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  • Valerio Brustia
    Valerio Brustia

    Cosa non darei per "fare quella foto"

    Onestamente è una faccenda che mi tocca poco, per me la Fotografia Naturalistica è opportunità di incontri e non attività di "caccia al risultato”, non ho smania di fotografare questa o quella specie in particolare, ho invece appetito, insaziabile, per i brividi della scoperta. L'incontro con un selvatico o con un paesaggio mozzafiato, lo lego più al caso che ad una severa pianificazione, una questione di <P> probabilità. Pur operando per massimizzarla, non ho mai agito affinché quel numero <P> diventasse pari ad 1, valore a cui, insegnano i matematici, corrisponde il significato di <Certezza>. L'incontro è per me deve essere Sorpresa e se non lo fosse credo perderei il piacere di esercitare questo genere di fotografia.

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    Strada poderale del Nivolet, Valsavarenche - Dicembre.

    Non è così per tutti, lo so bene, e non è mia volontà giudicare comportamenti differenti dal mio, bollarli come anti-etici od altro, no vorrei solo riflettere su cosa spinga tanti fotografi naturalisti ad una deriva che non riesco a condividere. E’ assolutamente corretto e ragionevole che un fotografo persegua il traguardo che si prefigge, se lo scopo è quello di una bella foto, nulla di male a far qualsiasi cosa per ottenerla, certamente restando nei necessari limiti di correttezza e legalità.

    Su cosa sia - deontologicamente - lecito o illecito si sono spesi fiumi di parole. Non parlo delle pratiche che vanno a ledere le altre forme di vita, do per scontato che nessun fotografo, nel 2020, possa anche solo concepirle. Il fatto è che il concetto di “legalità”, per i fotografi della natura del terzo millennio, è diventato più articolato ed identifica come reato principe, uno solo: l’Inganno.

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    Rospi nel loro ambiente, e io con loro, Val Sesia - Marzo.

    Ingannare significa far credere al lettore di guardare qualcosa non per quello che è, ma per quello che, chi l’ha ritratta, vorrebbe che fosse. Ma questo, si deve osservare, è alla base della creazione fotografica, una verità assoluta, e se non fosse così smetteremmo tutti di fotografare. L’equazione allora non torna, esiste un’evidente contraddizione, ed in termini analitici non se ne esce. La fotografia Naturalistica, ultima area di applicazione fotografica ancora vivida e feconda, deve trascinarsi appresso questo fardello di incongruenza, ci deve convivere. Come con un male incurabile da contenere, prima che mangi tutto e distrugga l’anima sana, la fotografia Naturalistica si interroga e si ridefinisce in continuo per limitare, strizzare, comprimere il suo male, l’Inganno.

    Questo spiega perché i fotografi naturalisti sono abbastanza tignosi: se li prendi per il culo una volta se la legano al dito per sempre. Sono così perché hanno misurato per il lungo la fatica, gli sforzi e la dedizione necessaria per registrare la natura, quella del picchio verde che ti concede un solo lampo giallo tra un ramo e l’altro. Per quanto mi riguarda sono e resto un fotografo casuale, vivo in una terra esausta che offre poco alla natura, dove le inquadrature non si scelgono, ma si cercano. Perciò non inseguo, ma indago ed ogni incontro è una festa. A causa di questa mia de-formazione sono piuttosto sensibile ai "perculamenti": per quelli come me, chi inganna parlando la mia stessa lingua è degno di scomparire dall'orizzonte, senza appello.

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    Spaventati e lontani, campagna novarese e vercellese- Marzo Aprile e Agosto.

    Raccontare una bugia può far così tanto danno? Si, se si fotografa la Natura. Fa danno alla Natura in prima battuta e poi guasta gli altri fotografi che si sono innamorati di questa pratica affascinante. Il danno alla natura è presto detto: fotografare stretto stretto lo splendido martin pescatore, documentarne l’esistenza sul fiume Lambro non allontana lo squallore a cui, tutt’ora, è ridotto quel torrente (ed altri di casa nostra). Ma a guardare il Martino vien da pensare che poi, tutto sommato, ‘sto Lambro non può esser messo così male. Deduzione logica se si estrae, scollegandola, la forma dal suo contenitore. Ed ecco allora le carrellate di immagini, gli album delle figurine di animali, che sul web si sprecano, raccolte di forme e colori bellissime, di un mondo che … chissà dov’è.

