Onestamente è una faccenda che mi tocca poco, per me la Fotografia Naturalistica è opportunità di incontri e non attività di "caccia al risultato”, non ho smania di fotografare questa o quella specie in particolare, ho invece appetito, insaziabile, per i brividi della scoperta. L'incontro con un selvatico o con un paesaggio mozzafiato, lo lego più al caso che ad una severa pianificazione, una questione di <P> probabilità. Pur operando per massimizzarla, non ho mai agito affinché quel numero <P> diventasse pari ad 1, valore a cui, insegnano i matematici, corrisponde il significato di <Certezza>. L'incontro è per me deve essere Sorpresa e se non lo fosse credo perderei il piacere di esercitare questo genere di fotografia.
Strada poderale del Nivolet, Valsavarenche - Dicembre.
Non è così per tutti, lo so bene, e non è mia volontà giudicare comportamenti differenti dal mio, bollarli come anti-etici od altro, no vorrei solo riflettere su cosa spinga tanti fotografi naturalisti ad una deriva che non riesco a condividere. E’ assolutamente corretto e ragionevole che un fotografo persegua il traguardo che si prefigge, se lo scopo è quello di una bella foto, nulla di male a far qualsiasi cosa per ottenerla, certamente restando nei necessari limiti di correttezza e legalità.
Su cosa sia - deontologicamente - lecito o illecito si sono spesi fiumi di parole. Non parlo delle pratiche che vanno a ledere le altre forme di vita, do per scontato che nessun fotografo, nel 2020, possa anche solo concepirle. Il fatto è che il concetto di “legalità”, per i fotografi della natura del terzo millennio, è diventato più articolato ed identifica come reato principe, uno solo: l’Inganno.
Rospi nel loro ambiente, e io con loro, Val Sesia - Marzo.
Ingannare significa far credere al lettore di guardare qualcosa non per quello che è, ma per quello che, chi l’ha ritratta, vorrebbe che fosse. Ma questo, si deve osservare, è alla base della creazione fotografica, una verità assoluta, e se non fosse così smetteremmo tutti di fotografare. L’equazione allora non torna, esiste un’evidente contraddizione, ed in termini analitici non se ne esce. La fotografia Naturalistica, ultima area di applicazione fotografica ancora vivida e feconda, deve trascinarsi appresso questo fardello di incongruenza, ci deve convivere. Come con un male incurabile da contenere, prima che mangi tutto e distrugga l’anima sana, la fotografia Naturalistica si interroga e si ridefinisce in continuo per limitare, strizzare, comprimere il suo male, l’Inganno.
Questo spiega perché i fotografi naturalisti sono abbastanza tignosi: se li prendi per il culo una volta se la legano al dito per sempre. Sono così perché hanno misurato per il lungo la fatica, gli sforzi e la dedizione necessaria per registrare la natura, quella del picchio verde che ti concede un solo lampo giallo tra un ramo e l’altro. Per quanto mi riguarda sono e resto un fotografo casuale, vivo in una terra esausta che offre poco alla natura, dove le inquadrature non si scelgono, ma si cercano. Perciò non inseguo, ma indago ed ogni incontro è una festa. A causa di questa mia de-formazione sono piuttosto sensibile ai "perculamenti": per quelli come me, chi inganna parlando la mia stessa lingua è degno di scomparire dall'orizzonte, senza appello.
Spaventati e lontani, campagna novarese e vercellese- Marzo Aprile e Agosto.
Raccontare una bugia può far così tanto danno? Si, se si fotografa la Natura. Fa danno alla Natura in prima battuta e poi guasta gli altri fotografi che si sono innamorati di questa pratica affascinante. Il danno alla natura è presto detto: fotografare stretto stretto lo splendido martin pescatore, documentarne l’esistenza sul fiume Lambro non allontana lo squallore a cui, tutt’ora, è ridotto quel torrente (ed altri di casa nostra). Ma a guardare il Martino vien da pensare che poi, tutto sommato, ‘sto Lambro non può esser messo così male. Deduzione logica se si estrae, scollegandola, la forma dal suo contenitore. Ed ecco allora le carrellate di immagini, gli album delle figurine di animali, che sul web si sprecano, raccolte di forme e colori bellissime, di un mondo che … chissà dov’è.
Antropocene è il nome da dare allo strato geologico che stiamo accumulando
Fiume Sesia - Agosto.
