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Cleopatra : Simone vs Natalie vs Roberta vs Magdalena


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Giulio Cesare in Egitto, l'opera di Handel che più di altre rese l'autore una superstar internazionale dell'epoca.
Eh, se ci fossero stati i Grammy Awards ...

A parte gli scherzi l'impegno grandioso vide altrettanto grandioso successo con repliche su repliche tra il 1724 e il 1737.
Un caso più unico che raro dato che spesso in quei tempi la popolarità di un'opera lirica  non durava una stagione, tano era ricca la produzione, per lo più italiana, in tutta Europa in quegli anni.

Ma Handel ci credeva e pur avendo "riciclato" di fatto un libretto molto più vecchio (quello di Giacomo Francesco Bussani del 1677), scrisse musica tanto ispirata da richiedere due prime parti di rilievo assoluto, la prima diva, Francesca Cuzzoni nella parte di Cleopatra - la protagonista vera dell'opera, nominalmente dedicata nella storia a Cesare - e al contraltista Francesco Bernardi, detto il Senesino nella parte di Cesare.

Le parti del canto sono otto in totale, alla prima c'erano almeno sei cantanti italiani madrelingua.
L'orchestra non è leggera, con violini e viole, basso continuo, legni completi (due flauti dolci, traverso, due oboi, due fagotti), quattro corni e tromba, con parti sulla scena anche per arpa, viola da gamba e tiorba.

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l'opera ripresa nella prima metà del secolo scorso dopo duecento anni di abbandono conta numerose registrazioni, probabilmente quella di Handel che ne conta di più al giorno d'oggi.

E naturalmente tutte le primedonne - soprani e semmosoprani - di oggi si sono cimentate o nell'opera completa o nelle arie principali che la caratterizzano.

La fortuna dell'opera risiede certamente nella ricchezza melodrammatica della trama, tessuta con grande perizia da Handel con una maestosa orchestrazione inframmezzata da arie magistrali.
Il risultato, consegnato alla storia, è senza pari secondo il mio punto di vista.

Tra le arie più belle e fortunate dell'opera, dedicate alla parte di Cleopatra ci sono certamente la celeberrima "Piangerò la sorte mia" e "Se pietà di me non senti".
Due arie in forma A-B-A col da capo che lascia all'interprete libertà espressiva con ornamenti e fioriture, richiedendone al contempo estensione, forza, cambio di registro, ora pianissimo, ora fortissimo, ora lirico, ora drammatico.

In un primo momento stavo scegliendo solo la seconda ma poi riascoltandole entrambe ho deciso di usare entrambe queste due arie per un confronto tra primedonne di oggi, cantanti di grande temperamento e con voci realmente barocche per quanto ne possa capire io.

Dicevo che sono innumerevoli le registrazioni di queste arie, e si capisce bene il perchè. Senza voler fare torto a nessuna cantante contemporanea, ho scelto le quattro che preferisco e in ordine rigorosamente alfabetico :

  • Natalie Dessay
  • Simone Kermes
  • Magdalena Kozena
  • Roberta Invernizzi

Due parole su Francesca Cuzzoni, una delle prime dive e certamente la primadonna per Handel a Londra dove la convinse a trasferirsi per le sue stagioni teatrali in qualità di autore ed impresario con un ricchissimo contratto di 2.000 sterline, una cifra stratosferica se consideriamo che con poco più di  20.000 sterline si armava una nave di linea da battaglia della flotta inglese a metà del '700.

Francesca Cuzzoni aveva 29 anni alla prima del Giulio Cesare. Viene descritta come tozza e piccola, tutt'altro che avvenente, senza grandi qualità sceniche ma con una grande estensione vocale e una voce d'angelo o da usignolo. Non particolarmente tecnica ma in grado di incantare l'uditorio.
Una donna difficile da trattare dentro e fuori dal palco, passata alla notorietà anche per eventi scellerati e morta in povertà dopo che la voce le sfiorì verso i 50 anni. 
Per tutta la sua carrierà dovette misurarsi con i più celebri castrati (Senesino e Farinelli per esempio) e le loro straordinarie capacità tecniche.
Ma anche con una rivale più attrezzata di lei sia sul piano della pura tecnica, Faustina Bordoni, un soprano capace di mettere in difficoltà gli stessi castrati, sia su quello della presenza scenica, capacità teatrali, semplice bellezza.
Sono celebri due aneddoti che la riguardano - oltre alla precipitosa fuga dopo la misteriosa morte del marito a Londra - uno nel quale Handel stesso, la minacciò "fisicamente" di defenestrarla sollevandola per i fianchi verso la finestra se non avesse cantato un'aria come lui l'aveva scritta e un altro si lasciò andare in insulti scurrili sull'onorabilità della rivale (contraccambiata, ovviamente) per poi passare alle mani durante una rappresentazione in cui cantava con la Bordoni, presente una principessa della famiglia reale.