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    Antropocene è il nome da dare allo strato geologico che stiamo accumulando
    Fiume Sesia - Agosto.

    Poi c’è il danno nella testa dei fotografi. Questo è variabile, funzione della personalità di ciascuno, ma vede una base comune nel tentativo di ripetere quello specifico risultato. “Questa foto mi piace tantissimo, voglio riuscirci anche io”, quante volte ce lo siamo detto. E’, tutto sommato, un sentimento virtuoso purché il risultato anelato sia oggettivamente raggiungibile. Lo sappiamo che la quantità di tempo investito è il primo carburante e con la preparazione sia tecnica che scientifica sono condizioni necessarie, ma ahimè mai sufficiente a garantire il conseguimento dello scopo. I più acuti arguiscono che qualcosa non torna, che manca un componente. La Fortuna? Può essere, ma talvolta c’è altro.

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    Osservare gli Orsi russi, non si improvvisa occorre appoggiarsi a chi da decenni ha pianificato il "set" . Carelia finlandese - Agosto

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    Foto del gruppo senza e con Stambecco, Valsavarenche - Febbraio.

    Non sto parlando di massimi sistemi, sto ragionando su pratiche decisamente diffuse. Prendiamo un fatto eclatante, solo l’ultimo che mi viene in mente, che riguarda un concorso internazionale. Devo ammettere che i concorsi sono un palco su cui possono andare in scena da piccole innocenti truffe ad autentiche vigliaccate. Riconoscerle non è facile, serve una certa consuetudine con i soggetti inquadrati, altre volte sono necessarie indagini degne di Maigret.  Sul caso del WPOY 2017, che vide vittorioso e poi radiato a vita il fotografo del formichiere notturno - impagliato - (!), ho avuto l'opportunità di domandare ad un membro di quella giuria, cosa diavolo avesse spinto un bravo fotografo a compiere un inganno così patetico. La risposta mi ha sorpreso e deluso allo stesso tempo:

     "si tratta di persona ricca e facoltosa, è solo debolezza dell'animo umano". 

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    Debolezza, è cedere alla ragione della vanità, e la vanità è una brutta bestia, nessuno ne è esente, soprattutto chi fotografa e ama le sue fotografie, ma ingannare, truffare? Son cose che accadono tutti i giorni anche ben lontano dai concorsi internazionali.

    Nel febbraio del 2019 con l’amico Paolo abbiamo visitato l’alta Valsavarenche. E’ un luogo particolare che, specialmente in inverno, consente agli “scoppiati” come noi di assaporare l’alta montagna e di incrociare camosci e stambecchi, perché sono loro a scendere verso valle. Ma non sapevamo della Volpe.

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    La Volpe di Pont elemosina qualche stuzzichino nel parcheggio del rifugio. Si presenta di primo mattino a mendicare tra le automobili. Quella mattina Paolo ed io abbiamo scoperto che è cosa nota, tanto che alcuni fotografi si presentano preparati, un bocconcino al volo di carne surgelata e la volpe è ben disposta a farsi riprendere in mezzo alla neve croccante. Splendidi ritratti di volpe tra sbuffi di neve da caricare in qualche forum e chissà, forse, aprendo una rivista, troveremo un bel paginone con il faccione peloso che ti guarda dritto negli occhi. Quella foto io non ve la posso mostrare, ma vi mostro altro, cioè quello che più mi ha “colpito”.