Poi c’è il danno nella testa dei fotografi. Questo è variabile, funzione della personalità di ciascuno, ma vede una base comune nel tentativo di ripetere quello specifico risultato. “Questa foto mi piace tantissimo, voglio riuscirci anche io”, quante volte ce lo siamo detto. E’, tutto sommato, un sentimento virtuoso purché il risultato anelato sia oggettivamente raggiungibile. Lo sappiamo che la quantità di tempo investito è il primo carburante e con la preparazione sia tecnica che scientifica sono condizioni necessarie, ma ahimè mai sufficiente a garantire il conseguimento dello scopo. I più acuti arguiscono che qualcosa non torna, che manca un componente. La Fortuna? Può essere, ma talvolta c’è altro.
Osservare gli Orsi russi, non si improvvisa occorre appoggiarsi a chi da decenni ha pianificato il "set" . Carelia finlandese - Agosto
Foto del gruppo senza e con Stambecco, Valsavarenche - Febbraio.
Non sto parlando di massimi sistemi, sto ragionando su pratiche decisamente diffuse. Prendiamo un fatto eclatante, solo l’ultimo che mi viene in mente, che riguarda un concorso internazionale. Devo ammettere che i concorsi sono un palco su cui possono andare in scena da piccole innocenti truffe ad autentiche vigliaccate. Riconoscerle non è facile, serve una certa consuetudine con i soggetti inquadrati, altre volte sono necessarie indagini degne di Maigret. Sul caso del WPOY 2017, che vide vittorioso e poi radiato a vita il fotografo del formichiere notturno - impagliato - (!), ho avuto l'opportunità di domandare ad un membro di quella giuria, cosa diavolo avesse spinto un bravo fotografo a compiere un inganno così patetico. La risposta mi ha sorpreso e deluso allo stesso tempo:
"si tratta di persona ricca e facoltosa, è solo debolezza dell'animo umano".
Debolezza, è cedere alla ragione della vanità, e la vanità è una brutta bestia, nessuno ne è esente, soprattutto chi fotografa e ama le sue fotografie, ma ingannare, truffare? Son cose che accadono tutti i giorni anche ben lontano dai concorsi internazionali.
Nel febbraio del 2019 con l’amico Paolo abbiamo visitato l’alta Valsavarenche. E’ un luogo particolare che, specialmente in inverno, consente agli “scoppiati” come noi di assaporare l’alta montagna e di incrociare camosci e stambecchi, perché sono loro a scendere verso valle. Ma non sapevamo della Volpe.
La Volpe di Pont elemosina qualche stuzzichino nel parcheggio del rifugio. Si presenta di primo mattino a mendicare tra le automobili. Quella mattina Paolo ed io abbiamo scoperto che è cosa nota, tanto che alcuni fotografi si presentano preparati, un bocconcino al volo di carne surgelata e la volpe è ben disposta a farsi riprendere in mezzo alla neve croccante. Splendidi ritratti di volpe tra sbuffi di neve da caricare in qualche forum e chissà, forse, aprendo una rivista, troveremo un bel paginone con il faccione peloso che ti guarda dritto negli occhi. Quella foto io non ve la posso mostrare, ma vi mostro altro, cioè quello che più mi ha “colpito”.
Per il lettore, per chi guarderà quei ritratti (non le mie foto), sarà lecito immaginare che al Gran Paradiso, in pieno inverno, camminando sui suoi sentieri, sia possibile incontrare il piccolo cane rosso; eh no, non è così, al più cercatelo fuori della porta della cucina del rifugio. Ma tornando ai fotografi e alle loro foto, sbaglia chi giudica male, alla fin fine queste persone non hanno commesso nulla di grave, non hanno arrecato danno all'animale (anzi) e nemmeno all'ambiente, hanno solo perseguito il loro lecito e meritevole desiderio di ritrarre l’opportunista predatore, come, altrimenti, è pressoché impossibile.
Com'è allora che a vedere una foto di quel tipo e sapendo quel che ci sta dietro, magari non mi sento proprio “perculato”, ma mi si sciupa parecchio la poesia? Forse vale solo per me (e Paolo che mi ha trascinato via), non son sicuro, ma ecco qui scodellato tutto il paradosso tra la necessaria libertà di espressione ed il valore del contenuto veicolato.
Ho scritto con fatica (tanta) queste quattro righe perché da tempo, ormai, mi arrovello della fotografia nel suo uso, presente e futuro, più che dell’aspetto strettamente tecnico legato alla ripresa. Il momento è particolare, anche al netto della Pandemia, siamo in fase di stallo verso un cambiamento sia della ripresa fotografica che della fruizione delle immagini. Comunque vada questi ragionamenti sono e saranno da affrontare, non risolvere, ma quantomeno da prendere in coscienza.
Valerio Brustia - Nikonland 2020
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