Che siate professionisti o solo appassionati di fotografia, anche voi lamentate stress o affaticamento dovuto a tutto ciò che c'è dopo lo scatto ?
Un recente studio di una società americana pare dimostrare che siete in buona compagnia.
Oltre la metà degli intervistati lamenta affaticamento e/o stress dovuto all'attività al computer "necessaria" per finalizzare i propri lavori fotografici.
è un report commerciale, prodotto per conto di una società che sviluppa software AI dedicati proprio ad alleggerire i compiti ripetitivi di routine propri della fase di "selezione e sviluppo" dei propri scatti.
Quindi va preso con il dovuto distacco.
Ma prendiamo per buoni i numeri e consideriamoli aderenti anche alla nostra realtà, non necessariamente sovrapponibile a quella statunitense.
"Non scatti una fotografia, la crei", disse una volta il fotografo americano Ansel Adams (1902–1984).
La fotografia implica molto più che premere semplicemente il pulsante di scatto. Una parte significativa della creazione della foto perfetta oggi è la post-elaborazione digitale con software come Adobe Lightroom Classic. Ciò riflette lo stile personale di un fotografo ed è quindi fondamentale per il suo successo.
Tuttavia, la modifica manuale delle immagini è un processo molto impegnativo e che richiede molto tempo.
Le impostazioni e le regolazioni delle immagini devono essere personalizzate individualmente per ogni foto per produrre un aspetto coerente durante l'intero scatto. La modifica delle immagini richiede non solo molto tempo, ma anche risorse mentali e fisiche. Il termine "affaticamento da modifica"
emerge frequentemente nel settore della fotografia, descrivendo l'esaurimento psicologico e fisico derivante dalla modifica prolungata delle immagini.
E' la tassa digitale implicita, di cui nessuno ci aveva parlato quando è stato promosso il passaggio alla fotografia digitale.
L'altra tassa è il costo di tutta l'informatica, dal computer al software, dallo storage al backup.
Se poi siamo fotografi professionisti, sottoposti a scadenze di consegna affinché il nostro lavoro venga accettato - magari prima di un concorrente se siamo reporter - alla fatica si aggiunge l'ansia di fare in tempo.
Qualche cosa che il semplice appassionato non prova necessariamente, salvo quando anche solo per cortesia, non si senta costretto a consegnare parte dei suoi scatti ad amici o persone coinvolte in un progetto.
L'editing delle immagini costituisce una parte significativa del lavoro svolto dai fotografi professionisti. Sono pochi coloro che dedicano meno di cinque ore alla settimana alla post-elaborazione. La maggior parte dei fotografi che hanno partecipato a questo studio rientra nella categoria "5-10 ore" (28,6%), costituendo poco più di un quarto del campione totale. Nel complesso, il 62% degli intervistati dedica più di dieci ore alla settimana all'editing delle immagini.
Nella fotografia di matrimonio, l'editing delle immagini può richiedere molto tempo. Uno su quattro fotografi (24,9%) necessita di 10-20 ore alla settimana, mentre uno su cinque necessita di più di 20 ore (19,3%)! Le cifre sono altrettanto elevate nella fotografia per l'asilo. I fotografi paesaggisti, tuttavia, sono l'unico gruppo con la percentuale più alta che rientra nella categoria 10-20 ore.
Le numerose ore dedicate all'editing delle immagini hanno un impatto sulla salute dei fotografi. Il 42,8% dei partecipanti al sondaggio ha dichiarato di provare "frequentemente" esaurimento mentale dopo lunghe sessioni di editing. Questa è stata la risposta più comune in questa categoria, coerente in tutti i settori della fotografia. Inoltre, il 15,6% ha risposto "molto frequentemente". Solo l'1,2% ha dichiarato "mai".
La pressione psicologica sui fotografi è reale e onnipresente. Più di nove fotografi su dieci hanno dichiarato di sentirsi "generalmente" sotto pressione (91,3%), con la ragione più comune che sono scadenze o vincoli di tempo, confermata dal 62,2%.
Altre cause significative di pressione mentale includono un grande "carico di lavoro" (il 52,7% lo conferma), "richieste dei clienti" (31,2%) e "conflitti personali" (29,6%).
La pressione è normale nei primi anni di carriera. In particolare nei primi uno-tre anni, solo il 12,5% degli intervistati ha dichiarato di non provare alcuna pressione. Al contrario, quasi la metà dei fotografi con più di dieci anni di esperienza afferma di non sentire alcuna pressione quotidiana (44,9%). Tuttavia, con l'aumentare dell'esperienza, aumenta anche la pressione delle richieste dei clienti, particolarmente evidente tra i fotografi con cinque-dieci anni di esperienza.
Un'altra osservazione: quasi due terzi dei fotografi che modificano le proprie immagini da soli, senza l'ausilio di intelligenza artificiale o servizi esterni, citano le scadenze o la pressione generale del tempo (65%) come causa principale dello stress psicologico. Questa cifra è leggermente superiore rispetto ai fotografi che ricevono supporto per la modifica delle immagini.
Naturalmente lo studio si rivolge con maggiore interesse ai professionisti perché "il loro tempo è denaro" e più facilmente sono propensi ad alleggerirsi da queste incombenze, se possibile, ricorrendo a servizi esterni.
Ma anche sulle nostre pagine, frequentate in massima parte da fotoamatori abbiamo sovente letto commenti del tipo "chissà quanto tempo impieghi in post-produzione" fino ad arrivare al parossismo di chi ha rallentato l'attività fotografica proprio per lo stress di dover rivedere ed elaborare gli scatti.
Leggiamo che paesaggisti e soprattutto, fotonaturalisti, dedicano moltissimo tempo alla fase di sviluppo delle fotografie, dedicando proporzionalmente più tempo alla "fotografia" seduti davanti al computer di quanto non riescano poi ad impiegare effettivamente la fuori con la fotocamera in mano.
Del resto, le nostre fotocamere ci danno un'idea sommaria di come sia venuto lo scatto quando lo rivediamo al display, ma rendere giustizia ad una immagine ben ripresa, richiede per tutti una coda al computer.
Software inefficienti ed elefantiasi nella quantità di scatti indotta dal digitale ("tanto gli scatti in più non li pago", hanno ingigantito il fenomeno.
Che era già importante ai tempi del citato Ansel Adams che forse si divertiva di più in camera oscura che sul tetto della sua "giardinetta" ma dalla sua aveva il fatto di fotografare con lastre di grande formato in numero estremamente limitato.
Se poi uno ha l'ardire o la passione di stamparsi i suoi scatti migliori in casa, le operazioni di produzione di quella che è l'unica vera fotografia, ovvero l'immagine stampata su carta, subiscono un incremento esponenziale.
Esagerato dalla pretesa invogliata dai tanti guru del settore, a curare dettagli che per moltissimi passerebbero inosservati.
Quindi, potrebbe sembrare materia marginale e poco diffusa ma lo studio specifica che attraversa tutte le classi di fotografi e di tutte le generazioni.
E' reale ed è potenzialmente pericolosa, inducendo a comportamenti negativamente influenzati dalla prospettiva del tempo e dalla fatica che l'aver fotografato comportanto.
Salvo che, come ci pare oramai faccia qualcuno, quegli scatti finiscano dimenticati oppure mai nemmeno rivisti.
Per chi volesse approfondire nei dettagli, il whitepaper dello studio è consultabile -> QUI <-
Ci piacerebbe avere un riscontro dai presenti al riguardo, anche per poter meglio valutare l'effettivo impatto di questa tematica.
Sentitevi liberi di commentare senza vincoli di alcun genere.
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