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    Per il lettore, per chi guarderà quei ritratti (non le mie foto), sarà lecito immaginare che al Gran Paradiso, in pieno inverno, camminando sui suoi sentieri, sia possibile incontrare il piccolo cane rosso; eh no, non è così, al più cercatelo fuori della porta della cucina del rifugio. Ma tornando ai fotografi e alle loro foto, sbaglia chi giudica male, alla fin fine queste persone non hanno commesso nulla di grave, non hanno arrecato danno all'animale (anzi) e nemmeno all'ambiente, hanno solo perseguito il loro lecito e meritevole desiderio di ritrarre l’opportunista predatore, come, altrimenti, è pressoché impossibile.
    Com'è allora che a vedere una foto di quel tipo e sapendo quel che ci sta dietro, magari non mi sento proprio “perculato”, ma mi si sciupa parecchio la poesia? Forse vale solo per me (e Paolo che mi ha trascinato via), non son sicuro, ma ecco qui scodellato tutto il paradosso tra la necessaria libertà di espressione ed il valore del contenuto veicolato.

    Ho scritto con fatica (tanta) queste quattro righe perché da tempo, ormai, mi arrovello della fotografia nel suo uso, presente e futuro, più che dell’aspetto strettamente tecnico legato alla ripresa. Il momento è particolare, anche al netto della Pandemia, siamo in fase di stallo verso un cambiamento sia della ripresa fotografica che della fruizione delle immagini. Comunque vada questi ragionamenti sono e saranno da affrontare, non risolvere, ma quantomeno da prendere in coscienza.

    Valerio Brustia - Nikonland 2020

    Modificato da Valerio Brustia

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    • Amministratori

    Per cambiare le cose, Valerio, bisogna impegnarsi. In prima persona.

    Fotografa tu negli ambienti consoni ...e scrivine. Fotografia e descrizione non possono mentire: chi porta avanti il suo pensiero lascia una traccia.

    Che conta per chi segue.

    Una ragazzina di 17 anni ha attualmente il merito, indipendentemente dalla esasperazione del messaggio, di aver contribuito a riportare all'attenzione del mondo occidentale la questione ambientale. La sua importanza e refluenza sul nostro benessere.

    Subito dopo abbiamo a che fare con un'epidemia che affonda probabilmente radici nell'alterazione di questi equilibri.

    O porta jella o ha ragioni da vendere.

    Ognuno può contribuire: anche fotografando e raccontando, come puoi e sai fare tu.

    • Sono d'accordo 2
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    • Nikonlander Veterano

    In quello che scrivi non c'è una sola parola fuori posto. Per come la vedo io ogni fotografo deve andare fiero del proprio lavoro (principalmente perchè ogni scatto, anche il più banale, costa tanta fatica) e in questo senso fierezza e onestà sono due parole che viaggiano sempre accoppiate. Come dice Max, seguiamo la nostra strada, noi siamo diversi. Ciò che vediamo raccontiamo... e se non vediamo preferiamo non raccontare niente.

    PS - E' vero Valerio, la sorpresa fa molta differenza. Nelle mie passeggiate incontro spesso animali che vorrei fotografare. Non sempre ci riesco, ma posso immaginare la tua emozione dopo ore di attesa, immobile, al freddo. Una soddisfazione impagabile che si riesce a percepire sempre nei tuoi scatti.

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    • Nikonlander Veterano

    Il tuo articolo, oltre alle più evidenti considerazioni su certe persone, certi posti e certe modalità di consumare la natura, e non solo, ha, tra i molti pregi, quello di riportarmi alla mente i concetti imparati leggendo un libro tanti anni fa, Avere o essere. Grazie.
     

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    • Nikonlander Veterano

    Quello che scrivi lo posso traslare pari pari al mondo della fotografia aeronautica,non cambierei una virgola di quanto scritto. Al di la di ciò,in questo racconto,una volta di più,si dimostra furba la volpe che si guadagna il cibo senza sprecarsi troppo.

