Musica classica : perché parliamo tanto di interpretazione ? - V : Le tendenze esecutive e scuole nazionali
Arriviamo così, finalmente, all'interpretazione, per così dire storica.
Nel composit ho voluto mettere cinque figure per me fondamentali ma ne avrei potute mettere tante altre, dello stesso peso nel nostro discorso, a prescindere dall'importanza dei singoli.
Dicevamo all'inizio di queste chiacchierate che l'interpretazione è sempre presente nell'esecuzione della musica.
Anche quando l'interprete è l'autore stesso che, a seconda delle situazioni, circostanze, epoche, può rendere la sua stessa musica diversa "dall'originale".
Ancora di più quando l'interprete è un altro e specie quando è temporalmente distante dall'autore della musica.
Sostanzialmente fino al periodo di Beethoven, la musica del passato era una cosa in mano a pochi appassionati, gli spartiti dimenticati in biblioteche pubbliche e private.
Le stampe disponibili, poche, consultate e studiate solo dai più colti musicisti e solo per la loro formazione.
Di fatto gli autori suonavo la loro musica, i dilettanti lo facevano nel chiuso dei saloni borghesi. La musica popolare era tramandata per tradizione orale.
Con il primo romanticismo, grazie soprattutto a Felix Mendelssohn nasce o rinasce l'interesse per il patrimonio musicale passato.
Con la riscoperta e riedizione di opere fondamentali, date al pubblico insieme ad opere contemporanee.
Ovviamente nell'interpretazione di tendenza, ovvero secondo una prassi che rendeva attuale quelle musiche, nella visione romantica.
Questo approccio è rimasto sostanzialmente immutato fino al '900.
In sostanza si valorizzavano i musicisti passati ma senza badare troppo all'aspetto filologico.
Anzi, attualizzandone la struttura musicale.
Filologia o tendenza di periodo ?
Estremizzando, possiamo immaginare - pensando ai due oratori di Mendelssohn, Saul e Paul - ad una Johannes Passion o ad una Messa in Si Minore di Bach eseguita con strumenti romantici, composizione dell'orchestra del periodo, con bassi raddoppiati e voci dimensionate in proporzione.
Tendenza che si è accresciuta nel periodo successivo sotto l'influenza della prassi wagneriana fino ad arrivare al gigantismo del '900.
Pensiamo a Passioni o Messe (solenni o meno) in formato bruckneriano (penso al Te Deum) o verdiano.
Provate ad ascoltare Karl Richter o certi altri direttori tedeschi fino agli anni '60.
Reinterpretazioni profonde che andavano anche all'alterazione delle parti, anche delle partiture.
Con tagli, modifiche, alterazioni.
Mahler arrivò a rifare del tutto l'orchestrazione delle sinfonie di Schumann perché riteneva quella originale primitiva.
E di qui noi per un pezzo non abbiamo ascoltato Schumann ma Mahler. Con grande stupore quando qualcuno è venuto a riproporci qualche cosa che poteva aver ascoltato Robert con Clara nel loro palco, magari a Lipsia con Mendelssohn sul podio del Gewandhaus.
Non c'è nulla di male. Eravamo passati per Liszt, per suo genero Wagner. Per Richard Strauss e per Mahler.
E per tanti direttori di quella scuola come Walter e Furtwangler.
Ipertrofia, stupore indotto dal volume più che al ritmo o al guizzo del solista.
Pensate a Bach eseguito all'organo Cavalli di Notre Dame, piuttosto che al Silbermann di Lipsia.
Di fatto questa scuola è rimasta e rimane ancora oggi anche se la sovrastruttura tardo-romantica si è di molto attenuata.
E secondo la moda e il gusto del periodo, che asseconda anche la capacità o meno del pubblico di accettare una lettura diversa.
L'approccio filologico è nato relativamente poco tempo fa.
Per merito di studiosi, prima ancora che musicisti. Cito Nikolaus Harnoncourt e Gustav Leonardt che tra i primi hanno riportato Bach tra i cori dei bambini per le voci bianche e le composizioni orchestrali a parti reali o quasi.
E dopo di loro, gli inglesi, Pinnock, Gardiner, Ogwood ed altri che hanno imposto di fatto al mondo una visione aderente al periodo.