Non una Cleopatra nel senso in cui la immaginiamo dopo che Elizabeth Taylor l'ha rappresentata al cinema nell'aspetto, ma certo una donna dotata di grande temperamento fuori dalle scene. Un demonio, come la epitetò Handel.

E due parole sulle due arie.
"Se pietà di me non senti", atto secondo, scena ottava e preceduta da un recitativo con orchestra "Che sento? Oh Dio!" che carica l'aria drammatica dell'aria che segue.

Recitativo 

Che sento? Oh dio! Morrà Cleopatra ancora.
Anima vil, che parli mai? Deh taci!
Avrò, per vendicarmi,
in bellicosa parte,
di Bellona in sembianza un cor di Marte.
Intanto, oh Numi, voi che il ciel reggete,
difendete il mio bene!
Ch'egli è del seno mio conforto e speme.

aria :

Se pietà di me non senti,
giusto ciel, io morirò.
Tu da pace a' miei tormenti, 
o quest'alma spirerò.

archi, fagotto, soprano, continuo

il recitativo è attaccato all'aria e ne è il drammatico preambolo. Cesare è fuori con i soldati per rintuzzare la minaccia di Tolomeo mentre Cleopatra nel palazzo si scopre realmente innamorato di Cesare e cessa di fingere.

"Piangerò la sorte mia", atto terzo, scena terza

Piangerò la sorte mia,
sì crudele e tanto ria,
finché vita in petto avrò.
Ma poi morta d'ogn'intorno
il tiranno e notte e giorno
fatta spettro agiterò.

testo appena più articolato e di forma opposta a quella dell'aria precedente.
L'aria è nella classica forma A-B-A con il B molto vivace (ultime tre versi) e i due A adagi, il da capo prevede fioriture e abbellimenti sui primi tre versi.

***
 

Le nostre quattro primedonne ci consegnano le loro interpretazioni in età certamente più matura (a parte la più giovane, la Kozena che quando ha registrato Cleopatra aveva la stessa età della Cuzzoni) ma sicuramente nel pieno della maturità artistica.
Certamente sono quattro interpreti di grande temperamento e di evidente presenza scenica.

Per il confronto ho scelto registrazioni recenti o molto recenti e in particolare secondo il gusto odierno. L'opera come ho scritto è stata riscoperta solo negli anni '30 del secolo scorso ma è negli ultimi decenni a cavallo del nuovo secolo che ha rivisto nascere l'antico splendore.

Il mio intento non è comunque quello di valutare una mera riproduzione immaginaria ma fedele di quella che poteva essere la performance della nostra Cuzzoni ma leggere l'interpretazione di quattro cantanti in fondo molto differenti già a partire dalla scuola e dalle origini.
Due latine e due mitteleuropee, tutte con differente curriculum, carriera, ranking internazionale.
Tutte legate a grandi ruoli di primo piano nella musica barocca nelle rispettive scuole interpretative - generalmente filologiche - dell'ultimo periodo.

Simone Kermes : La Diva, Handel arie per Cuzzoni, 2009

"Se pietà" : 09:47

"Piangerò" : 07:21

Natalie Dessay : Cleopatra, arie dal Giulio Cesare, 2011

"Se pietà" : 09:08

"Piangerò" : 06:21

Roberta Invernizzi : Queens, arie di Handel, 2017

"Se pietà" : 10:10 compreso il recitativo

"Piangerò" 06:17

Magdalena Kozena : Giulio Cesare in Egitto, 2002

"Se pietà" : 09:21

"Piangerò" : 06:04

La Kermes idealmente per me rassomiglia di più alla Cuzzoni. E' fredda e immobile, il canto e leggero ma la voce bellissima, canta apparentemente senza sforzo. Le due arie vengono dalla registrazione in singolo e non dalle opere e questo potrebbe influire. Ma parliamo di una cantante d'esperienza consumata ed avendola ascoltata in altri dischi e in altro repertorio, sempre per lo più barocco, posso intuire che il suo sia proprio uno stile distaccata.
Purtroppo non l'aiuta una dizione che spesso incespica in scivoloni tipicamente mitteleuropei.