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    • Nikonlander

    Mi identifico in quello che scrivi. Preferisco niente foto, o foto in lontananza, quindi non riuscite, ma fatte in libertà. Per quanto mi riguarda, l'etica ed il piacere viaggiano assieme e percorrono la via dell'onestà e dell'umiltà. Quando entro in un ambiente naturale, o più naturale possibile, cerco di camminare in punta di piedi. E' anche questo che mi da piacere. Gli altri non sanno cosa perdono!
    Una notazione frivola: quelli che fotografano quella volpe possiedono tutti i bianconi Canon. Ih, ih, ih .

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    • Nikonlander Veterano

    Lo scritto è molto bello, pur non fotografando abitualmente animali capisco bene il tuo dubbio.
    Per dire, partecipando a viaggi con safari fotografico viene normale chiedersi quanto sia sensato mitragliare il leone nel parco se non per assecondare il proprio ego con una foto facile ( escludo per un attimo il fatto che i nostri soldi consentono al leone di avere ancora una vita ed una casa ). 
    Per quanto mi riguarda, io trovo molto finta la foto della volpe nel parcheggio, almeno quando non si dichiara la situazione di scatto. Se si ha il coraggio di dire che l'animale ha preso confidenza con gli umani allora l'immagine ha senso, se si pubblica il primo piano sulla neve per un paio di like o wow allora ci si sta bellamente prendendo in giro da soli oltre che farlo ad altri.

    PS: Ma il casotto in legno della foto dopo quella dell'orso è uno di quelli usati in Finlandia ? Li immaginavo molto più spartani.

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    • Nikonlander Veterano

    Dipende dove vai... 

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    Capanno per orsi, 2 fotografi per tutta la notte...

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    Capanno per Allocco di lapponia, ovviamente monoposto.

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    Capanno per forcelli, 3 posti (vetroresina, alto 1mt: ti siedi e te lo ribalti sulla testa).

    Per me i finlandesi - mediamente - hanno trovato un equilibrio che consente attività locali a basso impatto sulla natura. Fortunati ad avere quella terra ma anche bravi ad utilizzarla in questo modo.

    Il Valerio è uno da villetta ;) 

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    • Nikonlander Veterano

    Sottoscrivo anch'io quanto affermi, Valerio.

    E anch'io potrei traslare il tuo ragionamento nella street photography che pratico: divagando quindi un po’ - ma non credo di andare troppo fuori tema – allargo il discorso a tanti scatti m e r a v i g l i o s i di questo genere per i quali mi capita di pensare di voler essere stato io a farli.

    Poi però mi sorge il dubbio che siano in qualche modo studiati, preparati, insomma non proprio genuini: in molti scatti sono troppo perfetti i posizionamenti dei passanti nel set, troppo simili i colori degli abiti dei soggetti a quelle dell’ambiente nel quale si muovono, troppo precise le geometrie delle ombre che si stagliano su marciapiedi e pareti di edifici, ecc. ecc.

    Non dico sia stato utilizzato Photoshop per piazzare al punto giusto il passante di turno, ma con la complicità di qualche comparsa un set già interessante può completarsi del soggetto mancante per rendere straordinario uno scatto apparentemente frutto della sola capacità del fotografo di cogliere l’attimo.

    E sono d’accordo che in questi casi l’autore non ha fatto nulla di male, però spacciare come istantanea del momento per stupire e impressionare un’immagine costruita ad arte, beh, allora no, non si tratta più di street photography, almeno non quella che intendo io.

    Magari l’obiettivo è vincere un concorso, oppure vendere quella foto, e ci può stare. Ma come per gli scatti che hai documentato, è ancora giusto parlare di fotonaturalismo e di street photography?

    E, oltre al fatto che personalmente non troverei soddisfazione alcuna a vincere un contest con un’immagine così costruita, aggiungo anche un quesito: quali strumenti ha una giuria di un concorso o anche il semplice osservatore per discernere fra uno scatto genuino ed uno preparato?

     

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    • Nikonlander Veterano
    Il 8/4/2020 at 23:55, Massimo Vignoli dice:

     Avere o essere.

    La citazione di Massimo, da Erich Fromm,  il punto cardine è lì. 

