"Il paese dell’acqua asciutta, la terra che Dio creò in un
giorno di rabbia, come vuole una leggenda locale
L’incantesimo del nulla, distese roventi di polvere
Rossa mitigate dall’azzurro smerigliato del cielo
Strade zitte che si perdono all’orizzonte, camminate incessantemente
da uomini e donne diretti verso improbabili destinazioni"
L’etimologia della parola safari è una voce swahili che significa viaggio, derivata dall’arabo safara – viaggiare – che è giunta a noi attraverso l’inglese. Per la stragrande maggioranza delle persone però il safari è una battuta di caccia grossa o spedizione fotografica condotta nei territori dell’Africa equatoriale o tropicale, all’interno di una regione ricca di animali, sia per fini venatori, sia per fini scientifici, documentaristici o turistici.
Anche se oggi i safari vengono condotti a bordo di massicci veicoli a motore e con equipaggiamenti moderni, nell’immaginario collettivo rimangono associati all’uomo bianco e biondo, baffuto con in testa il classico Pith helmet inglese (Casco del midollo, noto anche come casco da safari) e in spalla un fucile rétro, che scruta l’orizzonte col binocolo, alla guida di una lunga e difficile spedizione nell’ignoto della savana.
È forse per questo che il safari resta indissolubilmente connesso all’avventura, colorata di rischio, adrenalina, fascino e senso di libertà e ha una presa tale da essere per noi, oggi, difficilmente comprensibile.
Sempre dalla lingua inglese preleviamo il termine Big Five, ovvero i Grandi 5. Il termine risale al passato ed indicava i cinque animali più difficili e più pericolosi da cacciare a piedi. Oggi il termine è rimasto, ma ovviamente non ha nulla a che vedere con la caccia, semplicemente rappresenta i 5 top animali di un safari: leone, leopardo, elefante africano, il bufalo del Capo e il rinoceronte bianco. Nel concreto, però, gli animali che si avvistano durante un viaggio fotografico sono ben di più, infatti alcuni degli animali africani più belli, più ricercati e interessanti non rientrano nella lista dei Big Five.
In Africa non si va tutti i giorni e la mia scelta è ricaduta sulla Namibia, con paesaggi mozzafiato, bellissimi paesaggi desertici e desolati e un abbondante fauna selvatica, una destinazione che sicuramente stupirà e ispirerà ogni visitatore. Ho scelto il periodo coincidente con la fine della stagione secca, quando si possono vedere gli animali vicino alle pozze d’acqua.
Dopo Solitaire, un piccolo insediamento nella Regione di Khomas, vicino al Parco Nazionale di Namib-Naukluft, che dispone dell'unica stazione di servizio lungo il percorso che va dalle dune di Sossusvlei alla costa fino a Walvis Bay, mi dirigo a Sud fino ad arrivare, sotto il cielo perfettamente blu, ad osservare forse lo spettacolo più famoso di tutta la Namibia. Le imponenti dune di sabbia di Sossusvlei fanno da sfondo agli alberi neri appassiti e bruciati che emergono dalle sabbie bianche sottostanti, e la più nota, la Duna 45, a stella, composta da sabbia risalente a 5 milioni di anni fa, regala panorami mozzafiato.
Da lì, risalgo verso Nord, attraversando il Parco nazionale di Namib-Naukluft, dirigendomi verso il Parco nazionale Etosha. Con il significato di “Great White Place” nella lingua locale, l’Etosha era un tempo parte di un enorme lago che si è prosciugato da tempo, ora è di un bianco polveroso per via della sua natura salina, è esteso come una regione italiana, con enormi distese di laghi salati e di vegetazione.
È proprio durante questo trasferimento che inizio ad avere i primi avvistamenti con la fauna africana, a partire dallo sventurato Orice, incredulo che anche in queste enormi distese ci fossero delle recinzioni, fin quando non ci si è ritrovato impigliato. Fortunatamente una guida locale è riuscita a liberarlo e l’animale si è immediatamente allontanato.
A causa del suo ambiente arido, la Namibia non è così ricca di animali selvatici come in Kenya e Tanzania, ma sono comunque presenti tutti gli animali che ci aspetteremmo di trovare in un safari africano, come i grandi predatori e gli enormi branchi di elefanti. A completare l’enorme varietà della wildlife namibiana sono stati Rinoceronti e Bufali, Zebre e Giraffe, Sciacalli e Ippopotami e, fra gli ungulati, Orici, Springbok, Impala ma anche qualche esemplare di Cudù, Kobus e l’Alcefalo Rosso.
Se ne sente tanto parlare, ma chi sa davvero cos'è il Mal d’Africa? Forse è uno stato dell’anima prima ancora che mentale, quella struggente malinconia che ti coglie, di quelle che verrebbe voglia di fare una follia e prendere il primo aereo disponibile: destinazione Africa. Non esiste una definizione precisa, proprio perché i sentimenti che ognuno prova sono talmente differenti e così intimi che si può solo pensare di viverli e di conseguenza cercare di spiegare. Una cosa è certa (almeno per me), il Mal d'Africa ti prende non dopo che sei tornato, ma quando ancora sei là, quando guardando un tramonto tra le dune del deserto pensi che tra poco dovrai lasciare quella terra ed allora ti assale una forte malinconia, come se si stesse per spezzare un legame che ci ricorda quello che eravamo prima di crearci intorno un mondo non nostro, fatto di palazzi e cemento. È un conscio desiderio di continuare a rimanere legato ad una terra dove hai incontrato occhi sorridenti nonostante la povertà.
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