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La mancanza di tempo libero (essere sempre oberati di lavoro e di impegni) sarebbe uno status symbol ?


M&M

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I costumi sociali e i modelli di comportamento nella nostra società mutano con il mutare dei tempi.

Da ragazzo uno status symbol era il lusso, per un uomo, una bella moglie, una casa da sogno, lo yacht, macchine sportive e in generale, tanto tempo per goderselo in vacanza.
Vedevamo Raoul Gardini o l'avvocato al timone dello yach in crociera o addirittura in una regata

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Gianni Agnelli con i "nipoti" in crociera

io avevo di Herberth von Karajan l'idea di quello che finite le prove con l'orchestra e il concerto, volasse dalla sua bionda moglie, il suo cane e le sue tante Porsche 911, 935 e 959 (quest'ultima fatta proprio  per lui)

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Quindi la possibilità di godersi le proprie ricchezze nel tempo libero, il coronamento di sforzi o l'essere arrivato.

Oggi non sembra più essere così. E nemmeno i ricchi si godono più il tempo libero.
Si vendono le case ad Hollywood, le automobili restano in garage e più in generale non si mostrano in giro o se lo fanno, corrono, scappano.
Perchè ?

Perchè sono impegnati.

Anche su queste pagine, sempre più desertificate dall'assenza di molti iscritti di un tempo, il motto che si sente più frequentemente è "avessi tempo per fotografare", "quello che mi manca è il tempo", "lavoro 14 ore al giorno, 6 giorni su 7 e il settimo invece di riposare, lo dedico agli impegni di famiglia".

Impegni, lavoro, problemi, niente vita sociale ma cene di lavoro, briefing, web call, telefono, whatsapp, teams.

Secondo uno studio recentemente pubblicato della Columbia Business School, oggi questo "non avere tempo" ed essere "sempre impegnati", anche nel tempo libero (dove ogni attività diventa impegno oneroso, come il padel o correre la mattina per andare in ufficio in forma ...) è diventato uno status symbol
Se uno non ha tempo né per se né per gli altri ed è impegnato tutto il tempo, allora è una persona di successo.
Uno che lavora 20 ore al giorno è uno che viene ricercato.

Se ci fate caso anche negli spot pubblicitari è così. Ogni scenetta o gag nasce da qualcuno - non necessariamente un manager, anche un semplice galoppino/galoppina - che non ha tempo nemmeno per ... stare male di stomaco o di testa.
La pillola serve per poter tornare presto in forma, a lavorare o ad occuparsi di qualche altro impegno nelle tante attività extra-lavorative.

Essere Busy è cool, è in, soprattutto, è giusto così.

Avere tempo libero è da poveracci, falliti destinati al nulla.

Premesso che rifiuto il concetto, sia come veniva presentato prima - ricco, si gode la vita - che oggi - ricco, lavora come uno schiavo 366 giorni l'anno - perché per me si lavora per vivere, mai e poi mai si vive per lavorare (almeno dai tempi della Prima Rivoluzione Industriale), ne sto scrivendo perché chi passa ci si soffermi.

Certo ogni situazione personale fa storia a se ma i modelli in generale vengono costruiti per giustificare una situazione e renderla condivisibile.

Una volta il modello di capitalismo accettato era quello che consentiva l'accumulo di ricchezze per poi godersele.
Oggi si cerca di far credere che l'unico modo di arrivare sia il superlavoro, la quantità di ore di lavoro quotidiane, la velocità e il ritmo con cui si svolge il lavoro, il raggiungimento degli obiettivi (non importa se ir/raggiungibili) come unico godimento possibile.
Non importa se nel mentre uno schiatta e non ci arriva nemmeno ad una pensione di merda maturata a 77 anni.

Su questo le società di consulenza, le scuole per manager e le università stanno solo ricamando.
E' uno stato di fatto che si cerca solo di testimoniare e giustificare.

Così la gente ama vantarsi delle lunghe ore di lavoro e della mancanza di tempo libero. Condividendo questa condanna con gli altri, questa sembra diventare più lieve, guardando con incredulità a chi invece cammina a passo più lento.

Di converso, se uno di successo non ha tempo libero, solo un povero sfigato si fa riempire il tempo libero di cazzate di nessuna utilità per la società, come ... fotografare, andare a pesca, al cinema o sognare di avere tempo libero per oziare, secondo il modello di consumo dato per normale fino a qualche anno fa.