    Valerio, il tuo articolo, da me lungamente atteso ;) , non è un articolo, ma di più: contiene tantissimi spunti di discussione che ciascuno da solo potrebbe riempire un articolo o almeno avviare una discussione. Ma qui ci sono pochi fotografi naturalisti e come scrivi tu spesso i fotografi naturalisti non sono troppo comunicativi.

    Per riallacciarmi anche a Pedrito, vado sull'ovvio. La differenza è nel movente, proprio nel senso di ciò che ti muove, di fa agire. C'è chi gli basta avere un' acclamazione, non gli importa di essere davvero un bravo fotografo. Chi ha fotografato il formichiere impagliato (il lupo che salta lo steccato e via dicendo...) sa cosa ha fatto, ma non gli importa perchè  non vuole sentirsi bravo, vuole sentirsi dire bravo. Per poi forse illudersi di esserlo davvero.  

    Altro discorso: la base etica della fotografia naturalistica è il rispetto del soggetto, che idealmente non dovrebbe nemmeno accorgersi di te,  ma come minimo non dovrebbe mai soffrire per la tua presenza. Se quello che importa è solo "portare a casa la foto" oltre all'imbroglio più o meno innocuo, c'è gente che diventa veramente nociva, fa del male agli animali e all'ambiente, lo abbiamo scritto più volte.

    Un esempio: dalle parti  di Valerio c'è una garzaia con aironi, nitticore, ibis, garzette e guardabuoi, un gioia vedere in primavera i loro voli. La garzaia da' su una strada ed è anche delimitata da un  argine di risaia, per cui si può fotografare tranquillamente standosene fuori, eppure... ogni volta mi vedo uscire dal bosco  dei figuri che si sono addentrati, molestando le coppie in nidificazione,  questi non naturalisti sono ben consapevoli di fare qualcosa di sbagliato, ma sordi a qualsiasi esortazione ragionevole, spesso anche pronti a reagire male nei confronti di chi gli fa notare che fanno danni. 

    • Eccellente, grazie ! 2
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    • Nikonlander Veterano

    Silvio, la mia riflessione è fatta al netto della tara degli imbecilli, quelli ci saranno sempre come i rubagalline, gli scassinatori, i papponi, gli spacciatori, i criminali insomma.

    Come dice Marco, soluzione non c'è. Ma se nella "street" al più c'è il rodimento del dubbio che non si tratti di un istante armonioso colto da occhi attenti, ma di un set coordinato da un regista, nella fotografia della natura la "mistificazione" è grave a causa dei tempi correnti. Perché non siamo più nel 1850 quando l'Amazzonia era vergine, i bisonti a milioni riempivano le pianure nord americane, renne e Caribù si dovevano arrestare solo allo stretto di Bering, la depressione africana era uno sconfinato Serengheti con milioni di antilopi in perenne movimento  e davanti a Cap Ferrat nuotavano le verdesche. Oggi non c'è più niente di tutto questo, abbiamo occupato tutto lo spazio disponibile, fortunato chi riesce a verdere anche solo uno scorfano nelle acque della costa Azzurra. Dei fotonaturalisti che in questa boazza di deserto importa "solo" la gratificazione artistico creativa resto sconcertato,  sacrosanto che la cerchino, ma in questa fase della storia è puerile ed infantile che si limitino a questo. 

    PS

    Per Fabio: nel 2009 in finlandia siam capitati in quel capanno per puro caso. Al campeggio, sulla riva di uno dei mille laghi della Carelia, c'era un cartello che invitava a visitare i capanni degli orsi. Avevo letto a fine anni '90 di Eero Kemila  e dei suoi capanni per l'avvistamento al plantigrado. Un paio di domande al gestore del camping e ci siamo detti: proviamo.

    Una telefonata e la sera dopo eravamo nel villino di legno. Un'esperienza straniante, emozionante intendiamoci ma che non fa per me, e delle cui foto non ho mai taciuto il percome di realizzazione, crocchette per cani comprese. 

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