastanza. Ma tanto dovevo a me stesso, a queste pagine. A mio padre che tanto amava Chopin (quanto io lo detestavo ed insistevo a studiare Bach e Frescobaldi).
    2 punti
  16. Oggi voglio parlarvi di uno strumento molto utile per chi cerca un effetto scenico senza doversi portare appresso macchine pesanti ingombranti o addirittura ghiaccio secco. Una mini macchina del fumo, ma mini solo in dimensioni. Ha le dimensioni di una bomboletta per capelli ma un sacco di potenziale, la danno a 30W di potenza, c'è anche un modello da 40W che a mio parere non ne giustifica il sovrapprezzo e le sovradimensioni. Semplicemente a batteria portatile con la sua custodia semirigida piena di accessori, tubi telecomando e 6 boccette di fluido da 12ml ...eh sì avete letto bene, un flacone di collirio che produce tantissimo fumo. Così se prima avere la nebbia od il fumo richiedevano di portarsi dietro kg di attrezzatura adesso potete potenzialmente usarlo ovunque. Ho fatto qualche prova rapida in studio.. perdonate l'approssimazione delle foto che non sono still Life ma solo prove al volo.. vedremo sul campo come si comporterà e se avrà dei limiti operativi che fino ad ora non ho rilevato, molto più rapida di una macchina del fumo praticamente istantanea, e non richiede ghiaccio secco per creare la nebbia bassa.
    2 punti
  17. Sergei Rachmaninoff, musica per due pianoforti Sergei Babayan, Daniil Trifonov, pianoforte Deutsche Grammophon 29 marzo 2024, formato 96/24, via Qobuz *** Questo disco chiude l'anno delle celebrazioni del centocinquantenario della nascita di Sergei Rachmaninov. E lo fa nella maniera più sontuosa, completando le recenti incisioni di Trifonov, sempre per DG, con un disco che inserisco subito e di diritto tra i capolavori assoluti della discografia. Ogni dettaglio di questa registrazione, ripresa dal vivo nel corso di un concerto tenutosi a Vienna lo scorso agosto 2023, trascende la produzione corrente. Anche le immagini, elaborate, concorrono a rendere il leitmotiv, più sublime. E' una performance che trascende l'amicizia tra il mentore e il suo successore. Nelle note si fa riferimento ai travagli dell'autore dopo la morte di due figure per lui fondamentali nella sua formazione di artista. Quella di Nicolai Rubinstein e poi quella di Piotr Chaikovsky. Le due suite per due pianoforti sono composizioni relativamente giovanili (Op. 5 e Op. 17), in un certo modo leggere ma comunque influenzate dai due musicisti passati. Hanno radici folkloristiche, temi di danza, atmosfere vicine al balletto e all'opera. Quello che segue per Rachmaninov è un periodo cupo, intriso di depressione, certo non aiutato dal periodo politico travagliato della sua madrepatria sull'orlo della rivoluzione. Dopo l'insuccesso della prima sinfonia, ritorna al pianoforte e ottiene le conferme che cerca con i due concerti più famosi. Ma la sua poetica artistica è differente, come sa chiunque conosca bene questo compositore che voleva esprimersi sinfonicamente. In questo sta l'originale scelta del nostro Daniil di iniziare il concerto con una sua trascrizione dell'adagio della meravigliosa seconda sinfonia di Rachmaninov (per chi non la conosce : vergogna !). Cui seguono le due suite, selezionate in ordine inverso. Più musicale la seconda, ben più virtuosistica la prima. Il disco - e il concerto - si concludono con l'ultimo capolavoro, composto nel 1940 a New York, pensato per orchestra ma trascritto dallo stesso Rachmaninov per se stesso, nella forma per due pianoforti. Questa è la sintesi di tutta la parabola del compositore, con citazioni delle prime composizioni, toni secchi, drammatici, temi elaborati inframezzati da frammenti ripetuti. Con il già impiegato richiamo al motivo del Dies Irae, già presente nell'opera di Rachmaninov. Conoscevo già nota per nota tutta la musica di questo disco ma ammetto che non l'avevo mai sentita con questa dinamica, forza, passione. Ben più di quanto lo stesso Trifinov, spesso un pò troppo innamorato del riflesso del suo sudore sul leggio del suo pianoforte, ci abbia dato nelle ultime registrazioni, spesso un filo narcisistiche e celebrali. Complice una registrazione con una dinamica lasciata libera di sparare ai bassi tutta la potenza di due pianoforti registrati alla perfezione. Quello che abbiamo è una pietra miliare dell'interpretazione, insieme ad una delle più belle prove di amicizia che due uomini - prima - due musicisti poi, possono dimostrare ad un pubblico (pagante) come noi. Con i miei complimenti ed infinita riconoscenza.