Magari ci giustifichiamo - mi ci metto anche io ma la questione alla base è opposta - tanto ci sarà in futuro. Quando ...

Ma la verità è che è stato distrutto un modello e con esso una intera classe ... la famosa classe media (la vecchia borghesia) che alimentava tramite passaggio quella dei ricchi, almeno nei sogni che le consentivano di accumulare, risparmiare, consumare.
Oggi si mangia per andare a lavorare. E non si dorme perchè si deve lavorare.

E dove dobbiamo andare, a fotografare ?

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Nella realtà, non vi sarà sfuggito il mio pensiero, questo è giustificare lo sfruttamento delle risorse umane per cavare in ogni maniera soldi nella società del post-capitalismo.
Come ? Sottodimensionando gli organici minacciando di dare il lavoro in outsourcing se non ci arrivi.
Una cosa che andrebbe perseguita per legge, non issata a modello da seguire e giustificare.
Altro che Status Symbol.

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25 Commenti


Commenti Raccomandati

  • Nikonlander Veterano

Veramente un cumulo di sciocchezze, lo dico dal mio punto di vista di “cronicamente incasinato”.
Lavorare troppo può essere lo status symbol di chi è privo di interessi e cerca una gratificazione da sostituire a quella che gli interessi personali che trascura o non ha dovrebbero dargli. 

E, per fortuna, il mio lavoro mi piace moltissimo…
 

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  • Nikonlander Veterano

suggerirei alla graziosa lavoratrice di prendersi un pò di tempo e dedicarsi a farsi fotografare....signorina un ritrattino, posso?

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  • Nikonlander Veterano

Rifuggo dalla tentazione, in me innata, di andare sul personale, cosa che credo non sia nello scopo di questo editoriale ;)  mi limito solo a dire che amo, profondamente, il mio lavoro, ma non me ne faccio comunque sopraffare, nè vivo per lavorare, anche perchè  almeno metà del mio lavoro è  comunque una passione (l'altra metà, quella che non mi piace, sono per lo più conflitti con stolide burocrazie e simili).

Quello che voglio sottolineare è  che concordo assolutamente su quanto scrivi tu (anche sociologicamente)  e aggiunge Massimo, il superlavoro come status symbol è un'emerita XXXX.  E la distruzione delle classe media una tragedia. La famosa trasformazione della curva statistica della ricchezza da campana a bicchiere di champagne... mi atterrisce.

Lasciando la sociologia e la politica e tornando al superlavoro, chiaramente ci sono dei distinguo è c'è chi è costretto al superlavoro da motivi reali, ma questi in genere non se ne vantano affatto, lo soffrono e basta. 

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  • Nikonlander Veterano

Proprio così Mauro, ma perchè così?
Ciò che dovrebbe essere status symbol, in realtà, sarebbe che ognuno vivesse la propria vita. Diversamente sarebbe sopravvivere, o vivere una vita  che viene decisa da altri, secondo schemi pensati per soddisfare esigenze altrui e garantire ad altri piena soddisfazione per ogni attimo trascorso a respirare la nostra stessa aria.

Forse siamo noi che pretendiamo troppo dalla nostra esistenza. Se pretendessimo meno non ci proverebbe nessuno a toglierci il tempo che serve ad alcuni per stare meglio, non bene, meglio, molto meglio...
 

(Un amico scherzando, ma non so quanto scherzando, un giorno mi disse "Homeless è una forma di protesta, non è una disgrazia, loro sanno bene che scelta hanno fatto").

 

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  • Amministratori
6 minuti fa, Silvio Renesto ha scritto:

[...] chiaramente ci sono dei distinguo è c'è chi è costretto al superlavoro da motivi reali, ma questi in genere non se ne vantano affatto, lo soffrono e basta. 

Si, si, naturalmente - a scanso di equivoci - qui si sta parlando di chi è ancora in grado di ragionare di queste cose e non è costretto a fare tre lavori contemporaneamente per far sopravvivere la famiglia.
Parliamo di quelli che un tempo erano considerati "in carriera", quelli che frequentavano i bar alla moda e i circoli sportivi.