In alcuni casi forse eccessivamente scrupolosa (una cantata di Bach può prevedere anche solo 4 strumenti e una voce sola, secondo l'occasione per cui è stata composta e il materiale "umano" a disposizione per quella domenica della liturgia luterana; oggi potrebbe creare stupore in senso negativo pagare il biglietto per vedere così pochi musicisti e tanti altri musicisti non avrebbe da suonare ...) ma comunque attenta al testo e al periodo.
Quindi riscoperta delle fonti originali, spulciando biblioteche e solai privati, ripresa di strumenti d'epoca, aggiornati o ricostruiti.
Pensiamo al ritorno del clavicembalo, dimenticato del tutto fino ai primi decenni del '900 il cui utilizzo però ha fatto scuola anche nell'interpretazione pianistica.
Oggi fa alzare il sopracciglio l'uso del pedale del pianoforte in Bach o Handel. E lo staccato sul basso viene più dal cembalo che dalla lettura romantica pianistica.
Con l'approccio filologico si è avuta una stagione di riscoperte di migliaia di composizioni dimenticate o perse. Alcune ricostruite. Altre riscritte.
Prendendo libri, lettere, documenti dell'epoca. Studiando i musicisti.
Dubito che a Mahler interessasse l'indole di Schumann mentre riscriveva le sue sinfonie. Si preoccupava di più di riempire la sala del teatro durante le sue direzioni, da parte di un pubblico che lui stesso aveva viziato con i 1000 della sua Ottava sinfonia.
Parti reali ? Macché !
Oggi abbiamo le due prassi - filologica e contemporanea - che prendono l'una dall'altra, si contaminano e si arricchiscono.
Giacché sarebbe piuttosto stolto pretendere di suonare Monteverdi con le limitazioni dell'epoca di Monteverdi (di parti, strumenti, sale) ma anche insensato pensare di allietare un loggionista di un teatro da 6000 posti, seduto in 54a fila, con un clavicordo.
Allo stesso modo, anche direttori non prettamente filologici, tendono a rispettare il segno e la prassi esecutive del tempo del compositore, anche se suonano con strumenti contemporanei in grandi sale.
Pensiamo allo scalpore suscitato da Chailly con il suo Beethoven "metronomicamente" esatto, quando per due secoli si pensava che fosse impossibile farlo.
Scuole Nazionali ?
Smarcato il punto - la moda o tendenza di periodo - andiamo ad un altro aspetto fondamentale della storia dell'interpretazione, sempre presente anche oggi.
Le scuole nazionali.
La musica si impara a scuola. Anche grandissimi autodidatti come Sviatoslav Richter o Emil Gilels poi si sono perfezionati alla scuola di un grande maestro (nel loro caso era il grande Neuhaus, di Mosca).
Vale per gli strumentisti, vale per i cantanti, vale a maggior ragione per i direttori di orchestra.
Possiamo identificare per il periodo a cavallo di '800 e '900 varie scuole.
Certamente quella tedesca la più influente ed importante per esponenti e anche per maestri (ho citato Mahler, Walter e Furtwangler ma abbiamo decine di direttori e pianisti in quel solco, sostanzialmente tardo-romantico, crepuscolare, wagneriano).
Ma poi quella italiana (che da Toscanini passando per Castelnuovo-Tedesco ha influenzato importanti direttori e compositori d'orchestra più recenti, anche americani), quella francese, quella russa.
Quella russa, in particolare, sforna ancora direttori e strumentisti eccezionali (così come giocatori di scacchi, matematici, fisici etc. etc.).
Ma non ci dimentichiamo dell'America che ha importato grandi musicisti europei tra le due guerre che poi hanno seminato nel Nuovo Mondo avendo discendenti notevoli.
Le scuole nazionali hanno forgiato anche le orchestre, il cui suono - non certo immutato nel tempo - si è consolidato sotto guide strutturate.
Pensiamo ai Berliner di Karajan, dopo Furtwangler, e poi Abbado.
Ma senza Wanda Landowska non avremmo avuto Rosalyn Tureck e nemmeno Glenn Gould. E in fondo nemmeno Vikingur Olaffson.
Potrei ricamare a lungo su questi temi ma non voglio annoiarvi.
Chi ha tempo e voglia però potrebbe affrontare un mio recente articolo :
in cui confronto la famosa "Incompiuta" di Schubert secondo le scuole tedesche e italiane.
Digeriti tutti questi aspetti preliminari, nella prossima chiacchierata, finalmente affronteremo la prima partitura secondo varie interpretazioni.
Sarà l'oscura prima ballata Op. 10 di Johannes Brahms.
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