    1 punto
  18. Un breve viaggio in Albania approfittando del Carnevale Ambrosiano 2023. Abbiamo vistato: Berat, uno dei pochi castelli ancora abitati in Europa, Kruje l'antica capitale, Durazzo, decisamente snaturata dal ruolo di concorrente delle pugliesi e Tirana. Ero stato in Albania, per un viaggio di lavoro, circa 25 anni fa, naturalmente ho trovato grandi mutamenti dal punto di vista della qualità della vita e dell'architettura, il popolo albanese è rimasto gentile ed accogliente, ho notato una ritrosia a parlare in italiano (lingua molto conosciuta) e una preferenza per l'inglese. Ecco la città di Berat:
    1 punto
  19. Rachmaninoff : Sinfonia n. 2 London Symphony Orchestra diretta da Sir Simon Rattle Concerto dal vivo del febbraio 2021 Registrazione in formato DSD, disponibile in 96/24. Acquisto da Qobuz *** Abbiamo un'immagine di Rachmaninov "drogata" dal cinema e dalla sua "seconda vita" americana. Fuggito di notte su una slitta per scampare ai bolscevici (cosa che non riuscì allo Zar), dovette abbandonare tutti i suoi cospicui beni. Compreso il suo retaggio precedente, per ricostruirsi una carriera - e un patrimonio - come concertista/autore negli Stati Uniti, accettando di esibirsi in programmi popolari. Ma il suo era un passato da sinfonista su cui riponeva grandi aspettative. Purtroppo frustrate sul nascere dalla critica che lo vedeva come un dinosauro per gli standard di inizio '900, sia per l'Europa Occidentale che per la scuola russa. Non aveva infatti nulla a che spartire con le avanguardie russe, né con la tradizione nazionale. Di li a poco sarebbe arrivato Shostakovich a scompaginare il mondo. Ma già ad ovest lo avevano fatto Mahler e Strauss. Il sinfonismo di Rachmaninov non somiglia nemmeno a quello di Chaikovsky che pure veniva tacciato di essere poco russo. Nella realtà il suo impasto orchestrale, il tessuto della sua musica, i colori e le tensioni sommesse che non sfociano mai in rutilanti (e sguaiate) fanfare come in Chaikovsky, ricordano più il tardo Schumann o il coevo Sibelius, senza però tutte le contorsioni del finnico. Chissà cosa avremmo avuto da un Rachmaninov maturo libero di cercare i suoi ideali anzichè pensare a mantenere la famiglia ! *** La London Symphony Orchestra ha spesso avuto in repertorio questa sinfonia. Io l'ho consigliata come riferimento nell'edizione diretta da André Previn ma c'è anche più di recente con Gergiev che però non mi pare che colga del tutto lo spirito di questa musica. Che è si drammatica ma stemperata da momenti lirici di puro sentimento, senza contrasti esagerati ma curando più l'impasto. Nella sua seconda giovinezza a Londra, Rattle ritorna agli antichi splendori per nitore e immediatezza. Qui dirige a memoria l'edizione integrale, non quella tagliata per alleggerire l'ascolto del pubblico (un problema di altre composizioni di Rachmaninov, sebbene non mi risulti che Rachmaninov ci sia ritornato oltre dopo i primi insuccessi) e la partitura prende vita. L'insieme è convincente e non c'è mai un momento debole. Le sonorità sono ben amalgamate e il risultato è un bel distillato chiaro e limpido che si chiude con un allegro vivace liberatorio. Io sinceramente ve la consiglio non solo per la prova della LSO con Rattle (che generalmente io non apprezzo, certamente mai nel suo periodo berlinese) ma per comprendere realmente chi e cosa sia il suo autore, al di là dei soliti clichet di quei maledetti due concerti per pianoforte. La registrazione ripresa in DSD ad altissima risoluzione è qui ben resa in tutta la sua possente dinamica. L'orchestra non si discute.
    1 punto
×
×
  • Crea Nuovo...