Oggi si suicidano perché non hanno raggiunto l'obiettivo e quindi non avranno il bonus, o saranno licenziati l'anno prossimo al successivo piano industriale o che schiattano ancora lontani dalla pensione, per burn-out.

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  • Nikonlander Veterano

Stempero il clima ricordando una lettura che, tempo fa, mi ha fatto scoppiare a ridere da solo in metropolitana (e tutti mi hanno guardato come fossi matto), cioè il capitolo "Bisy Backson" (nella versione italiana Trorno Busito, storpiatura di Torno Subito), di uno di più divertenti e, a modo suo istruttivi, libri che abbia mai letto: The Tao of Pooh (ed. it. Il Tao di Winnie Pooh).  Nel capitolo si tratteggia e si sbeffeggia  la tendenza, ai quei tempi  presente quasi solo negli USA, di superlavorare, superoccuparsi, superdivertirsi senza mai un attimo di requie. 

Ahimè, nel libro si citavano alcune situazioni anche europee (es. il caffè/bistrot francese vs il carretto degli hot dog USA) come esempio virtuoso di slow time, ora l'infezione ci ha raggiunto :( .

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  • Nikonlander Veterano

Andrebbe studiato un algoritmo, secondo me, che stabilisca quanto lavoro, per quanto tempo, per quanto guadagno e definisca in maniera inequivocabile ciò che resta (al netto del sacrosanto riposo) per poter garantire ad ogni essere umano di farsi i cazzacci propri come meglio preferisce.:)
E che diamine, siamo nel Terzo Millennio, o no?:sorriso:

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  • Nikonlander Veterano
4 minuti fa, effe ha scritto:

E che diamine, siamo nel Terzo Millennio, o no?:sorriso:

Si, ma non nel terzo millennio che pensavamo quando ci siamo entrati. 
L’editoriale parla di chi superlavora per scelta, considerando la carriera l’obiettivo. Con i disastri che possono arrivare dal burnout e dalla frustrazione di non averla avuta quella carriera, o averla persa perché qualcuno intorno ha cambiato i piani.

Il terzo millennio che pensavo io da ragazzo era una situazione di equilibrio globale tra quello che si fa, il perché lo si fa e quello che si è. Dove insomma la ricchezza non si misura con il PIL, non si produce quello che non serve per poterlo contare e si usano le risorse con intelligenza, soprattutto quelle umane. In un terzo millennio così si lavorerebbe tutti, magari 2 giorni a settimana perché è quanto basta. E chi ne ha voglia, perché come dice Silvio ha nel lavoro una passione, quanto vuole. Utopico, ovviamente, ma un primo passo in quella direzione c’è chi lo sta facendo, dalla settimana di 4 giorni al diritto alla disconnessione.

Invece, progressisti esclusi, abbiamo un meccanismo da criceti nel girello per chi lavora ed un mucchio di ragazzi che un lavoro non lo trovano. Da qui, per chi è più criceto di altri, vedere il mondo ribaltato e pensare che lavorare troppo sia cool perché usa la quantità di lavoro, concettualmente analoga al PIL, come misura del successo. Per come la vedo io neanche la quantità di soldi lo sono, figuriamoci quella di lavoro!

 

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  • Amministratori
5 minuti fa, Massimo Vignoli ha scritto:

[...] ma un primo passo in quella direzione c’è chi lo sta facendo, dalla settimana di 4 giorni al diritto alla disconnessione.

O lo smart-working, quello vero, non l'attuale "tele lavoro remoto".

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  • Nikonlander Veterano

Eppure quando siamo venuti al mondo nessuno ci ha detto che arbitrariamente ci avrebbero cambiato le regole del gioco.
Come dire che prima avevamo pieno diritto alla tetta e poi è finita che ce la dovevamo guadagnare...  Quale passaggio ci siamo persi?O.o

 

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  • Nikonlander Veterano
32 minuti fa, Massimo Vignoli ha scritto:

Invece, progressisti esclusi, abbiamo un meccanismo da criceti nel girello per chi lavora ed un mucchio di ragazzi che un lavoro non lo trovano. Da qui, per chi è più criceto di altri, vedere il mondo ribaltato e pensare che lavorare troppo sia cool perché usa la quantità di lavoro, concettualmente analoga al PIL, come misura del successo. Per come la vedo io neanche la quantità di soldi lo sono, figuriamoci quella di lavoro!