La Dessay è la più vivace sulla scena e in questo non tradisce il suo esordio come attrice. La sua Cleopatra usa gli artifici propri del suo ruolo, tanto da andare in scena con un busto che riproduce il seno nudo.
La voce è più sottile delle altre ma più modulata.
In generale tende ad eccedere con le fioriture, c'è molta libertà nella sua interpretazione in questo allineata ed assecondata dalla sua partner alla direzione d'orchestra, la vivace Emmanuelle Haim. Anche qui siamo in riprese dell'opera portata in scena, e questo certamente aiuta.
Ma ho visto video di questa cantante che anche durante le prove, mentre legge con gli occhiali la partitura, la canta allo stesso modo e mostra temperamento ed esuberanza.

La Kozena è l'unico mezzosoprano del gruppo, certamente un mezzo leggero, tanto che per lo più esegue repertorio per soprano, come in questo caso.
Il suo taglio è drammatico, con una voce più di gola rispetto alle altre. L'orchestra, di scena, è possente con piena preponderanza di bassi.
Canta impostato, va sugli acuti portando la melodia col tremolo. Cambia velocità e piglio nella "cadenza" con l'orchestra che la incalza e il tremolo diventa più coloratura sulle vocali finali.
Ripresa ancora più in sordina della prima strofa con abbellimenti contenuti. Resta il tono molto drammatico e di grande efficacia. 

La Invernizzi è l'unica madrelingua del novero dizione perfetta e modula a piacere ogni sillaba, comprendendone perfettamente il significato.
Ha grazia, eleganza, non ha una voce perfetta ma la sua è una passione vera quando anche una regina ritiene di non doversi contenere.

***

Conclusioni. E' difficile seguire il filo di quattro - comunque notevoli - interpretazioni di arie che sono capolavori assoluti della storia dell'Opera Lirica senza ascoltarle insieme.
Mentre vi invito - se volete - ad ascoltarle per conto vostro (se non avete i dischi le trovate - credo tutte - su Youtube) e non volendo assolutamente voler fare una graduatoria o esprimere giudizi di merito, concludo confermando le mie impressioni già annotate mentalmente durante i primi ascolti.

Simone Kermes è regale, con una voce cristallina, ma tanto distaccata da non rendere credibile la sua parte nella regina del Mediterraneo, donna di tanta passione capace di far innamorare ogni uomo al suo cospetto. Sembra dire, dando per scontato, io son bella, e tanto ti basti.
Non c'è tragedia, più delusione, non c'è indignazione, più forse un contenuto disprezzo.

Natalie Dessay cerca di ammaliarci come avrebbe fatto Cleopatra, più con le sue arti che con la bellezza. E ammicca dicendo, son brava, son brava, son brava. Lo è, lo sappiamo. Forse in certi momenti lo mette anche sin troppo in mostra, però.

Magdalena Kozena ... sembra effettivamente sempre una Maddalena Penitente, super-drammatica, sebbene non a livelli di isteria come quando più recentemente ha interpretato ... effettivamente la Maddalena nella Passione di Bach con il marito alla direzione.
Tocca, certamente. Sembra che da un momento all'altro ci possa penetrare il petto con un pugnale, più che uno stiletto.
Ammetto che 10 anni fa mi ha molto colpito. Adesso un pò meno, però.

Roberta Invernizzi è una Cleopatra molto personale. Dignitosa come una regina ma appassionata come una donna. Capace di avvolgere la musica con le sue parole, portando la musica di Handel ad un livello superiore di comprensione. Non è una tragedia consumata, c'è la rassegnazione di chi ha dovuto giocare un ruolo datole dal destino, ed ha perso. Certamente é una donna che ha vissuto, amato, sofferto.
Non è la perfezione, non ci può essere perfezione nell'interpretazione personale, guai ci fosse, ci sarà sempre qualche cosa da dire in futuro.
Ma è quanto di più toccante io possa dire di aver sentito sinora, senza al contempo indulgere in autocompiacimento o voglia di apparire.

Però qui mi fermo e lascio a voi ulteriori argomentazioni.

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