 

Ecco il punto d'arrivo. Lavorare tutti per lavorare meno, guadagnare tutti più soldi e avere tutti il tempo per spenderli quei soldi. Si inizia a quagliare. Il Pil andrebbe alle stelle, il denaro circolerebbe alla velocità della luce producendo sempre più denaro e garantendo ai ricchi di arricchirsi sempre di più e agli altri di vivere degnamente. Attenti, la provocazione non è questa, ma sta per arrivare: in una tale condizione di cosa non avremo più bisogno? Facile: della politica che esisterà solo finchè ci sarà gente che sta male, gente alla quale promettere meno tasse, più soldi, più tempo... più tutto.
Una rivoluzione incruenta, anticamera per una società distopica (oggi vanno di moda termini tipo distopico, biopico, resiliente... azz, siamo messi male), ma con molto più tempo a disposizione.

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  • Nikonlander Veterano

Io dico solo che non c'è proprio pericolo che sia il mio caso :D

Lavorando in uno studio proprio, possono capitare i periodi in cui faccio (ormai facevo) -letteralmente- 36 ore filate in ufficio, perché avevo a che fare con simulazioni talmente lunghe che se non fossi stato presente al termine di una per lanciare la successiva, avrei perso una giornata intera.

Però che lavorare come un somaro sia uno status symbol, mi sembra proprio una fregatura calata dall'alto, e da chi ha interesse a sfruttare la gente.

 

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  • Nikonlander Veterano

E' proprio così Mauro, il lavoro spesso si mangia quasi tutto, se poi c'è la famiglia, rimane davvero poco.
Ma quello che trovo più allarmante e veritiero, tra le tante cose che hai scritto, è la tendenza di trasformare in impegno quasi lavorativo, anche quelle cose che dovrebbero essere uno svago... Ansia! 
 

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  • Nikonlander Veterano
59 minuti fa, M&M ha scritto:

O lo smart-working, quello vero, non l'attuale "tele lavoro remoto".

Guarda, non l'ho scritto proprio perché anche per me a quel modello - il vero smart working - non si è arrivati ancora, la strada è lunga.
In qualche modo ho una realtà personale decisamente privilegiata - la mia azienda lavora per obiettivi, lavoravamo in smart working anche prima della pandemia e siamo tutti a lavoro da casa dal febbraio 2020. La produttività ed il livello di servizio è eccellente, al punto che HR sta pensando di consolidare una situazione molto spinta anche a fine emergenza nel rapporto tra numero di giorni in ufficio e giorni fuori.
Ma questa non è la media nazionale ed il problema è proprio nel primo punto: lavorare per obiettivi. Da questo ciascuno - lavoratore ed azienda - può ottenere la valutazione sui risultati raggiunti, come misura fondamentale al posto del più tradizionale tempo trascorso lavorando, ed in base a questo deve variare quanto si è pagati, il più significativamente possibile. Come al solito la questione è nelle mani di tutti, aziende e lavoratori. Altrimenti, se conservi il "modello del cartellino" e quindi paghi le giornate lavorate, lo smart working resta solo "tele lavoro remoto".
Ma per andare avanti su quella strada bisogna accettare che, chi non è obbligato ad andare in ufficio, se non raggiunge gli obiettivi possa essere pagato meno - significativamente meno - di chi li raggiunge e ancora meno di chi li supera. Cosa piuttosto impopolare.
E dobbiamo considerare anche che la soluzione smart working si applica ad una parte delle persone, credo quella più piccola.

Ma sono piuttosto off-topic...

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  • Nikonlander Veterano

Articolo estremamente condivisibile, compresi anche molte risposte. Personalmente io non so chi siano queste persone amanti del troppo lavoro, io sono uno di quelli che ha troppo poco tempo disponibile e non lo vedo assolutamente come un vanto, ma come elemento di depressione e tristezza... Il mio lavoro mi piace, mi considero fortunato a farlo (anche se in certi periodi, come questi ultimi mesi, "abbiamo bisticciato"), ma non vuol dire che sono contento di arrivare tutti i giorni cotto alla sera da non riuscire a decidere con la moglie (cotta forse pure di più) cosa mangiare la sera. Se c'è qualcuno che considera questo un modello da seguire lo vorrei conoscere! :D

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  • Nikonlander Veterano

c'è anche da dire che in alcuni paesi del nord europa,han introdotto a parità di salario,l'orario ridotto,lavorano sino al giovedì o al massimo al venerdì mattina e a quanto pare la produttività è cresciuta.il che sta a significare che se la gente sta bene,lavora meglio.

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  • Amministratori
1 minuto fa, Tanker ha scritto:

c'è anche da dire che in alcuni paesi del nord europa,han introdotto a parità di salario,l'orario ridotto,lavorano sino al giovedì o al massimo al venerdì mattina e a quanto pare la produttività è cresciuta.il che sta a significare che se la gente sta bene,lavora meglio.

Specie se si evitano i fenomeni di pendolarismo verso la grande città, utili solo per intasare le linee di comunicazione e far sprecare ore di tempo preziose a milioni di persone.

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  • Nikonlander Veterano

il fatto è che da noi han fatto le zone industriali fuori dai centri abitati ma non hanno pensato di creare pure i servizi di trasporto annessi,e i risultati si vedono tutti i giorni....

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  • Nikonlander Veterano

Credo che, come sempre, debbano essere l'intelligenza e la capacità di ciascuno a guidare le proprie scelte di vita, sia nel lavoro che nel tempo libero, ed indipendentemente da quanto sia al momento "di moda" e da quanto l'azienda per la quale si lavora "suggerisca" di fare.

Con i distinguo di cui si è già detto riguardo la necessità per qualcuno di lavorare oltre il lecito pur di sbarcare il lunario, sono convinto che tutti abbiamo la possibilità e la capacità di staccare al momento giusto per dedicarci al riposo e alle proprie passioni extra lavorative, senza per questo sentirci meno di altri che sono (o si sentono) "impegnati" ed in carriera. Basta volerlo. Anche quando amiamo profondamente ciò che facciamo per guadagnarci il pane.

Dipende quali obiettivi si hanno nella vita. Se ciò che abbiamo per vivere non ci è mai sufficiente, il super-lavoro può essere giustificato se appaga gli obiettivi che vogliamo raggiungere: basta esserne consapevoli. Se viceversa crediamo che ci siano anche altri valori oltre l'accumulo di ricchezze che probabilmente non potremo mai goderci appieno per mancanza di tempo, allora sarà più facile trovare il giusto equilibrio (qualcuno avrebbe detto "balance", ma io odio questo termine inglese oltremodo abusato) tra lavoro e tempo libero.

Pensateci bene, ciascuno di noi è padrone del proprio tempo e della propria vita: basta voler esercitare l'uso di questo diritto.

 

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  • Nikonlander

Nella realtà, non vi sarà sfuggito il mio pensiero, questo è giustificare lo sfruttamento delle risorse umane per cavare in ogni maniera soldi nella società del post-capitalismo.
Come ? Sottodimensionando gli organici minacciando di dare il lavoro in outsourcing se non ci arrivi.
Una cosa che andrebbe perseguita per legge, non issata a modello da seguire e giustificare.
Altro che Status Symbol.

 

Ecco Mauro, questo è il punto.

vado sul personale, che forse non è la maniera migliore di affrontare le questioni, ma lo faccio lo stesso.

Io purtroppo, dopo aver amato per anni il mio lavoro e averci lavorato molto, moltissimo, ma perchè mi piaceva (il concetto di status symbol mi è estraneo d sempre), negli ultimi anni ne sono, senza mezzi termini, vittima, tanto da cercare alternative anche meno qualificate e pagate, pur di ritrovare un po' di "peace of mind" e tornare a dormire la notte...ma alla mia età (che è più o meno la vostra Mauro e Max se ricordo bene) non è semplicissimo.

altro che status symbol!

Ad esempio, sabato e domenica scorsi li ho passati interamente a lavorare, per preparare un meeting con dei capi europei che scendevano a farci il classico "cxxo" in settimana. E' andata bene? si. Ne valeva la pena? no. Con mia figlia che dice a sua madre/mia moglie: mi manca papà. C'è qualcosa di malato in tutto questo, a cui devo porre rimedio.

E ho pure una madre invalida che mi occupa una giornata su due nel weekend per dare il cambio alla badante. Certo, sono scelte, avrei potuto metterla in un ricovero e dimenticarmela. Ho preferito non farlo, non sono io quello.

mi piace tutto questo? no

e il motivo è (anche) quello da te illustrato alla fine del tuo articolo.

Poi, l'azienda è una multinazionale super strutturata (troppo), all'avanguardia, avevamo lo smart working (o il telelavoro) anche prima del COVID come nel caso di Massimo ed ancora oggi ne facciamo ampiamente uso, col vantaggio di risparmiare ore di code in tangenziale e lo svantaggio di non separare mai davvero la vita dal lavoro, che è la vera questione sul tavolo oggi dello smartowrkig, come illustrato bene da Massimo più sopra.

 

Il 19/10/2021 at 13:40, Massimo Vignoli ha scritto:

invece, progressisti esclusi, abbiamo un meccanismo da criceti nel girello per chi lavora ed un mucchio di ragazzi che un lavoro non lo trovano. Da qui, per chi è più criceto di altri, vedere il mondo ribaltato e pensare che lavorare troppo sia cool perché usa la quantità di lavoro, concettualmente analoga al PIL, come misura del successo. Per come la vedo io neanche la quantità di soldi lo sono, figuriamoci quella di lavoro!

 

e questo sopra è l'altro punto, questa volta generale e non personale. Il taglio delle risorse (richiesta ormai costante da anni) si affronta "assumendo" giovani interinali, "apprendisti", tutti lavoratori a tempo determinato. Io alla loro età avrei trovato un lavoro a tempo indeterminato. E, vi garantisco, tutta gente in gambissima (saremo stati anche bravi nella selezione), più produttiva e flessibile di quella che lasciamo a casa e che la competenza la acquisisce alla velocità della luce, alla faccia di chi considera i giovani di oggi dei sottosviluppati mentali. A cercare bene, si trova gente con grande voglia di fare, ma gli si offre davvero ben poco e questo per il nostro paese è una rovina assoluta. Questi sono ragazzi costretti a rimandare i progetti seri della propria vita, che nella migliore delle ipotesi stiamo formando per la concorrenza che gli offrirà qualcosa di meglio, nella peggiore prenderanno un volo aereo ed andranno altrove dove un mercato del lavoro meno ingessato consente più opzioni e migliori.

Io personalmente spero di trovare una soluzione, molto lontana dallo status symbol, che mi permetta di essere in pace con me stesso, guadagnando anche meno (vorrà dire che smetterò di acquistare attrezzature fotografiche, del resto ho già più di quanto serva alle mie scarse capacità), in modo da avere tempo, quello si che è la vera risorsa, anche per fotografare.

E per il lavoro in generale spero che questo paese esca dal buco nero in cui è caduto per sua stessa mano.

Ho più speranze per la mia situazione (alla peggio aspetto la pensione) che per la situazione generale.

E non aggiungo altro.

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  • Amministratori

Ma tu sei relativamente "vecchio". Pensa ad un 33enne come prototipo, anche di genere femminile, con la giornata occupata per trequarti dal lavoro. 6 giorni e mezzo su sette.
Che se ne vanta perché "è in carriera". Con la prospettiva di continuare finché non ce la fa più. E poi ?

Sul "buco nero" è un problema occidentale : il nostro modello di consumo prevede che ogni manufatto sia prodotto da schiavi in oriente. Prodotti a basso costo, venduti qui a prezzo normale.
Con la manodopera locale che è sottoimpiegata e sostenuta dallo Stato. E i colletti bianchi che sono adibiti a compiti per lo più socialmente utili di cui le imprese farebbero volentieri a meno, se solo potessero (e lo faranno non appena ci manderanno tutti in pensione).

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  • Nikonlander
23 ore fa, Pedrito ha scritto:

Con i distinguo di cui si è già detto riguardo la necessità per qualcuno di lavorare oltre il lecito pur di sbarcare il lunario, sono convinto che tutti abbiamo la possibilità e la capacità di staccare al momento giusto per dedicarci al riposo e alle proprie passioni extra lavorative, senza per questo sentirci meno di altri che sono (o si sentono) "impegnati" ed in carriera. Basta volerlo. Anche quando amiamo profondamente ciò che facciamo per guadagnarci il pane.

Pensateci bene, ciascuno di noi è padrone del proprio tempo e della propria vita: basta voler esercitare l'uso di questo diritto.

 

Pedrito, credo che così sia più semplice di quello che è.

Se sei dentro un meccanismo con delle regole del gioco, per quanto queste siano sbagliate, o ci resti e quelle sono le regole, oppure non te ne puoi fregare, perchè il problema non è "essere da meno degli altri", ma raggiungere gli obiettivi che ti vengono richiesti, che è una cosa un po' più puntuale e precisa, che ha a che fare anche con il tuo senso di responsabilità e, per certi versi, con il tuo amor proprio,.

Poi c'è la terza scelta, quella illustrata da me sopra. Decidere che le regole non vanno bene e scegliere altro. Che credo sarebbe la cosa più giusta da fare in una situazione di disappunto

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  • Nikonlander Veterano
10 minuti fa, cismax ha scritto:

E non aggiungo altro.

Beh, ci si potrebbe scrivere un libro con tutti gli elementi che hai evidenziato.

Io inizierei da questo

11 minuti fa, cismax ha scritto:

Nella realtà, non vi sarà sfuggito il mio pensiero, questo è giustificare lo sfruttamento delle risorse umane per cavare in ogni maniera soldi nella società del post-capitalismo.
Come ? Sottodimensionando gli organici minacciando di dare il lavoro in outsourcing se non ci arrivi.
Una cosa che andrebbe perseguita per legge, non issata a modello da seguire e giustificare.
Altro che Status Symbol.

Un modello che ha iniziato a fare capolino nella Prima Repubblica, eravamo alla metà degli anni Ottanta. Lo dico solo perchè la frase "Se esco dal portone di gente disposta a fare il suo lavoro a metà del costo ne trovo quanta ne voglio" arrivò secca alle mie orecchie dopo uno scambio "amichevole"  di battute con l'amministratore dell'azienda per la quale lavoravo. La miccia, ahimè, è stata accesa parecchio tempo fa ed è bruciata silente per quasi quarant'anni. Come all'inizio della Seconda Repubblica con una legge del nostro baldo Parlamento venne livellato il valore delle lauree, azzerando totalmente la valenza della reponsabilità. E in seguito è stato fatto di peggio, sono stati livellati addirittura gli stipendi per cui un medico di guardia medica percepisce la stessa paga oraria di un operatore ecologico (al quale però, diversamente dal medico, spettano malattie pagate, ferie pagate e tredicesima mensilità).... Redditi piallati e tempo zero, che neanche nel comunismo più becero.

Sono OT, perdonate. Ma sai perchè mi frullano? Perchè non sono riuscito spiegare a chi è arrivato dopo che la nostra generazione (over sessanta) ha lasciato il piatto pieno di diritti e soldi e chi è arrivato dopo doveva difendere gli uni e gli altri. Non è successo. E questo, il sonno, appena appena me lo toglie.

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  • Nikonlander
11 minuti fa, M&M ha scritto:

Ma tu sei relativamente "vecchio". Pensa ad un 33enne come prototipo, anche di genere femminile, con la giornata occupata per trequarti dal lavoro. 6 giorni e mezzo su sette.
Che se ne vanta perché "è in carriera". Con la prospettiva di continuare finché non ce la fa più. E poi ?

Sul "buco nero" è un problema occidentale : il nostro modello di consumo prevede che ogni manufatto sia prodotto da schiavi in oriente. Prodotti a basso costo, venduti qui a prezzo normale.
Con la manodopera locale che è sottoimpiegata e sostenuta dallo Stato. E i colletti bianchi che sono adibiti a compiti per lo più socialmente utili di cui le imprese farebbero volentieri a meno, se solo potessero (e lo faranno non appena ci manderanno tutti in pensione).

si si hai ragione. Un ragionamento che per certi versi valeva anche per me. Il lavoro è stato molto per me quando avevo quell'età e per molti anni ancora dopo, ma non perché era uno status symbol, ma perchè mi divertivo davvero, con un team di lavoro fantastico che faceva passare in secondo piano i prpoblemi che, come è ovvio, non mancano mai (ci pagano per risolverli, si dice, no?). Poi però all good things come to an end, siamo stati acquisiti e la cultura della nuova azienda non era esattamente la stessa e si fa la fine di cui parli tu...spremuti come limoni "finché non ce la fai più".

Anche il mio pensiero va alle nuove generazioni di cui parlo sopra (e pure, più egoisticamente, alle mie figlie). Non può essere questo l'unico modello che può funzionare. 

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